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1. Pianta generale di Catania, con indicazione dei principali monumenti antichi. (da Branciforti 2003) L'apoikia caLcidese daLLa fondazione aLLa conquista di ierone (729-476 a.c.) La documentazione archeologica relativa alla Katane dell'età arcaica, per lungo tempo limitata a pochi vasi del VI secolo a.C. provenienti da scavi mal documentati, si è andata progressivamente arricchendo nel corso dell'ultimo cinquantennio. La scoperta più sensazionale è tuttora rappresentata dalla ricchissima stipe votiva rinvenuta in Piazza S. Francesco nel 1959 (fig. 1); dal 1978 in avanti, inoltre, sono stati messi in luce piccoli lembi dell'abitato, risalenti ai primi anni di vita dell'insediamento, e alcuni tratti della cinta muraria, di case e di tombe del VI secolo 1 . Allo stato attuale, le testimonianze più antiche dell'apoikia, fondata secondo Tucidide da un gruppo di Calcidesi provenienti da Naxos nel 729/728 a.C. 2 , sono venute alla luce in due settori circoscritti, che ricadono entrambi entro i limiti del centro storico della città moderna: le aree di Piazza Dante, del monastero dei Benedettini e dell'ex Reclusorio della Purità, sulla collina di Montevergine, e il Castello Ursino, costruito nel XIII secolo su di un promontorio posto a Sud dell'insenatura del porto, la cui linea di costa fu profondamente sconvolta dall'eruzione del 1669. Già negli anni Venti del secolo scorso, numerosi frammenti ceramici della fine dell'VIII e del VII secolo erano stati rinvenuti in occasione di lavori all'interno dell'allora palazzo della Questura, sul lato meridionale di Piazza Dante 3 . Nel 1959, durante uno scavo condotto nella piazza, di fronte all'ingresso del monastero dei Benedettini, furono recuperati altri frammenti ceramici, perlopiù protocorinzi, ma anche locali, databili tra la seconda metà dell'VIII e il VII secolo 4 . Le successive indagini, condotte dal 1978 all'interno del muro di cinta e nel cortile orientale del monastero, hanno sostanzialmente confermato come la sommità della collina sia stata occupata dai primi coloni, grazie soprattutto al suo carattere di acropoli naturale, da cui era visibile tanto l'hinterland a Nord e a Ovest, quanto l'area pianeggiante a Sud-Est, attraversata dall'Amenano e caratterizzata da un importante scalo portuale 5 . Gli ampi contatti del giovane insediamento coloniale con il resto del mondo greco sono confermati dai frammenti ceramici, rinvenuti negli strati più profondi -coppe del tipo di Thapsos, kotylai protocorinzie, anfore commerciali attiche del tipo SOS, ceramiche euboiche e rodie. Le strutture dell'abitato, messe in luce presso l'angolo Sud-Est del monastero, si limitano purtroppo a tre muri di blocchi basaltici, forse dotati in origine di un alzato in mattoni crudi, tutti orientati in senso Nord-Est/ Sud-Ovest, in consonanza con il pendio naturale della collina. Tracce dell'insediamento dei primi coloni sono state rinvenute anche nel corso dei recenti scavi nell'ex Reclusorio della Purità, presso il margine Nord della collina di Montevergine, e al Castello Ursino 6 . Nel primo caso, è stato individuato un breve tratto di un muro, datato al VII secolo sulla base del rinvenimento di ceramica dell'ultimo quarto dell'VIII secolo tra le sue fondazioni 7 . Nell'ala Nord del Castello Ursino, è stato messo in luce un lungo muro orientato in senso Est-Ovest, al quale si ammorsano alcuni muri ortogonali. Si tratterebbe di "un impianto regolare di vani forse di alcune unità abitative" 8 , realizzato alla fine dell'VIII secolo, al quale si sarebbero sovrapposte strutture del VI e del IV secolo. Il carattere di tali ambienti, vista anche la posizione rispetto all'antica linea di costa, alla foce dell'Amenano e al verosimile scalo portuale connesso, merita di essere indagato in futuro, in relazione all'estensione e all'organizzazione dell'abitato nel pieno VI secolo. L'individuazione di un lembo dell'abitato tardo geometrico e protoarcaico pone anche per Katane, non diversamente dalle altre apoikiai siceliote, il problema del rapporto con i gruppi indigeni preesistenti all'impianto coloniale 9 . Nel corso degli scavi sulla collina di Montevergine, è stato possibile individuare tracce di una lunga frequentazione umana compresa tra la Tarda Età del Rame (facies di Malpasso) e la Media Età del Bronzo Lo sviLuPPo urBano di Catania daLLa fondazione deLL'apoikia aLLa fine deL v seCoLo d.C. * Santo privitera c a t a n i a l'identità urbana dall'antichità al settecento 2. un tratto della cinta muraria d'età arcaica in opera poligonale, documentato in una gouache di J. Houel 3. Pianta di Catania, con indicazione del tracciato del fiume amenano, del Lago di nicito e dell'antica linea di costa (da tortorici 2002) (facies di Thapsos). Dopo un intervallo di tempo di alcuni secoli, tuttavia, essa sembra riprendere solamente in un'epoca di poco precedente l'epoca della colonizzazione, grazie al rinvenimento di un paio di frammenti di scodelloni, attribuibili alle facies di Pantalica Sud e del Finocchito (ca. metà del IX-metà del VII secolo) . In realtà, si tratta di dati piuttosto poveri, che non sono sufficienti a ipotizzare la presenza di un villaggio siculo sulla collina di Montevergine, dato che ceramica di produzione indigena può essere stata utilizzata con verosimiglianza dai primi coloni. Le informazioni a nostra disposizione si fanno più numerose per il periodo compreso tra lo scorcio del VII e l'inizio del V secolo, quello in cui la città, che sembra aver mantenuto uno stretto legame con la metropolis Naxos, sarebbe stata amministrata secondo le norme dettate dal legislatore Caronda 11 . In questa fase, sono conosciuti alcuni edifici abitativi, brevi tratti della cinta muraria e diversi gruppi di tombe. Il principale punto fermo della topografia cittadina, ad ogni modo, è rappresentato dal santuario arcaico individuato presso Piazza S. Francesco d'Assisi. Negli scavi del monastero dei Benedettini sono stati messi in luce i resti di alcune abitazioni, che appartengono con verosimiglianza ad una pianificazione urbanistica più ampia, datata al pieno VI secolo 12 . In generale, si tratta di costruzioni modeste, realizzate con muri di blocchi lavici sbozzati in modo grossolano e dotate di semplici pavimenti in terra battuta o ciottoli. Il tetto, ad uno o due spioventi, era del tipo 'siciliano', con tegole piatte e coppi a sezione semicircolare o poligonale; gli unici elementi decorativi consistono in lastre di terracotta e antefisse a palmetta, forse impiegate sulla fronte degli edifici. L'orientamento riprende costantemente quello del pendio naturale della collina, da Sud-Ovest verso Nord-Est, con lo scopo evidente di favorire il deflusso delle acque meteoriche attraverso gli stretti passaggi tra gli edifici. Le strutture meglio note (Case 1 e 2) sembrano essere state costruite intorno alla metà del VI secolo ed esser state in uso fino al primo quarto del V secolo, quando subirono una violenta distruzione, come indicano le tracce di fuoco visibili su tegole e pietre e i grumi di argilla cotti, pertinenti al rivestimento delle pareti e alle coperture. Tale incendio è stato messo in relazione con la conquista della città da parte di Ierone di Siracusa, nel 476/475 a.C. 13 . La scoperta di alcuni tratti della cinta muraria arcaica della città ( ) può essere considerata come la più significativa acquisizione degli scavi degli ultimi anni, dato che permette di definire su nuove basi, anche se in modo parziale, il problema dei limiti dell'insediamento calcidese. Allo stato attuale, i tratti noti sono stati individuati nel settore Nord della collina di Montevergine, rispettivamente nell'area dell'ex Reclusorio della Purità e della Chiesa di Sant'Agata al Carcere, nel settore a ridosso del prospetto Nord del teatro romano, subito ad Est dell'ambulacro superiore e, infine, al di sotto di un ampio salone del XVI secolo, che chiude sul lato Nord il chiostro occidentale del monastero dei Benedettini 14 . Al reclusorio della Purità è stato messa in luce un muro a doppia cortina in opera poligonale di grandi blocchi basaltici, orientato in senso Nord-Sud e spesso m 3,15 circa; i materiali rinvenuti all'interno del riempimento del muro permettono di datarne la costruzione nella prima metà del VI secolo. Grazie a tali rinvenimenti, si può individuare con certezza il limite orientale dell'insediamento, di poco arretrato ad Ovest rispetto al netto salto di quota, coincidente grossomodo con il percorso di via Crociferi, che segna il limite Est del plateau della collina di Montevergine 15 . Gli altri limiti dell'insediamento arcaico, al contrario, non possono essere determinati con la stessa sicurezza. Quello settentrionale potrebbe essere rappresentato dal tratto iniziale dell'attuale via Plebiscito, che corre alla base della collina e che, secondo una recente ipotesi di E. Tortorici ( ), coinciderebbe con la riva meridionale del lago di Nicito, il bacino lacustre connesso con il corso dell'Amenano 16 . Il fatto che tanto il tratto rinvenuto presso la Chiesa di Sant'Agata al Carcere, quanto quello dell'ex Reclusorio della Purità, siano orientati in senso Nord-Sud, induce a credere che il percorso settentrionale della cinta non fosse rettilineo, ma si articolasse mediante rentrants per adattarsi alla geomorfologia della collina. Ad Ovest, il tratto di muro di cinta rinvenuto nel monastero dei Benedettini rende sicuro l'inserimento della sommità della collina di Montevergine entro i limiti dell'abitato. Del tutto incerto, infine, il limite meridionale della città, per localizzare il quale è necessario fare riferimento a scoperte isolate, pertinenti a diversi nuclei funerari dell'età arcaica. I luoghi in cui gli abitanti della Katane arcaica seppellivano i propri morti sono conosciuti in modo estremamente frammentario. Allo stato attuale, diverse aree di sepoltura possono essere localizzate presso l'Orto Botanico e a Cibali, presso l'ex Reclusorio della Purità e, con verosimiglianza, a Sud della collina di...
Alla luce delle ultime ricerche storiche ed archeologiche risulta evidente che il tarantismo salentino, a differenza di quanto sostenuto da Ernesto De Martino nella sua Terra del Rimorso, affonda le sue radici nella prima storia del bacino del Mediterraneo. Se ci si sofferma ad analizzare con spirito sereno la particolarissima ritualità di questo fenomeno antropologico, ormai in via d'estinzione, non si possono non cogliere le numerosissime corrispondenze di culto che lo legano intimamente agli antichi riti di guarigione praticati in tutti i santuari di Asclepio della Magna Grecia e delle zone ad essa culturalmente contigue. Ernesto De Martino interpretò il tarantismo quasi esclusivamente in chiave sociologica individuandone la causa nel malessere sociale dei poveri del Mezzogiorno d'Italia, nella condizione subordinata all'uomo della donna contadina, nella società rurale salentina retrograda e culturalmente arretrata, nella diversità fisico-psichica e sessuale mal vissuta e/o socialmente mal tollerata e soprattutto in uno spaccato esistenziale ingenuo e sottomesso all'autorità religiosa. Per quel che concerne l'origine del fenomeno sociale, nel quinto paragrafo del commentario storico della sua Terra del Rimorso l'etnologo collocò l'atto di nascita del tarantismo nell'alto Medioevo, durante gli scontri tra la civiltà cristiana e quella musulmana in occasione delle Crociate, uno spazio temporale ben preciso che, a ben vedere, escludeva drasticamente la possibilità che esso si fosse generato nella protostoria dell'Occidente. Un'indagine, quella demartiniana, che finì per porre in essere un'interpretazione riduttiva del tarantismo perché frutto di una visione personale del marxismo vissuto soprattutto in chiave esistenzialista, una lettura antropologica, dunque, vittima del tempo (anni 50 del XX secolo) in cui il fenomeno venne studiato, etichettato e proposto al pubblico. Ciò che lascia oggi sorpresi è però, come mai, uno studioso delle religioni attento, intelligente ed intuitivo come Ernesto De Martino abbia trascurato di esaminare il culto di una importantissima pratica medica delle origini e la sua probabile sovrapposizione sincretica in un altro rito nel corso degli anni. Probabilmente ciò fu dovuto proprio dalla formazione culturale dell'etnologo, una formazione culturale fedele all'indirizzo imposto da Benedetto Croce, da sempre poco incline ad analizzare ciò che poteva fuorviare il dato storico da analizzare. In realtà, però, gli sarebbe bastato interpretare con più attenzione le stesse critiche del medico settecentesco Francesco Serao, da lui più volte menzionate nella Terra del Rimorso, quando affermava che la fenomenologia del tarantismo non dipendeva affatto dal morso della tarantola quanto, piuttosto, dall'indole congenita dei pugliesi. L'indole di un popolo, è notorio che non la si costruisce dall'oggi al domani, ma è un sovrapporsi di simboli, significati e vissuti sociali che si tramandano nei secoli nei costumi, soprattutto in quei contesti culturali arretrati come possono esserlo quelli propri del mondo contadino. Gli sarebbe bastato poco per intuire che il tarantismo come forma di catarsi dall'oistros, come esorcismo coreutico-
Molte sono state le supposizioni e gli studi effettuati nel corso degli anni riguardo alla possibile genesi del nome "Galatina" e molte sono state anche le probabili risposte scaturite da questi studi, alcune più fantasiose di altre, ma nessuna delle quali, ha mai tenuto in debito conto la possibilità che il nome del popoloso centro urbano salentino potesse essere nato da una sacra invocazione a carattere iatromantico, un'invocazione divenuta poi nel corso del tempo, toponomastica, come questo studio, invece, tende a sostenere. Le teorie più additate sull'origine del toponimo della città sono state quelle che vorrebbero il nome derivare da γάλα (gala) con esplicito riferimento al "latte", per la sovrabbondanza di pascoli presenti anticamente nel limitrofo circondario rurale. Per altri ermeneuti, invece, il nome sarebbe da attribuire a un probabile epiteto, a γάλα ᾿Αϑηνᾶ "Atena del latte", che richiama alla mente l'espressione arcaica γίδα ᾿Αϑηνᾶ, "Atena capra", in riferimento all'egida della dea, il pettorale costituito dal bellissimo vello della capra Amaltea; o secondo altre versioni del mito, dalla pelle caprina del gigante Pallante, ucciso e scuoiato dalla dea in uno scontro. Altri interpreti hanno proposto come plausibile la possibilità che il toponimo significasse invece non "Atena", bensì "Atene del latte", in virtù di un'antica alleanza militare stipulata dai Messapi con la grande polis ellenica, che avrebbe avuto come naturale conseguenza anche un antico insediamento attico in loco. Teorie più marginali hanno attribuito, viceversa, l'origine del nome della città a Galathena 1 , la polis di provenienza del popolo dei Tessali che avrebbero colonizzato la parte occidentale della Messapia, o ancora alla mitica nereide Galatea 2 , o anche a una non meglio identificata Galata o Galazia, che nella confusione di alcuni mitografi venne ritenuta una presunta figlia di Teseo. La teoria più accreditata, ma anche quella più dibattuta in seno alle nuove indagini semantiche, è stata l'interpretazione "scientifica" del filologo tedesco Gerhard Rohlfs che, ammaliato dalle teorie linguistiche ariane, sostenne che il termine "Galatina" fosse derivato 1 Col nome Galatena o Galathena è stata denominata nel Salento una piccola sorgente d'acqua dolce defluente in località Santa Maria al Bagno, frazione balneare del comune di Nardò, situata nei pressi dei resti di una roccaforte difensiva, ora denominata "Le quattro colonne" per la forma assunta dal complesso difensivo dopo i crolli che hanno rovinato l'integrità della struttura, facendone restare in piedi i quattro torrioni situati agli spigoli del complesso a pianta quadrata. Non si esclude la possibilità che in loco in passato potesse esistere qualche edificio di culto dedicato alla dea, il cui culto in terra di Messapia era diffusissimo, come ricordano altri toponimi o luoghi. A tal proposito si ricordi il tempio di Atena Iliaca di Castro, il "Colle della Minerva" dove vennero decollati gli 800 martiri di Otranto, e il nome del paese di Minervino di Lecce. 2 Galatea dal greco "Γαλάτεια" che significa "lattea"; questa interpretazione sembra un'etimologia popolare data dalla somiglianza con l'aggettivo γάλακτος, γαλακτεία, derivato dal sostantivo γάλα, "latte", mentre probabilmente la vera origine del nome potrebbe derivare da γαλήνη "calma" e per estensione terminologica "la dea del mare calmo". La ninfa Galene (Γαλήνη) ricordata da Esiodo, infatti, venne presumibilmente identificata in seguito con Galatea, che nella mitologia greca, era una delle cinquanta ninfe del mare, dette Nereidi, la cui abituale residenza si trovava negli abissi marini, dove insieme al loro padre Nereo proteggevano e assistevano i marinai nel loro peregrinare.
a cura di Claudia Giuffrida -Margherita Cassia EDIZIONI DEL PRISMA Silenziose rivoluzioni: La Sicilia dalla tarda antichità al primo Medioevo : atti dell'incontro di studio, Catania-Piazza Armerina, 21-23 maggio 2015 / a cura Claudia Giuffrida, Margherita Cassia. -Catania : Edizioni del prisma, 2016. (Testi e studi di storia antica ;28)
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Ancora su poteri, relazioni, guerra nel regno di Ferrante d'Aragona, 2018
Romolo Artioli è tra i personaggi che si sono occupati del tema della Saturnia Tellus nella prima metà del '900. In questo articolo Galiano analizza una delle attività svolte dalla sua associazione Unione Storia ed Arte, la rievocazione del Settimontiale Sacrum, in comparazione con l'istituto del Septimonium della Roma arcaica.
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INCONTRI, 2019
il corridoio sotterraneo tra Palazzo degli Elefanti e Palazzo dei Chierii a Piazza Duomo a Catania, 2020
«Pastura les meves ovelles» (Jn 21,16). Miscel.lanía d'homenatge al Cardinal Lluís Martínez Sistac, Ateneu Universitari Santa Pacía, Barcelona 2015, 2015
M. DAVID - A. MELEGA - E. ROSSETTI, "Nuovi spunti di riflessione dai pavimenti editi e inediti delle Terme del Sileno di Ostia", in Atti del XXIV colloquio dell’Associazione italiana per lo studio e la conservazione del mosaico (Este 2018), Roma 2019, pp. 341-348 , 2019
C. Gigante, S. Ventura (a cura di), NOUVELLEMENT TRADUIT Dante in altre lingue romanze, Firenze, Cesati, 2023
Regnum Dei. Collectanea Theatina n. 142, 2019
Il Tarì moneta del Mediterraneo, 2023