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Le performance delle imprese di servizi sono da attribuirsi all’azione dell’organo di governance o a fattori ad esso esogeni? È tale partizione uguale a quella delle imprese manifatturie-re? Il presente lavoro offre delle prime risposte a tali quesiti tramite un’analisi longitudinale su otto anni (2009-2016) in cui sono state decomposte e comparate le performance di un cam-pione di 223 imprese italiane quotate operanti in differenti comparti del settore dei servizi (N= 151) e del settore seconda-rio (N= 72). In particolare, le domande di ricerca proposte ricadono all’interno dell’approccio scientifico dell’upper echelons theory (Hambrick e Mason, 1984; Hambrick, 2007), secondo il quale le scelte strategiche d’impresa – nonché i risultati organizzativi ed economico-finanziari – sono determinati dalle caratteristiche socio-demografiche, dai valori personali, e dalle specifiche basi cognitive dei componenti della governance aziendale (Finkel-stein et al., 2009; Carpenter, 2011) e, più in particolare, dell’Amministratore Delegato (c.d. CEO’s effect). A tal proposito, i diversi studi che nel corso del tempo hanno cercato di comprendere quanto i risultati delle imprese siano da attribuire a variabili endogene o esogene a esse, non sono ar-rivati a risultati conclusivi, poiché, alcuni hanno dato maggior importanza alle determinazioni ambientali (derivanti dai trend del settore o macroeconomici) (McGahan e Porter, 1997; Short et al., 2007), mentre altri all’azione della governance (Ham-brick e Quigley, 2013). Date le emergenti differenti cause alla base dei risultati d’impresa, tale studio fornisce, pertanto, un ulteriore contributo all’area d’indagine concernente il rapporto tra impresa e ambiente (Cafferata, 1987; Abatecola, 2014; Caffera-ta, 2014, 2016; Paniccia e Leoni, 2017). I principali elementi di novità del lavoro proposto, rispetto agli studi già presenti a livello nazionale e internazionale, sono rinvenibili, in primis, nell’investigazione dello specifico settore di servizi e, in secundis, all’indagine del contesto italiano. Infatti, in tale particolare area di ricerca, gli studi empirici realizzati non hanno ancora fornito una distinta evidenza del settore dei servizi (Hambrick e Quigley, 2013; Quigley e Hambrick, 2014; Quigley e Graffin, 2017), nonostante il maggior peso apportato (rispetto al settore manifatturiero) al valore aggregato di merca-to. Si vedano, ad esempio, i recenti dati di Banca d’Italia (2017) e ISTAT (2017) i quali mostrano come il settore dei servizi italiano è cresciuto costantemente negli ultimi 20 anni e contribui-sce ad oggi alla formazione del 74% del valore aggiunto prodot-to. Inoltre, i precedenti lavori, data soprattutto l’originaria ma-trice nordamericana dell’approccio teorico adottato, hanno prin-cipalmente analizzato le performance delle imprese presenti nel tessuto economico statunitense (McGahan e Porter, 1997; Mac-key, 2008; McGahan e Victer, 2010; Withers e Fitza, 2017), nonostante le imprese europee contribuiscano in maniera supe-riore alla formazione del PIL mondiale (Eurostat, 2016); spe-cialmente quelle italiane (10% del PIL a livello globale; The World Bank, 2016). Le evidenze presentate possono essere d’interesse per i di-rigenti d’impresa, per i membri della governance aziendale e per i policy makers nazionali. Per i primi, infatti, i risultati di ta-le studio possono aiutare la comprensione di quanto la propria azione manageriale possa determinare le performance d’impresa, e quanto quest’ultime, invece, sono influenzate da altre variabili ad essi esogene. Per i membri della governance e i policy makers nazionali, i risultati di tale lavoro possono fornire alcune utili indicazioni in merito all’attuale dibattito sulle politiche di remunerazione da adottare nei confronti della governance delle imprese quotate (ODCEC, 2011; Mercer, 2016; So-le 24 Ore, 2017); l’orientamento principale, infatti, tende verso un collegamento tra l’effettiva influenza esercitata dai dirigenti sui risultati d’impresa e le politiche salariali. Tutto ciò premesso, il lavoro proposto è sviluppato come segue. Inizialmente è fornito il quadro teorico di riferimento alla base di tale contributo; prettamente incentrato sugli studi dell’upper echelons theory e sulle sue evoluzioni inerenti alla decomposizione delle performance d’impresa. In seguito è deli-neata la metodologia d’indagine empirica e sono riportati i ri-sultati delle statistiche descrittive e inferenziali realizzate. La discussione dei risultati e le implicazioni – sia teoriche che pratiche – concludono, infine, l’elaborato.
In Atti della Conferenza SEBD, 2003
Abstract. I processi cooperativi prevedono l'esecuzione di attivita da parte di entita differenti allo scopo di perseguire un obiettivo comune. Considerando il contesto dei distretti produttivi, attraverso il progetto VISPO si propone una serie di modelli abilitanti all'esecuzione dinamica di tali processi in cui le attivita sono svolte da servizi. In questo contesto il carattere di dinamicita deriva dalla possibilita da parte del processo di sopperire a problemi in esecuzione mediante la sostituzione dei servizi malfunzionanti. Viene quindi ...
2011
View metadata, citation and similar papers at core.ac.uk provided by LUISSearch INDICE INTRODUZIONE CAPITOLO I: RISCHIO DELL'INVESTIMENTO E DIRITTI DEI SOCI 1) Fenomeno societario e condivisione del rischio 2) Le società di capitali tra autonomia privata e imperatività 3) L'assemblea dei soci. In particolare il diritto di voto 4) Principio di proporzionalità tra rischio e gestione 5) Gestione dell'impresa e ruolo dei creditori sociali. CAPITOLO II: RISCHIO E GESTIONE NELLA S.P.A. 1) Assegnazione delle azioni 2) Categorie speciali di azioni 3) Strumenti finanziari partecipativi 4) Strumenti di partecipazione all'affare 5) Azioni "a rischio differenziato" e conflitti di interesse. La frammentazione dell'interesse sociale e la "crisi" del principio maggioritario 6) Rapporto soci / amministratori: nuova connotazione e conseguenze applicative CAPITOLO III: RISCHIO E GESTIONE NELLA S.R.L. 1) Particolari diritti dei soci 2) Responsabilità dei soci per gli atti di gestione compiuti o autorizzati 3) Titoli di debito BIBLIOGRAFIA INTRODUZIONE La correlazione esistente tra rischio e gestione nell'ambito dell'attività di impresa è di immediata evidenza: la gestione dell'impresa dovrebbe essere strettamente connessa alla sopportazione del rischio imprenditoriale, essendo l'identità tra titolare del potere economico e titolare del potere di gestione funzionale ad una oculata conduzione dell'impresa e ad un adeguato fronteggiamento del rischio nelle sue molteplici manifestazioni. Tale identità è tradizionalmente garantita anche nell'esercizio collettivo dell'impresa. Con specifico riferimento alle società di capitali, pur essendo preclusa la gestione diretta dell'impresa da parte dei soci, la correlazione rischio/potere è presidiata dall'esercizio del diritto di voto in assemblea. Ai soci, in qualità di residual claimants, è infatti attribuito il potere di completare il contratto sociale attraverso il voto. Il legislatore del 1942, seppur con delle deviazioni, aveva adottato la regola one share one vote, senza peraltro prevedere alcuna interferenza nella gestione da parte dei creditori sociali che, in qualità di fixed claimants, non sopportanoo meglio non dovrebbero sopportare -il rischio di impresa. Il quadro normativo di riferimento è, come noto, sensibilmente mutato a seguito della riforma che nel 2003 ha interessato le società di capitali. L'assegnazione non proporzionale delle azioni e delle quote, l'accentuata atipicità delle categorie azionarie, gli strumenti finanziari partecipativi, i particolari diritti attribuibili ai soci di s.r.l. hanno inevitabilmente introdotto nel sistema elementi idonei ad alterare la proporzionalità tra rischio e gestione, rimasta pur sempre regola di default da applicarsi in mancanza di diversa previsione statutaria. Tali disposizioni normative vanno ad alimentare il dibattitooggi più attuale che mai -sull'allocazione del rischio imprenditoriale, innestandosi in uno scenario di fondo che, globalmente considerato, potrebbe dilatare le potenzialità applicative dei nuovi istituti accentuando le anomalie e le deviazioni dal modello di riferimento. La patologica traslazione del rischio è, come noto, esponenzialmente amplificata nelle società di capitali, ontologicamente caratterizzate dall'esternalizzazione di una quota di rischio d'impresa a danno dei creditori come conseguenza della parziale deresponsabilizzazione dei soci e dell'incentivo al moral hazard che ne deriva 1 . Questo fenomeno, ulteriormente aggravato dalla generalizzata sensazione di inadeguatezza degli istituti previsti dall'ordinamento con finalità di internalizzazione del rischio 2 , è espressione di un immanente e per certi 1 EASTERBROOK, F. H., FISCHEL, D. R., L'economia delle società per azioni: un'analisi strutturale, Milano, Giuffrè, 1996, 63 definiscono ne termini che seguono il rischio morale: "dato che la responsabilità limitata aumenta la probabilità che vi saranno cespiti insufficienti per soddisfare le pretese dei creditori, gli azionisti di un'impresa raccolgono tutti i frutti delle attività a rischio svolte, ma non ne sopportano interamente i costi. Essi sono in parte sostenuti dai creditori…l'esternalizzaione del rischio impone costi alla collettività ed è perciò indesiderata". GALGANO, F., GENGHINI, R., Il nuovo diritto societario, Volume XXIX, Le nuove società di capitali e cooperative, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, Padova, Cedam, 2003, 9 osservano appunto come la responsabilità limitata sia in grado di produrre, quale effetto economico da non trascurare, "una parziale traslazione del rischio connesso alle attività economiche", in quanto i soci rischiano esclusivamente quanto conferito e la restante parte di rischio è trasferita sui creditori della società. Per ulteriori rilievi si veda anche GALGANO, F., La società per azioni Le altre società di capitali Le cooperative, Bologna, Zanichelli, 1973. 2 Il riferimento è al sistema del capitale sociale minimo, in relazione al quale è stato in primo luogo evidenziato come la previsione di un capitale sociale minimo, valevole per tutte le società del medesimo tipo, non consente di tenere in debito conto le concrete esigenze della singola impresa cosicché lo stesso importo può rivelarsi troppo esiguo in alcuni casi ed eccessivo in altri. Le regole sul capitale sono inoltre giudicate costose ed inefficienti soprattutto in virtù del fatto che molti creditori sono in grado di disporre di strumenti contrattuali di autotutela. Il dibattito brevemente riportato (per un'analisi più approfondita si rinvia a ENRIQUES, L., MACEY,
2007
Nel corso dell'ultimo decennio sia la letteratura che la pratica operativa hanno mostrato un crescente interesse verso l'integrazione dei processi lungo la catena di fornitura. La gestione integrata della supply chain -comunemente nota secondo la terminologia anglosassone come Supply Chain Management (SCM) -è invocata quale chiave del vantaggio competitivo in virtù dei ben dimostrati benefici conseguibili attraverso la sua implementazione in termini di efficacia, efficienza, flessibilità operativa, livello di servizio al cliente.
Scienza Politica Per Una Storia Delle Dottrine, 2010
La rilevazione gestionale del grado di efficienza e produtività dell'Officina di Assistenza
Capitolo IV Analisi empirica: il caso di una casa di cura privata campana 4.1 Il sistema di contabilità analitica nella Clinica 81 4.2 Prima fase dell'analisi: individuazione dei centri di costo 89 4.3 Seconda fase dell'analisi: imputazione dei costi ai reparti e servizi 92 4.4 Terza fase dell'analisi: ribaltamento dei costi dei centri ausiliari e funzionali sui centri produttivi 97 4.5 Quarta fase dell'analisi: il modello di conto economico di reparto e di servizio 104 4.6 Considerazioni di sintesi 106 Conclusioni 107 Bibliografia 109 Links 111
Nella letteratura economica, negli ultimi anni, è sorto un animato e fecondo dibattito sul tema della responsabilità sociale delle imprese, determinato prevalentemente dall’ emergere di nuove linee di orientamento gestionale, volte ad esplicitare forme alternative di gestione economica e finanziaria, indirizzate principalmente a sollevare, o, ad affiancare, in regime di sussidiarietà, le autorità pubbliche dalla produzione di servizi di pubblica utilità, in favore di strutture di natura privatistica con finalità non profit, nell’ottica di una gestione più snella ed efficiente, ispirata a principi gestionali etici.
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Giurisprudenza italiana, 2017
Trasporti & Cultura. Rivista di architettura delle infrastrutture e del paesaggio, 2020
Archivio storico e giuridico sardo di Sassari, 2019
SOCIETA' DI GESTIONE DEL RISPARMIO, 2019
aut-aut, 362, maggio 2014, p. 49-74.
Atti del seminario Problemi e prospettive …, 2002
Olivi (a cura di), La caccia sostenibile, Milano, 2020