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Guercino. Un breve saggio di filosofia dell'arte (ex-cogito)

Diverse sono state le espressioni artistiche mutevoli nel corso della storia dell'arte. Anzi, con buona approssimazione, si direbbe che da Giotto in avanti gli stili cangianti sono stati la regola dell'operare. Le opere mutavano così all'interno del fare dell'artista come marcatrici di tappe biografiche. E questo era ben visibile sul piano dello stile. Certo, l'artista è la sua opera, e la sua opera è il suo stile. Cioè, lo stile è il sedimentarsi delle condizioni e della volontà in una grafia comunicabile; questo è indiscusso. Tuttavia può capitare che lo stile non sia tanto la causa dell'espressione quanto la risultante effettiva di un discorso espressivo che ha in altro il suo punto di Archimede. Mi spiegherò: se un'opera arguta è leggibile fra le righe-e questo lo si fa a partire dalla stessa iconologia-è perché contiene realtà solo indicate al livello dello stile. Presso Guercino questo "mondo altro" sono i disegni, la vera espressione immediata del suo essere nell'arte. Ogni dipinto od affresco, che sia una veduta ingenua sul Reno o le scene monumentali del periodo romano, è frutto di un grosso compromesso di mediazione, o di traduzione. L'opera grafica rappresenta il presupposto non del suo stile, ma della sua espressione vitale. La pittura di Guercino è il candido convivere del bisogno di astrarre con la serenità spontanea del dato naturale. E' un'arte del prendere le distanze ben diversa da quella dei manieristi, fuchi malinconici di un alveare non più perfettibile; Guercino non solo porta l'occhio (sic!) fuori dalla lotta degli stili, ma non bisticcia neppure con la Natura. L'empatia e l'astrazione L'accostamento di questi due termini per quanto possa suonare intuitivo è in realtà il frutto di un travaglio storico e teorico che iniziò con la seconda metà dell'Ottocento.