
Tarcisio Balbo
Diplomato in Pianoforte, si è laureato cum laude in Musicologia all’Università di Bologna, dove ha conseguito anche il dottorato di ricerca in Musicologia e Beni musicali. Nella stessa università è stato professore a contratto per l’insegnamento di Forme della poesia per musica, e tutor per gli insegnamenti di Storia della musica e Pedagogia musicale.
È stato editor per l’edizione dei Libretti d’opera italiani di G. Fr. Händel e le loro fonti curata da Lorenzo Bianconi e Giuseppina La Face (Firenze, Olschki), e sempre come editor ha collaborato con gli uffici stampa di Ravenna Festival e del Teatro Comunale di Bologna. Dal 2002 è professore di Forme della poesia per musica e Drammaturgia musicale all’Istituto «Vecchi - Tonelli» di Modena.
Dedica la maggior parte della propria attività scientifica al teatro d’opera italiano. Suoi contributi sono apparsi in diverse riviste («Cahiers d’histoire culturelle», «Musicorum», «Hasse Studien») e in miscellanee. Relatore in diversi convegni di musicologia (Université «François Rabelais» di Tours, Hochschule für Musik und Theater di Amburgo, Conservatorio «Benedetto Marcello» di Venezia, Università di Bologna, Accademia Musicale Chigiana di Siena, King’s College di Londra, London University, Conservatorio «San Pietro a Majella» di Napoli, Conservatorio «Francesco Morlacchi» di Perugia), ha pubblicato per l’editore Ut Orpheus l’edizione critica del Demofoonte (1770) di Niccolò Jommelli, e l’Urtext della Missa defunctorum (1799) di Giovanni Paisiello: entrambe le partiture sono state dirette in prima esecuzione moderna da Riccardo Muti al Festival di Pentecoste di Salisburgo nel 2009.
Interessato da sempre alla divulgazione musicale, ha tenuto conferenze e guide all’ascolto per numerose istituzioni musicali italiane. Ha scritto nei programmi di sala di teatri ed enti musicali (Teatro Comunale di Bologna, Ravenna Festival, Ferrara Musica, Teatro Nacional de São Carlos di Lisbona, Teatro Comunale di Ferrara, Teatro «La Fenice» di Venezia). Suoi articoli sono apparsi sulle riviste «Amadeus» e «Classic Voice». Un suo volume sulla Sesta sinfonia di Beethoven fa parte della collana «Chiavi d’ascolto» dell’editore bolognese Albisani.
Address: Istituto Superiore di Studi Musicali "Orazio Vecchi - Antonio Tonelli"
via Carlo Goldoni, 10
I - 41121 Modena
È stato editor per l’edizione dei Libretti d’opera italiani di G. Fr. Händel e le loro fonti curata da Lorenzo Bianconi e Giuseppina La Face (Firenze, Olschki), e sempre come editor ha collaborato con gli uffici stampa di Ravenna Festival e del Teatro Comunale di Bologna. Dal 2002 è professore di Forme della poesia per musica e Drammaturgia musicale all’Istituto «Vecchi - Tonelli» di Modena.
Dedica la maggior parte della propria attività scientifica al teatro d’opera italiano. Suoi contributi sono apparsi in diverse riviste («Cahiers d’histoire culturelle», «Musicorum», «Hasse Studien») e in miscellanee. Relatore in diversi convegni di musicologia (Université «François Rabelais» di Tours, Hochschule für Musik und Theater di Amburgo, Conservatorio «Benedetto Marcello» di Venezia, Università di Bologna, Accademia Musicale Chigiana di Siena, King’s College di Londra, London University, Conservatorio «San Pietro a Majella» di Napoli, Conservatorio «Francesco Morlacchi» di Perugia), ha pubblicato per l’editore Ut Orpheus l’edizione critica del Demofoonte (1770) di Niccolò Jommelli, e l’Urtext della Missa defunctorum (1799) di Giovanni Paisiello: entrambe le partiture sono state dirette in prima esecuzione moderna da Riccardo Muti al Festival di Pentecoste di Salisburgo nel 2009.
Interessato da sempre alla divulgazione musicale, ha tenuto conferenze e guide all’ascolto per numerose istituzioni musicali italiane. Ha scritto nei programmi di sala di teatri ed enti musicali (Teatro Comunale di Bologna, Ravenna Festival, Ferrara Musica, Teatro Nacional de São Carlos di Lisbona, Teatro Comunale di Ferrara, Teatro «La Fenice» di Venezia). Suoi articoli sono apparsi sulle riviste «Amadeus» e «Classic Voice». Un suo volume sulla Sesta sinfonia di Beethoven fa parte della collana «Chiavi d’ascolto» dell’editore bolognese Albisani.
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Conference papers (unpublished) by Tarcisio Balbo
– it proves the continuation – or resumption – of operatic activity in the theater built in Mazzarino in the 1680s by the Prince of Butera, Carlo Maria Carafa, so far evidenced only by a libretto of Alessandro Scarlatti’s Gli equivoci nel sembiante dating back to 1688;
– it constitutes a useful document both for reconstructing the itineraries of artists and operatic companies that spread the language of the so-called scuola napoletana in peripheral centers in the 18th century, and for identifying the channels of transmission that brought librettos and scores from Naples to Sicily;
– it helps in understanding the mechanisms and the ‘rhetoric’ of musical patronage in the Kingdom of Naples and Sicily, thanks to the detailed list of nobles (the entire family of Ercole Michele Branciforte, fourth prince of Scordia) who figure in the libretto as patrons of individual members of the cast;
– last but not least, the libretto provides new evidence about the tenor Domenico De Amicis and his daughter Anna Lucia: the famous soprano praised by Burney, Jommelli, Metastasio, and Mozart, whose debut, previously set in 1754 in Florence as a comic singer, must be pushed back by two years in light of Catone in Utica for Mazzarino.
La relazione amplia un intervento presentato al convegno Purcell, Handel & Literature (Londra, 2009) sul pasticcio metastasiano Catone, che Händel mette in scena nel 1732 basandosi sull’intonazione di Leonardo Leo (Venezia, 1729). Alla fine della partitura Händel inserisce una nuova aria per Marzia (figlia di Catone, amante di Cesare), in cui il personaggio esprime la propria sete di vendetta contro Cesare, ideale responsabile della morte di Catone. L’inserto, assieme alla riscrittura dell’argomento nel libretto, sposta la morale del dramma dall’equo giudizio del Metastasio, che nel testo originale loda sia la generosità di Cesare sia la virtù di Catone, all’unilaterale esaltazione di quest’ultimo. Tali modifiche si legano al successo teatrale, letterario e politico della tragedia Cato di Joseph Addison (1714), ben nota al pubblico londinese e assai rappresentata all’epoca del Catone händeliano.
Il rinvenimento di una terza copia del volume, oltre a quelle conservate ad Assisi e nella Biblioteca universitaria di Genova, ha sollecitato il presente contributo. Si tratteggerà il milieu, interamente francescano, in cui la redazione del tomo è stata concepita, e si proverà ad individuare il ruolo svolto dall’editore Beltrano, che sembra fungere da trait d’union tra i vari personaggi – teorici musicali, teologi e compositori – che in quello stesso ambiente si muovevano. Si illustreranno infine altri elementi d’interesse dell’Antiphonarium, che testimonia la prassi del canto fratto nei monasteri di osservanza francescana, e che ha avuto sicura diffusione anche nelle altre province dell’Ordine.
«Vieni o grande, vieni o forte» costituisce un interessante oggetto di studio innanzitutto perché è stata usata a più riprese da alcuni cantanti di rilievo attivi tra l’ultimo quarto del secolo XVII e il primo del XIX: da Girolamo Crescentini ad Angelica Catalani, Giacomo David e Nicola Tacchinardi, per citare solo i maggiori. Le metamorfosi dell’aria testimoniano inoltre in modo esemplare i mutamenti formali nel melodramma italiano a cavallo tra Sette e Ottocento: la relazione illustrerà in particolare il ventaglio di trasformazioni e adattamenti del testo librettistico di «Vieni o grande, vieni o forte» e, nei limiti del possibile, delle relative intonazioni musicali la cui struttura formale varia dal semplice intervento corale all’aria bipartita, al duetto, fino alle intonazioni che seguono lo schema canonico della ‘solita forma’ ottocentesca.
– it proves the continuation – or resumption – of operatic activity in the theater built in Mazzarino in the 1680s by the Prince of Butera, Carlo Maria Carafa, so far evidenced only by a libretto of Alessandro Scarlatti’s Gli equivoci nel sembiante dating back to 1688;
– it constitutes a useful document both for reconstructing the itineraries of artists and operatic companies that spread the language of the so-called scuola napoletana in peripheral centers in the 18th century, and for identifying the channels of transmission that brought librettos and scores from Naples to Sicily;
– it helps in understanding the mechanisms and the ‘rhetoric’ of musical patronage in the Kingdom of Naples and Sicily, thanks to the detailed list of nobles (the entire family of Ercole Michele Branciforte, fourth prince of Scordia) who figure in the libretto as patrons of individual members of the cast;
– last but not least, the libretto provides new evidence about the tenor Domenico De Amicis and his daughter Anna Lucia: the famous soprano praised by Burney, Jommelli, Metastasio, and Mozart, whose debut, previously set in 1754 in Florence as a comic singer, must be pushed back by two years in light of Catone in Utica for Mazzarino.
La relazione amplia un intervento presentato al convegno Purcell, Handel & Literature (Londra, 2009) sul pasticcio metastasiano Catone, che Händel mette in scena nel 1732 basandosi sull’intonazione di Leonardo Leo (Venezia, 1729). Alla fine della partitura Händel inserisce una nuova aria per Marzia (figlia di Catone, amante di Cesare), in cui il personaggio esprime la propria sete di vendetta contro Cesare, ideale responsabile della morte di Catone. L’inserto, assieme alla riscrittura dell’argomento nel libretto, sposta la morale del dramma dall’equo giudizio del Metastasio, che nel testo originale loda sia la generosità di Cesare sia la virtù di Catone, all’unilaterale esaltazione di quest’ultimo. Tali modifiche si legano al successo teatrale, letterario e politico della tragedia Cato di Joseph Addison (1714), ben nota al pubblico londinese e assai rappresentata all’epoca del Catone händeliano.
Il rinvenimento di una terza copia del volume, oltre a quelle conservate ad Assisi e nella Biblioteca universitaria di Genova, ha sollecitato il presente contributo. Si tratteggerà il milieu, interamente francescano, in cui la redazione del tomo è stata concepita, e si proverà ad individuare il ruolo svolto dall’editore Beltrano, che sembra fungere da trait d’union tra i vari personaggi – teorici musicali, teologi e compositori – che in quello stesso ambiente si muovevano. Si illustreranno infine altri elementi d’interesse dell’Antiphonarium, che testimonia la prassi del canto fratto nei monasteri di osservanza francescana, e che ha avuto sicura diffusione anche nelle altre province dell’Ordine.
«Vieni o grande, vieni o forte» costituisce un interessante oggetto di studio innanzitutto perché è stata usata a più riprese da alcuni cantanti di rilievo attivi tra l’ultimo quarto del secolo XVII e il primo del XIX: da Girolamo Crescentini ad Angelica Catalani, Giacomo David e Nicola Tacchinardi, per citare solo i maggiori. Le metamorfosi dell’aria testimoniano inoltre in modo esemplare i mutamenti formali nel melodramma italiano a cavallo tra Sette e Ottocento: la relazione illustrerà in particolare il ventaglio di trasformazioni e adattamenti del testo librettistico di «Vieni o grande, vieni o forte» e, nei limiti del possibile, delle relative intonazioni musicali la cui struttura formale varia dal semplice intervento corale all’aria bipartita, al duetto, fino alle intonazioni che seguono lo schema canonico della ‘solita forma’ ottocentesca.
La relazione si propone di categorizzare il complesso delle annotazioni di soggetti del Metastasio in relazione ai tre aspetti sopra elencati, a quanto lo stesso Metastasio rivela nel proprio epistolario riguardo le proprie scelte letterarie e drammaturgiche, e a un ben preciso orientamento della ricerca sulla drammaturgia dell’opera seria settecentesca. Il riferimento, in quest’ultimo caso, è ai due saggi gemelli di GILLES DE VAN: Les jeux de l’action. La construction de l’intrigue dans les drames de Métastase («Paragone Letteratura», XLIX, 584-586, 1998, pp. 3-57), e Il groviglio dell’intreccio. Appunti sulla drammaturgia di Metastasio (in Il melodramma di Pietro Metastasio: la poesia, la musica, la messa in scena, e l’opera italiana nel Settecento, a cura di Elena Sala Di Felice e Rossana Maria Caira Lumetti, Roma, Aracne 2001, pp. 161-172).
Di Mercurio è attivo anche come librettista soprattutto a Piazza Armerina, oggi nell’ex provincia di Enna, dove tra il 1754 e il 1755 firma i testi drammatici di tre azioni sacre: una per la festa patronale (Il prodigioso vessillo ritrovato da’ piazzesi, musica di Salvatore Bertini), e due per la monacazione di altrettante rampolle della nobile famiglia Trigona, il più eminente casato cittadino (L’incontro di Seila, musica ancora di Bertini; David, musica anonima, tratta in realtà dall’Attilio Regolo del Metastasio intonato da Jommelli a Roma nel 1753). I tre libretti del Di Mercurio testimoniano gli scambi culturali tra Palermo e una delle maggiori città demaniali dell’isola: sui frontespizi l’autore compare infatti come membro dell’Accademia del Buon Gusto di Palermo, tra le maggiori accademie siciliane del Settecento, colonia dell’Arcadia, tra i cui membri figura Giovanni Filingeri di Cutò (1667-1769), citato dal Crescimbeni nelle Vite degli Arcadi illustri e già abate del Gran Priorato di Sant’Andrea a Piazza Armerina. Un altro tramite fra il Di Mercurio e la nobiltà piazzese, e più in generale tra questa e l’ambiente letterario e musicale palermitano, potrebbe essere anche il gesuita Vespasiano Maria Trigona (1692-1761), piazzese, parente delle monacande omaggiate dal Di Mercurio, professore al Collegio Massimo di Palermo, protagonista di una polemica letteraria con Ludovico Antonio Muratori, e membro dell’Accademia degli Ereini di Palermo col nome di Griseldo Eracleo.
Ciò che rende ancora più interessante il libretto per Mazzarino è soprattutto la presenza nel cast di Anna Lucia De Amicis: la celebre cantante elogiata da Burney, Jommelli, Metastasio, Mozart, il cui esordio era finora fissato nel 1754 a Firenze come cantante comica. Il Catone in Utica del 1752 arretra di due anni il debutto ufficiale della De Amicis, per giunta nel repertorio serio, lo colloca all'estremo opposto della Penisola e fornisce, dal riscontro delle varianti rispetto all'intonazione di Duni usata come base per il pasticcio mazzarinese, il ritratto di una interprete dalle doti vocali e attoriali già spiccatissime nonostante la giovane età (se la De Amicis è nata, come pare, nel 1733, all'epoca del Catone in Utica per Mazzarino aveva appena diciannove anni).
Martedì 16 dicembre 2008, Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, sede di Ravenna