Tra marxismo e no? I lineamenti del programma di «Seminari di formazione politica» nell'ambito dei quali a Stefano Petrucciani ed a me è stato richiesto un contributo di riflessione sul «marxismo», si articolano, mi sembra, intorno al tentativo di definizione dei caratteri di una transizione. Mi rendo conto, proprio come studioso di storia, che il termine «transizione» ha capacità conoscitive molto deboli. In fondo la storia è un continuo processo di transizione. Contemporaneamente, però, un aspetto del tempo storico è leggibile solo attraverso griglie concettuali periodizzanti. Avrò modo di tornare su altri aspetti del tempo storico in relazione con la lettura marxiana dei meccanismi di trasformazione della realtà, intanto però è un fatto che nell'ambito dell'uso di concetti periodizzanti il termine transizione diventa meno evanescente. La periodizzazione, infatti, si prova ad individuare spazi temporali caratterizzati da un relativo equilibrio strutturale delle componenti. La transizione riguarda la fase di destrutturazione degli equilibri, il passaggio ad un periodo caratterizzato da diverso equilibrio strutturale. Dal punto di vista della dissoluzione di relazioni strutturali che apparivano consolidate non c'è dubbio che l'ultimo trentennio possa essere considerato un periodo di transizione. Molto più complicata, invece, una ragionata indicazione sul verso della transizione, sulla struttura dei possibili nuovi equilibri economico-sociali. «Transizione al niente», notava qualche anno fa Luigi Cortesi, lo storico direttore della rivista di «storia globale Giano», riflettendo amaramente sulle due o tre generazioni che in questo percorso stavano