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2012, Kainos. Rivista di critica filosofica
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Una tipica visione antropocentrica dell’alterità umana frequente, non soltanto entro la letteratura filosofica, ha diffuso l’idea del concetto di “altro” come parafrasi di “altro umano”. Se volessimo provare a individuare, sinteticamente, alcune linee di pensiero che hanno cercato di enfatizzare i limiti di questo approccio, evidenziando la necessità di una riflessione, non solo etica, ma anche ontologica, a proposito dell’alterità non umana, potremmo provare a focalizzare la nostra attenzione su due macro-categorie: (1) gli Animal Studies e (2) l’ecologia. In entrambi i casi, ovviamente, andrebbero analizzate le singole differenze di approccio di ognuna delle particolari interpretazioni di queste filosofie: dall’antispecismo all’etica animale, dall’ecologia profonda all’etica della terra, fino allo specismo liberazionista o alla visione di animalità entro la tradizione filosofica “continentale”. Un vero punto di svolta, tuttavia, in questo tentativo di trascendere, ampliandola, la classica estensione del concetto di alterità è rappresentato, a mio avviso, dal pensiero dell’ultimo Jacques Derrida (cfr. Derrida 2006); pensiero sull’animalità che, come ha evidenziato Maurizio Ferraris (Ferraris 2010), rappresenta anche un autentico punto di svolta entro lo stesso percorso derridiano. Secondo Derrida, che analizza il concetto di “altro” approfonditamente, il limite del pensiero filosofico occidentale, ben esemplificato in tal senso dall’Heidegger degli “animali poveri di mondo” che non possono morire ma, al massimo, perire, risiede nel considerare l’animale non umano incapace di rispondere. Dell’alterità, più o meno implicitamente, abbiamo un’idea come relazione a due posti: affinché si possa dare un alto a me stesso deve esistere, appunto, il soggetto della relazione che individuiamo come diverso da noi.
Fata Morgana, n. 14, pp. 123-140., 2011
alla fine della storia lascia intendere che esso non è un puro ritorno a una condizione primitiva, ma il raggiungimento di uno stato mai prima sperimentato: non una semplice rianimalizzazione dell'uomo ormai umanizzato, ma un modo di essere uomo che non si definisca più nell'alterità alla sua origine animale.
Sensibilia, "La vergogna", n. 5, 2012
A volte ignoto e disperso nel nero del mondo come i cetacei ancestrali m'inghiottono galassie, versato all'infinito dall'acquario rotante le nebulose violo gassoso fra gli eoni, poi al richiamo torno dell'ora e posato a terra in me stesso mi condenso e soffiano sul viso coriandoli di parole.
Prof. Livorni lunedì, 12 agosto 2013 La persona "animaluccia": Il raddoppiamento della figura animale e umana in La Storia di Elsa Morante Sin dall"inizio del romanzo, la voce narrante ci invita a pensare sul raddoppiamento della figura umana: cioè, a considerare i suoi lati, ovviamente, umani, però anche le sue sfumature animalesche. La stessa considerazione può essere applicata pure agli esseri animali che interpretano un ruolo centrale lungo il romanzo. Una tale fissazione della Morante sull"aspetto animale negli esseri umani, insieme all"aspetto umano negli esseri animali ci segnala, innanzitutto, che in questo mondo (romano) in piena guerra, gli esseri più umani di tutti sono, appunto, gli animali 1 . Per mettere il raddoppiamento umano-animale a luce, si farà una lettura avvicinata di tre personaggi principali che appartengono sia al mondo umano che al mondo animale. Nel seguire dei tre personaggi, Useppe, Blitz e Bella, si vedrà la dicotomia umano-animale all"interno di ognuno e anche come una tale doppiezza di carattere andrà amplificata tramite le loro interazioni, appunto, doppie: prima si vedrà il mondo duplice dal punto di vista di Useppe che agisce come un piccolo animale ferito, passando a una certa crisi psicologica in Blitz, e finalmente guardando il ruolo multi-sfaccettato di Bella di cagna-madre e di cagna-protettrice, fra l"altro. Questi rapporti, tenuti in un tale ambito ristretto, ci faranno notare la totale mancanza di necessità di individuare tra elementi umani ed elementi animali, soprattutto in una situazione tumultuosa come quella in cui si ambienta il romanzo, in cui non vengono massacrati soltanto gli esseri umani, ma tutte le creature viventi.
Traduzione dall'inglese del testo originale di Manuela Rossini "“I am not an animal! I am a human being! I … am … a man!“: Is Animal to Human as Female to Male?"
Come ebbe modo di dire Jacques Derrida, nel 2001, durante la consegna del premio Adorno: «La questione animale è la questione filosofica del XXI secolo». Della veridicità di questa previsione ce ne accorgiamo soprattutto negli ultimi anni, poiché il dibattito pubblico e accademico circa il nostro rapporto con gli altri animali rappresenta, sempre di più, un tema su cui vertono e si scontrano numerosissimi discorsi. È all’interno di questo clima di grande interesse per la questione animale che prende vita quella che è la mia personalissima riflessione filosofica in proposito. Poiché essi risultano essere, spesso e volentieri, conflittuali e contraddittori, ciò che mi premeva mettere a fuoco era: cosa legittima i nostri atteggiamenti nei confronti degli altri animali? E soprattutto: ci sono buone ragioni per perpetuare tali atteggiamenti? Ho cominciato per questo motivo a studiare i presupposti teorici dell’etica dominante, antropocentrica e specista, che riduce l’animalità ad alterità assoluta al fine di giustificare il predominio dell’uomo sugli altri animali, con lo scopo di verificare se essi potessero effettivamente considerarsi validi. Per farlo, ho dovuto ricostruire la genesi dei modelli culturali, di matrice antropologica, filosofica, teologica e scientifica, che delineano le modalità con cui l’uomo si rapporta con gli altri animali. Attraverso lo svelamento delle origine storiche di questi modelli culturali, e mediante l’uso della decostruzione e della confutazione di tipo socratico, ho mostrato le contraddizioni interne a tale sistema di dominio, che si è affermato quindi non per la sua validità argomentativa, ma perché legittima delle pratiche a cui l’umanità non vuole rinunciare. Ho quindi proceduto in questo modo: nel primo capitolo ho ricostruito i punti salienti della cosmologia naturalista che sta alla base della società occidentale contemporanea e che esclude i non umani dalla vita civica a causa della loro mancanza dello statuto di soggetto. Una cosmologia che si definisce a partire dalla grande opposizione fra natura e cultura nella quale si iscrivono una serie di altre opposizioni: selvaggio/domestico, interiorità/esteriorità, mente/corpo, innato/appreso e, ovviamente, uomo/animale. Grazie a tale opposizione dicotomica l’umanità ha saputo inventare un attributo distintivo dell’Homo sapiens dove intervengono l’abilità tecnica, il linguaggio, l’attività simbolica e la capacità di organizzarsi in collettività in parte liberate dalle continuità biologiche. In poche parole, secondo quello che è il paradigma ontologico della cosmologia naturalista, ogni essere umano possiede dei vincoli universali biologici e, allo stesso tempo, riesce a darsi delle regole contingenti relative alla sua organizzazione sociale, definendosi come un compromesso fra un monismo naturalista e un relativismo culturalista. L’animale, invece, con cui l’umanità possiede, appunto, una continuità di tipo biologico, sarebbe determinato da una totale discontinuità interiore con gli esseri umani, e risulterebbe quindi sottomesso alle sue determinazioni biologiche e schiavo della propria fisicità fondamentale. L’umanità vanterebbe in questo modo un privilegio ontologico che la distingue nettamente sul piano dell’interiorità da tutto ciò che è estraneo ai meccanismi messi in auge da quest’ultima. Il problema, sotto questo punto di vista, è l’elevazione a pure essenze di due domini, quello di natura e quello di cultura, che non solo sono stati letteralmente inventati dall’Occidente, ma che non sono nemmeno presenti in tutte le popolazioni del pianeta. Questo sancirà anche la nascita della fallacia costitutiva del naturalismo: la fallacia naturalistica. Nel secondo capitolo, ho passato in rassegna tutti i discorsi filosofici e teologici che, dall’aristotelismo fino al meccanicismo, passando per lo stoicismo e il creazionismo, hanno cercato di sancire la superiorità dell’uomo sugli altri animali in virtù di un qualche dispositivo interiore esclusivo che autorizzerebbe il dominio degli uni sugli altri e la subordinazione dei secondi sui primi. È in questo capitolo che abbiamo approfondito le questioni legate all’antropocentrismo e allo specismo. Quest’ultimo, che io intendo come un’ideologia giustificazionista sviluppatasi per rendere leciti lo sfruttamento e l’uccisione degli altri animali, sarebbe quindi l’insieme delle riflessioni volte a ricercare, a posteriori, delle buone ragioni per legittimare il dominio dell’uomo sugli altri animali. Non dobbiamo, come hanno fatto alcuni filosofi contemporanei, classificare lo specismo come un semplice pregiudizio, poiché esso è semmai un insieme di riflessioni descrittive nei confronti di una realtà che aveva già assunto una conformazione antropocentrica e specista. Nel terzo capitolo ho esposto le ragioni che mi hanno portato a scegliere, per il quarto capitolo, una particolare modalità filosofica per esporre una proposta etica in aperta antitesi con quelle descritte nei primi due capitoli: il dialogo socratico. Ho mostrato quali sono le sue caratteristiche, i suoi punti di forza e perché, davvero, essa possa considerarsi la pratica filosofica per eccellenza. Nel quarto e ultimo capitolo ho tradotto nella pratica le indicazioni teoriche esplicitate nel terzo, proponendo un esperimento di dialogo socratico che, servendosi di un redivivo Socrate nel ruolo dell’interrogante e di un uomo antropocentrico e specista come interrogato, ha fatto proprie le tesi di Peter Singer in Liberazione Animale. Il filosofo australiano, mostrando come il termine animale sia una terribile trappola concettuale che ipersemplifica la realtà non rendendone al meglio la complessità, e che l’argomento classico secondo cui gli animali verrebbero esclusi dalla sfera della considerazione morale a causa della loro mancanza di certe proprietà umane (come l’attività mentale complessa) possa rivelarsi un terribile boomerang (poiché, ad esempio, un menomato mentale grave avrà un’attività mentale inferiore a un cane o a un maiale), prova a risolvere le contraddizioni dell’etica specista che, nonostante questa evidenza, continua a preferire un umano a un animale a causa della mera appartenga alla specie Homo sapiens. È per questo motivo che Singer fa del dolore il proprio della morale, perché la capacità di provare dolore e piacere sarebbe, per lui, la prerogativa per avere interessi in assoluto, ragione per la quale nel valutare un’azione come giusta si deve dare uguale considerazione a tutti gli individui coinvolti capaci di provare dolore (e di conseguenza anche agli animali), poiché tutti questi individui posseggono interessi in eguale misura.
La figura dell’animale non umano nella “Legenda aurea” di Iacopo da Varagine: volgarizzamento di Niccolò Manerbi del 1475, 2019
La figura dell’animale è stata ignorata per molto tempo da parte degli storici, tuttavia da un paio di decenni lo studio di animali non umani costituisce una vera e propria sfida per gli studiosi contemporanei. Agli animali non umani si conferisce sempre maggior importanza anche negli studi umanistici. In particolar modo gli studiosi hanno rivolto il proprio interesse al Medioevo, un periodo nel quale la figura dell’animale è onnipresente in campi differenti, tra cui l’araldica, il folclore, la toponimia; lo studio dellʼanimale non umano è sempre più presente nell’analisi di proverbi, canzoni e imprecazioni. Dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente ci sono voluti diversi secoli per una rifioritura economica, sociale e culturale. Il primato della cultura per tutto il Medioevo, fino all’inizio dell’Umanesimo, era detenuto dalla Chiesa. In questo arco di tempo uno dei generi letterari più popolari in ambito religioso è senz’altro l’exemplum. Una delle raccolte di exempla medievali è la Legenda aurea, che è anche una collezione di agiografie, scritta in latino e molto popolare tra i predicatori di Duecento e Trecento, in particolare degli ordini mendicanti, quali i francescani e i domenicani che inserivano frammenti di exempla nei loro sermoni o nelle loro prediche. L’autore dell’opera è Iacopo da Varagine o, in alcuni casi, si preferisce l’alternativa Varazze. Iacopo da Varagine visse nel Duecento, ma non si conosce data esatta della sua nascita e della sua morte. Ciò che si sa di lui è che fu arcivescovo di Genova e che dedicò tutta la sua vita all’attività pastorale, ai sermoni e allo studio, e insegnò teologia. La sua opera di maggior rilievo fu appunto la Legenda aurea. La Legenda aurea fu compilata nella seconda metà del Duecento, tra gli anni ’60 del XIII secolo e il 1298. Nell’arco del Trecento, in particolare dopo il volgarizzamento, la Legenda aurea divenne un vero e proprio bestseller e lo testimoniano l’ottantina di codici conservati prima del XIV secolo e intorno a 1320 manoscritti in totale. Data la sua crescente popolarità a partire dai primi anni del Trecento, si è cominciata a tradurre la Legenda aurea nei vari dialetti del volgare della Penisola, potendo così avere un pubblico più ampio. La versione in volgare che andremo ad analizzare è quella pubblicata a Venezia nel 1475 a cura di Niccolò Manerbi, nell’edizione moderna del 1993 a cura di Giorgio Varanini e Guido Baldassarri. In questo lavoro sarà da prima trattata la figura dell’animale in generale nel mondo cristiano, in modo da poter capire come essa è stata realizzata nella Legenda aurea. In seguito si effettuerà un’analisi più approfondita del ruolo animale in quell’opera. L’ordine delle figure degli animali da analizzare andrà da quelli più citati a quelli che lo sono di meno. Nel caso diverse specie di animali siano menzionate in egual numero, allora si procederà per ordine alfabetico. Data la vastità del numero di animali, in realtà zoonimi, che “popolano” la Legenda aurea, ne saranno analizzati solamente sei che compaiono negli exempla apostolici. Sono stati presi in considerazione quelli che sono stati giudicati i simboli di maggior importanza nell’ambito cristiano. Andando per ordine: pecora (agnello, ariete e pecora), cane, pesce, serpente (ma si farà anche un breve excursus sul “dracone”), gallo e verme. Tuttavia prima di addentrarci in un’analisi più approfondita, andremo a trattare la figura dell’animale non umano in generale e di seguito esamineremo il genere dell’exemplum, entrando poi nel dettaglio con la Legenda aurea.
Liberazioni. Rivista di Critica Antispecista, 2008
1) L'argomento principe della discussione postumanista riguarda senza dubbio il termine "alterità non umana", potremmo persino dire che in esso tale filosofia cerca una sua coordinata di riferimento e lo fa allargando il profilo del concetto più generale di alterità 1 . La parola "alterità", gravitante intorno al significato di prossimo relazionale (individuo o altra cultura), è riconosciuta nel doppio valore denotativo di: 1) entità altra, ossia separata, estranea, straniera, divergente, termine di confronto, sfondo da cui emergere; 2) referente, ovvero capace di azione referenziale, vale a dire polarità dialogica in grado di fornire un contributo-orientamento nell'espressione e nella costruzione identitaria. Qui si nasconde il doppio contributo identitario dell'alterità: a) in quanto entità altra essa consente la riflessione, vale a dire un'autoricognizione in grado di definire il profilo identitario; b) in quanto portatrice di referenze, vale a dire di contributi esterni di orientamento e sostegno allo sviluppo, essa consente all'identità un percorso evolutivo 2 . L'alterità pertanto è al tempo stesso esterna e interna all'identità, quindi è parimenti dialettica e integrata: questo è sicuramente il punto di svolta tra un approccio umanistico all'identità umana, epurativo delle alterità non-umane, e un approccio postumanistico, integrativo delle stesse. Ma facciamo un passo indietro: per capire la visione postumanistica di inclusione del nonumano nella dimensione umana, un passaggio quanto meno critico, è necessario prima di tutto soffermarsi sulla dialettica identità-alterità all'interno della dimensione umana, per esempio nella costruzione dell'identità individuale e culturale. Mentre fino alla prima metà del Novecento costruire la propria identità significava divergere, prendere le distanze, purificarsi dall'altro, in seguito e soprattutto a partire dagli anni '70 è cominciata a emergere una visione 1 Il concetto di alterità è centrale nella discussione antropologica della seconda metà del Novecento, con il senso di "soggettività altra" portatrice di una diversa prospettiva culturale che va conosciuta e compresa ma al tempo stesso che entra nella costruzione dell'identità etnica, si consideri Ugo Fabietti (Identità etnica, La Nuova Italia, Roma 1995) e Francesco Remotti (Contro l'identità, Laterza, Roma-Bari 1996). A partire dagli anni '70 si parla altresì di identità non umana per definire una soggettività portatrice di una diversa prospettiva etologica, si consideri Donald R. Griffin, (Animal Minds, The
S&F_scienzaefilosofia.it, 2019
Human and non-human animals in the capitalocene: Calvino's The workshop Hen This essay explores the relationship between anthropomorphism and animalization in Italo Calvino's short story The workshop hen (1958). Through this double narrative movement, the hen and the workers are reduced to their essential productive function, becoming vulnerable and dispensable in the factory line. Despite this similarity, it is possible to distinguish a hierarchical relationship between the worker and hen, in which the former takes advantage of the latter by creating a chain of exploitation in which it occupies the lowest step. The essay shows, how human and non-human animals are grouped but at the same time divided into this typically «Capitalocenic» process of industrial exploitation. Finally, an analysis of metaphors like the «trained gorilla» [the metaphor of the «trained gorilla» is attributed to Frederick W. Taylor by André Philip in Le Problème ouvrier aux Etats-Unis (1927) and re-ap...
Adolf Portmann e l’animale prematuro, 2022
S&F_scienzaefilosofia.it, 2012
Felice Cimatti (2014), “L’animale e l’istituzione”, intervista a cura di F. Raparelli, in F. Raparelli, Istituzione e differenza. Attualità di Ferdinand de Saussure, Mimesis, Milano pp. 85-94, 2014
Ricerche di storia politica, 2019
Il volto nel pensiero contemporaneo, 2010
Tesi di laurea magistrale, 2006
Incontri. Rivista europea di studi italiani, 2022
(2017) L. Caffo, “Il Silenzio: corda tesa tra umanità e animalità”, in Nuovi Quaderni del Circolo Semiologico Siciliano, a cura di G. Marrone, n.s Zoosemiotica 2.0, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2017, pp. 219-229, ISBN 978-88-9703-526-8.
Animal Studies, n. 31. L'animale che desidera, 2020
Biogiuridica del non umano. Il caso degli animali., 2023
Palinsesti, 2011