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Politica, suono, alterità

2023, Swiss Portal for Philosophy

Abstract

Il caso della musica Molte volte si dice: "Se i muri potessero parlare". Infatti, prima di tutto, essi hanno ascoltato. Il muro concreto e astratto, reale e virtuale, diventa oggi il paradigma del ritorno violento e regressivo dell'ignobile separazione tra viventi (motivi razziali, politici, di genere, abilità/disabilità, di colore). Lo stridore delle grida è interpretabile in musica? Può la musica cancellare le barriere? Esiste una politicità della musica? Per il punto di vista contemporaneo il rapporto tra filosofia e musica acquisisce una dimensione non molto ben distinta poiché la centralità concettuale della musica è sempre più evanescente. Oltrepassata la funzione di potenzialità ed energia creativa (Nietzsche e Schopenhauer), archiviata l'antica saggezza sull'armonia (Pitagora, Platone), la filosofia del XX secolo ha concepito la musica come una componente costitutiva della storia del pensiero e della storia dei viventi; infatti, partendo dalle teorie di Theodor Wiesengrund Adorno 1 su Mahler, Beethoven, la dodecafonia o il jazz, il fatto musicale, l'evento sonoro, ha delineato la conformità a stili, correnti e temperie filosofico-culturali rispecchianti la propria epoca, sia nel rivolgimento che nella conservazione delle tradizioni (si pensi alla distinzione che Adorno definisce tra Schönberg e Stravinskij 2). Riteniamo che lo snodo di questa transizione non concerna solamente una mutazione di gusto ma, al contrario, abbia un aspetto politico rilevante. Dal momento che i mezzi di mediazione, fusione e circolazione risultano pervasivi come modello politico dominante (nella forma del capitalismo di circolazione e non più detentivo), la stessa musica come orizzonte estetico ha subito tale paradigma. A buon diritto, la musica affiora nell'orizzonte filosofico e politico come un tassello determinante e l'espressione di questa vera e propria "filosofia della musica" (tra cui vari esempi, dal jazz al punk, fino al rock o al rap) ha accompagnato molte lotte e proteste, rivendicazioni identitarie, manifestazioni di disagio ed emarginazione. Dall'altro lato, gli inni nazionali hanno spesso sancito una coesione nazionalista e fanatica. Tale concetto si può rilevare nell'opera di raffronto tra Gilles Deleuze e Pierre Boulez. Per entrambi, le intensità sonore determinano una profonda pertinenza concettuale dal momento che oggi gli stili hanno perso originalità; due caratteristiche possono essere, a rigore, riscoperte e reinventate: da un lato il nesso tra musica e storia e dall'altro il rapporto tra politica ed solo alcuni, oltre il mero dato tecnico, devono tornare ad incidere profondamente nella partitura aperta della nostra vita, così da legare l'estetica dell'ascolto ad una politicità partecipante rinnovata. Non è una forzatura, c'è un'indiscutibile politicità dell'ascolto laddove lo spazio liscio congiunge libertà e musica. La musica deve tornare ad abbattere i muri, creando un contro-movimento fatto di molteplici voci, oltre ogni barriera.