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Nate in territori di frontiera tra la città e la campagna, le borgate realizzate dall’Istituto Case Popolari dalla seconda metà degli anni Trenta hanno conservato nel processo di espansione urbana una loro distinta identità e sono oggi tra i luoghi più affascinanti e vitali della periferia romana. Seppur afflitte da profondi problemi, nonché prigioniere di antichi e mai del tutto sopiti pregiudizi, appaiono come isole dalle qualità e dalle risorse inaspettate nella “marea” urbanizzata della capitale. La bassa densità, la generosità degli spazi aperti e il loro rapporto misurato con il costruito, sono i caratteri distintivi delle borgate “ufficiali”, risultato di una fertile sperimentazione sulla città in grado di riallacciarsi sia alla tradizione italiana del disegno urbano sia alle ricerche più avanzate del Movimento Moderno. La vicenda delle borgate si intreccia inoltre con le vicissitudini delle persone che hanno attraversato e popolato Roma, nonché con la storia della formazione della sua vasta periferia. Tra stratificazioni e paesaggi urbani in continua evoluzione, a questa realtà ci si può accostare ancora oggi in termini di scoperta.
Quest'articolo nasce dalla mia tesi magistrale sulle mura delle città romane in Piemonte e Valle d'Aosta. Si è cercato di delineare la nascita e lo sviluppo delle cortine difensive delle città romane sorte nel territorio dell'attuale Piemonte. Lo studio delle mura e delle porte urbiche di queste città non è agevole: in molti casi è possibile formulare solo delle ipotesi, a causa delle complesse vicende storiche dei centri, quasi tutti a continuità di vita. Spesso si è potuto fare affidamento solo sulle testimonianze iconografiche o letterarie; queste ultime, in larga maggioranza, sono medievali o d'epoca successiva e necessitano dunque un attento vaglio. Archeologi e studiosi, inoltre, si sono dedicati soprattutto ai resti più "appariscenti" e monumentali, come le porte e le mura di Aosta o la Porta Palatina a Torino, tralasciando lo studio dei centri minori; in molte città nuove scoperte sono avvenute casualmente durante l'esecuzione di lavori pubblici, e solo da pochi anni si è rinnovato l'interesse per l'analisi di queste problematiche; le Soprintendenze Archeologiche del Piemonte e della Valle d'Aosta hanno infatti promosso scavi in diverse città, nonché il restauro e la valorizzazione di strutture già note ma trascurate. La continuità di vita ha fatto sì che solo in rari casi mura e porte si conservassero: spesso l'esiguità dei resti rende difficoltosa la ricostruzione del percorso della cortina difensiva e dell'ubicazione delle porte: si veda ad esempio il caso di Vercelli, dove solo rinvenimenti molto recenti hanno consentito di tracciare un percorso meno aleatorio delle mura, anche se la datazione della cortina urbica nel suo complesso resta ipotetica. Un altro problema che accomuna le cortine e le porte urbiche delle regiones IX e XI è la difficoltà di datare le strutture superstiti: solo raramente sono stati individuati elementi che consentivano una precisa datazione delle strutture; nella maggior parte dei casi, invece, il dibattito è ancora aperto, a causa dell'esiguità dei resti, dei successivi rifacimenti o della scarsa leggibilità delle sequenze stratigrafiche. La datazione sulla sola base stilistica si è rivelata spesso inadeguata, come dimostra il caso torinese: solo grazie a scavi recenti e a un attento studio dei materiali emersi è stato possibile datare alla metà del I sec. d.C. le mura e le porte, considerate, sin dall'epoca degli studi di D'Andrade, perfetto esempio di architettura augustea. In altri casi, anche la lettura del terreno è dubbia: basti pensare alle diverse ipotesi sulla datazione del doppio muro angolare emerso a Eporedia fra Corso Botta e Corso Umberto I nonché sulla sua appartenenza o meno alla cortina romana. I nuovi centri nacquero in territori che non conoscevano realtà urbane vere e proprie, ma dove la popolazione indigena viveva in piccoli insediamenti, a volte gravitanti su un villaggio di maggiori dimensioni. Per quanto concerne le difese di tali villaggi, essi possedevano spesso palizzate lignee o fossati a propria difesa, ma non erano dotati di cinte murarie. Sia nel caso di una nuova fondazione, sia in quello della trasformazione di un villaggio in città romana, l'erezione di una cortina muraria si rendeva dunque necessaria, specialmente nei territori da poco conquistati o ancora circondati da popolazioni ostili (si veda ad esempio il caso di Eporedia). La scelta del sito per una nuova fondazione teneva conto delle esigenze strategiche di difesa e controllo dei territori acquisiti e gli urbanisti progettavano con estrema cura il percorso delle mura dei nuovi centri. La prima fondazione nella Cisalpina orientale, Aquileia, colonia dedotta nel 181 a.C., presenta mura costruite con grandissima perizia tecnica da maestranze specializzate, probabilmente di origine magno-greca, provenienti dall'Italia meridionale, che impiegarono tecniche ancora poco note o addirittura sconosciute a Roma e nel Lazio, come l'opus caementicium o il mattone cotto; similmente Dertona fu precocemente dotata di un efficace sistema difensivo, dovuto alla suo ruolo di caposaldo militare a difesa della Via Postumia 1 . Nel corso del I sec. a.C. il dominio di Roma era ormai ampiamente consolidato in Italia settentrionale, anche se non mancarono scontri con alcuni gruppi indigeni particolarmente bellicosi, come i Salassi, non sconfitti definitivamente sino all'età augustea. Le mura ebbero dunque, prima di tutto, una valenza militare, ma cominciarono ad affacciarsi anche altre motivazioni, di carattere per così dire "ideologico": la costruzione, manutenzione ed abbellimento delle opere difensive erano considerati uno dei segni di maggior decoro civico, specialmente per quelle città assurte da poco al rango di municipium, come ad esempio Cremona, Aquileia, Ivrea, prima semplici colonie latine 2 . Tra il 91 e l'89 a.C., grazie alla Lex Pompeia de Transpadanis, promossa da Gneo Pompeo Strabone, molti centri acquisirono lo Ius Latii, diventando così colonie fittizie di diritto latino. La Lex Pompeia ebbe effetti notevoli sul Piemonte, che contava allora solo due colonie romane, Eporedia e Dertona, e alcuni piccoli centri del Monferrato, come Pollentia, Hasta, Forum Fulvi, Industria 3 . Questo mutamento di status non ebbe effetti solo nella vita cittadina, ma anche nell'assetto urbanistico: tali interventi riguardarono soprattutto strutture religiose o civiche, ma anche le cortine murarie non furono trascurate. Fu Giulio Cesare, dal 50 a.C., a dare una forte spinta agli interventi sulle strutture difensive delle città transpadane, grazie al proconsolato quinquennale per la Gallia Cisalpina e l'Illirico, ottenuto quell'anno. Molti oppida d'origine celtica, disposti in punti strategici, furono trasformati in città romane a tutti gli effetti, altri centri furono fondati ex-novo: anche in questi centri, la presenza di mura assunse sempre più una valenza "civica", di elemento qualificante della città romana in quanto tale, dato il progressivo venir meno di reali minacce esterne 4 . L'attività edilizia concernente le cinte murarie fu particolarmente intensa fra il 45 e il 15 a.C.: in questo arco di tempo città come Verona, Vicenza, Trieste, Oderzo, Altino, Trento, Concordia, Milano, Brescia ed Aosta furono dotate di un perimetro difensivo totalmente nuovo. A questo periodo paiono ascrivibili anche le mura di Pavia, Lodi Vecchio e Vercelli. Può sembrare strano che queste opere di difesa siano state messe in atto in un periodo di pace che resterà invariato fino all'età tardo imperiale, ma bisogna tener conto dell'estendersi degli interessi militari romani in Gallia, Germania e area danubiana: le città transpadane garantivano il controllo delle vie che conducevano in tali regioni e costituivano, insieme alla catena alpina, un solido baluardo contro possibili incursioni 5 . Molte città prima poco rilevanti da un punto di vista strategico assunsero una nuova importanza commerciale, viaria, economica e politica. Non bisogna poi dimenticare i provvedimenti emanati fra il 49 e il 42 a.C., che facevano perdere lo status coloniario alla città poste a nord del Po: le mura e le porte sono un segno tangibile e di immediata evidenza della nuova condizione di questi centri, ora municipia a pieno titolo. L'analisi tecnica delle mura dimostra però che gli aspetti "decorativi" prevalsero sempre di più sulle reali esigenze difensive: le cortine erano, infatti, spesso rettilinee, senza quelle strutture consigliate dai poliorceti ellenistici per difendere la città, come salienti, denti di sega, interturri concavi, ridotto spessore dei muri, torri e porte "scenografiche", mancanza di porte a tenaglia o di tipo "sceo", più adatte agli scopi difensivi 6 . 1
Keywords: PVS Project, Marche region, Roman villa, Late Antiquity. In this thesis we cover Late Antique rural villas in the Marche region. In the first chapter of this master dissertation we put the phenomenon villa into a broader spatial and historical context and provide a synthesis of the still ongoing debate on the decline of the Roman villa. In the second chapter all available information on Roman villas in the Marche region dating between the 3rd century and the 8th century A.D. is collected. Our method comprises the study of published and unpublished sources as well as a number of preliminary results from the Potenza Valley Survey Project conducted in 2012 and 2013. By means of comparative study the distinctive features of the Late Antique villa from the Marche region are discussed allowing us to identify the common elements with other regions. These results are meant to contribute to the development of a regional synthesis, which is the role of archaeological research in the future.
B. Perrone, Il romanesco "romanzesco" delle borgate, in «Magazine Lingua italiana», Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, 2022
L'articolo ripercorre il periodo romano di Pasolini, con un focus sulla lingua dei romanzi romani "Ragazzi di vita" e "Una vita violenta" e sulla funzione del romanesco negli esiti che riconducono l'autore al filone letterario del plurilinguismo della linea Dante-Gadda.
Il volume raccoglie le relazioni della “XXI Rencontre franco-italienne sur l’épigraphie du monde romain” svoltasi a Campobasso tra il 24 e il 26 settembre 2015. Il convegno ha rappresentato un importante momento di confronto e riflessione sullo stati degli studi di storia amministrativa delle città dell’Italia e delle province occidentali in età romana, tra la tarda repubblica e i primi secoli dell’età imperiale. Alle relazioni presentate in quella occasione si sono aggiunti preziosi contributi che hanno consentito di allargare in senso geografico e problematico il quadro di riferimento.
Verona e le sue strade. Archeologia e valorizzazione, 2019
Le strade costituirono uno dei caratteri peculiari della civiltà di Roma, rappresentando uno strumento di conquista militare e di stabilizzazione del potere, oltre che un fondamentale mezzo di sviluppo economico e poleografico. Ma non solo: esse furono anche il tramite materiale della diffusione della cultura e della civiltà romana in un impero così vasto nello spazio e durevole nel tempo. I Romani posero dunque grande attenzione, come ricordano anche gli autori antichi 1 , alla realizzazione di un sistema viario efficiente, capillarmente diffuso, controllato e armonizzato in un quadro unitario, ai fini anche di un utilizzo per chi viaggiava a nome e per conto dello stato. Stando alle fonti e in particolare a Svetonio (Aug., XLIX, 3) fu Augusto che, riprendendo un'iniziativa già avviata da Cesare attraverso soldati a cavallo impegnati nel recapito delle notizie (Bell. Civ., III, 101), diede vita a un sistema di trasporto statale, chiamato dapprima vehiculatio e più tardi cursus publicus. Originariamente organizzato come un sistema di staffette di iuvenes a cavallo, ben presto esso vide anche l'impiego di veicoli trainati da animali che potevano trasportare con più facilità beni e uomini 2 . Tuttavia, ben prima dell'affermazione del sistema stradale romano, sentieri e piste collegavano gli insediamenti umani, dando vita alle forme dell'organizzazione sociale, come attestato dagli autori antichi e dai dati archeo logici. Questi, in particolare, permettono di risalire alle reti di comunicazione esistenti sin dall'età pre e protostorica, grazie alle fortunate tracce talvolta conservate sul terreno e ai materiali che attestano la presenza di scambi tra le varie comunità: materie prime, derrate e manufatti. Come illustra il contributo di Federica Gonzato in questo volume, poteva trattarsi di piste di collegamento locale, dettate da esigenze concrete e dalla distribuzione degli insediamenti, oppure di più lunghi percorsi atti a coprire anche grandi distanze e funzionali all'approvvigionamento e alla commercializzazione di taluni prodotti preziosi, come l'ambra. In ogni caso, questa viabilità, strettamente correlata alla conformazione geomorfologica dei luoghi, non era organizzata in un sistema strutturato come quello messo invece a punto in età romana, sul quale si concentrerà la nostra attenzione. Dal punto di vista giuridico-amministrativo esistevano tre tipologie di strade 3 : quelle publicae, costruite su suolo pubblico o divenuto tale in seguito a esproprio e gestite direttamente dal potere centrale, in quanto volte al servizio dello stato; quelle vicinales, di interesse locale e di raccordo alla viabilità principale, realizzate e mantenute dai vici, cioè dagli insediamenti aggregati minori; le privatae, dirette ai terreni e alle proprietà dei privati, che le aprivano per il loro uso personale. Tutte queste strade si integravano fra loro in una trama fittissima di relazioni, dove comunque le grandi vie statali, costruite dai consoli o dai pretori in età repubblicana e dagli imperatori dopo l'affermazione di un potere centralizzato, costituivano l'ossatura fondamentale dei traffici. Le viae publicae, in particolare, erano riservate al servizio di trasporto statale sopra menzionato e misurate secondo l'unità lineare 2. Il miliario di Postumio Albino e lo sviluppo complessivo della sua iscrizione, Museo Lapidario Maffeiano, Verona (foto e disegno P. Grossi). 3. La Postumia nel tratto tra Villafranca e Goito: via Levata (foto P. Basso).
Oristano e il suo territorio 1. Dalla preistoria all’alto Medioevo, 2011
Urbes et rura. Città e campagna nel territorio oristanese in età romana di Attilio Mastino e Raimondo Zucca* . Geografia storica dell'Oristanese
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Potentia. La città romana tra età repubblicana e tardoantica, 2008
Session 11-12, Single Contributions– Poster Sessions. Archaeology and Economy in the Ancient World, vol. 56, 2023
Borgia dalle origini ad oggi 2024 storia tradizione e antropologia edizione aggiornata
Diritti e spazio pubblico nella città metropolitana. Roma e altri paesaggi, 2023
AMOENITAS Rivista internazionale di studi miscellanei sulla villa romana antica - III/2014, 2014
Silvia Battistini et al. (a cura di), "Di non vulgare artifizio". Il collezionismo storico della ceramica a Bologna e le raccolte dei Musei Civici di Arte Antica, 2020
Defensive architecture of the mediterranean, 2023
F. De Matteis, L. Reale, “Quattro quartieri. Spazio urbano e spazio umano nella trasformazione dell’abitare pubblico a Roma", Quodlibet, 2017