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Literatura y conflicto, 2017
Lo studio della letteratura italiana delle origini, che si sviluppò sul sostrato della cultura e filosofia araba e altresì di quella europea occidentale, richiede un'indagine parallela dal punto di vista filosofico e letterario, come richiesto dal reciproco intrecciarsi (o sovrapporsi) di due culture fino alla loro amalgamazione. Tale unirsi o mescolarsi di culture e delle loro rilevanti biblioteche (o enciclopedie) implica la necessità di una ricerca, analisi e interpretazione della corrispondenza delle espressioni, delle nozioni e dei termini presenti nelle diverse opere letterarie e filosofiche. In realtà, la rappresentazione della dottrina aristotelica e averroistica nelle opere letterarie viene differentemente celata (da allegorie, figure, simboli o dissimulazioni) affinché non provochi un conflitto ancora più grave tra la filosofia e la chiesa (la fede romano-cristiana) che, come sappiamo dalla storia, spesso dall'ambito puramente intellettuale passava ad investire direttamente le storie personali, le esistenze che potevano finire, in casi 38 estremi, sul rogo (basta pensare a Giordano Bruno).
Quaderns d'Italià, 2006
Per comprendere il senso del conflitto tra Francesco Petrarca e i quattro giovani averroisti in De sui ipsius et multorum ignorantia è necessario penetrare all'interno del linguaggio e mostrare la profondità della dottrina che vi si cela. A cominciare proprio dal quel termine, ignoranza, si attraversa tutta una biblioteca che rivela la consistenza vera della dottrina averroista. Per Averroè c'è un solo intelletto per tutta l'umanità e il bambino appena nato non ha un intelletto personale. Per questo motivo il bambino appena nato è simile all'animale senza ragione, il bruto. Questo intelletto si forma tramite l'acquisizione della scientia segnando l'acquisizione vera dell'umanità. L'uomo non nasce per natura ma per cultura e l'ignorante rimane nello stadio della brutalità. Tutta la vita dell'uomo deve essere dedicata all'acquisizione della scientia perché quando l'intelletto personale avrà acquisito tutti gli intelligibili si unirà con l'intelletto agente, la prima delle sostanze separate. Dopo gli sarà possibile giungere alla visione intellettuale di Dio. Questo è il fine ultimo, il sommo bene e la felicità. Si può comprendere il conflitto con il cristianesimo per il quale soltanto tramite Cristo e nell'altra vita è possibile giungere alla visione di Dio e alla beatitudine. Date queste coordinate si può comprendere come Petrarca cerca di rispondere da un punto di vista cristiano contrapponendo la fede alla scientia e a ogni via filosofica che porta a Dio. Nel conflitto con i giovani averroisti si rivela la pienezza di una frattura storica in antropologia ed escatologia e una via e della perfezione e della beatitudine incompatibile con il cristianesimo. Prendendo le difese del proprio cristianesimo come della propria scientia si sottrae alla filosofia il monopolio del sapere rivendicando una propria dignità intellettuale in sintonia con la fede cristiana.
Quaderns d'Italià, 2006
Per comprendere il senso del conflitto tra Francesco Petrarca e i quattro giovani averroisti in De sui ipsius et multorum ignorantia è necessario penetrare all'interno del linguaggio e mostrare la profondità della dottrina che vi si cela. A cominciare proprio dal quel termine, ignoranza, si attraversa tutta una biblioteca che rivela la consistenza vera della dottrina averroista. Per Averroè c'è un solo intelletto per tutta l'umanità e il bambino appena nato non ha un intelletto personale. Per questo motivo il bambino appena nato è simile all'animale senza ragione, il bruto. Questo intelletto si forma tramite l'acquisizione della scientia segnando l'acquisizione vera dell'umanità. L'uomo non nasce per natura ma per cultura e l'ignorante rimane nello stadio della brutalità. Tutta la vita dell'uomo deve essere dedicata all'acquisizione della scientia perché quando l'intelletto personale avrà acquisito tutti gli intelligibili si unirà con l'intelletto agente, la prima delle sostanze separate. Dopo gli sarà possibile giungere alla visione intellettuale di Dio. Questo è il fine ultimo, il sommo bene e la felicità. Si può comprendere il conflitto con il cristianesimo per il quale soltanto tramite Cristo e nell'altra vita è possibile giungere alla visione di Dio e alla beatitudine. Date queste coordinate si può comprendere come Petrarca cerca di rispondere da un punto di vista cristiano contrapponendo la fede alla scientia e a ogni via filosofica che porta a Dio. Nel conflitto con i giovani averroisti si rivela la pienezza di una frattura storica in antropologia ed escatologia e una via e della perfezione e della beatitudine incompatibile con il cristianesimo. Prendendo le difese del proprio cristianesimo come della propria scientia si sottrae alla filosofia il monopolio del sapere rivendicando una propria dignità intellettuale in sintonia con la fede cristiana.
Come abbiamo visto, l'amore per questa donna ha un fine anche quando non è esplicito. Innamorarsi di una donna, dalla corrispondenza difficile, è l'inizio del cammino di perfezione che porta alla visione di Dio. Questa donna è la scienza e l'acquisizione della scienza, da parte dell'uomo, è difficile. La scienza porta l'intelletto alla perfezione e alla visione di Dio, questo è il suo compito e questa donna, sempre ritrosa e superba, ne rappresenta l'essenza. Su questo argomento si accende una battaglia radicale tra i filosofi e Tommaso d'Aquino. Per il teologo cristiano non è possibile che l'uomo giunga alla visione di Dio tramite la scienza e in questa vita, perché Dio è visibile dall'uomo soltanto dopo la vita terrena e tramite Cristo e la funzione santificante della chiesa. La species intelligibilis, la scientia, non può prendere il posto di Cristo e della chiesa. Altrimenti la via disegnata da Averroè è come quella dell'eretico Pelagio (Tommaso d'Aquino, Contra Gentiles), senza la grazia e percorribile soltanto con le forze intellettuali e morali dell'uomo. Il bisogno di conciliare Beatrice(o Laura) e Cristo nasce da qui per l'intellettuale cristiano. La visione di Dio in vita, secondo Averroè, è il termine ultimo del cammino del filosofo che ha conosciuto tutto e ha praticato tutte le virtù morali. La perfezione intellettuale e morale è la precondizione per raggiungere la visione di Dio. Virtù e conoscenza è il binomio che permette di trascendere la condizione originaria dell'uomo: il bruto, l'animale senza intelletto. L'uomo nasce simile al bruto ma seguendo virtù e conoscenza, conseguendo tutti gli intelligibili, diventa uomo perché fa proprio l'intelletto unico dell'umanità. Ulisse (Inferno XXVI) è il filosofo averroista che insegna questa dottrina e tenta personalmente la via che porta fino a Dio ma rimane sconfitto dalla punizione divina. Questa è la radice dell'opera dantesca che sprofonda nel terreno della contemporaneità e in una biblioteca disposta come in battaglia tra teologi cristiani e filosofi. Su questo crinale si è averroisti o antiaverroisti, più di ogni altra dottrina filosofica. Si è cristiani e obbedienti alla dottrina della chiesa o anticristiani e gentili. Sulla strada che porta alla visione di Dio e alla conseguente beatitudine gli schieramenti stanno uno di fronte all'altro. I nuovi gentili, per Tommaso d'Aquino, sono proprio questi filosofi che fanno a meno della mediazione salvifica di Cristo e della chiesa. Il problema introdotto da Averroè si inserisce nel dibattito interno alla dottrina cristiana e alla chiesa del tempo, sulla visione beatifica, accentuando il
ANTONIO GAGLIARDI, VITA NOVA. IL ROMANZO INTELLETTUALE DI DANTE, MARTIN (SLOVACCHIA), 2019
Se si prende alla lettera la biografia letteraria di Dante appare immediatamente che nella sua vita vi furono molte donne. Alcune con nome altre senza nome. Un vero dongiovanni per un uomo vissuto nel medioevo, con moglie e figli e una vita travagliata. Per tutte le donne di Dante, però, bisogna sempre partire dalla domanda se si tratta di una donna reale oppure di una personificazione. Questa domanda vale anche per <<la pargoletta>>. La sicurezza che si tratta di una personificazione si ha soltanto quando si toglie il velo della parola per raggiungere il piano del concetto o del principio filosofico che si nasconde dietro l'immagine di questa neonata. Questa scrittura, per quanto dissimulata, ha al suo interno il seme di un pensiero che rimanda a un testo certo. Il pensiero non è mai totalmente sostituito ma rimangono tracce significative e impronte leggibili anche nelle forme più estreme di personificazione. Soprattutto in queste situazioni dottrinali è possibile comprendere come il poeta è filosofo ed ha imparato ad elaborare il linguaggio in modo adeguato. Gli esempi di Dante e Boccaccio mostrano una stretta analogia nel fare parlare poeticamente la filosofia. Pensare per immagini è un'arte che questi poeti hanno appreso in un esercizio continuo e comune, per tracciare un perimetro di identità dentro il quale trovarsi senza interferenze esterne. Sarebbe necessario confrontare queste opere poetiche con la produzione allegorica contemporanea e precedente per comprendere il debito che questi poeti anno nei confronti con la tradizione allegorica e l'abitudine a un linguaggio mitico di formazione filosofica risalente a Platone e ai suoi epigoni. Non vi sono soltanto forme fisse di personificazione ma ogni ente astratto può diventare concreto attraverso questo procedimento. La filosofia si trasforma in formule immaginarie e mette a loro disposizione il proprio contenuto concettuale. Si costituisce una relazione tra persone e personaggi su un unico terreno praticabile virtualmente da tutti e si ottiene una narrazione, l'allegoria. Si può conoscere personalmente la species intelligibilis da bambina oppure da adulta sempre secondo le leggi della realtà e del concetto trasfigurato. La sostanza linguistica ne rivela il contenuto ed è possibile ricostituire il piano originario del testo filosofico. Il linguaggio di questa poesia è da esaminare soprattutto nei modi dell'azione del verbo. L'agire rende conto di un soggetto mascherato o personificato che procede su un piano precostituito secondo leggi fisse di natura metafisica. Cosa succede quando un soggetto personificato agisce? C'è uno spazio nel quale eventi si verificano e costituiscono un diagramma leggibile nel suo interno e danno il fondamento dottrinale. Si può trattare di tracce di un sistema metafisico che appare nelle sue coordinate essenziali. Generalmente tra il cielo e la terra ma tra il cielo e la terra avvengono molte cose. Vi sono diverse situazioni simili anche se con fini e soggetti diversi. L'uomo abita nell'universo e ne diventa il fine e misura di razionalità. Ogni volta conta la specificità de fine del quale è necessario individuare il contenuto
IL TRIONFO CELESTE DI SIGIERI DI BRABANTE, 2020
Per noi che oggi, anche nelle enciclopedie, possiamo trovare tante informazioni su Sigieri di Brabante, è difficile comprendere come un filosofo quasi ignoto fino a tempi recenti, sia stato posto da Dante in paradiso assieme ad altri intellettuali cristiani per essere glorificato tra i santi e i beati. In realtà si tratta della chiave che apre la contemporaneità per entrare nel problema più lacerante e fare vedere al lettore la scena madre nella quale si chiude la vicenda dottrinale fatta di confutazioni e condanne. Questa storia vissuta drammaticamente sulla terra deve chiudersi in paradiso con il gesto più emblematico di pacificazione. Dante ha bisogno di celebrare ufficialmente il rito della conciliazione tra cristianesimo e filosofia, nel principio dottrinale più sconvolgente, la visione di Dio per l'uomo vivente, e ricostruisce la scena in paradiso dove vengono risolti tutti i conflitti che sulla terra avevano messo uno contro l'altro i due protagonisti, Sigieri di Brabante e Tommaso d'Aquino. Come per il teologo cristiano così anche per il filosofo si tratta di personaggi emblematici in grado di rappresentare le due parti contrapposte e l'intero campo di battaglia schierato a difesa delle proprie dottrine. Se si sfoglia la storia dell'interpretazione di questo episodio nel X canto del Paradiso, ci si rende conto delle difficoltà di tutti nel motivare quella presenza, tanto meno l'incontro tra i due in un contesto che appare sempre enigmatico anche nel linguaggio. Si tratta di una dei tanti episodi della Commedia che rendono conto della distanza che ci separa dal tempo di Dante e richiedono un'adeguata preparazione culturale per essere compresi. La presunzione della continuità linguistica che diventa anche continuità culturale diventa un abbaglio che annulla specificità di una cultura ormai estranea a noi. La mancanza di un'adeguata storicizzazione del tempo culturale non permette di inquadrare in un piano unico i personaggi e i problemi. Poi, imparando i linguaggi latenti nel testo di Dante e leggendo la biblioteca del tempo, ci si può rendere conto 1
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«L'ombra di Cavalcanti e Dante» - L'Asino d'oro Edizioni, 2011., 2011
Settecentenario della morte di Dante (13-14 settembre 1321-2021), 2022