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2019
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2012
The article discusses some aspects of the Italian debate about the writings of Jean Paul Sartre and Martin Heidegger on the relation- ship between humanism and existentialism, in particular in reference to some texts by Eugenio Garin, Ernesto Grassi and Antonio Banfi. The paper proposes to investigate how the judgment of historiogra- phy in Italy on humanistic philosophy has developed on the basis of the need to formulate a new and different judgment on the Moderni- ty, aware that the distance between “historic” humanism (Renais- sance and after the Renaissance) and “theoretical” humanisms could not coincide with the distinction between speculative and philologi- cal positions, but that it was on the contrary, in both cases, an elabo- ration of new conceptions of human and history.
G. Belgioioso, Storia della filosofia moderna, hanno collaborato S. Agostini, C. Catalano e F. Giuliano, Le Monnier Università, 2018, pp. 1-71, 2018
Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-00-74775-2 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i micro lm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall'art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le fotocopie effettuate per nalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di speci ca autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze
Protti M., Salamone N., (a cura di), Prima modernità. Tra teoria e storia, Mimesis, Milano, Scienza e società moderna si sono intessute in una matassa comune difficile da districare. Quanto ha contribuito la scienza allo sviluppo della società moderna e quanto la società moderna allo sviluppo della scienza? A tal punto esse si sono compenetrate che la scienza è presa spesso come sinonimo di modernità, in quanto determinante per la razionalizzazione, il disincanto del mondo, la trasformazione della natura e artificializzazione crescente della vita quotidiana. Lo stesso << uomo di scienza >> è stato a lungo visto come campione dell'<<uomo moderno >>, depositario del sapere esperto necessario alla modernizzazione circondato da cittadini analfabeti o totalmente inesperti. L'immagine di sfondo è stata, dunque, quella di un'elite privilegiata, almeno in termini di conoscenza e capitale simbolico, arroccata in una torre d'avorio, attorno alla quale circola, di volta in volta, un pubblico in preda allo stupore oppure un'orda minacciosa. In effetti, nell'opinione pubblica, la conoscenza scientifica viene spesso riguardata con reverenza o sospetto, e non di rado con un atteggiamento che tradisce entrambi gli stati d'animo. Il Novecento ha, però, segnato la insostenibilità di questa visione, per realistica o illusoria che sia stata lungo i secoli precedenti. Una sindrome sembra essersi impadronita della modernità a metà del secolo scorso, a seguito del terrore sparso dai gas prodotti dai chimici, della barbarie scoppiata nel paese che per primo aveva sconfitto l'analfabetismo e che tanti ingegni aveva dato alla scienza (e alla cultura più in generale), del cataclisma generato dai fisici della materia. Questa che possiamo denominare, in breve, sindrome Hiroshima ha segnato un cambio di passo nella storia della scienza non meno che della società. Ma la visione che ancor oggi regge la scienza è riconducibile a un mito positivistico, confessato o, più spesso, inconfessato: quello di una conoscenza assoluta. Ed esso è condiviso tanto da positivisti quanto da antipositivisti: i primi, per accordarglielo in via di principio, facendo salire la scienza su uno scranno irrealistico; i secondi, per negarglielo in via di fatto, detronizzandola tout-court al rango di uno dei tanti saperi sociali da mediare politicamente, su indefinite basi epistemologiche. Gli uni, in nome di un primato assoluto della Ragione astratta, vedono lo scienziato come attore razionale disincarnato, disinteressato, emotivamente neutro, dedito alla raccolta di fatti che "parlano da soli" attraverso numeri che rispecchiano oggettivamente la realtà senza contaminazione di soggettività, e la cui razionalità olimpica sarebbe tale da consentirgli, in congiunzione con un metodo rigoroso, di giungere alla Verità. Anche se nessuno può negare, magari sottovoce, che taluni suoi comportamenti opportunistici possano farlo deviare, di quando in quando, da questo ideale. La sociologia della scienza possibile, dunque, sarebbe una mera sociologia descrittiva di quell'errore generato dall'incursione indebita della soggettività (ove si intende questa, evidentemente, in termini poco investigabili, astratti), perché si ritiene che la Verità s'imponga da sé nelle argomentazioni razionali. E proprio qui Merton (pur con una idea di scienza filosoficamente non ben chiara) puntò la sua critica con l'idea di lanciare una nuova scienza della scienza. Gli altri, al contrario, in nome di un primato supremo della politica (intesa come mera contesa per il potere per il potere in un gioco a somma zero) sulla conoscenza (tutto sommato niente più che un mero gioco linguistico), puntano il dito su queste deviazioni dalla Razionalità per disarcionare la scienza dal trono della cultura proclamandola, come riscontrava anche Mills, << come un messia falso e sbruffone, o perlomeno come un elemento molto ambiguo della civiltà moderna >> 1 . La sociologia della conoscenza, allora, diviene impossibile, perché nel mondo dei soggetti non può esserci regolarità riscontrabile e predicibile ex-ante (nomologico), ma solo comprensione ex-post del "caso unico" (idiografico).
2018
In «Ammaestramenti dei Moderni» il non ancora quarantenne protagonista della Scapigliatura piemontese, che ha già pubblicato notevoli resoconti di viaggio («A Vienna. Gita con il lapis», 1874; «Un viaggio a Roma senza vedere il Papa», 1880; «Roma borghese. Assaggiature», 1882), cronache parlamentari («Salita a Montecitorio», 5 voll., 1882-1884), bozzetti e racconti («Il male dell’arte», 1874; «Figurine», 1875; «Rovine. Degna di morire. La laurea dell’amore», 1879; «Una Serenata ai Morti», 1884), dispone una costellazione di sentenze collegate da una serie di essenziali commenti d’autore, che illuminano le linee del suo pensiero e le più intime ragioni delle sapienti spigolature letterarie compiute tra classici e moderni. L’opera, che riprende e innova il genere degli «ammaestramenti degli antichi», collocandosi in un solco ottocentesco percorso da nuove, più inquiete intenzioni e sollecitazioni pedagogiche e civili, non è soltanto una raccolta di istruttive e talora bizzarre moralità, ma, fondamentalmente, il punto d’approdo di un ininterrotto dialogo dello scrittore con se stesso a specchio delle pagine di «antiche e care conoscenze», rispetto alle quali la voce di Faldella funge da originale, inconfondibile contrappunto.
Presentazione dei saggi inediti di C. Lévi-Strauss "Lezioni Giapponesi" (Rubbettino), curato da L. Scillitani
Itinera, 2010
Nei secoli successivi alla scoperta dell'America gli intellettuali europei si impegnarono in un complesso dibattito riguardante la natura dei popoli recentemente scoperti e l'ammissibilità della conquista. Nella riflessione di Montaigne, a fronte di una critica serrata della civiltà europea, il nuovo mondo diventa il paradigma di un'umanità diversa e nella quale forse si può ancora sperare, ma l'atteggiamento prevalente fra '500 e '700 risultò piuttosto caratterizzato da chiusura e incomprensione e si tradusse nell'elaborazione di fantasiose leggende che dessero conto dell'origine e della diffusione degli indios. Se per Lévi-Strauss ciò può essere ricondotto al senso di profondo smarrimento che colse gli occidentali trovatisi di fronte ai popoli nudi, per Gliozzi le diverse proposte teoriche avrebbero piuttosto rappresentato la copertura ideologica della conquista armata e dell'apparato coloniale, ingrediente determinante nell'affermazione del nuovo sistema di produzione borghese.
" L'avvento della modernità introduce la riduzione dello spazio a tempo di percorrenza. In vista di tale riduzione la misurazione, rettilinearizzazione e bonifica si presentano come agenti della stessa funzione, l'avvento di un'unica sintassi territoriale, quella della tabula rasa di cui la ferrovia e le autostrade segnano il compimento " .
2003
Occupandomi ormai da vari anni quasi solo di lingua antica, mi è sembrato che una maniera interessante per contribuire a questo congresso, dedicato al Novecento, fosse quella di ricercare alcuni tratti che caratterizzano l'italiano moderno rispetto alle fasi precedenti della sua storia, tratti che costituiscono quindi, in un certo senso, la sua "modernità". Si tratta dunque di un'accezione un po' ristretta del termine: la modernità è definita qui contrastivamente (rispetto a quello che in qualche modo è "antico"), e con l'ulteriore limitazione che il termine di confronto è l'italiano delle origini, cioè il fiorentino del Duecento e dei primi del Trecento. I fatti su cui si baserà questa breve esposizione provengono infatti dalle ricerche del progetto Italant. Per una grammatica dell'italiano antico, ideato da Lorenzo Renzi. Scopo del progetto, a cui partecipo come co-direttore, è quello di fornire una grammatica sincronica del fiorentino delle origini, più o meno sul modello della Grande Grammatica Italiana di Consultazione. 1 Le strutture descritte in queste due opere offrono una buona base per un confronto tra i due stati di lingua e per definire quindi alcuni aspetti in cui l'italiano moderno si è allontanato dalla sua forma originaria. Il confronto riguarda due stati di lingua separati da circa 700 anni e per questo non avremo modo di stabilire quando l'italiano ha abbandonato, per una data costruzione, la fase antica ed è diventato "moderno"-può quindi darsi (è anzi probabile) che le caratte-23
L'incontro dell'induismo con la modernità è cominciato con il colonialismo occidentale e con l'arrivo dei missionari cristiani dall'Europa. Per mezzo dei colonizzatori europei, come portoghesi, olandesi, danesi, francesi e britannici, si diffusero in India le nuove idee che caratterizzano l'epoca moderna. I missionari hanno presentato il cristianesimo come religione superiore e come strumento di emancipazione della gente da una condizione di arretratezza morale e sociale. La dottrina sociale della Chiesa fondata sul principio dell'uguaglianza appariva, a prima vista, in netto contrasto con la struttura rigorosamente gerarchica delle caste indù. L'incontro con la cultura moderna e con la religione cristiana esercitò la sua influenza anche sull'opera di personaggi importanti dell'India. 1 L'Induismo nella sua lunga storia millenaria ha sempre dimostrato di essere una religione assai flessibile. Diverse sono state le sfide interne ed esterne che ha dovuto affrontare lungo i secoli e, di conseguenza, è stato costretto a fare di tanto in tanto vari cambiamenti culturali, dottrinali e strutturali. 2 Ma si deve notare che mai l'induismo ha completamente abbandonato il suo passato. Ogni volta che l'induismo è andato incontro a gravi sfide, dopo un certo periodo di confusione e di smarrimento, ha mostrato sufficiente creatività e dinamismo non solo per superare ma anche per arricchirsi di nuove esperienze. 3
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Sonia et Massimo Cirulli, Lo stile italiano. Arte e design (314–317). Cinisello Balsamo: Silvana Editoriale, 2011
Between Vol 3, N° 6 (2013)
Quaderns d'italià, 2017
EXILIUM Revista de Estudos da Contemporaneidade
Im@go. A Journal of the Social Imaginary, 2019
La funzione Joyce nel romanzo italiano (ISBN 9788855266239), 2022
Le carte "poetiche" di Egidio Mengacci, ed. G. De Santi, Fermenti edritrice, 2014