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2020
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A short suite for strings orchestra. medium difficulty level. Parts available by request.
Una delle opere rappresentative di questo periodo è il Decameron Nero. Questo lavoro è stato composto nel 1981 per chitarra, ed è stata dedicata al chitarrista americano Sharon Isbin. L'opera è formata da tre movimenti, ciascuno corrispondente ad una ballata: The Harp di Guerrero, Amanti Escape the Valley of Echoes, Ballata della Fanciulla in Love.
La danza nel dramma greco, Dionysus ex machina 10 (2019) 106-121., 2019
In Poetics 26, Aristotle describes both the staging and the setting of dramas as ἄτεχνοι, "not part of the poet's craftsmanship". As a consequence, these two aspects of classical Greek drama became a focus of scholarly attention only in the 1970s. My contribution is dedicated to one specific element of staging, choreography. By means of attention to relevant passages of Aristophanes' comedies, Plato's dialogues and Aristotle's Poetics, I attempt to recover part of this lost aspect of Greek theater. Nel ventiseiesimo capitolo della Poetica Aristotele designa sia la messa in scena che la messa in musica dei drammi come ἄτεχνοι, 'estranee all'arte del poeta'. Per conseguenza, entrambi questi aspetti del teatro greco classico sono rimasti esclusi dagli interessi della ricerca fino agli anni settanta del secolo scorso, e solo a partire da questo periodo hanno guadagnato attenzione. Il presente contributo si occupa di un aspetto specifico della messa in scena, la coreografia. Attraverso l'interpretazione di passaggi significativi provenienti dalle commedie di Aristofane, dai dialoghi di Platone e dalla Poetica di Aristotele si cerca di recuperare alcuni aspetti di questo elemento perduto del teatro greco. 1. Chi studia la commedia e la tragedia greca di V e IV sec a.C. e si confronta con le opere di Eschilo, Sofocle ed Euripide, così come con quelle di Aristofane e Menandro, di solito si accosta ai drammi antichi attraverso la lettura e non a teatro, perdendo così di vista degli aspetti decisivi per la comprensione dei generi drammatici: la composizione musicale (µελοποιία), l'intera questione della messa in scena (ὄψις, 'tutto ciò che può essere visto'), e dunque anche la coreografia. 1 Il lettore moderno può sentirsi in buona compagnia, poiché la * Il contributo è stato pubblicato per la prima volta in lingua tedesca nel 2017 con il titolo Tanz im griechischen Drama nell'«Internationales Jahrbuch für Hermeneutik» XVI, 30-45. La traduzione è di Beatrice Gavazza (Università degli Studi di Perugia/Albert-Ludwigs-Universität Freiburg). 1 Considerando la storia degli studi, l'attenzione alla questione della messa in scena e soprattutto della sua dimensione semantica è diventata sempre più forte dopo il 1945. Bisogna citare soprattutto gli studi di REINHARDT 1948 e TAPLIN 1977. Negli ultimi anni, per influsso del cosiddetto spatial turn avvenuto negli studi culturali, l'aspetto dell'ὄψις è di fatto diventato un oggetto centrale della ricerca; per un riassunto della
Lingue nazionali, lingue imperiali, Serenella Baggio, P. Tavaracci edd., 2022, p.215 ss.
Quello che ci sinsegna la storia del valzer
Per gli aborigeni australiani, la loro terra era tutta segnata da un intrecciarsi di «Vie dei Canti» o «Piste del Sogno», un labirinto di percorsi visibili soltanto ai loro occhi: erano quelle le «Impronte degli Antenati» o la «Via della Legge». Dietro questo fenomeno, che apparve subito enigmatico agli antropologi occidentali, si cela una vera metafisica del nomadismo. Questo ultimo libro di Bruce Chatwin, subito accolto con entusiasmo di critica e lettori quando è apparso, nel 1987, potrebbe essere descritto anch'esso come una «Via dei Canti»: romanzo, viaggio, indagine sulle cose ultime. È un romanzo, in quanto racconta incontri e avventure picaresche nel profondo dell'Australia. Ed è un percorso di idee, una musica di idee che muove tutta da un interrogativo: perché l'uomo, fin dalle origini, ha sentito un impulso irresistibile a spostarsi, a migrare? E poi: perché i popoli nomadi tendono a considerare il mondo come perfetto, mentre i sedentari tentano incessantemente di mutarlo? Per provare a rispondere a queste domande occorre smuovere ogni angolo dei nostri pensieri. Chatwin è riuscito a farlo, attirandoci in una narrazione risata di scherno del kookaburra. Scrutava l'orizzonte: nient'altro che eucalipti. Si aggirava impettito tra le mandrie: niente neppure là. Poi, fuori dalle baracche, trovava camicie e cappelli e gli stivali che sbucavano dai pantaloni... Al bar, Arkady ordinò due cappuccini. Ci sedemmo a un tavolo vicino alla vetrina, e lui cominciò a parlare. La rapidità della sua mente mi affascinava, anche se ogni tanto lui mi sembrava un oratore sul palco e le sue parole cose in gran parte già dette. La filosofia degli aborigeni era legata alla terra. Era la terra che dava vita all'uomo; gli dava il nutrimento, il linguaggio e l'intelligenza, e quando lui moriva se lo riprendeva. La «patria» di un uomo, foss'anche una desolata distesa di spinifex, era un'icona sacra che non doveva essere sfregiata. «Sfregiata da strade, miniere o ferrovie?». · Ferire la terra» mi rispose con grande serietà «è ferire te stesso, e se altri feriscono la terra, feriscono te. Il paese deve rimanere intatto, com'era al Tempo del Sogno, quando gli Antenati col loro canto crearono il mondo». «Rilke ebbe un'intuizione del genere» ribattei. «Anche lui disse che cantare era esistere». «Lo so» disse Arkady appoggiando il mento sulle mani. «Terzo sonetto a Orfeo». Gli aborigeni, proseguì, si muovevano sulla terra con passo leggero; meno prendevano dalla terra, meno dovevano restituirle. Non avevano mai capito perché i missionari vietassero i loro innocui sacrifici. Loro non sacrificavano vittime, né animali né umane: quando volevano ringraziare la terra dei suoi doni, si incidevano semplicemente una vena dell'avambraccio e lasciavano che il sangue impregnasse il terreno. «Non è un prezzo eccessivo» disse. «Le guerre di questo secolo sono il prezzo che paghiamo per aver preso troppo». «Ah, certo» assentii poco convinto. «Ma non potremmo parlare ancora delle Vie dei Canti?». «Altroché». Ero venuto in Australia per imparare da me, non dai libri altrui, che cos'erano le Vie dei Canti, e come funzionavano. Naturalmente non sarei arrivato al nocciolo della questione, né intendevo arrivarci. A Adelaide avevo domandato a un'amica se conosceva un esperto, e lei mi aveva dato il numero di telefono di Arkady. «Ti spiace se uso il mio taccuino?». «Fa' pure». Tirai fuori di tasca un taccuino con la copertina di tela cerata, tenuto chiuso da un elastico. «Bello» commentò. «Li compravo a Parigi, ma adesso non li fanno più». «A Parigi?» ripeté inarcando un sopracciglio, come se fosse la cosa più snob che avesse mai sentito. Poi mi strizzò l'occhio e riprese il discorso. Per afferrare il concetto di Tempo del Sogno, disse, devi considerarlo un equivalente aborigeno dei primi due capitoli della Genesi, con una differenza significativa. Nella Genesi Dio creò per prima cosa gli «esseri viventi», poi con l'argilla plasmò il padre Adamo. Qui in Australia gli Antenati si crearono da sé con l'argilla, migliaia e migliaia, uno per ogni specie totemica. Perciò, quando un aborigeno ti dice: 'Io ho un Sogno Wallaby", intende: Un mio totem è il Wallaby. Sono un membro del clan Wallaby"». «Quindi un Sogno è l'emblema di un clan? Un contrassegno per distinguere "noi" da loro"? Il «nostro" paese dal "loro" paese?». «é molto di più» rispose. Ogni Uomo Wallaby credeva di discendere da un Padre Wallaby universale, antenato di tutti gli altri Uomini Wallaby e di tutti i wallaby del mondo. Perciò i wallaby erano suoi fratelli; uccidere uno di loro per cibarsene era sia fratricidio che cannibalismo. «Eppure» insistetti «l'uomo non era un wallaby più di quanto gli inglesi siano leoni, i russi orsi o gli americani aquile». «Ogni specie» disse «può essere un Sogno. Anche un virus: ci può essere un Sogno varicella, un Sogno pioggia, un Sogno arancio del deserto, un Sogno pidocchio. Nel Kimberley adesso hanno un Sogno denaro». «E i gallesi hanno i porri, gli scozzesi i cardi e Dafne fu tramutata in un alloro». «Sempre la stessa storia» disse. Riprese la spiegazione: si credeva che ogni antenato totemico, nel suo viaggio per tutto il paese, avesse sparso sulle proprie orme una scia di parole e di note musicali, e che queste Piste del Sogno fossero rimaste sulla terra come'vie'di comunicazione fra le tribù più lontane. <Un canto» disse «faceva contemporaneamente da mappa e da antenna. A patto di conoscerlo, sapevi sempre trovare la strada». «E un uomo in walkabout si spostava seguendo sempre una Via del Canto?». «Ai vecchi tempi sì» assenti. «Oggi viaggia in treno o in automobile». «E se l'uomo deviava dalla sua Via?». «Sconfinava. La trasgressione poteva costargli un colpo di lancia». «E finché restava sulla pista, invece, trovava sem-pre persone con il suo stesso Sogno? Che erano, di fatto, suoi fratelli?». «Sì» Dai quali poteva aspettarsi ospitalità?». E viceversa». · Perciò il canto è una specie di passaporto e insieme di buono-pasto?». «Anche qui è più complicato». L'Australia intera poteva, almeno in teoria, essere letta come uno spartito. Non c'era roccia o ruscello, si può dire, che non fosse stato cantato o che non potesse essere cantato. Forse il modo migliore di capire le Vie dei Canti era di pensare a un piatto di spaghetti ciascuno dei quali è un verso di tante Iliadi e Odissee -un intrico di percorsi dove ogni «episodio» è leggibile in termini geologici. «Con "episodio" intendi luogo sacro?» gli domandai. «Esatto». «Luoghi come quelli di cui stai facendo la mappa per la ferrovia?». «Mettiamola così» rispose. «Ovunque nel bwh puoi indicare un elemento del paesaggio e domandare all'aborigeno che è con te: "Che
2020
Pièce teatrale inedita dedicata alla vita dei cani che hanno perso casa e famiglia nel terremoto dell’Aquil
The artillery for the anti-Barbary defenses of Lavagna and the Eastern Ligurian Riviera in the 16th-17th century.
Recensione del libro Tanz Berlin di Francesco Macarone Palmieri, Manifesto Libri
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Matthew Barney. Polimorfismo, multimodalità, neobarocco, 2012
Milano, Ponte alle Grazie, 2019 (Poesia, 5), pp. 1-72.
Suggestioni e modelli danteschi tra Medioevo e Umanesimo. Atti del Convegno Internazionale di Roma (22-24 ottobre 2016), a cura di Bruno Itri e Andrea Mazzucchi, Roma, Salerno Editrice, 2022
Ilaria Riccioni (a cura di), Teatri e sfera pubblica nella società globalizzata e digitalizzata, Guerini e Associati, Milano , 2022