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Analisi di alcuni commenti tradizionali alla sura XCIV
Gli scritti dello šayḫ Abū 'Abd ar-Raḥmān al-Sulamī (325/932-412/1021) sono una delle fonti principali sulle dottrine e le pratiche spirituali del Sufismo dei primi secoli. L'epoca di Sulamī segue quella dei maestri del terzo secolo dell'ègira:
Nastro Azzurro , 2021
World War II Noor-un-nisa Inayat Khan Nora Baker Special Operations Executive SOE George Cross Dachau
La chevrà qaddishà La chevrà qaddishà è una delle confraternite fondamentali all'interno della comunità ebraica, ed il suo compito è di inestimabile valore, trattandosi di una delle applicazioni più stimate del chesed weemet, la pietà esercitata nei confronti dei defunti, che non hanno modo di ricompensare coloro che li hanno beneficiati. Per questo un altro nome che le viene attribuito è "ghemilut chesed shel emet". La ghemilut chasadim è sotto vari aspetti superiore alla tzedaqàh: infatti la tzedaqàh si fa con i propri beni, mentre la ghemilut chasadim sia con i propri beni che con il proprio corpo; si fa tzedaqàh ai poveri, mentre si può fare ghemilut chasadim sia con i ricchi che con i poveri; si fa tzedaqàh ai vivi, mentre è possibile fare ghemilut chasadim anche nei confronti dei morti 1 . Troviamo attestazione dell'esistenza di tali confraternite già nel Talmud 2 : nelle città in cui esiste la chevrà qaddishà gli individui possono dedicarsi al proprio lavoro, perché c'è chi si occupa dei defunti. Occuparsi dei morti è considerata una forma di imitazione di H., che si era preoccupato in prima persona della sepoltura di Moshèh Rabbenu. Anticamente la chevrà qaddishà non si occupava solamente del funerale e della sepoltura, ma interveniva già in una fase precedente, che era quella della visita ai malati, procurando agli indigenti assistenza medica e medicinali, oltre ad assistere, dopo il decesso, i parenti in lutto, fornendo loro l'occorrente per la se'udat havraàh e sostenendo gli orfani 3 . Nei centri più piccoli la chevrà qaddishà, essendo l'unica confraternita esistenza, si occupava di ogni forma di assistenza. Far parte della chevrà qaddishà era considerato un grande privilegio, ed il disprezzo dei membri della chevrà viene paragonato da alcuni a quello di un talmid chakham 4 . Vari usi sono volti ad onorare i membri della chevrà: ad esempio alcuni assegnano al capo della chevrà la lettura della haftaràh di chol ha-mo'ed di Pesach, o assegnano ai membri della chevrà delle chiamate a sefer nei giorni di mo'ed, nei quali secondo molti usi vengono ricordati i defunti 5 . Molti famosi rabbanim, già in tenerà età, entrarono nelle confraternite. In moltissimi casi il rabbino della comunità era anche a capo della chevrà qaddishà. E' bene in ogni caso accogliere nella chevrà solamente coloro che mostrano di avere un buon carattere 6 . Il Maghen Avraham 7 scrive di un misheberakh particolare che si recitava per benedire i membri della confraternita. I registri della chevrà qaddishà delle varie comunità sono un'importante documento storico, perché oltre agli incarichi interni alla chevrà, spesso erano contenute le disposizioni generali delle comunità. Da questi testi apprendiamo poi gli usi di ciascuna Chevrà qaddishà, ed è quanto mai opportuno ricordare che si deve evitare di modificare gli usi di una determinata chevrà, anche se possono sembrare singolari, perché potrebbe sembrare una forma di disprezzo dei defunti che sono stati sepolti in precedenza, seguendo altre usanze 8 . Fra le regole che compaiono più spesso vi sono: a) i capi della comunità non possono intervenire per modificare le decisioni della chevrà qaddishà; b) la chevrà può pretendere di operare a pagamento, qualora chi l'ha chiamata avesse la possibilità di sostenere economicamente la chevràh e non lo aveva fatto precedentemente; c) che la
Tutte le fotografie corrispondono alla numerazione attribuita loro nel testo. Tuttavia, per ragioni di spazio e d'impaginazione, la sequenza fotografica nell'inserto centrale non sempre rispetta l'ordine numerico.
Il Monte Libano tra fiction e realtà storica in un romanzo di Maḥmūd Šubāṭ (Shebat), 'Aḏrā' qaṣr al-šayḫ (La vergine del palazzo dello shaykh), Dār al-Kifāḥ li 'l-Našr wa 'l-Tawzī', al-Dammām 2010, pp. 165. Quanto un romanzo si ispira alla storia e quanto la storia si può esprimere attraverso un romanzo? È possibile indagare la realtà sociale e le origini identitarie e nazionali di un paese mantenendo fedeltà storica da un lato e fantasia letteraria da un altro? Questi sembrano essere gli interrogativi che percorrono il romanzo di Maḥmūd Šubāṭ 1 'Aḏrā' qaṣr al-šayḫ. L'autore racconta la storia del Libano ai tempi della dominazione ottomana, in modo tutt'altro che didascalico, riuscendo a immergere il lettore in una realtà remota e distante, ma non abbastanza da poter essere dimenticata o cancellata. Nel romanzo la storia del Libano viene narrata attraverso le avventure e le vicende personali del protagonista, Naṣṣār, una persona alla continua ricerca delle proprie origini. Obiettivo preminente dell'autore di 'Aḏrā' qaṣr al-šayḫ è quello di tracciare il vero quadro di quella che fu l'occupazione ottomana nel Monte Libano alla fine del XIX secolo. La maggior parte del romanzo si svolge in un villaggio del Monte Libano, in cui l'organizzazione politica è fondata sul divario sociale esistente tra la famiglia al-Ğūrī, a cui appartiene lo šayḫ -autorità politica e spirituale -e la famiglia al-Šmaysānī, composta da poveri contadini che lavorano per lui. Nel raccontare gli eventi, l'autore non esita a denunciare, oltre allo sfruttamento a cui i contadini erano sottoposti, la sudditanza dei governatori locali verso i Turchi all'epoca dell'occupazione e lo fa con particolare intensità visiva ed espressiva. Il romanzo è incentrato sulla storia di un giovane -l'io narrante -che s'imbatte per caso nei diari di un suo antenato di nome Naṣṣār, di cui nessuno gli aveva mai parlato. Dalla lettura dei diari, il protagonista scopre qualcosa di cui era completamente all'oscuro: il suo avo aveva origini turche. Di tutta la famiglia, solo suo nonno As'ad si mostra disposto a chiarirgli questo mistero e racconta al nipote l'antefatto della nascita di Naṣṣār, partendo dalla storia della madre di quest'ultimo, Maryam. Così, grazie a questi due espedienti letterari, i frammenti dei diari da un lato e i dialoghi con il nonno dall'altro, l'autore ci riporta al 1850, anno in cui Maryam, una bellissima ragazza libanese, sposata con Ğamīl al-Šmaysānī, viene brutalmente stuprata da due soldati turchi. Questo tragico evento cambierà definitivamente le sorti dei due giovani sposi, costretti a lasciare il loro villaggio, Tall al-Bāz, e ad emigrare -anzi a "sparire" -a causa dell'incapacità dello šayḫ al-Ğūrī di far valere le ragioni dei contadini di fronte al colonnello turco a capo dell'esercito di stanza nella zona. Lo šayḫ si sottomette alla scelta del colonnello di lasciare il crimine impunito, pur di mantenere il potere politico e i privilegi di cui gode. Maryam e Ğamīl lasciano dunque la loro casa per trasferirsi a Trebisonda, in Turchia, dove nasce Naṣṣār, il quale, crescendo, dimostra una forte somiglianza con uno dei due soldati turchi che avevano violentato la madre. Quando
Nacque a Bassora, nell'attuale Iraq meridionale. Ricevette la sua educazione a Bagdad. E' considerato il padre dell'ottica moderna. Trascorse la maggior parte della sua vita in Spagna, dove condusse ricerche di ottica, matematica e fisica. Studiò la rifrazione della luce attraverso l'aria e l'acqua, giungendo a scoprire le leggi della rifrazione. Arrivò molto vicino a scoprire le leggi delle lenti di ingrandimento. Il suo libro Kitab-al-Manazir tradotto in latino con "Opticae thesaurus" servì da base per le ricerche sull'ottica di Roger Bacon, Pole Witelo, Leonardo da Vinci e Keplero. Contraddisse la credenza che risaliva a Euclide e Tolomeo, secondo i quali la visione era dovuta a raggi emessi dall'occhio, affermando invece che i raggi visivi provenivano dagli oggetti. Contraddisse anche la introduzione dell'equante da parte di Tolomeo, però unicamente sulla base della violazione dei principi della fisica aristotelica. A lui sono attribuiti i primi esperimenti sull'uso della camera oscura. Scrisse più di duecento libri dei quali solo pochissimi sono sopravvissuti.
El Azufre Rojo, 2024
Critical Arabic edition of The book of knowledge of Ibn `Arabî, incorrectly called The book of questions, accompanied by an Italian translation.
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Averroè (Ibn Rušd), in: L’analogia dell’essere. Testi antichi e medievali, a cura di Giovanni Catapano, Cecilia Martini Bonadeo, Rita Salis, Padova University Press, Padova, 2020
Giorgio Agamben (ed.), "Angeli. Ebraismo, Cristianesimo, Islam"
Studia universitatis hereditati, znanstvena revija za raziskave in teorijo kulturne dediščine, 2019
International Research Journal of Islamic Civilization, 2021
Martini Bonadeo, Cecilia. ‘Abū Naṣr al-Fārābī’. In L’analogia dell’essere. Testi antichi e medievali, edited by Giovanni Catapano, Cecilia Martini Bonadeo, and Rita Salis, 83–101. Padova: Padova University Press, 2020.
Laura Bottini and Cristiana Baldazzi (eds.), Il mondo musulmano: Religione, storia, letteratura. Studi in memoria di Biancamaria Scarcia Amoretti, Rome: Istituto per l’Oriente C.A. Nallino, 2024
Studi medievali, 2009
in Giusto Traina (a c.), Storia d’Europa e del Mediterraneo, VII. Da Diocleziano a Giustiniano, Salerno Editrice, Roma 2010, pp. 387-424, 2010
in Arti suntuarie della collezione Gualino della Galleria Sabauda a cura di A.Bava, G. Careddu, F. Crivello, 2017