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Impero (Filippi)

Alcuni storici dell'India sostengono che esiste una forte anomalia nello sviluppo primigenio di questa civiltà. Da circa la metà del secondo millennio dell'evo antico, in quello snodo cronologico di passaggio tra l'età del bronzo e quella del ferro, presso tutte le popolazioni storicamente attestate lo stato s'identificò con la figura del Re, grande conquistatore, eroe culturale e figura divina. Dalla Cina a Creta, dall'Egitto all'Assiria, tanto per citare esempi ben noti, monarchie personali si tradussero in regimi dinastici consolidati nel tempo. In India, invece, l'istituzione del Re divino non si sarebbe mai realizzata in ragione della presenza di una casta sacerdotale stabilmente dominante, tale da oscurare il sovrano, rājan e l'intera casta nobiliare dei guerrieri, rājanya 1 , considerati individualmente come Re virtuali 2 . Secondo quest'opinione, ciò costituirebbe un'eccezione nello sviluppo storico delle istituzioni statali, tale da penalizzare lo svolgimento successivo degli eventi indiani, condannando un Subcontinente altamente civilizzato a un continuo fallimento nell'affermazione delle sue strutture politiche e a una debolezza patologica nei confronti dei popoli confinanti 3 . Questa dell'anomalia indiana è teoria d'indubbia suggestione e fonda i suoi postulati su alcune evidenze obiettive. Il limite della teoria consiste, tuttavia, nell'appoggiarsi su alcune osservazioni ignorandone altre; o, meglio, nel selezionare tra diversi dati storici quelli metodologicamente più controllabili e atti a confermare l'ipotesi inizialegià promossa a teoria; ciò s'opera semplicemente ignorando evidenze altrettanto obiettive, ma in contraddizione con l'impostazione ideologica dello storico. Per esempio, gli storici dell'India spesso sono forniti di nozioni archeologiche, più facili da acquisire, mentre lo stesso non si può dire riguardo alla loro formazione filologica. Tendenzialmente lo storico si troverà maggiormente a suo agio nell'interpretare i dati provenienti dagli scavi, essendo l'archeologia una scienza introduttiva alla storia, piuttosto che a dipendere controvoglia dalle traduzioni delle fonti letterarie pubblicate da sanscritisti o esperti d'altre lingue dell'India antica, il cui interesse filologico spesso prescinde da una impostazione storica. Purtroppo l'archeologia dell'India del periodo da noi indicato rimane una fonte d'informazione poco trasparente, a causa di fattori ambientali devastanti (sommovimenti tellurici, variazioni repentine dei corsi fluviali, bradisismi di grande portata) e climatici particolarmente erosivi (monsoni, esondazioni, muffe, insetti). A questa scarsità d'informazione s'aggiunga il particolare che in India l'antichissima pratica della cremazione sottrae agli archeologi le loro principali fonti d'indagine, le tombe. Se a questo quadro sconfortante si aggiunge la particolare litigiosità dilagante tra gli archeologi che si occupano d'India, apparirà evidente come l'indagine letteraria rimanga privilegiata. Non che su questo versante tutto risulti cristallino ed esente da controversie; ma, per lo meno, la copia di informazioni di una delle lettera-