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Su Marcel Proust. Appunti di un lettore

Appunti di lettura -Proust registra, analizza (penetrandoli fin nei minimi particolari) tutti i possibili moti dell'anima, senza tralasciare alcunché. E' una scommessa: vale veramente la pena di trasporre sulla carta tutto ciò che la sua sovreccitata e duttilissima sensibilità gli suggerisce? Non è forse vero che i difetti individuati dal Norpois nella prosa di Bergotte sono nient'altro che i difetti della stessa prosa di Proust? Non è forse vero che la prosa antica è apprezzabile soprattutto perché cerca di dire delle cose, e nell'assenza di cose da dire, di persone da persuadere, di fini da raggiungere, la parola non ha alcun valore? Proust propone al lettore una vera e propria ubriacatura del particolare, un immane lavoro di raccolta di dati, dal quale si staccano leggi generali a volte improbabili e quasi difficili da comprendere. Il suo talento nel riprodurre i modi secondo cui noi stessi pensiamo -modi che pur usando continuamente nessuno di noi ha mai messo a tema di indagine, e neppure ha ritenuto degni di menzione -ci porta spesso a riconoscere il nostro non detto, a prendere consapevolezza di quanto allora ci accorgiamo di sapere già (o meglio di aver saputo da sempre). Ma è un sapere? In realtà la prosa di Proust assomiglia agli intérieur sovraccarichi da lui così mirabilmente descritti decine e di volte, densi di oggetti che nella maggior parte degli uomini saprebbero suscitare non certo il delicato interesse che egli dimostra, bensì un insoffribile senso di caos. Non è già il tempo la cifra per comprendere Proust. Ma è lo spazio, lo spazio dell'anima che diviene specchio del mondo -e non a caso Proust medesimo definisce l'uomo di genio come colui che sa riflettere, come uno specchio, contenuti comuni. Allora si può immaginare in Proust un verismo, un realismo di tipo essenzialmente psicologico. Tutto ciò che conta è quello che accade nella coscienza, e se non penetra in essa filtrato dai modi assolutamente variopinti (ben diversi da una legge a priori) di cui ciascuna coscienza si avvale, ciò che accade non è proprio nulla, ed è come se non fosse accaduto. C'è in Proust una sorta di avarizia psicologica, che consiste nel non buttare via niente, nella riproduzione ossessiva di ogni stimolo cerebrale, di ogni modificazione nervosa. Egli prefigura, in un certo senso, la condizione contemporanea della registrazione assoluta, della riproducibilità indefinita di qualsiasi evento. Ma lo stream of conciousness da solo non basterebbe. L'io cosciente che descrive se stesso, in effetti, è un io grottesco, quasi infantile, che seleziona il vissuto secondo valori inessenzali, senza regola alcuna. Il tempo di Proust non è il tempo di Newton e forse neppure quello di Bergson: è il tempo di Eraclito, cioè un bambino che ama giocare. Proust è il sovrano di questo regno infantile. Forse la sua regressione, che folle di psicoanalisti hanno studiato, si vede nella maniera migliore proprio nel paiv zwn pesseuv wn da cui inizia ed in cui finisce la sua attività di narratore. Narrare per cosa (qualcuno potrebbe chiedere)? La domanda è mal posta, direbbero altri, perché suppone già definito il definiendum, suppone una idea di letteratura già data. Ma forse anche il lettore scettico può trovare in Proust, alla fin fine, il suo semplice e costruttivo guadagno. Nessuno sarà privato da un alito di consolazione, pensando alla volubile Odette e vedendo il superbo e nobile Swann immerso nella penosa e difficile malattia che già tante volte ha provato. In effetti è già meglio che niente. Proviamo a pensare al giovane narratore che compare nei primi volumi. Sogna di diventare scrittore, ma tristemente si accorge di non avere nulla da dire; abile nel costruire una prosa ricca, merlettata e lussureggiante, è costretto a subire l'amaro giudizio del signor di Norpois, che evidentemente vede nel fanciullo scrittore non altro che uno "snervato" (ciò che i parenti adulti diranno poi del piccolo Gide). Inseguire la letteratura è certo una attività nobile e degna, ben al di là del ruolo sociale che il vanesio e sciocco ambasciatore prefigura per il suo giovane amico. Così però si dimostra solamente il torto del padre di Kafka. Ma non si è ancora risposto alla vera domanda: quale letteratura? Bisogna certo avere qualche cosa da dire. Ed è apparentemente grottesco che il giovane autore dipinto in du côté de chez Swann appaia in imbarazzo di fronte alla pagina bianca: lui embrione dello scrittore indubbiamente più logorroico che la letteratura del Novecento abbia visto. Ma il paradosso è presto risolto. Proust ha deciso di divenire scrittore, e per fare questo bisogna semplicemente scrivere, e tutto quello che accade nella coscienza può essere scritto. Il risultato, non vorrei mai negarlo, è affascinante. Ma se Proust ha