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saggio su "Dicerie dell'untore" di G.Bufalino

Abstract

La prosa poetica di un'esperienza di morte È il 1946 quando Gesualdo Bufalino, ammalatosi di tisi, ottiene il trasferimento in un sanatorio della Conca d'Oro, fra Palermo e Monreale, la "Rocca", teatro della Diceria. Il ricordo della guerra, della malattia, della degenza presso il sanatorio, il gioco da funambolo in bilico tra la vita e la morte, sono solo alcuni tra i punti cardine dell'opera auto-biografica che segna l'ingresso dell'autore nella società letteraria: "un capogiro soave mi veniva dall'ascoltarmi, dal dar corpo e suono al museo d'ombre che da tempo mi portavo dentro la testa" (Capitolo XV). Inizia l'elaborazione dell'opera intorno al 1950, che rimane però interrotta ad uno stadio larvale, per poi essere ripresa e completata nel 1971: ne segue un attento, scrupoloso, quasi ossessivo lavoro di revisione e perfezionamento, fino alla pubblicazione definitiva del 1981. "Un libro stampato era sì un desiderio, ma era anche qualcosa che gli faceva male", ha affermato in un'intervista Elisabetta Sgarbi, facente parte della giuria per il premio letterario "Campiello", vinto proprio dall'autore comisano con "Diceria dell'Untore".