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2023, GIOVANNI CERIANI
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Nuova e completa ricerca sulla Villa dei nobili Calderari a Boffalora Ticino con approfondimenti storici sulla storia del paese e alberi genealogici di Aliprandi, Brambilla, Caccia della Valle, Orirgoni, Piantanida, Silva, Vitali, Visconti e Calderari
Il Gabellino, periodico della Fondazione Bianciardi, 2015
Quella che qui scrivo è poco più di un abbozzo di ricerca. Essa muove da una pagina famosa de La vita agra (Bompiani, 1962), dove Bianciardi enuncia la propria utopia copulatoria o meglio come lui stesso la definisce "questo mio neocristianesimo a sfondo disattivistico e copulatorio" (p. 162). Siamo al capitolo 10 del romanzo, alla penultima tappa del racconto, dove l'io narrante prende atto dell'impossibilità di uno sbocco rivoluzionario nel cuore del neocapitalismo per cui era emigrato a Milano con lo scopo dichiarato di far saltare il torracchione con una miscela di ossigeno e gas simile al grisù, che aveva ucciso i minatori di Ribolla, e delle speranze del giovane intellettuale impegnato, che scrive in prima persona. Si rende conto che cacciare una dirigenza per sostituirne un'altra altrettanto freneticamente attivistica (quella della nomenclatura del PCI) sarebbe un'operazione inutile. C'è qui tutta la delusione per i fatti d'Ungheria del 1956, di cui aveva scritto ne L'integrazione (1960). Rivolgendosi a Tacconi Otello, il dirigente che ne La vita agra è il mandante dell'impresa milanese, personaggio reale che poi lo porterà in tribunale in uno degli strascichi giudiziari del successo del romanzo, scrive: "No, Tacconi, ora so che non basta sganasciare la dirigenza politico-economica-social-divertentistica italiana. La rivoluzione deve cominciare da ben più lontano, deve cominciare in interiore homine. Occorre che la gente impari a non muoversi, a non collaborare, a non produrre, a non farsi nascere bisogni nuovi, e anzi a rinunziare a quelli che ha. La rinuncia sarà graduale, iniziando coi meccanismi, che saranno aboliti tutti, dai più complicati ai più semplici, dal calcolatore elettronico allo schiaccianoci. Tutto ciò che ruota, articola, scivola, incastra, ingrana e sollecita sarà abbandonato" (pp. 158-159, le sottolineature sono le mie). Neppure Serge Latouche 50 anni dopo ha immaginato una decrescita altrettanto radicale e felice. Questa posizione, che vede la rivoluzione cominciare in interiore homine attraverso la costituzione di piccole comunità senza macchine, che progressivamente accerchieranno "gli attivisti", andò incontro alla stroncatura di Asor Rosa e ad una accoglienza tiepida degli intellettuali di sinistra, di cui in questo numero de Il gabellino dà conto autocriticamente Romano Luperini, che pure allora riconobbe i meriti del romanzo. Sottolineo, invece, il carattere "profetico" della posizione di Bianciardi: l'idea di spettacolarizzazione della cultura e della politica, che si è dispiegata nell'epoca attuale, ma che origina nella modernizzazione della società italiana del boom economico, di cui Bianciardi fu un testimone privilegiato e un critico tagliente (nel passo citato definisce la dirigenza italiana "divertentistica") e poi la critica delle macchine, che sono alla base di quel processo sociale e culturale, in cui siamo totalmente immersi, i calcolatori elettronici, a cui nell'utopia bianciardiana dovremmo rinunciare insieme ai semplicissimi schiaccianoci. Noi oggi siamo incastrati in questo meccanismo, che Bianciardi vuole abbandonare dall'inizio. Per contestualizzare quanto sopra occorre sapere che all'epoca l'Olivetti era l'industria più avanzata di Europa nel campo dell'elettronica e
Osservazioni sui paragrafi delle 'Leggi' ittite relative al matrimonio, 2017
BIDR viene pubblicato annualmente. La pubblicazione di articoli e contributi scientifici proposti alla Rivista osserva i criteri di massima per la valutazione della ricerca scientifica adottati dalle Autorità universitarie italiane. Tali saggi saranno pertanto sottoposti all'approvazione di due esperti scelti dalla Direzione all'interno di un gruppo di studiosi predeterminato, il cui elenco è a disposizione degli interessati, rispettando l'anonimato dell'autore e dei lettori.
Il suo nome di battesimo è per l'esattezza Gaetano Carmine Francesco Paolo Majorano, ma è più noto come Caffarelli, soprannome che assunse quando intraprese la carriera artistica. Possedeva un carattere a dir poco pessimo, infatti lo si ricorda per molti suoi aneddoti. Il Caffarelli, il Gizziello e il Farinelli sono stati definiti gli "astri del Bel canto" napoletano: erano tutti e tre soprani, possedendo una voce che si estendeva a note più acute rispetto per esempio a quelle del Senesino, per citare un altro castrato famoso. A differenza degli altri due, il Caffarelli rappresenta lo stile antico del virtuosismo Baroccheggiante di pura abilità tecnica, non ingentilita dall'espressione (citazione dall'UTET). Secondo un dizionario di musica sarebbe nato da una povera famiglia contadina il 16 aprile 1703. Si racconta che piuttosto di aiutare i genitori lavorando, preferisse andare nelle chiese per sentir cantare e suonare l'organo. L'enciclopedia Italiana del Treccani, anni fa, lo faceva nascere nella stessa data. Tuttavia ci sono delle contraddizioni su luogo e giorno di nascita: due fonti affermano che la sua città natale fosse Bitonto (che si distingue anche per essere stata la città natale ad un certo Nicola Logroscino, definito in qualche scartoffia "Dio dell'opera buffa" e di Tommaso Traetta) e che la corretta data di nascita sia il 12 aprile 1710. Ma su questa confusione ci illumina definitivamente il ricorso all'atto di nascita che riporto:"A 16 aprile 1710 il reverendo don Francesco Padula, de licentia ha battezzato Gaetano Carmine Francesco Paolo figlio legittimo e naturale di Vito Maiorano e di Anna Fornella: il compare fu il signor don Lorenzo Alburquerque. Nacque alli 12 di detto mese ad alba L.D. Parroco don Giovanni Battista Latillo".E' da dire che non fu figlio unico ed ebbe pure dei fratellastri dal momento che il padre dopo la morte di Anna Fornella (avvenuta il 25 ottobre del 1721) sposò in seconde nozze Laura de Fano il 26 febbraio 1722: da tale unione si ebbero Nicolangelo il 19/03/1723 e Gaetano ancora (certo che avevano una grande fantasia coi nomi ..) il 20/12/1723, morto il giorno del battesimo e per il cui parto pure Laura se ne dipartì. Le mortalità in quel periodo di neonati e per parto erano abbastanza frequenti. Gaetano, fin da giovinetto dimostrò una grande inclinazione per la musica, tant'è che invece di aiutare il padre nei suoi lavori contadineschi, preferiva frequentare le Chiese ove si faceva musica. Ora si dà il caso che la sua frequenza sarebbe stata notata da un certo maestro di nome Caffaro, il quale avendo intuito le spiccate attitudini ed uditane la voce, convinse il padre (con il miraggio di immense fortune guadagnate per il futuro dal figlio) a fargli subire la nota, mostruosa, operazione; dopo di che egli avrebbe ritirato presso di sé il povero mutilato per impartirgli i primi elementi musicali. Il maestro Caffaro, dopo che si era dedicato assiduamente alla promessa di forgiare il cantante al padre, si rese conto che non era più in grado di completare l'educazione artistica del suo pupillo, per il quale presentiva un grande avvenire: è per questo motivo che lo inviò a proprie spese Napoli alla scuola del celebre Nicola Porpora. Il Caffaro era convinto che un giorno sarebbe diventato un grande cantante così da poter portare gloriosamente nel mondo il nome della patria adorata, e che avverandosi la sua "profezia" del modesto musicista di Bitonto, il Majorano, riconoscente della protezione da lui avuta, ne assumesse il nome, facendosi chiamare CAFFARELLI. Ci sono però delle ulteriori osservazioni relative al Caffaro e Porpora. Ammettendo che il Majorano da giovane avesse incontrato il Caffaro, da cui si spiega il nome assunto poi dal cantante, con cui ha appreso l' ABC della musica, e ammettendo pure che poi si sia trasferito sotto la guida del Porpora, si deve escludere che il Porpora lo tenesse presso di sé ed a suo carico dopo l'operazione subita e lo mantenesse sempre a sue spese a Napoli, questo dal semplice fatto che la famiglia del Majorano era più che agiata e di conseguenza affatto bisognosa di aiuto altrui. Questo lo si può desumere da un atto notarile rogato per mano del notaio Giuseppe Formella in data 25/02/1739, che elenca le proprietà che il Caffarelli possedeva in Bitonto e che gli venivano dall'eredità materna (non si deve dimenticare infatti che Anna Fornella era morta il 25/10/1721). A questo lascito si deve aggiungere quello della nonna Caterina Mariano, in data 06/09/1720 per atto del notaio Palmo Stellacci:" Caietano Majorano, eius pronepoti et ut ille proficere possit studio gramaticae, et etiam dare operam cum majori decentia Musicae, in qua dictus Cajetanus magnam habere dicitur inclinationem, cupiens se castrare et eunucum fieri deliberasse ipsam Catherinam ex nunc et ab hodie dare et relaxare, imo donare donationis titulo irrevocabiliter inter vivos dicto Cajetano Majorano, eius pronepoti ut supradicto usufructum duarum vinearum " Alla luce di queste due precisazioni di lasciti della madre e della nonna, il Caffarelli si poteva ben mantenere da solo. Ma quanto tempo il Caffarelli rimase presso Nicola Porpora? Pare cinque anni, durante i quali il maestro gli fece studiare scale gravi, scale per il gorgheggio ed agilità, nonché tutte le forme degli abbellimenti: finché lo stesso Porpora gli disse:"Vattene, figliuol mio. Io non ho altro da insegnarti. Tu sei il primo cantante dell'Italia e del mondo".
Sulla base di una rilettura del bios vengono definite nuove ipotesi sulla nascita e sulla vita ascetica di S. Nicodemo, fondatore del Monastero di Cellerana.
I 1 Quinto Mucio l'augure raccontava spesso, a memoria e in modo piacevole, molti episodi della vita di Caio Lelio, suo suocero, e in ogni discorso non esitava a chiamarlo «il Saggio». A Scevola ero stato affidato da mio padre, quando presi la toga virile, perché non mi staccassi mai dal fianco del vecchio, nei limiti del possibile e del consentito. Perciò, fissavo nella mente molti dei suoi accorti ragionamenti e anche molte delle sue massime secche e gustose, e cercavo di migliorare la mia educazione facendo tesoro della sua esperienza di vita. Quando morì, passai alla scuola di Scevola il pontefice, l'uomo che oserei definire il più grande della nostra città per intelligenza e senso di giustizia. Ne parlerò un'altra volta: ora ritorno all'augure. 2 Di lui ricordo spesso molti episodi, ma in particolare uno: era a casa sua e sedeva, come al solito, nell'emiciclo: c'ero io pure e pochi intimi, quando gli capitò di raccontare un fatto che proprio allora era sulla bocca di molti. Ti ricordi certamente, Attico, tu che eri così vicino a Publio Sulpicio, quanta sorpresa o piuttosto quanta amarezza si diffuse tra la gente quando Sulpicio, tribuno della plebe, con odio mortale si staccò da Quinto Pompeo, allora console, insieme al quale era vissuto in un rapporto di grande intimità e affetto. 3 Quel giorno Scevola menzionò casualmente il fatto e ci riferì il discorso che Lelio aveva tenuto sull'amicizia in presenza dello stesso Scevola e dell'altro suo genero, Caio Fannio, figlio di Marco, pochi giorni dopo la morte dell'Africano. Ho fissato nella mente i punti principali della discussione e li ho riportati in questo libro a mio modo: per così dire, ho messo in scena i personaggi stessi per evitare di ripetere troppi «dico» o «dice» e per dar l'idea che il discorso si sviluppi tra persone presenti, qui davanti a noi.
Il suo nome di battesimo è per l'esattezza Gaetano Carmine Francesco Paolo Majorano, ma è più noto come Caffarelli, soprannome che assunse quando intraprese la carriera artistica. Possedeva un carattere a dir poco pessimo, infatti lo si ricorda per molti suoi aneddoti. Il Caffarelli, il Gizziello e il Farinelli sono stati definiti gli "astri del Bel canto" napoletano: erano tutti e tre soprani, possedendo una voce che si estendeva a note più acute rispetto per esempio a quelle del Senesino, per citare un altro castrato famoso. A differenza degli altri due, il Caffarelli rappresenta lo stile antico del virtuosismo Baroccheggiante di pura abilità tecnica, non ingentilita dall'espressione (citazione dall'UTET). Secondo un dizionario di musica sarebbe nato da una povera famiglia contadina il 16 aprile 1703. Si racconta che piuttosto di aiutare i genitori lavorando, preferisse andare nelle chiese per sentir cantare e suonare l'organo. L'enciclopedia Italiana del Treccani, anni fa, lo faceva nascere nella stessa data. Tuttavia ci sono delle contraddizioni su luogo e giorno di nascita: due fonti affermano che la sua città natale fosse Bitonto (che si distingue anche per essere stata la città natale ad un certo Nicola Logroscino, definito in qualche scartoffia "Dio dell'opera buffa" e di Tommaso Traetta) e che la corretta data di nascita sia il 12 aprile 1710. Ma su questa confusione ci illumina definitivamente il ricorso all'atto di nascita che riporto:"A 16 aprile 1710 il reverendo don Francesco Padula, de licentia ha battezzato Gaetano Carmine Francesco Paolo figlio legittimo e naturale di Vito Maiorano e di Anna Fornella: il compare fu il signor don Lorenzo Alburquerque. Nacque alli 12 di detto mese ad alba L.D. Parroco don Giovanni Battista Latillo".E' da dire che non fu figlio unico ed ebbe pure dei fratellastri dal momento che il padre dopo la morte di Anna Fornella (avvenuta il 25 ottobre del 1721) sposò in seconde nozze Laura de Fano il 26 febbraio 1722: da tale unione si ebbero Nicolangelo il 19/03/1723 e Gaetano ancora (certo che avevano una grande fantasia coi nomi ..) il 20/12/1723, morto il giorno del battesimo e per il cui parto pure Laura se ne dipartì. Le mortalità in quel periodo di neonati e per parto erano abbastanza frequenti. Gaetano, fin da giovinetto dimostrò una grande inclinazione per la musica, tant'è che invece di aiutare il padre nei suoi lavori contadineschi, preferiva frequentare le Chiese ove si faceva musica. Ora si dà il caso che la sua frequenza sarebbe stata notata da un certo maestro di nome Caffaro, il quale avendo intuito le spiccate attitudini ed uditane la voce, convinse il padre (con il miraggio di immense fortune guadagnate per il futuro dal figlio) a fargli subire la nota, mostruosa, operazione; dopo di che egli avrebbe ritirato presso di sé il povero mutilato per impartirgli i primi elementi musicali. Il maestro Caffaro, dopo che si era dedicato assiduamente alla promessa di forgiare il cantante al padre, si rese conto che non era più in grado di completare l'educazione artistica del suo pupillo, per il quale presentiva un grande avvenire: è per questo motivo che lo inviò a proprie spese Napoli alla scuola del celebre Nicola Porpora. Il Caffaro era convinto che un giorno sarebbe diventato un grande cantante così da poter portare gloriosamente nel mondo il nome della patria adorata, e che avverandosi la sua "profezia" del modesto musicista di Bitonto, il Majorano, riconoscente della protezione da lui avuta, ne assumesse il nome, facendosi chiamare CAFFARELLI. Ci sono però delle ulteriori osservazioni relative al Caffaro e Porpora. Ammettendo che il Majorano da giovane avesse incontrato il Caffaro, da cui si spiega il nome assunto poi dal cantante, con cui ha appreso l' ABC della musica, e ammettendo pure che poi si sia trasferito sotto la guida del Porpora, si deve escludere che il Porpora lo tenesse presso di sé ed a suo carico dopo l'operazione subita e lo mantenesse sempre a sue spese a Napoli, questo dal semplice fatto che la famiglia del Majorano era più che agiata e di conseguenza affatto bisognosa di aiuto altrui. Questo lo si può desumere da un atto notarile rogato per mano del notaio Giuseppe Formella in data 25/02/1739, che elenca le proprietà che il Caffarelli possedeva in Bitonto e che gli venivano dall'eredità materna (non si deve dimenticare infatti che Anna Fornella era morta il 25/10/1721). A questo lascito si deve aggiungere quello della nonna Caterina Mariano, in data 06/09/1720 per atto del notaio Palmo Stellacci:" Caietano Majorano, eius pronepoti et ut ille proficere possit studio gramaticae, et etiam dare operam cum majori decentia Musicae, in qua dictus Cajetanus magnam habere dicitur inclinationem, cupiens se castrare et eunucum fieri deliberasse ipsam Catherinam ex nunc et ab hodie dare et relaxare, imo donare donationis titulo irrevocabiliter inter vivos dicto Cajetano Majorano, eius pronepoti ut supradicto usufructum duarum vinearum " Alla luce di queste due precisazioni di lasciti della madre e della nonna, il Caffarelli si poteva ben mantenere da solo. Ma quanto tempo il Caffarelli rimase presso Nicola Porpora? Pare cinque anni, durante i quali il maestro gli fece studiare scale gravi, scale per il gorgheggio ed agilità, nonché tutte le forme degli abbellimenti: finché lo stesso Porpora gli disse:"Vattene, figliuol mio. Io non ho altro da insegnarti. Tu sei il primo cantante dell'Italia e del mondo".
My first article written on Italo Calvino (while Lecturer in Italian Studies @ the University of Oslo, 1998/2001)
Medioevo, 2013
Già nell'alto Medioevo i rapporti tra Carlo Magno e il califfo di Baghdad erano stati gustosamente presentati in termini fiabeschi, nell'intento di esaltare l'imperatore cristiano dell'Occidente. Il monaco cronista Notkero Balbulus ("il Balbuziente", 840 ca. -912) nei suoi Gesta Karoli Magni Imperatoris (883) si diletta a dipingere gli ambasciatori «di quel popolo che un tempo era motivo di terrore per il mondo intero» come degli sprovveduti che rimangono abbagliati di fronte al fulgore di Aquisgrana, e che fuggono a gambe levate quando il possente sovrano franco si cimenta nella caccia al bisonte. Quando è la volta degli ambasciatori franchi in missione a Baghdad, questi vengono messi alla prova in una caccia al leone. Si avvalgono dei valorosi cani inviati in dono da Carlo Magno, e trionfano sulla belva: «uccisero alla vena giugulare con le spade indurite nel sangue dei Sassoni il leone persiano, che era stato circondato dai cani germanici». A quel punto il califfo si convince della inavvicinabile grandezza del loro sovrano: «Ora capisco quanto siano vere le cose che ho udito sul conto del mio fratello Carlo; perché per l'assiduità nel cacciare e nel tenere in esercizio sia il corpo che l'anima con zelo infaticabile, ha senza dubbio l'abitudine di soggiogare tutte le cose che sono sotto al cielo».
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L'immagine-suono di linguaggio audiovisivo, 2006
Le italiane a Bologna. Percorsi al femminile in 150 anni di storia unitaria di F. Tarozzi, E. Betti (a cura di), 2013
Un altro 1969: i territori del conflitto in Italia, 2020
Memorie paleocristiane nell'arte a Roma attorno al 1600, 2018