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• La politica è l'attività umana relativa al prendere decisioni pubbliche imperative. E' l'attività di acquisizione del potere di prendere tali decisioni e di esercitarlo. E' il conflitto o la competizione per il potere e il suo utilizzo. • Chi decide e che cosa e come è importante per la vita delle società.
Intermundia, 2018
Stralcio di alcuni capitoli centrali del racconto dark fantasy Intermundia Capitolo nono Continuavano ad essere i primi giorni di aprile, quelli in cui la primavera regala qualche sprazzo di caldo lungo le vetrate della classe, incuneandosi nella nebbia testicolare dello sguardo degli studenti sedicenni sino a regalare loro un timido barlume intellettivo negli occhi. Non si era ancora saputo nulla dell'uccisione di Sergio e Milena, e la città, nonostante il fremito macabro e malsano che simili eventi portano, era tutto sommato tranquilla. Con senso pratico proprio delle popolazioni rurali, gli acquesi continuavano a commerciare, frodare, vendere e sputtanarsi l'un l'altro come se nulla fosse accaduto, come se in un consesso di persone civili morire sventrati fosse una cosa normale. Solo qualche esaltato richiedeva la costituzione di ronde di cittadini perbene, armati di spranghe e pistole, ma l'esperimento, iniziato giorni prima in un solo quartiere, venne ben presto esteso ed altrettanto celermente abbandonato. I posticipi, gli anticipi e la coppa, dico, dove li mettiamo? Ero a scuola, tentando di riprendere le fila d'una normalità gravemente violata dagli avvenimenti di quei giorni, e dal week end trascorso coi due impiegati comunali. Lezione di storia. Tra le chiappe ed i seni che occupavano il salterio masturbatorio dei ragazzi, cercavo di incuneare in loro qualche briciola di interesse e curiosità per la repubblica di Weimar o per le ragioni dei popoli colonizzati. Le ultime ore erano un inferno, fatto di sbadigli, di risate trattenute a stento, di ammiccamenti. Cristina, la secchiona della classe, prendeva appunti su appunti, cercando al contempo di grattarsi con la penna il mento e la punta del naso. Io, d'altro canto, non aspettavo altro che il suono della campanella per prendere i miei libri e lasciare al loro destino quella classe di masticaimmagini cresciuta a colpi di brioches del mulino bianco e series americani. Ma cosa poteva importare a Righi o al Melani delle ragioni sociali che determinarono l'ascesa del terzo stato in Francia, quando loro due, figli di operai e di piccoli bottegai, avevano i desideri e gli interessi del Norese o del Nesi, figli di brokers entrambi? A loro cosa importava della geopolitica determinata dalla Fruits of the Loom, a colpi di golpe e desaparecidos,
Con la salita al trono del figlio di Giacomo I, Carlo I Stuart, ebbe inizio una dei periodi più
Confesso che ho esitato. Ho esitato prima di prender tavolette e stilo per metter giù righe sulla storia della mia vita. Per due motivi. Il primo è che ho vissuto in penombra. Non fraintendetemi: certamente ho vissuto nello splendore della vita mondana del mio tempo nella buona società di Roma. Ho conosciuto uomini potenti e frequentatoe come ho frequentato !-matrone libere e influenti, ma mi sono tenutoero prima di tutto un poeta-a mio modo nell'ombra, discosto dalla vita pubblica e dai grandi eventi che hanno segnato i miei anni. Il secondo motivo è che preferisco che parlino i miei Carmi: da loro deve trasparire la mia vita, che, come ho appena detto, è "solo" la vita di un giovane poeta. È da lì che si deve capire chi ero, quali erano le mie abitudini, i miei sentimenti, le mie passioni, amori e odi. I versi parlano chiaro se si riesce a guardare alla loro superficie e, contemporaneamente, a quello che sta celato sullo sfondo. Prendete, ad esempio, il Carme 16 nel quale me la prendo duramente con Aurelio e Furio che mi criticano per le mollezze e le impudicizie che vogliono vedere nella mia opera letteraria. Si permettono di giudicarmi "poco casto"! Loro non capiscono che così confondono malamente l'opera con la persona dell'autore. Non vedono che l'opera può essere "impudica", ma l'autore può essere "pio". Deve essere pio. Posso dire che lo sono stato, non solo nel senso di un'adesione convinta a un mio codice morale, ma soprattutto come devoto al dio del rigore poetico. In modo quasi ascetico ho cercato la bella lingua e il nitore formale, quello che ha dato "spirito e grazia" ai miei versetti, anche se "molliculi". Ma non perdiamoci. Sono nato a Verona nell'84 a C. (per usare il calendario di voi posteri) dalla famiglia benestante dei Valeri. Mi piace far notare che il cognome, o soprannome,"Catulus" è un diminutivo che significa cagnolino o cucciolo. Non so se il fatto di essere chiamato con un diminutivo ha influenzato la mia poesia. Magari, in modo inconsapevole, l'uso relativamente frequente dei diminutivi (versiculi, molliculi, amiculi, Catulline, ecc.) deriva anche da quello. Né so se il fatto di essere "cucciolo" mi ha portato ad amare perdutamente una donna più grande di me. Ma di questo tema scivoloso vorrei parlare più avanti. Il prenome già lo sapete: Gaio, e pure il nome gentilizio: Valerio. Ma presto son diventato "Catullo" e basta, tutti così mi chiamavano e, a quanto pare, così resto noto. Son nato a Verona, dicevo. Mio padre aveva contribuito a fondare, nella Gallia cisalpina, la colonia chiamata Verona dove ho passato la mia infanzia e l'adolescenza, e a quella città di provincia il mio cuore è rimasto legato. Nel carme 17 la cito e nel 35 prego l'amico Cecilio di venirmi a trovare proprio a casa mia, a Verona. Molti mezzi aveva mio padre, tanto che possedeva una bella villa sul Lago di Garda a Sirmione, la mia perla, diventata poi per me luogo del cuore, tanto da dedicarle il carme 31. Nei beni di famiglia non c'era solo la villa di Sirmione, ma anche il podere Tiburtino di Tivoli, altro luogo che ho amato e cantato nel carme 44. Nelle mie poesie della famiglia non parlo, cito solo il mio povero fratello morto nel fiore degli anni lontano da casa. A lui dedico, commosso, il carme 101. Continuo a far salti in questa mia memoria: riparto dall'inizio. È probabile che io sia nato nell'84, ma non è del tutto certo: qualcuno parla dell'87 e afferma, convinto, che sono vissuto trent'anni, quindi sarei morto nel 57. Posso, però, sommessamente dire che ho vissuto un po' oltre quella data, credetemi, perché nei miei carmi faccio cenno a episodi successi dopo il 57, quindi mi permetto di confermare (sono il diretto interessato!) le date 84 / 54. Fin da ragazzino ho respirato l'aria del potere, tenendomene discretamente lontano. Brutti tempi erano quelli. Avevo undici anni quando scoppiò la rivolta di Spartaco, a capo di gladiatori, di schiavi, di contadini, di pastori. Fu sedata da Marco Licinio Crasso, e dappertutto si raccontava dei seimila crocefissi sulla via Appia fra Capua e Roma. Sulla mia famiglia d'origine, come detto, non mi dilungo. È noto che mio padre ospitò, nella villa di Verona, Quinto Metello Celere e Giulio Cesare, ai tempi del loro proconsolato in Gallia. Poi tutta la mia vita è continuata nel tempo di Giulio Cesare. Non ho amato quell'uomo, per la sua arroganza, per il suo opportunismo, per la sua spregiudicatezza, per la sua sete di potere e, non ultimo, per il suo affarismo. Sarò più preciso: ho assistito a una buona parte della sua ascesa politica, fino al triunvirato con Crasso e Pompeo. Ho vissuto, dicevo, tempi tumultuosi e caotici per Roma: ogni ambizione era lecita, per il potere non si esitava a ricorrere alla corruzione e alla violenza. Senatori ed equites erano chiusi in cerchie ristrette. Una volta tanto ha detto bene Cicerone: " Ad essi i benefici del popolo romano toccavano persino quando erano immersi nel sonno". Di qui le proscrizioni e la dittatura di Silla, la rivolta di Spartaco, la congiura di Catilina, il primo 6 triunviratocome ho già detto-, il populismo di Clodio Pulcro (lui, il fratello della mia Clodia, della mia Lesbia), l'esilio e il ritorno di Cicerone, il convegno di Lucca fra Cesare, Crasso e Pompeo e la messa in mora dei poteri legittimi perché i triunviri in ogni momento potevano volgersi contro Roma con le loro legioni. Queste cose le ho viste, talora le ho giudicate anche nei miei Carmi, ma ad esse non ho partecipato, non mi sono buttato nella vita politica. Non era nelle mie corde, non mi interessava il potere: mi sentivo chiamato ad altro, ispirato dalla poesia alessandrina ed ellenistica mi sentivo portato verso quel rigore formale delle lettere che fosse capace di far risuonare i sentimenti individuali dell'uomo. A Verona ho avuto buoni maestri, si vocifera che tra questi ci fosse Valerio Catone, che poi è stato considerato il caposcuola di noi "nuovi poeti". Questo dato non confermo e non disdico, la verità sui miei precettori e maestri la tengo per me. Di sicuro ben presto la vita di provincia mi è andata stretta: mi sentivo irresistibilmente attratto dal luccichio, dallo splendore e dalla cultura della capitale. Coi mezzi della mia famiglia potevo permettermelo. E così ben prima dei venti anni mi sono trasferito a Roma per completare gli studi e per le lusinghe dalla sua vita larga e dolce. Nella capitale ho ben presto conosciuto la Roma che conta: personaggi come Quinto Ortensio Ortalo, uomo raffinato ed elegante, oratore e console, ma, diciamola tutta, poeta modesto. Poi Gaio Memmio che fu propretore in Bitinia e che io là ho seguito nel 57-56 assieme al mio amico poeta Cinna. Nel carme 10 accenno a quella brutta esperienza con colui che ho chiamato "praetor irrumator", diciamo, educatamente, "pretore sporcaccione". Speravo di ricavare fortuna da quell'esperienza in Bitinia, invece poco o niente. L'unico sollievo è stato quello di poter cogliere l'occasione per una visita alla tomba di mio fratello che là nella Troade giace e che compiango, lo ripeto, nel carme 101, uno dei miei più intimi e dolenti. A quello stesso Memmio sporcaccione faccio riferimento nel carme 28 dove, tra l'altro, spiego che, a tradimento, me l'ha placidamente messo in quel posto. Diverso è stato il rapporto con Cornelio Nepote, grande uomo e storico valente. Proprio a lui ho dedicato il mio libro, il mio lepidus libellus. Con Asinio Pollione il Marrucino ho avuto da dire. Uomo d'armi e politico alleato di Cesare, poi di Marco Antonio nonché proconsole: personaggio di peso, insomma. Ma io l'ho immortalato in modo un po' caricaturale nel carme 12 dove lo svergogno come ladro dei miei fazzoletti preziosi. Posso tranquillamente ribadire che a Roma ho conosciuto e sfiorato il potere, quello vero, ma senza trarne benefici personali e senza compromettermi, tanto da poter mantenere giudizio libero e occhio critico. Era una città piena di usurai, di pubblicani cui era affidato l'appalto delle esazioni di tasse e tributi, di affaristi, i mercatores, che finanziavano le antiche famiglie senatorie con somme sempre più ingenti per mantenere il loro status e le loro clientele. E, sotto, la plebaglia, i diseredati, i piccoli proprietari di campagna in rovina. Lo ripeto: di Giulio Cesare non ho mai avuto una buona opinione. Lo consideravo immorale e non l'ho nascosto. Nel carme 83 dichiaro la mia indifferenza per lui. Nel carme 57 lo dico forte e chiaro, senza peli sulla lingua. Anche con Cicerone ho avuto un rapporto non idilliaco: lui non mi apprezzava, ma l'ho ricambiato con la stessa moneta. Vedere, per credere, il carme 49. (Abbia pazienza chi leggerà questa mia breve autobiografia se cito spesso i miei carmi, ma bisogna capire che io sono la mia poesia). Su Mamurra, gran pallone gonfiato, non voglio dilungarmi troppo. Ha seguito Cesare nella campagna di Gallia come prefetto del genio e là, rubando, (Cesare chiudeva un occhio o forse tutti e due) si è arricchito mostruosamente, tanto da costruirsi una domus tutta marmi pregiati. Lui e Cesare se la intendevano non solo sul campo di battaglia, ma, dicono, e io lo ridico, anche a letto. Li bollo entrambi come depravati e lo metto fuor di metafora nel carme 57. Poi quel gran minchionesempre Mamurraè andato a gambe per aria e io lo definisco "quel fallito di Formia". Tra l'altro aveva un'amante, Ammiana, bruttina e col nasone, e dai costumi non proprio morigerati, con la quale spesso me la sono presa. Molto ho maltrattato nei miei versi Mamurra e Cesare, ma quest'ultimo ha fatto il magnanimo e mi ha concesso le attenuanti dell'irruenza giovanile. Io dapprima ho respinto i tentativi di riappacificazione, in orgoglioso disprezzo dei potenti. Più tardi mi sono un po' pentito di tutti questi vituperi e ho sentito il bisogno di scusarmi con lui. Cesare, ancora magnanimo, in quell'occasione mi trattenne a cena e tornò a frequentare la casa di mio padre. Capite bene che a Roma non ho praticato solo uomini potenti, ma anche...
2024
Quello che sarà il filo rosso della mia ricostruzione del titolo V, alla luce degli editoriali di Beniamino Caravita, è il forte convincimento dell’utilità di un federalizing process, sia a livello interno che europeo, ma con caratteristiche diverse sui due piani. Proprio considerando questi aspetti, tenendo conto dell’impossibilità di tornare indietro ad un centralismo (o sovranismo nei rapporti con l’UE), si può cercare di dare unità alle tematiche trattate, non limitandosi a descrivere come queste sono state analizzate, ma come obiettivi per il presente e per il futuro. Tale analisi consente, in altre parole, di fare il punto sullo stato di at- tuazione del titolo V, di come ha operato in questi anni e dove si sta indiriz- zando, anche con riguardo al regionalismo differenziato, da cui non si può prescindere, oggi, in una ricostruzione del tema regionale.
2016
Il saggio accompagna e commenta il testo di Ferenczi e Rank, "Traiettorie di sviluppo della psicoanalisi", ricostruendo la sua genesi e l'intricata relazione triangolare tra Freud e i suoi due autori
Riassunto manuale storia moderna , 2019
L'inglese Malthus diede voce col suo "saggio sul principio di popolazione" a una diffusa preoccupazione per lo squilibrio tra popolazione e risorse alimentari. Tale squilibrio nasce, secondo lui dal fatto che la popolazione se non la si controlla cresce in progressione geometrica. A frenare l'aumento incontrollato della popolazione intervengono quelli che lui chiama "freni repressivi"= carestia, epidemia, guerre. L'unica alternativa a questi periodici salassi e' l'adozione di "freni preventivi"= limitazione cosciente dei matrimoni e quindi della fecondità che deve naturalmente riguardare la parte piu' povera della societa'. Altra miniera di dati e' rappresentata dalle fonti ecclesiastiche, distinguibili in fonti relative allo stato= stati delle anime, elenchi degli abitanti di una parrocchia e in fonti relative al movimento della popolazione. I registri parrocchiali sono diventati fonte importante per lo studio della popolazione a partire dagli anni 50 del 20 secolo, quando dai demografi francesi viene elaborato un metodo di spoglio noto come "ricostruzione nominativa delle famiglie". Le famiglie "chiuse"= sono note sia la data di inizio osservazione sia la data di fine osservazione, sia infine le date di nascita di tutti i figli, sono sempre una minoranza del totale delle schede matrimoniali e nulla ci assicura che il comportamento demografico delle prime sia uguale a quello delle famiglie scomparse; ecco perche' I demografi hanno elaborato tecniche diverse basate sui grani aggregati-> tra queste, abbiamo la costruzione di piramidi d'eta'. Altro procedimento e' la costruzione di tavole di mortalita' che si applicano a schiere di nati in uno stesso anno. 2. LA POPOLAZIONE EUROPEA NELL'ETA' MODERNA Dal 400 all'800 abbiamo stime attendibili della popolazione mondiale divisa per continenti-> molto piu' della meta' della popolazione mondiale viveva nel continente asiatico e le cifre evidenziano la catastrofe che colpi' il continente americano con l'avvio della colonizzazione europea. La popolazione euroepa cresce allo stesso ritmo di quella asiatica tra 1400 e 1800. Si delineano 3 fasi per quanto riguarda il nostro continente: 1. Una crescita demografica generale e continua tra 400 e 600. 2. 1348-1349 3. Tendenza espansiva nel 700 che si prolunga nel 19 secolo. Nell'eta' moderna erano sconosciute le pratiche contraccettive che cominciarono a diffondersi nel 700 a partire dalla Francia. In queste condizioni, che I demografia chiamano fecondità naturale, ci aspetteremmo che ogni coppia di coniugi mettesse al mondo molti figli, ma cio' non avveniva per 3 ragioni: 1. In gran parte dell'Europa le donne si sposavano tardi 2. Gli intervalli tra i parti tendevano ad allungarsi 3. Un matrimonio non durava piu' di 12/15 anni Questo numero sarebbe bastato a garantire un raddoppio della popolazione , se non fosse intervenuta la mortalita' infantile e giovanile a dimezzare la prole. 4. LA STORIA DELLA FAMIGLIA Classificazione elaborata dal gruppo di cambridge (diretto da laslett) per lo studio della popolazione, che ha distinto 5 tipi di aggregati: 1. La famiglia detta nucleare= composta da 2 coniugi e dai loro eventuali figli 2. La famiglia estesa= si aggiunge almeno un altro convivente 3. La famiglia multipla= caratterizzata dalla compresenza di almeno altri 2 nuclei 4. Le famiglie senza struttura= non vi e' un rapporto matrimoniale 5. I solitari Alla fine degli anni 60 laslett avanzo' la tesi che nell'antico regime a predominare furono le famiglie nucleari. Successivamente laslett, insieme a hajnal distinsero 2 modelli matrimoniali e familiari: 1. Il primo si basava su 3 regole:
in GLI AFFRESCHI NEI PALAZZI E NELLE VILLE VENETE DAL ’500 AL ’700, a cura di F. Pedrocco, Schio (Vicenza), 2008
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Hortus artium medievalium, 2020
The contribution takes as its starting point an article by Claudia Barsanti in which it was erroneously stated that in the arches of the Palazzo del Consiglio in Padua there was only one capital cut in two and not two capitals. On the basis of this piece of news, other authors have suggested that the capital is not a medieval reuse, but may have been included in the 19 th / 20 th century restoration. After demonstrating that the capitals are in fact two, the study goes on to suggest, for the first time, that they are not only a medieval reuse, but more specifically an intentional spolium. This use indicates a full awareness of the Asian Minor origin of the capitals related to the myth of the Trojan hero Antenor, founder of the city of Padua. This paper serves as a confirmation of the hypothesis that the capitals belong to the spoils coming from the Church of San Polieucto in Istanbul, imported from Venice after the Fourth Crusade, thus adding a further specimen to those already put into relation to the Paduan capitals by critics.
È di questi giorni 1 la notizia di manifestazioni spontanee di cittadini romeni residenti in Italia, indignati dagli "sgomberi" sul Lungo Reno ordinati dalla municipalità bolognese. L'indignazione è stata condivisa da intellettuali e giuristi italiani, che a gran voce hanno sottolineato come fra poco meno di quattordici mesi i romeni diventeranno a pieno titolo cittadini europei, e come le istituzioni comunali, a far data dal 1 gennaio 2007, si dovranno assumere l'impegno di fornire loro assistenza e ricovero 2 . Lungi da ogni tentativo di giudizio superficiale su quei fatti, ma soprattutto fuori dalla solita logica che tende a demonizzare il diverso e l'extracomunitario quando avviene qualcosa di grave e insidioso, è oggi più che mai opportuno cercare di comprendere quali spinte sociali ed interne ad una nazione in lenta risalita, inducano da anni i romeni ad un'emigrazione massiccia verso il nostro Paese, tanto da attestarsi nella popolazione scolastica italiana, in molte province, al primo posto tra i gruppi di provenienza 3 . 1 Scriviamo negli ultimi giorni dell'ottobre 2005. 2 Oltre ai numerosi articoli sugli "sgomberi" del Lungo Reno apparsi sulla stampa locale e nazionale nei mesi di ottobre e novembre 2005, si rimanda in particolare al comunicato dell'Associazione Nazionale Giuristi Democratici, pubblicato con il titolo di Basic needs are basic rights: i bisogni primari sono diritti fondamentali, in «GD Bologna» del 20 ottobre 2005 ( articolo in versione non cartacea sul sito www.giuristidemocratici.it ), e al testo della lettera firmata da Raffaele Miraglia e Nazzarena Zorzella, rispettivamente dell'Associazione Nazionale Giuristi Democratici e dell'Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione, pubblicato ne «La Repubblica», Cronaca di Bologna, 21 ottobre 2005, p. II. 3 Cfr. MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA, Alunni con Cittadinanza non Italiana, Scuole statali e non statali, Anno Scolastico 2003-04, [a cura di EDS] Servizio di Consulenza all'Attività Programmatica, s.l., s.n., settembre 2004; V. ONGINI, Se la scuola incontra il mondo. Alunni con cittadinanza non italiana. Anno scolastico 2003-04, in «Studi emigrazione», a. 41, n. 155 (sett. 2004), p. 715-728.
Periodico della Comunità di Gesù - Quadrimestrale, Agosto 2006.
Carne e macellai, 2018
Ebrei siciliani tra XIV e XVI secolo, 2019
Apocalisse 6: Cavalieri, Catastrofe e Illuminazione Interiore, 2025
Paideia 74.1, 2019, pp. 47-58
Articolo tratto da: “Formazione dei Responsabili”, Supplemento del Notiziario ICCRS, Anno IX, Numero 2, Marzo-Aprile 2003.
Amedeo Maiuri: l’archeologia e il paesaggio storico del golfo di Napoli, 2023
E-journal degli scavi, 2023
CONFERENZA GENERALE DEL FORUM DELLE COMUNITÀ CARISMATICHE DI ALLEANZA ROMA, 31 gennaio – 2 febbraio 2025