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2024
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211 pages
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Il rapporto con il potere politico è inscindibile dall'architettura, basti pensare a quanto accadde nella Grecia del V sec.a.C. con la salita al potere di Pericle e la sostituzione di Callicrate con Ictino nella costruzione del Partenone. Il presente volume analizza in particolare le "relazioni pericolose" dei grandi Maestri del Novecento con i regimi dittatoriali e i loro leader: Le Corbusier con Hitler, Mussolini e Pétain; Alvar Aalto con Hitler e Speer; Philip Johnson con Hitler; Frank Lloyd Wright con Stalin. Non mancano le presenze di altri protagonisti come Mies van der Rohe e Gropius nonché degli Italiani, fra cui Terragni, Pagano e i BBPR. Tutto questo mentre sullo sfondo avanza, altrettanto minacciosa, la cancel culture a tentare di estirpare la memoria dei Maestri assieme a quella delle loro opere. Preziosa è la presentazione di Aldo Castellano.
2020
Il demone e l'architetto «(L'architetto sc.) è un potere che si mantiene all'interno dell'architettura, che vive nella costruzione architettonica stessa poiché, una volta compiuta, attraverso la disposizione dei muri e delle aperture e attraverso una catena di significazioni (spesso connessa all'esterno dell'architettura stessa) riesce a sua volta a disporre, organizzare e a significare i corpi che la attraversano. L'architetto non esercita quindi semplicemente un potere che separa attraverso la violenza, ma un potere che amministra e governa ciò che è separato» (p. 36). La definizione dell'architettura come dispositivo, come un sapere che compie un gesto sovrano, quello di separare per governare, e di governare per separare di nuovo, è l'assunto fondamentale della ricerca di Edoardo Fabbri sull'architettura come luogo topico di una sedimentazione delle forme di potere (Edoardo Fabbri, L'architettura come archè. Appunti sull'hortus apertus, Efesto Edizioni, Roma 2020). Studio di archeologia filosofica in senso agambeniano, il libro osserva nel sapere dell'architetto un elemento macchinico, quel macchinismo che consente la riunificazione di corpi, tempi, passioni e vite confiscate dalla città all'aperto e da quella consegnate all'architettura per una ricongiunzione asservita al dispositivo politico, dove forma-città e forma-politica rendono indistinguibile la loro presa sull'uomo. Non è un caso che la ricerca si soffermi sulla diacronia di una spazialità cittadina, che esige la ripartizione statutaria dello spazio urbano in zone pubbliche e private, laddove è proprio questa distinzione a caratterizzare la città dalla vita a lei esterna. Separare l'uomo dall'abitare, il lavoro dall'amore, l'arte dalla vita, sinanco le competenze tecniche utili a fabbricarsi una casa dall'esperienza del singolo. E' questo il cuore di tenebra dell'architettura, le cui ombre diventano ancora più scure se si osservano gli artefatti delle società pre-politiche, e quindi pre-architettoniche: siti paleolitici come Göbekli Tepe o Stonehange parlano ancora allo spettatore moderno di una forma di vita inseparata, dove abitare il mondo coincide con il viverne la sacralità, dove erigere menhir coincide con il fare il sacro, il rito, la comunità, l'arte e l'amore. Potenza unificatrice dell'architettura che i Greci percepivano nitidamente. Il primo architetto della tradizione sarebbe stato Trofonio, il quale avrebbe inaugurato l'architettura in Occidente ergendo, assieme al fratello Agamede e per espresso volere di Apollo, una soglia marmorea nel santuario di Delfi. Lo stesso Trofonio, successivamente, sarebbe divenuto una specie di demone ctonio: dopo aver ingannato il re dell'Elide, committente di una sofisticata costruzione architettonica ipogea destinata a proteggere il suo leggendario tesoro, ed avendo causato in questo modo la morte del fratello, Trofonio sarebbe sprofondato nelle viscere della terra, in Beozia. Figura emblematica, questa di Trofonio, attraverso la quale l'architetto appare ab origine lo strumento necessario del potere (il tempio, la reggia, il re, il dio, il denaro), mantenendo al contempo in forma tragica la possibilità di un rapporto primigenio con l'aperto. Questo rapporto, d'altronde, era presupposto proprio dagli incubanti che si recavano nel suo santuario a Lebadea di Beozia, dove gli iniziati ai suoi misteri potevano abbandonarsi ad una trance di tipo sciamanico per ottenere la conoscenza 1. Questo potere divisorio del gesto architettonico ha avuto in Occidente il suo spazio elettivo. Tuttavia, proprio l'Occidente ha esperito una forma dell'abitare esterna e recalcitrante a qualsiasi dispositivo politico e architettonico, ovvero la forma di vita cenobitica. Dai padri del deserto al francescanesimo il cenobio ha costituito un paradigma alternativo a quello politico, formando una istanza destituente rispetto all'architettura stessa. Ed è a questa esperienza che Fabbri dedica buona parte delle sue analisi. La distinzione fra la vita politica e quella cenobitica, fra la polis e il monastero, fra il chiuso della città, simbolicamente rappresentato dalla cerchia delle mura, e l'aperto del cenobio, con il convento aperto sul paesaggio circostante, viene così riassunta dall'autore: «A differenza della polis, 1 Per la tradizione mitologica su Trofonio: Charax in Scolii ad Aristofane, Nuvole, 508; Omero, Inno ad Apollo, 294-299; Pindaro, frgg. 2-4 Snell-Mahler. Per un messa a punto della questione storico-religiosa si veda Pierre Bonnechère. Mantique, transe et phénomènes psychiques à Lébadée : entre rationnel et irrationnel en Grèce et dans la pensée moderne, «Kernos», 15, 2002, 179-186.
2015
Renato Rizzi, Susanna Pisciella, Andrea Rossetto/// "Il libro è il secondo di tre volumi relativi al processo di costruzione del progetto e compie il passaggio tra il primo dedicato alla teoria, intesa nell’accezione originaria di theoria -particolare potenzialità visiva del pensiero- e il terzo libro dedicato alla forma architettonica compiuta. Il manuale raccoglie tutte le istruzioni necessarie per elaborare il rilievo tridimensionale delle immagini preparatorie e di progetto, attraverso lo strumento fisico del modello in gesso, che per i suoi specifici caratteri fisici si presta a essere un ottimo strumento di controllo della forma. Le procedure esposte si riferiscono a un tipo di costruzione manuale e per questo, predispongono le basi per logica, linguaggio e metodologia di lavoro facilmente trasferibili nell’ambito delle attuali tecniche di prototipazione tridimensionale. Infatti il testo, agendo nello stesso tempo sui registri linguistici della teoria e della tecnica, da una parte descrive analiticamente le modalità costruttive, col supporto di quasi duecento disegni esemplificativi, dall’altra mostra il senso originario del lavoro. Rappresentazione non come un “a posteriori”, “abbellimento” del progetto, ma come strumento essenziale del pensiero per arrivare al progetto; non un rappresentare ciò che già c’è, ma un rendere visibile ciò che ancora non si offre fisicamente alla vista. "
Maestri dell'arte classica, 2016
https://www.bretschneider.it/libro/9788876892981 Nell'ambito della cultura architettonica greca, Iktinos rappresenta una delle personalità più note e allo stesso tempo più ambigue, sia per la scarsità di informazioni sul suo conto sia per la mancanza di un'adeguata conoscenza sul ruolo dell'architetto greco. Oltre alla costruzione del Partenone, si è ipotizzato un suo intervento anche nel Telestérion di Eleusi e nel tempio di Apollo a Basse con argomenti non sempre convincenti, frutto di riflessioni e analisi interpretative pregiudiziali. Contestualmente alla rivalutazione della figura dell'architetto nel V secolo a.C., il riesame di alcuni aspetti archeologici fa emergere ora un quadro più complesso, nel quale la riflessione sul contributo di Iktinos si intreccia con il tema relativo ai parametri utilizzati per individuare la sua partecipazione nei diversi cantieri menzionati dagli autori antichi.
Dante Alighieri "Architetto perfetto", 2021
“Dante Alighieri 'architetto perfetto'” trae il titolo dal giudizio di Galileo Galilei su un aspetto quasi sconosciuto dell'universo del Sommo Poeta. In realtà del rapporto con l’Architettura esistono precise e sostanziali coincidenze nelle opere dantesche. Inoltre sin dal XV secolo, la Divina Commedia era stata “letta e descritta come un’architettura”. Da Brunelleschi parte infatti una straordinaria stagione speculativa in cui la “travolgente topografia” dantesca viene sottoposta a spettacolari analisi. Illustri architetti e studiosi dibattono e polemizzano per tutto il Rinascimento fino a Galileo Galilei. Tra Illuminismo e Romanticismo il rapporto si arricchisce della tematica riguardante il carattere “gotico” di Dante e l’analogia della Comedia con la cattedrale gotica. Gli omaggi a Dante dell’architettura moderna e del design sono molteplici e inattesi, specie da parte di grandi visionari che condividono con Dante la straordinaria ampiezza del sentire creativo, quali Antoni Gaudì, Mario Palanti, Giuseppe Terragni, Norman Bel Geddes. Il crollo delle ideologie e di tutte le concrete fenomenizzazioni nei vari settori della società liquida non ha fatto altro che liberare ancor di più l’infinito insito nell’“ammirabile e stupenda fabrica e architettura” disegnata da quello straordinario personaggio che lo stesso Galileo definisce “architetto perfetto”. Il libro, pubblicato dalla Fondazione PescarAbruzzo, gode del Patrocinio Morale della Società Dante Alighieri ed è arricchito dalla Presentazione del Prof. Nicola Mattoscio (Presidente della Fondazione PescarAbruzzo), dalla Prefazione del Prof. Alessandro Masi (Segretario Generale della Società Dante Alighieri), della Nota introduttiva del Prof. Gianni Oliva (Direttore della rivista "Studi Medievali e Moderni") e del saggio sui rapporti tra Giotto e Dante della Prof.ssa Sabine Frommel (Directeur d’études, Histoire de l’art de la Renaissance della Sorbona).
Archivio Teologico Torinese, 2018
Tutti i saggi sono sottoposti a un procedimento di revisione affidato a specialisti disciplinari, con il sistema del 'doppio cieco'. All essays are subjected to a double-blind peer review process prior to publication. L'opera è stata realizzata grazie al contributo del DIDA
Nel contributo che fa parte del catalogo della mostra sull'architetto Marcello D'Olivo (Udine 2002) viene analizzata la fortuna critica del progettista che si fece conoscere sulla scena nazionale e internazionale per la realizzazione del Villaggio del fanciullo a Trieste (1950) considerata un'opera che fa riferimento al Movimento dell'architettura organica. Apprezzato da Bruno Zevi che ospita alcune opere su "Metron", D'Olivo conosce Leonardo Sinisgalli che sulle pagine di "Civiltà delle macchine" presenta il piano per Lignano Pineta, la città a forma di chiocciola.
La comprensione delle intricate vicende del complesso romano oggi noto come palazzo Rivaldi ha conosciuto negli ultimi tempi un notevole avanzamento grazie ad approfondite indagini documentarie. Tuttavia la disponibilità dei fondi archivistici ha consentito di gettare una nitida luce solo sulle fasi più tarde, dal 1626 a tutto il secolo XIX (proprietà Pio di Savoia 1 , poi del Conservatorio delle Mendicanti 2 ), mentre chiaroscuri si distendono ancora, a causa dell'irreperibilità delle carte di famiglia, sulle vicissitudini costruttive originarie promosse dal familiare di Paolo III Eurialo Silvestri tra il 1542 e il 1549, nonostante importanti fonti inedite, emerse in recentissimi studi, abbiano indicato date precise e possibili artefici 3 . Molte zone d'ombra si addensano invece sulle fasi intermedie, ma fondamentali per la struttura del complesso, e cioè quelle relative agli interventi commissionati da Alessandro Ottaviano de' Medici (1577-83) 4 e da Lanfranco Margotti (1609-11), anch'esse oscurate dalla mancanza di fonti documentarie dettagliate. La breve proprietà di quest'ultimo è di fatto la meno indagata dalla critica, sebbene nell'arco di soli tre anni comportò decisive trasformazioni offrendo ad alcuni artisti la possibilità di una importante vetrina sulla scena della grande committenza. Pur non essendo ancora stato rintracciato l'atto di acquisto 5 , sappiamo che il complesso fu venduto dagli eredi Silvestri al cardinal Margotti per 6750 scudi 6 ; la transazione dev'essere stata effettuata prima del 20 agosto 1609, quando il possesso del porporato risulta documentato 7 . Nonostante le umili origini, il "cardinal Lanfranco" aveva fatto una rapida carriera, distinguendosi nell'arte del "segretariato" 8 . Paolo V lo stimò particolarmente, tanto da conferirgli, il 24 novembre 1608, la porpora cardinalizia, evento questo che potrebbe circostanziare la decisione dell'acquisto del pregevole giardino. Tale favore consentì a Margotti di ottenere alcuni benefici utili per arricchire il prestigio della villa: il 21 agosto 1609, infatti, si vide donate con breve pontificio 6 once d'acqua provenienti dall'Acquedotto Felice 9 , misura indispensabile per avviare un programma di installazione di fontane e giochi d'acqua nel giardino, mentre il 7 novembre successivo il papa gli concedette l'uso di due archi della Basilica di Massenzio 10 , riaffermando la tradizionale concessione di parti del monumento antico ai proprietari della sottostante villa 11 . Il 7 settembre 1610, allo scopo di ampliare l'area destinata a giardino, Margotti acquistò "doi pezzi di vigna o arboreto" di proprietà del monastero di S. Maria Nova in cambio di mezza oncia d'acqua proveniente dalla "peschiera del giardino" 12 . È evidente che Lanfranco decise di avviare un immediato piano di ampliamento e abbellimento. Per far questo si rivolse al rinomato intagliatore su avorio e legno, ma in quel momento all'inizio della carriera di architetto, il fiammingo Jan van Santen, noto all'epoca come "Giovanni degli Studioli" 13 . La notizia dell'incarico è tradizionalmente tramandata dal Totti, il quale afferma che "il disegno del giardino… è stato finito dal Vansantio" 14 . L'informazione è confermata da un contratto del 27 febbraio 1610, sottoscritto tra il maestro di casa di Margotti e lo scalpellino Girolamo Falciano 15 per la realizzazione di una scala in peperino "dentro al giardino" i cui "balaustri" dovevano essere realizzati "secondo il modono da darsegli dal sig. Gio. Santi fiamengo architetto" 16 . Un'indicazione importante sul ruolo ricoperto da Vasanzio per il cardinale, al cui servizio dovette giungere per il tramite di Stefano Pignatelli, maggiordomo e favorito di Scipione Borghese 17 , è invece contenuta nel resoconto delle esequie di Giovanni Battista Borghese, fratello di Paolo V, avvenute il 13 marzo 1610: il relatore dell'avvenimento, Giulio Centini, afferma che il catafalco funebre era stato realizzato "col disegno del Sig. Giovanni Santes Fiamingo, Architetto dell'Ill. mo Rev. Sig. Card. Lanfranco" 18 . La notizia conferma dunque che nel 1610, nel pieno dei lavori di ammodernamento della villa, Vasanzio era l'architetto di famiglia del Margotti, e forse lavorava al cantiere da più di Alessandro Cremona
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in "Studi su Domenico Fontana", a cura di Giovanna Curcio, Nicola Navone e Sergio Villari, Milano, Mendrisio Academy Press – Silvana Editoriale, 2011, pp. 265-287
Che cosa è architetto». La polemica con gli ingegneri napoletani e l'edizione del Libro secondo Fulvio Lenzo
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Quaderni di archeologia preistorica, 2012
Artibus et Historiae, 2016
Il mestiere di architetto, 2019
Annali di architettura, 2019
Italian Studies , 2024
L. Bianchi, A. Del Prete, G. Paganini, eds, Cartesianismi, scetticismi, filosofia moderna. Studi per Carlo Borghero, Firenze, Le Lettere, pp. 9-24, 2019
Architettura fantastica. Gli archetipi visionari del fumetto, 2014
Annali di Architettura, 2020