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2010, in Giusto Traina (a c.), Storia d’Europa e del Mediterraneo, VII. Da Diocleziano a Giustiniano, Salerno Editrice, Roma 2010, pp. 351-385
Il passaggio dall'impero pagano all'impero cristiano segna l'avvio di una fase di profondi mutamenti nella storia ebraica, da tempo ormai priva di un proprio riferimento territoriale e inserita, con modalità diverse, nelle due partes dell'impero. Di fatto, nel 313 Costantino e Licinio avevano sancito un'apertura alle tre componenti religiose dell'impero: pagani, cristiani e Giudei. In prospettiva ebraica, la seconda metà del IV secolo si connota in Oriente come in Occidente quale epoca di transizione fra due diversi regimi, in cui l'atteggiamento nei confronti degli Ebrei può essere definito sostanzialmente di continuità, pur con le dovute eccezioni. Non mancano, per questo, i segnali di cambiamento rispetto al passato. Essi possono essere individuati da un lato nella maggiore visibilità della realtà ebraica all'interno dei contesti generali (lo prova l'emergere, solo a partire da tale periodo, di manufatti e luoghi ebraici o destinati agli Ebrei), dall'altro, nella definizione della diversità degli spazi religiosi, economici e sociali che, anche sotto tale aspetto, costituiscono il preludio ai rapporti sempre piú difficili fra l'ebraismo e i mondi circostanti che caratterizzeranno, e in gran parte marchieranno, non poche pagine della storia del Medioevo.
M. Rainini (a cura di), Ordine e disordini in Gioacchino da Fiore. Atti del 9° Congresso internazionale di studi gioachimiti. San Giovanni in Fiore – 19-21 settembre 2019, Viella, Roma 2021 («Opere di Gioacchino da Fiore: testi e strumenti», XXIX), pp. 93-110., 2021
da Fiore: testi e strumenti Collana a cura di Marco Rainini 29 Copyright © Viella N.B: Copia ad uso personale. È vietata la riproduzione (totale o parziale) dell'opera con qualsiasi mezzo effettuata e la sua messa a disposizione di terzi, sia in forma gratuita sia a pagamento.
in Giusto Traina (a c.), Storia d’Europa e del Mediterraneo, VI. Da Augusto a Diocleziano, Salerno Editrice, Roma 2009, pp. 417-455, 2009
Il dominio di Erode il Grande (37-4 a.C.) cominciò sotto Antonio e, dopo l'ultima guerra civile, fu confermato dal favore di Ottaviano. Il regno di Erode fu contraddistinto da numerosi fattori positivi: stabilità e ampiezza del territorio (non limitato alla Giudea, ma comprendente varie regioni circostanti), significativi interventi urbanistici, realizzazione d'infrastrutture e di grandi opere architettoniche. Tuttavia, nonostante questi elementi, Erode fallí su diversi fronti. Spietato annientatore di ogni sintomo di dissenso, anche se proveniente dalla sua stessa famiglia, fu « uomo crudele verso tutti indistintamente, piú facile a cedere alla collera che alla giustizia » (Giuseppe, Antichità giudaiche, xvii 191). Mai ottenne la simpatia dei suoi sudditi, intimoriti dalle repressioni: la maggior parte di essi, in particolare i farisei, lo considerò come uno straniero e un usurpatore. Inoltre, il re non riuscí a controllare (e probabilmente a comprendere) le tensioni ideologiche che attraversavano il suo paese; mai riconobbe al sinedrio e al Tempio di Gerusalemme, pur ampliato e ricostruito sin dal 20 a.C. nella maniera piú fastosa, la necessaria autonomia nell'amministrazione della vita religiosa; ma, soprattutto, malgrado ogni precauzione, non fu in grado di creare una successione stabile per il futuro del suo popolo.
Liber annuus - Studium Biblicum Franciscanum, 2005
Medioevo, 2010
Renata Salvarani Gerusalemme ebraica nel Medioevo "L'anno prossimo a Gerusalemme". Le parole del Seder di Passover, scandite durante ogni celebrazione della Pasqua, di generazione in generazione, sono l'emblema del legame degli ebrei con la loro Terra. La storia della presenza giudaica nella Città dopo la Diaspora e durante i secoli del Medioevo è la storia della forza di questo legame, affermato e vissuto a dispetto degli allontanamenti forzati, dei divieti di ritorno, delle uccisioni, delle incarcerazioni. E' la storia di un'assenza imposta ai più e di una tribolata sparuta presenza ininterrotta, tanto pervicace da essere percepita come germe per una possibile futura realizzazione politica e così problematica da indurre l'intero ebraismo a ripensare il proprio ineludibile rapporto con Erez Israel, con la fisicità di quelle colline, di quei deserti, di quei fiumi, di quelle pianure riarse, con il peso di un'eredità usurpata, grondante di sangue e di sofferenza -eppure -, irrinunciabile. Su di essa, infatti, oggetto della Promessa di Dio ad Abramo e corrispettivo sensibile dell'Alleanza, poggia il fondamento teologico stesso del giudaismo: "Alla tua discendenza io do questo paese: dal fiume d'Egitto al grande fiume, che è l'Eufrate" (Genesi 15, 18). La distruzione di Gerusalemme, la cattura e la cacciata dei suoi abitanti volute da Tito Flavio Vespasiano sono giunte a noi attraverso la narrazione di Giuseppe Flavio, lo schiavo che, per raccontare la storia del suo popolo, ha fatto proprie la lingua, la mentalità e la concezione del tempo dei suoi nuovi padroni. Portato a Roma, ricompensato con la frequentazione dell'élite imperiale colta, nulla ci ha raccontato di chi è rimasto, di chi si è prima nascosto nei villaggi intorno alla città o negli insediamenti nel deserto di Giuda e poi è ritornato fra le rovine, ai piedi del terrapieno del Tempio, a guardare da sotto la maestosità dei resti di quanto era stato demolito, depredato, profanato, a toccare le pietre che non erano riuscite a proteggere il Santo dei Santi e non avevano potuto garantire la continuità di un culto che, allora in poi, sarebbe stato continuato in altre forme e in altri luoghi. Fu proseguito anche lì, a poca distanza, dentro la città sventrata, nelle case, poi nelle sinagoghe che vi furono edificate. Al loro interno sarebbe cresciuta la ribellione antiromana che confluì nelle rivolte generali dei decenni successivi e nel progetto politico militare di Bar Kochba, stroncato con una serie di eccidi. Dopo questi eventi, dopo il 135, gli ebrei si
Edizioni San Paolo 2022; ISBN 9788892228337, 2022
Il presente volume delinea la storia di Israele e Giuda dalle origini fino alla rivolta di Bar-Kochba nel 132-135 d.C., utilizzando in modo critico tutte le fonti a disposizione, soprattutto quelle archeologiche ed epigrafiche. L’esposizione degli avvenimenti è compiuta tenendo conto della più aggiornata critica biblica e ricerca storiografica. Le fonti archeologiche ed epigrafi sono state utilizzate non solo per i periodi più antichi, ma anche per quelli più recenti, facendo costante riferimento alla documentazione papiracea e archeologica. Data l’innegabile importanza che la documentazione extrabiblica riveste per la redazione di una storia d’Israele e Giuda, ogni capitolo del libro è corredato di riquadri nei quali sono tradotti e commentati documenti epigrafici o papiracei. Il volume, pensato primariamente come manuale per gli studenti delle facoltà universitarie di studi biblici e di orientalistica antica, si rivolge a tutti i lettori che intendono ottenere le necessarie informazioni per affrontare lo studio della Bibbia in modo consapevole e critico.
Non è possibile cogliere la novità sorprendente dell'espressione dialogo ebraico-cristiano se non sullo sfondo di una storia caratterizzata da un crescente antigiudaismo che trova le sue origini nei primi secoli del cristianesimo.
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Reform Jewish ethics: liberal Jewish rabbis set forth Jewish ethics from tradition and for our time. L'etica ebraica riformata: Rabbini ebrei liberali espongono l'etica ebraica dalla tradizione e per il nostro tempo.
Viaggi ebraici tra esperienza del mondo e dell'abisso. A cura di Roberta Ascarelli, Paola Bellomi, Julio Pérez-Ugena, 2025
The article explores the motif of the journey to hell through some vivid representations that Jewish literature has developed throughout its history. The study analyses literary passages, mostly in Hebrew, that significantly illustrate the development of a Jewish imagery of hell. These sources include biblical depictions of death, the dead, and the space they inhabit; the First Book of Enoch (1st century B.C.E.); the rabbinic tractate Massekhet Gehinnom (8th century); a comic sonnet by Immanuel of Rome (13th century); a dramatic poem by Moses Zacuto (17th century); and a Israeli horror film (JeruZalem, 2015).
Occidente / Oriente. Rivista Internazionale di Studi Tardoantichi, 2020
SPAZIO E MOBILITÀ NELLA ‘SOCIETAS CHRISTIANA’ SPAZIO, IDENTITÀ, ALTERITÀ (SECOLI X-XIII) Atti del Convegno Internazionale Brescia, 17-19 settembre 2015 a cura di Giancarlo Andenna, Nicolangelo D’Acunto, Elisabetta Filippini, 2017
Il contributo discute le caratteristiche dello spazio ebraico europeo tra X e XIII secolo, cercando di evidenziare le differenze regionali e l'organizzazione dei diversi spazi abitati dall'unica minoranza religiosa ufficialmente ammessa nella "societas christiana".
All'inizio dell'opera Orot Israel Rav Quq, poco prima della nascita dello stato d'Israele, quando questo argomento era di estrema attualità, scrive che Israele non deve essere considerato come qualcosa di esterno al popolo ebraico, un possesso esteriore del popolo, da intendersi come un mezzo per raggiungere l'unione della collettività e garantirne il sostentamento materiale, o persino spirituale. Israele è invece una entità unica, legata per mezzo di un legame vitale con il popolo. La stessa esistenza del popolo ebraico dipende da quella della terra d'Israele. Questo legame non è approfondibile attraverso l'investigazione razionale, ma attraverso altre categorie concettuali, proprie dello spirito ebraico. E' significativo che investigando la natura della terra d'Israele Rav Quq utilizzi una definizione tramite negazioni, propria della filosofia medievale, in particolare della ricerca di una definizione della divinità. Fra gli obiettivi polemici di Rav Quq quando scriveva queste righe vi era anche il Rav Shimshon Refael Hirsch, he riteneva che vi fosse un sentimento molto forte verso la terra d'Israele, ma nulla di più. In un altro passo Rav Quq (Iggherot Rei"àh 96) sostiene che l'esilio e la miseria del mondo derivino solamente dal fatto che non si faccia conoscere abbastanza la terra d'Israele, la sua bellezza, la sua santità ed il suo onore, e non si provveda a riparare il peccato degli esploratori, i quali avevano disprezzato la terra d'Israele. Questo è l'unico caso in cui nella Toràh per descrivere il loro peccato si utilizza il termine ribellione. Aprendo il suo commento alla Toràh Rashì spiega che il motivo per cui questa si apre con la creazione del mondo è proprio quello di giustificare l'assegnazione della terra d'Israele al popolo ebraico, visto che il Signore, avendo creato il mondo intero può destinare la terra a chi desidera. Nachmanide nel suo commento alla Toràh (Lev. 18,25) arriva persino a sostenere che l'obbligo di praticare i precetti fuori da Israele non è altro che una forma di preparazione in vista del ritorno nella terra, dove saranno obbligatori. Avraham ibn Ezra, commentando Lev. 18,26 attraverso questo ragionamento risolve anche due difficoltà non da poco, che Giacobbe sposò due sorelle ed il padre di Mosè, 'Amram, sposò sua zia. Infatti entrambi gli sposalizi, che sarebbero stati vietati in base alla normativa successiva, sono avvenuti al di fuori della terra d'Israele, uno in Charan e l'altro in Egitto. Il nome La terra d'Israele è chiamata nella Toràh Eretz Kena'an, con particolare riferimento alla terra ad occidente del fiume Giordano. Il territorio che si estende ad oriente del Giordano viene invece per lo più chiamato nella Toràh terra di Ghil'ad. La terra di Kena'an è oggetto della promessa che il Signore ha fatto ai patriarchi: "A te e alla tua discendenza dopo di te darò in possesso perpetuo la terra delle tue peregrinazioni, tutta la terra di Canaan, e sarò il loro Dio." (Gen. 17,8) Le popolazioni, sette complessivamente, che abitavano questa terra in generale sono denominati Cananei, discendendo tutte da un unico capostipite (Rashì ad Es. 13,5). Nel Midrash secondo un'opinione (Vaiqrà Rabbà, cap.17) il nome deriverebbe dall'attitudine al commercio dei suoi abitanti. Altre volte nella Toràh la terra di Israele viene denominata "la terra", senza ulteriori attribuzioni, da intendersi come terra speciale (Torat Kohanim). Nei libri profetici, oltre che terra di Kena'an, viene spesso utilizzato il termine "terra di Israele", che sarà poi utilizzato prevalentemente, assieme al termine "terra", dai Maestri della tradizione rabbinica, in contrapposizione alle altre terre, denominate "chutza la-aretz" (all'infuori della terra) o eretz ha-'ammim (terra dei popoli). Questo fenomeno mostra bene quale sia l'approccio dei Maestri nei confronti della terra d'Israele: per loro esiste una sola terra. I Maestri del Midrash (Bereshit Rabbà 16,4), spiegando Gen. 2,11 riferiscono ad Israele l'espressione "terra di Chavilàh", intendendo il verso come un accenno dell'assedio babilonese di Israele, che venne accerchiato. Il verso dice che nella terra di Chavilàh c'è dell'oro, da riferirsi alle
Some studies on Oriental Cults and Magic in Roman Empire and in Early Chrstian centuries
È indubbio che nel Rinascimento, soprattutto dalla seconda metà del Quattrocento al primo Cinquecento, l’Italia fu luogo elettivo di un fiorente e dinamico scambio culturale tra gli intellettuali dei circoli umanistici cortesi e quelli provenienti da altre aree che si erano rifugiati nella penisola, fuggiti via via dal clima di intolleranza religiosa di buona parte di un’Europa sempre più oscurantista. Soprattutto fu privilegiato il dialogo ebraico-cristiano «con la sua irripetibile commistione di esperienze biografiche, letterarie e artistiche», dialogo che andrà mutando successivamente con le reazioni cattoliche alla Riforma, pur continuando in altre modalità fino a tutto il primo Seicento, ma perdendo quel clima di apertura che aveva contraddistinto il Quattrocento.
in «Mediterraneo Antico. Economie, società, culture» 6, 2003, pp. 235-263.
E il Signore disse a Samuele: Fino a quando piangerai su Saul, mentre io l'ho ripudiato perché non regni più su Israele? Riempi di olio il tuo corno e parti. Ti ordino di andare da Iesse il Betlemmita perché tra i suoi figli mi sono scelto un re» (I Sam 16, 1).
L'opportunità di procedere a una nuova edizione del Libro dei morti (Papiro di Torino) è stata determinata dalla considerazione che la precedente, magistralmente edita da Scheiwiller, ma esaurita da anni era divenuta ormai una preziosità da bibliofili.
Carla Vivanti I.N. 069903524 » Il mondo dell'Oltretomba secondo gli antichi Egizi e la sua influenza sul Cristianesimo « Relazione per il corso 45828 « Dante's Purgatory between East and West « del dott. Domenico Agostini Il giorno del giudizio : cuore del morto e piuma di Maat sono sui piatti della bilancia Università Ebraica di Gerusalemme, anno accademico 2014-2015 Contenuto :
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