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2024, La Musa incatenata Prigionia e arte dall’antichità all’età contemporanea
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In 2019, a group of university students from the Scuola Normale (Pisa, Italy) was admitted to a theatre course held in an Italian jail and normally open only to inmates. Students and inmates worked together for some months to a production of William Shakespeare's "The Tempest". This paper tells their story.
"Strumenti critici", N. S., a. XXIII, fasc. 1 (n. 116), gennaio 2008, pp. 25-38, 2008
in "Strumenti critici", N. S., a. XXIII, fasc. 1 (n. 116), gennaio 2008, pp. 25-38] Nelle interviste che hanno accompagnato la pubblicazione de La tempesta -apparsa presso Einaudi nell'aprile del 1993 -e la "prima" dell'omonimo spettacolo trattone da Andrée Ruth Shammah -andato in scena nell'autunno dello stesso anno al Franco Parenti di Milano -Emilio Tadini ha fornito molte indicazioni illuminanti sulla genesi e sul "senso" del romanzo 1 . Il libro narra com'è noto, di un venditore di stracci dal nome shakespeariano, Prospero, che, abbandonato da moglie e figlia (fuggite lungo i sentieri delle filosofie orientali e della droga), deluso da religioni e utopie politiche di redenzione, si chiude nel suo villino alla periferia di Milano (la sua Isola…) e si dedica -dapprima in solitudine e poi con l'assistenza di un extracomunitario rifugiatosi nel suo magazzino (il Nero) -alla costruzione di una grande «macchina simbolica» o «macchina anestetica», fatta di poverissime cose trasfigurate dalla sua mente delirante, che dovrebbe risarcirlo delle offese e delle sofferenze che la vita gli ha inferto, dando un significato alla sua esistenza.
La fine del Rinascimento nelle letterature europee, a cura di A. Gargano, Pacini, Pisa 2016, pp. 225-250
La Tempesta andò in scena a corte nel 1611 – l’anno in cui Giacomo I fu costretto a sciogliere quel Parlamento cui nel 1609 aveva notificato che “i Re non sono soltanto i Luogotenenti di DIO sulla terra, e siedono sul trono di DIO, ma da DIO stesso sono chiamati Dei … giacché esercitano una sorta di potere Divino sulla terra”. Nel dibattito parlamentare dei mesi precedenti “tutti i temi su cui si sarebbe poi combattuta la Guerra Civile erano venuti allo scoperto” (McElwee). Il “cane blasfemo” del titolo è il Nostromo che nella scena iniziale sfida un Re a placare la tempesta con la sua “autorità”, dimostrando una sorta di potere divino sulle acque – altrimenti re e corte devono “togliersi dai piedi” e “ringraziare di essere vissuti tanto a lungo”. Poiché il miracolo non avviene, i rapporti del Re con Dio non appaiono suffragati da prove empiriche e la regalità per diritto divino è in procinto di affondare – come di fatto avverrà tre decenni dopo. Il “rozzo mago” è Prospero, che (a differenza del Re) non solo è in grado di placare la tempesta e “affondare il mare nella terra”, ma che alla fine del dramma dice di aver resuscitato i morti, aggiungendo: “but this rough magic I here abjure”. Se la sfida del Nostromo ha del blasfemo (il prodigio richiesto al Re è analogo a quello di Mosè) le parole di Prospero (che ricalcano quelle della strega Medea in Ovidio) non sono potenzialmente da meno. Se resuscitare i morti è una “rozza magia”, non saranno rozzi maghi, oltre che Prospero e Medea, tutti coloro che l’hanno fatto, a cominciare dal caso più celebre in assoluto – Cristo? Che “Cristo non è un Dio ma solo un mago, uno stregone, un impostore” che “riuscì a compiere i miracoli a lui attribuiti in forza di arti magiche”, lo aveva scritto nel secondo secolo Celso, aggiungendo: “non è un’infamia considerare, sulla base delle stesse azioni, uno Dio, gli altri stregoni?” L’argomento diventa topico in quella cultura “libertina” che nel secolo XVII, fondendo la tradizione averroistica col machiavellismo e lo scetticismo, giunge a una totale (anche se dissimulata) demistificazione della monarchia per diritto divino, spianando la via all’illuminismo radicale. E in quella cultura, appunto, i fondatori delle religioni sono dei conoscitori della natura che, spacciando per miracoli le loro magie, assoggettano i popoli dei primordi. Il mago Prospero, che con la sua “Arte” può resuscitare i morti e affondare il mare nella terra, fornisce prestazioni analoghe a quelle sia di Cristo che di quel Mosè “allevato in tutte le arti degli Egiziani”, cui secondo Marlowe “fu cosa facile abusare degli Ebrei, che erano un popolo rozzo & grossolano”. Se nella scena iniziale, crudamente naturalistica, la monarchia è sull’orlo del naufragio, alla fine, dopo molti incantesimi, l’ordine è ristabilito – perfino il Nostromo bestemmiatore è convinto che delle potenze divine abbiano provveduto alla salvezza della nave e del Re. Ma ciò vale solo per i personaggi sulla scena, cui Ariele risulta invisibile, e che dunque non possono che interpretare come “miracoli” soprannaturali la serie di “tricks” commissionatigli da Prospero. Ma lo spettatore, se non cede a un’anti-brechtiana Einfühlung, non può che constatare che non di miracoli si tratta, ma, appunto, di trucchi. Secondo Machiavelli, caldamente approvato da Bacone, quando un “corpo misto” (sia esso una “sètta” o un “regno”) dà segni di imminente rovina, l’unico modo per farlo sopravvivere è la “riduzione ai princìpi” – e cioè la riproduzione di quegli eventi straordinari che ne hanno permesso la fondazione. La teoria verrà sviluppata da Naudé nelle Considérations politiques sur les coups d'Etat. Questi coups sono quelli con cui il principe riesce a conservare il declinante potere del suo Stato, e Naudé è persuaso che “è giusto ed anzi necessario ritenere che ciò che è servito alla fondazione degli Stati serve anche alla loro conservazione”. Louis Marin, commentando questa “teoria barocca dell’azione politica”, osserva che il colpo di stato del principe “rappresenta” e “ri-presenta” quei “fatti meravigliosi” che hanno costituito in passato il fondamento della sua forza – essi sono una “apocalisse della sua origine”. Nella Tempesta la monarchia iure divino viene ristabilita grazie a una serie di prodigi, alcuni dei quali ricordano i miracoli fondativi di quella “sètta” giudaico-cristiana che nel secolo XVII continuava ad essere il fondamento delle monarchie. Il dramma può così sortire effetti divergenti. Se lo spettatore si identifica simpateticamente senza residui con ciò che avviene sulla scena, il prodigio della riduzione ai princìpi funzionerà anche per lui. Altrimenti quelli con cui Prospero “infetta la mente” dei personaggi in scena, manipolandoli a suo piacimento, si rivelano non dei miracoli, ma dei trucchi, che a loro volta assomigliano a trucchi più antichi. Di fronte alla rozza magia di Prospero lo spettatore è libero di lasciarsi incantare, come i “rozzi” Ebrei di cui un tempo, secondo Marlowe ed altri, “abusò” Mosè. Ma per gli stessi motivi può anche iniziare a se désabuser – in tal modo il teatro inglese batte un percorso davvero “inedito” che lo porta a oltrepassare sia il Rinascimento che il Barocco…
in S. Chiodo-P. Valore (a cura di), Questioni di metafisica contemporanea, Il Castoro, Milano 2007, pp. 80-112
1. Non siamo angeli. Certo, se parlassimo la lingua angelica sperimentata e poi ampiamente descritta da Swedenborg a metà Settecento (De coelo et inferno ex auditis et visis, Londra 1758), non staremmo qui a interrogarci sul rapporto tra esperienza e giudizio, perché pare che tale lingua corrisponda in tutto e per tutto, e con la medesima spontaneità del respiro, al pensiero e alla sua causa, ossia all'affetto di chi vi si esprime (Swedenborg 1758: §236). Se parlassimo questa lingua, d'altronde, non saremmo qui anche per altre ragioni, anzitutto perché la sua perfezionee trasparenza espressiva ci impedirebbe pure alcune delle sottigliezze indispensabili alla vita reale, a partire dalla menzogna (ivi: §237) per venire a qualsiasi affetto non proprio commendevole, essendo, a ben vedere, l'amore la sola e, si potrebbe dire, montona affezione interiore degli angeli. Risparmieremmo, dunque, senz'altro tempo e spazio, potendo con poche parole e in pochi minuti esprimere discorsi lunghi ore e scritti di molte pagine, e potremmo fare a meno del vocabolario, essendo tale lingua uguale per tutti, eccezion fatta per il diverso grado di profondità affettivo-mentale. Per tacere, poi, di altri e non indifferenti vantaggi, come quello di spostarsi non nello spazio ma unicamente «attraverso dei cambiamenti dello stato interiore» (ivi: §192). Ma non staremmo qui, in definitiva, neppure se parlassimo la lingua infernale, perché, pur se con segno opposto (affezioni malvage e idee impure), tale lingua si fonda secondo Swedenborg sulla medesima coincidenza tra suono e stato affettivo-mentale. E dunque accontentiamoci: la discrasia evocata dal titolo stesso del nostro incontro, se segnala a Swedenborg immancabilmente la nostra condizione non angelica, neppure ci consegna del tutto a quella infernale.
Il presente lavoro è nato dall'esperienza estremamente significativa e potente avvenuta visitando la mostra di Tacita Dean proposta dalla Fondazione Trussardi di Milano nel mese di Giugno 2009, a cura di Massimiliano Gioni.
Il volume dal titolo “Quale esperienza per la filosofia della religione?” inaugura la rivista Fogli Campostrini, nata principalmente per raccogliere i frutti dei lavori della Fondazione Centro Studi Campostrini di Verona e delle attività scientifiche del suo Centro Studi del Fenomeno Religioso. Uno dei settori di ricerca del Centro Studi è quello di “filosofia della religione”, e in effetti questo volume testimonia un risultato scientifico importante legato al primo progetto di ricerca del Centro Studi del Fenomeno Religioso proprio in filosofia della religione, a me affidato, dal titolo “Esperienza e filosofia della religione a partire da Jean Héring”. Questo progetto ha avuto come primo esito la pubblicazione di Fenomenologia e religione (Edizioni Fondazione Centro Studi Campostrini, Verona 2010), traduzione del libro di Jean Héring del 1925 Phénoménologie et philosophie religieuse, con un mio lungo saggio introduttivo e la prefazione di Roberta De Monticelli. Nonostante il Centro Studi privilegi la produzione di monografie originali, si è voluto cominciare con la traduzione di questo libro perché la proposta filosofico-religiosa di Héring appare ancora oggi di enorme interesse, sia dal punto di vista metodologico sia dal punto di vista teorico. Oltre a quanti hanno contribuito a questo volume, è bene menzionare quanti per ragioni varie non sono qui presenti con uno scritto, ma hanno certamente dato un apporto significativo durante l’incontro seminariale da cui proviene questa pubblicazione: Andrea Aguti, Emilio Baccarini, Stefano Bancalari, Adriano Fabris, Francesco Ghia, Marco Grosso, Giovanni Salmeri.
Translating literature means translating voices. To construct their narrative all authors use a certain number of different attitudes towards language that involve lexis, syntax and rhythm. This happens not only for the mimetic construction of characters and in the particular case of the narrator, but also for the inner structuring of the text. The sum of all these attitudes forms what we call the voice of the author. Authors use different methods, conscious and unconscious, to construct their voices. What kind of techniques, tools and tricks does a translator use in order to recognize and recreate the different voices in a book? Is he/she justified in using his/her own personal memories, unconscious mind, idiolect and family sayings in approaching this task? In http//:rivistatradurre.it http://tinyurl.com/oobnf2l
Ma prima di scendere da Roccamonfina a Conca della Campania (d'ora in poi semplicemente Conca) ho preso qualche informazione.
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“Oltreconfine” (Società Filosofica Feronia), 2005, pp. 12-17
S. Bartocci, G.M. Biddau, L. Cabras, A. Dessì, L. Pujia (a cura di), TRANSIZIONI L’avvenire della didattica e della ricerca per il progetto di architettura, ProArch Società scientifica nazionale del progetto , 2022
Il giornale dell'architettura, 2024
Sinestesie, XXI (2021), n. speciale "Ritratto/i di Sanguineti", a c. di C. Allasia, L. Resio, E. Risso, C. Tavella, pp. 73-86
Italianistica Debreceniensis, 2020
Université Grenoble Alpes ; Università degli studi (Palerme, Italie), 2019
Studi Novecenteschi, 2012
SSRN Electronic Journal, 2000
Comunicazioni Sociali On-line, 2011