
Leandro Pisano
Università di Urbino "Carlo Bo", Dipartimento di Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali (DISCUI), Honorary Scientific Fellow
Leandro Pisano is a curator, writer and independent researcher who is interested in intersections between art, sound and technoculture. The specific area of his research deals with political ecology of rural, marginal and remote territories.He is founder and director of Interferenze new arts festival (2003) and frequently he is involved in projects on electronic and sound art, including Mediaterrae Vol.1 (2007), Barsento Mediascape (2013) and Liminaria (2014-22). Among the sonic arts exhibitions he has curated, there are “Otros sonidos, otros paisajes” (MACRO Museum – Rome, Italy, 2017), “Alteridades de lo invisible” (Festival Tsonami, Valparaíso, Chile, 2018) and “Manifesto of Rural Futurism” (Italian Cultural Institute of Melbourne, Australia, 2019).He conducted presentations, conferences and workshops in different universities or during events related with new media aesthetics, design, sound and territorial regeneration processes in several countries worldwide.He has written articles in several magazines, such as Corriere della Sera – La Lettura, Blow-Up, Doppiozero, Neural, Exibart and Nero Magazine. He is author of the book “Nuove geografie del suono. Spazi e territori nell’epoca postdigitale”, published in Milan by Meltemi (2017).Leandro Pisano holds a PhD in Cultural and Post-Colonial Studies from University of Naples “L’Orientale” and he is presently Honorary Scientific Fellow in Anglo-American Literature at University of Urbino “Carlo Bo”. He is affiliate member of The Sound Art and Auditory Culture lab (SAAC) of the RMIT-Royal Melbourne Institute of Technology’s School of Art and is external member of the soundscape research group “Paesaggi Sonori” at DFA/University of Applied Sciences and Arts of Southern Switzerland. He teached as adjunct professor at Academy of Arts in Naples and he has been Honorary Scientific Fellow in Didactics of Latin at University of Naples “Federico II”, where he received his Master degree with honors in Ancient Greek, Latin and Italian Literature, focusing his studies on digital philology, electronic teaching methodology and relationship between new media and classic disciplines.
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Papers by Leandro Pisano
Stemming from the contributions offered by Maurizio Bettini, Sean Gurd, Shane Butler and Sarah Nooter, this essay aims to analyze the cultural and sensorial dimension linked to listening in the ancient world, using the methodological perspective recently developed by sound studies, which recognizes sound as a critical device that can investigate environments, geographies and spaces through the practice and reflection of "sonic thinking". This perspective calls into question the notion of sound as an external ‘object’ considered only for its cultural significance, introducing the possibility of thinking with and through the sound itself.
From voces animalium to acoustic immersion in Sappho, from sonic dionysism to non-verbal aeschilean vocalizations, from the oracular soundscape to Lucretian sound bodies, the ancient world reveals its sound dimension through the perspective of a sensorial historicization in a (post-) phenomenological framework, in which material and cultural processes are articulated in the tension between disorder and control, dissonances and consonances.
The reference territory of the project has long been the Fortore beneventano, which for several years has represented an open space in which to rethink the concepts of place, rurality and ecology through the resonances and dissonances of the landscape, understood as a complex context of forces and assemblages of material and invisible elements.
This volume recounts in a rhizomatic and non-linear manner what has happened in these years, from 2017 to 2020, through the voices of artists, critics and scholars who have intervened in the project in different ways and at different times. They, the curators of both this book and the project from 2015 to 2018, have been asked to provide contributions of reflection and analysis on themes around which they have worked through their own research in practice. All texts are published, by choice of the editors, in the original language and without translation.
Leandro Pisano: Redatto nella forma finale da me insieme a Beatrice Ferrara, ma risultato di un processo collettivo di riflessione che ha coinvolto artisti, curatori, critici, studiosi internazionali ma anche le comunità che vivono e operano sui territori di riferimento, il Manifesto del Futurismo Rurale è un testo che rivendica per i territori marginali e rurali, che sono considerati invisibili o destinati a scomparire nei discorsi del modernismo e del capitalismo contemporaneo, la possibilità di trasformarsi in spazi e luoghi di azione e immaginazione di futuri possibili.
Si tratta di un documento che testimonia una lunga ricerca, durata circa quindici anni, in diversi territori del Sud Italia, dall’Irpinia al Sannio beneventano, da alcune aree della Puglia al Molise, dal Cilento alla Sicilia, attraversando geografie e territori in emersione dal contesto post-globale. Aree rurali, luoghi abbandonati, zone ai margini affiorano attraverso modalità di ascolto e pratiche artistiche che le rivelano come spazi “aumentati”, sia dal punto di vista sensoriale che delle risonanze del pensiero.
All’interno dei dibattiti politici ed ecologici contemporanei, la ruralità emerge come elemento in costante oscillazione fra “alterità” e “identità”: non un semplice spazio geografico, quindi, ma una sorta di “posizione”, anche di tipo politico. In questo scenario di tensione interpretativa, è possibile accostarsi al concetto di ruralità in senso critico, provando a immaginare altri futuri per le comunità, i territori e i luoghi, al di là della stringente dicotomia “alterità/identità” e di una serie di discorsi che tendono a considerare la ruralità stessa come una componente marginale del mondo contemporaneo. Il Manifesto del Futurismo Rurale è un tentativo in questa direzione: una prospettiva in cui i molteplici punti di vista e di ascolto forniti dall’arte, e in particolare dalle tecnoculture, mettono in discussione i termini manichei sui quali si costruiscono i discorsi attuali sulla ruralità, ovvero autenticità e utopia, anacronismo e provincialismo, tradizione e senso di stabilità, appartenenza ed estraniamento, sviluppo e arretratezza.
CG: Perché avete scelto questo titolo che rimanda direttamente al movimento del Futurismo italiano?
LP: Il Manifesto è un testo che, più che riferirsi al Futurismo italiano di marinettiana memoria, con il quale condivide però un approccio irriverente e anche ironico, si riconnette direttamente – in senso concettuale e pratico – ai futurismi “minori” di ambito postcoloniale, come l’Afrofuturismo, in cui le tecnologie diventano strumenti di presa di coscienza e di resistenza per affermare una serie di contro-narrative in relazione a posizioni di subalternità, disuguaglianza e differenza.
In questo senso, il territorio rurale può essere riconfigurato come uno spazio critico, performativo e di narrazione condivisa, attraverso le pratiche estetiche offerte dal suono e dai linguaggi dei nuovi media, che diventa un luogo di interazione e sviluppo di azioni culturali che generano flussi dialogici con i molteplici elementi che gli danno forma. Attraverso le narrazioni dell’arte, è possibile rilevare tracce di percorsi che eccedono la visione di un territorio fermo nella propria marginalità, in tensione verso il recupero di una forza attiva che devia lo sguardo al di là di ogni visione strumentale e razionale. Nelle pieghe di questi spazi, è possibile avvertire l’eco di un tessuto culturale pulsante, che risuona di storie dimenticate, trascurate o rimosse. Storie altre, che riempiono di significati nuovi anche concetti come quello di “tradizione”, sottratto al ruolo di immobile simulacro e inserito invece nel dinamismo dei flussi di traduzione, trasformazione, transito che ritornano, come fiumi carsici, latenti ma indelebili, dall’inconscio. Il paesaggio rurale, in questa prospettiva, diventa potenzialmente la sovrapposizione di diversi paesaggi possibili: sonoro, visuale/visivo, corporeo, mediale, letti come «nuovi territori, nuovi spazi del territorio contemporaneo in costante contaminazione e ibridazione», come ha scritto Viviana Gravano (Gravano, 2012, p. 13). Allo stesso tempo, partendo dall’idea che una regione limitata geograficamente e più o meno “omogenea” dal punto di vista culturale possa offrire una serie infinita di possibilità estetiche, il territorio rurale può trasformarsi in uno spazio per sperimentare relazioni inattese tra artisti e comunità locali, con l’obiettivo di entrare in contatto e comunicare sul territorio, attraverso un approccio a partire dal quale i linguaggi estetici e le tecnologie stesse si tramutano in nuove forme di condivisione. Ritorna qui l’idea del territorio rurale come nuovo medium, sul quale abbiamo lavorato fin dalle prime edizioni del festival di arti e nuove tecnologie “Interferenze”, che può considerarsi il progetto da cui ha avuto origine la nostra ricerca in termini di pratiche e riflessione teorica intorno al concetto di ruralità e nuove tecnologie.[...]
This article is conceptually based on postcolonial/decolonial theory. It analyzes how sonic art practices might enhance enfranchisement strategies by exercising memory, archiving, and addressing history’s resignification. The sound experience, including its sensory, sonic, and affective aspects, is considered a methodological means of interrogating places and histories.
The text presented here focuses specifically on two works developed within this extended context: “Temporal de Santa Rosa” by Brian Mackern, a sound recording and installation project that reinterprets popular, religious, and traditional elements in a post-digital key; and “Antartica 1961-1996”, Alejandra Pérez Núñez’s installation that investigates the imperceptibility of national political processes that have appropriated Antarctic territory in recent decades. The analysis of these two case studies suggests a critical approach to notions such as new geographies, boundaries, and the materiality of sound, as well as proposing possible ways of approaching a sonic dimension of the South. It suggests a journey along unusual listening trajectories through a series of acoustic routes towards a geographically fragmented South, which questions the relevance of a linear story via listening points that allow hidden aspects to be heard and captured.
This article deals with a reflection around a possible reorientation towards South of the sound practices related to art, as a way of political, ecological, cultural reconfiguration of the knowledge paradigms and discourses related with the tradition of sound studies. It focuses specifically on a couple of works developed by Latin American artists: an installation and recording project developed in 2012 by Fernando Godoy in Chile’s Atacama desert; and “2487”, a sonic and web installation by Luz María Sanchez that deals with the practice of violence in the borderland area between the US and Mexico. The analysis of these case studies entails a critical engagement with notions such as “new” geographies, borders, the practice of mapping, the materiality of sound, as well as a proposal for a possible approach to the sound of the South.
By reorienting sonic arts toward South, building temporary connections and opening aesthetic spaces of interaction between diverse territories and geographies we can deal with narrations that raise different questions: is it possible to reformulate a “meridian thought”, which can be expressed through an independent voice? Is it feasible to think about a self-representation process framed in a complexity of “overlapping territories and intertwined histories” from which a multidimensional and hybridized South can emerge?
In its resonances and its dissonances, this critical approach opens the door to a re-orientation of the practice of listening that, through an aesthetic approach that becomes a political one, provides another possible access to the complex experience of crossing territories and inhabiting spaces and places in the contemporary era.
Si tratta di una condizione d’ascolto definita da una mobilità estensiva all’interno di spazi, luoghi e paesaggi che dissolve i confini tra globale, locale ed ambienti digitali discreti, rendendo la cognizione sonora impossibile da collocare in riferimento ad una specifica fonte situata fisicamente. Essa prelude al fatto che, in ragione della costante natura transitoria del suono, nessun tipo di identità ‘locativa’ possa essere desunta dalla pratica dell’ascolto.
L’analisi presentata in questo scritto, che verte proprio su questa condizione, sulla sua transitorietà e sulle situazioni di ascolto ‘amorfe’, ma particolarmente produttive dal punto di vista spaziale e temporale che essa genera, si fonda su una serie di punti di vista critici introdotti all’interno dei new media studies dalla prospettiva post-digitale, diventata terreno di indagine teorica e pratica sempre più battuto negli ultimi anni da parte di studiosi accademici, curatori ed artisti.
“Immersi in questi spazi fluidi, mutevoli e nomadici, ci accostiamo a geografie impossibili da mappare: attraversando questi ambienti, riscopriamo la possibilità di immaginarli e costruirli rendendoli territori complessi, adoperando la pratica dell’ascolto per fermarci, immergerci, ripartire o fluttuare, facendo esperienza degli infiniti mondi sonori possibili generati dall’esperienza soggettiva.” (p. 185)
Stemming from the contributions offered by Maurizio Bettini, Sean Gurd, Shane Butler and Sarah Nooter, this essay aims to analyze the cultural and sensorial dimension linked to listening in the ancient world, using the methodological perspective recently developed by sound studies, which recognizes sound as a critical device that can investigate environments, geographies and spaces through the practice and reflection of "sonic thinking". This perspective calls into question the notion of sound as an external ‘object’ considered only for its cultural significance, introducing the possibility of thinking with and through the sound itself.
From voces animalium to acoustic immersion in Sappho, from sonic dionysism to non-verbal aeschilean vocalizations, from the oracular soundscape to Lucretian sound bodies, the ancient world reveals its sound dimension through the perspective of a sensorial historicization in a (post-) phenomenological framework, in which material and cultural processes are articulated in the tension between disorder and control, dissonances and consonances.
The reference territory of the project has long been the Fortore beneventano, which for several years has represented an open space in which to rethink the concepts of place, rurality and ecology through the resonances and dissonances of the landscape, understood as a complex context of forces and assemblages of material and invisible elements.
This volume recounts in a rhizomatic and non-linear manner what has happened in these years, from 2017 to 2020, through the voices of artists, critics and scholars who have intervened in the project in different ways and at different times. They, the curators of both this book and the project from 2015 to 2018, have been asked to provide contributions of reflection and analysis on themes around which they have worked through their own research in practice. All texts are published, by choice of the editors, in the original language and without translation.
Leandro Pisano: Redatto nella forma finale da me insieme a Beatrice Ferrara, ma risultato di un processo collettivo di riflessione che ha coinvolto artisti, curatori, critici, studiosi internazionali ma anche le comunità che vivono e operano sui territori di riferimento, il Manifesto del Futurismo Rurale è un testo che rivendica per i territori marginali e rurali, che sono considerati invisibili o destinati a scomparire nei discorsi del modernismo e del capitalismo contemporaneo, la possibilità di trasformarsi in spazi e luoghi di azione e immaginazione di futuri possibili.
Si tratta di un documento che testimonia una lunga ricerca, durata circa quindici anni, in diversi territori del Sud Italia, dall’Irpinia al Sannio beneventano, da alcune aree della Puglia al Molise, dal Cilento alla Sicilia, attraversando geografie e territori in emersione dal contesto post-globale. Aree rurali, luoghi abbandonati, zone ai margini affiorano attraverso modalità di ascolto e pratiche artistiche che le rivelano come spazi “aumentati”, sia dal punto di vista sensoriale che delle risonanze del pensiero.
All’interno dei dibattiti politici ed ecologici contemporanei, la ruralità emerge come elemento in costante oscillazione fra “alterità” e “identità”: non un semplice spazio geografico, quindi, ma una sorta di “posizione”, anche di tipo politico. In questo scenario di tensione interpretativa, è possibile accostarsi al concetto di ruralità in senso critico, provando a immaginare altri futuri per le comunità, i territori e i luoghi, al di là della stringente dicotomia “alterità/identità” e di una serie di discorsi che tendono a considerare la ruralità stessa come una componente marginale del mondo contemporaneo. Il Manifesto del Futurismo Rurale è un tentativo in questa direzione: una prospettiva in cui i molteplici punti di vista e di ascolto forniti dall’arte, e in particolare dalle tecnoculture, mettono in discussione i termini manichei sui quali si costruiscono i discorsi attuali sulla ruralità, ovvero autenticità e utopia, anacronismo e provincialismo, tradizione e senso di stabilità, appartenenza ed estraniamento, sviluppo e arretratezza.
CG: Perché avete scelto questo titolo che rimanda direttamente al movimento del Futurismo italiano?
LP: Il Manifesto è un testo che, più che riferirsi al Futurismo italiano di marinettiana memoria, con il quale condivide però un approccio irriverente e anche ironico, si riconnette direttamente – in senso concettuale e pratico – ai futurismi “minori” di ambito postcoloniale, come l’Afrofuturismo, in cui le tecnologie diventano strumenti di presa di coscienza e di resistenza per affermare una serie di contro-narrative in relazione a posizioni di subalternità, disuguaglianza e differenza.
In questo senso, il territorio rurale può essere riconfigurato come uno spazio critico, performativo e di narrazione condivisa, attraverso le pratiche estetiche offerte dal suono e dai linguaggi dei nuovi media, che diventa un luogo di interazione e sviluppo di azioni culturali che generano flussi dialogici con i molteplici elementi che gli danno forma. Attraverso le narrazioni dell’arte, è possibile rilevare tracce di percorsi che eccedono la visione di un territorio fermo nella propria marginalità, in tensione verso il recupero di una forza attiva che devia lo sguardo al di là di ogni visione strumentale e razionale. Nelle pieghe di questi spazi, è possibile avvertire l’eco di un tessuto culturale pulsante, che risuona di storie dimenticate, trascurate o rimosse. Storie altre, che riempiono di significati nuovi anche concetti come quello di “tradizione”, sottratto al ruolo di immobile simulacro e inserito invece nel dinamismo dei flussi di traduzione, trasformazione, transito che ritornano, come fiumi carsici, latenti ma indelebili, dall’inconscio. Il paesaggio rurale, in questa prospettiva, diventa potenzialmente la sovrapposizione di diversi paesaggi possibili: sonoro, visuale/visivo, corporeo, mediale, letti come «nuovi territori, nuovi spazi del territorio contemporaneo in costante contaminazione e ibridazione», come ha scritto Viviana Gravano (Gravano, 2012, p. 13). Allo stesso tempo, partendo dall’idea che una regione limitata geograficamente e più o meno “omogenea” dal punto di vista culturale possa offrire una serie infinita di possibilità estetiche, il territorio rurale può trasformarsi in uno spazio per sperimentare relazioni inattese tra artisti e comunità locali, con l’obiettivo di entrare in contatto e comunicare sul territorio, attraverso un approccio a partire dal quale i linguaggi estetici e le tecnologie stesse si tramutano in nuove forme di condivisione. Ritorna qui l’idea del territorio rurale come nuovo medium, sul quale abbiamo lavorato fin dalle prime edizioni del festival di arti e nuove tecnologie “Interferenze”, che può considerarsi il progetto da cui ha avuto origine la nostra ricerca in termini di pratiche e riflessione teorica intorno al concetto di ruralità e nuove tecnologie.[...]
This article is conceptually based on postcolonial/decolonial theory. It analyzes how sonic art practices might enhance enfranchisement strategies by exercising memory, archiving, and addressing history’s resignification. The sound experience, including its sensory, sonic, and affective aspects, is considered a methodological means of interrogating places and histories.
The text presented here focuses specifically on two works developed within this extended context: “Temporal de Santa Rosa” by Brian Mackern, a sound recording and installation project that reinterprets popular, religious, and traditional elements in a post-digital key; and “Antartica 1961-1996”, Alejandra Pérez Núñez’s installation that investigates the imperceptibility of national political processes that have appropriated Antarctic territory in recent decades. The analysis of these two case studies suggests a critical approach to notions such as new geographies, boundaries, and the materiality of sound, as well as proposing possible ways of approaching a sonic dimension of the South. It suggests a journey along unusual listening trajectories through a series of acoustic routes towards a geographically fragmented South, which questions the relevance of a linear story via listening points that allow hidden aspects to be heard and captured.
This article deals with a reflection around a possible reorientation towards South of the sound practices related to art, as a way of political, ecological, cultural reconfiguration of the knowledge paradigms and discourses related with the tradition of sound studies. It focuses specifically on a couple of works developed by Latin American artists: an installation and recording project developed in 2012 by Fernando Godoy in Chile’s Atacama desert; and “2487”, a sonic and web installation by Luz María Sanchez that deals with the practice of violence in the borderland area between the US and Mexico. The analysis of these case studies entails a critical engagement with notions such as “new” geographies, borders, the practice of mapping, the materiality of sound, as well as a proposal for a possible approach to the sound of the South.
By reorienting sonic arts toward South, building temporary connections and opening aesthetic spaces of interaction between diverse territories and geographies we can deal with narrations that raise different questions: is it possible to reformulate a “meridian thought”, which can be expressed through an independent voice? Is it feasible to think about a self-representation process framed in a complexity of “overlapping territories and intertwined histories” from which a multidimensional and hybridized South can emerge?
In its resonances and its dissonances, this critical approach opens the door to a re-orientation of the practice of listening that, through an aesthetic approach that becomes a political one, provides another possible access to the complex experience of crossing territories and inhabiting spaces and places in the contemporary era.
Si tratta di una condizione d’ascolto definita da una mobilità estensiva all’interno di spazi, luoghi e paesaggi che dissolve i confini tra globale, locale ed ambienti digitali discreti, rendendo la cognizione sonora impossibile da collocare in riferimento ad una specifica fonte situata fisicamente. Essa prelude al fatto che, in ragione della costante natura transitoria del suono, nessun tipo di identità ‘locativa’ possa essere desunta dalla pratica dell’ascolto.
L’analisi presentata in questo scritto, che verte proprio su questa condizione, sulla sua transitorietà e sulle situazioni di ascolto ‘amorfe’, ma particolarmente produttive dal punto di vista spaziale e temporale che essa genera, si fonda su una serie di punti di vista critici introdotti all’interno dei new media studies dalla prospettiva post-digitale, diventata terreno di indagine teorica e pratica sempre più battuto negli ultimi anni da parte di studiosi accademici, curatori ed artisti.
“Immersi in questi spazi fluidi, mutevoli e nomadici, ci accostiamo a geografie impossibili da mappare: attraversando questi ambienti, riscopriamo la possibilità di immaginarli e costruirli rendendoli territori complessi, adoperando la pratica dell’ascolto per fermarci, immergerci, ripartire o fluttuare, facendo esperienza degli infiniti mondi sonori possibili generati dall’esperienza soggettiva.” (p. 185)
Other narratives, which fill with new meanings even concepts like ‘tradition’ that, removed from the role of property simulacrum, instead becomes dynamic part of the flow of translation, transformation, transit that returns as an underground river, latent but indelible, of the unconscious.
This article analyses a series of artistic and sonic practices developed during Liminaria, a fieldwork-based research platform aimed at developing “sustainable” cultural, social and economic networks in the Fortore area, a rural micro-region in the province of Benevento, Southern Italy- Liminaria is one of the possible results of these aesthetic processes mediated by sound, expressed in terms of a project that reflects and transmits not only aspects of collective and individual memories of a rural region, but also new experiences and habits.
“In terms of a complex system that conveys ideas and bodies, by connecting different spaces and times, contemporary languages and traditions, the rural territory thus overcomes the limits of the map and its representation. Reconfigured, in a foucaultian sense as an heterotopic device, it suggests different ways to experience the history and culture, to practice the time and space in peripheral places of modernity. From this perspective other narratives arise, to the extent that the sounds produced by the artists with the local community brings out – through a temporary translation process – fragments of a past that opens to the dynamic and unpredictable trajectories of the present, fueling a process in which, starting with the revision of the current, it”s possible to re-imagine (and re-occupy) the rural territory as a “different landscape“.” (p. 37)
The reference territory of the project has long been the Fortore beneventano, which for several years has represented an open space in which to rethink the concepts of place, rurality and ecology through the resonances and dissonances of the landscape, understood as a complex context of forces and assemblages of material and invisible elements.
This volume recounts in a rhizomatic and non-linear manner what has happened in these years, from 2017 to 2020, through the voices of artists, critics and scholars who have intervened in the project in different ways and at different times. They, the curators of both this book and the project from 2015 to 2018, have been asked to provide contributions of reflection and analysis on themes around which they have worked through their own research in practice. All texts are published, by choice of the editors, in the original language and without translation.
Accostarsi al soundscape in una prospettiva critica implica una rottura con le categorie statiche che ne hanno determinato la lettura in gran parte dei sound studies. Guardare ad alcuni dei limiti teorici che vengono in evidenza all’interno dei discorsi tradizionali dei sound studies, aiuta a riconsiderare il soundscape contemporaneo come uno spazio critico all’interno del quale è possibile mettere in discussione categorizzazioni e relazioni tra soggetto ed oggetto, umano e non-umano, visibile ed invisibile, materiale ed effimero.
Al centro dell’analisi di questo scritto sono il concetto di ‘sonic’ ecology e la sua riconfigurazione, attraverso la riflessione sull’agentività invisible del suono come forza che rivela i possibili assemblaggi che generano i luoghi, aprendo la strada a nuovi terreni in cui ridefinire la negoziazione umana ed postumana. In questo senso, il suono suggerisce modalità altre per ripensare alle relazioni tra potere, politica e spazio in una prospettiva critica ecologica.
Questo scritto, a partire dall’indagine di uno specifico caso di studio, e cioè la rete europea di residenze artistiche di sound art SoCCoS (The Sound of Culture – The Culture of Sound), evidenzia come le pratiche estetiche legate al suono, all’interno di un network associativo fondato su una prospettiva ecologica ‘altra’, possano aprire “spazi liminali che disturbano la stabilità storica del paesaggio” (Stirling, 2013), configurando una cartografia critica che eccede la visione autorizzata della storia, della politica e della cultura.
In questo senso, che si pensi all’Europa come un concetto storico, politico, geografico o affettivo, il suono diventa una delle possibili chiavi di lettura (o, meglio, di ‘ascolto’) per riaffermare l’urgenza di riconfigurare la sua nozione, di ascoltare le rovine che essa ha prodotto attraverso la creazione di categorie e di regimi diseguali di ‘diritti’ umani, cittadinanza ed ospitalità.
Attraversando criticamente la diversità delle culture che risultano dai suoni in mutamento e dalle storie del suono nel contesto europeo, si possono creare le condizioni per rendere percepibili altre posizioni, evitando ogni possibile concezione utopica di superamento delle frontiere, ma sottolineando invece le dissimmetrie e le tensioni prodotte dai processi di ascolto. Il suono, in questo modo, può rivelare le relazioni ed i movimenti invisibili tra oggetti, corpi e materia, invitandoci a praticare ed immaginare altre possibili verità, narrazioni e ‘realtà’
Edited by Leandro Pisano and Beatrice Ferrara, the contributions here collected range from first-person artist accounts of the residency experience to critical analysis of crucial issues such as the status of sound art and its role within border and marginalised areas – giving great emphasis to complex (and sometimes conflicting) political, cultural, economic, and social dynamics.
The authors – coming from various geographical locations worldwide (Latin America, Asia, Europe) – all start from a self-reflexive approach to their own practice to touch on broader issues, such as ‘identity’, ‘community’, ‘borders’, ‘cultural traditions’. In this way, on-site, deep listening practices prove relevant to the tackling of critical issues spanning a global scale. Contributors: Leandro Pisano & Beatrice Ferrara, Tiziano Bonini, Angus Carlyle, Enrico Coniglio, Alejandro Cornejo Montibeller, Fernando Godoy, Miguel Isaza, David Vélez, Hong-Kai Wang.
“Over the years, a curatorial strategy has therefore been built, adopting and exercising a self-reflexive perspective with an ‘ecological’ or ‘ecosophic’ focus in relation to place. Due to Liminaria ’s time constraints, the project has developed in intensity rather than extent with the number of public presentations incrementally — and perhaps paradoxically — being reduced during each week-long event organised two or three times a year. Time and human energy in combination reflect important issues regarding the sustainability of what can be produced, particularly in terms of independent research: for the curators, it therefore seemed worthwhile investing more in the micro residences as, in terms of interventions, they encompass the most important and involved interaction between the project itself and its premise, team, region, artists and all those locally involved in the process.” (Introduction, p. 8)
Questo libro si propone di indagare alcune di queste trasformazioni, inquadrandole in riferimento alle prospettive di ricerca offerte dagli studi culturali e postcoloniali, a partire dall’analisi di una serie di pratiche estetiche legate al suono (sound art, paesaggio sonoro) che nascono dall’esperienza delle geografie in emersione dal contesto post-globale. Aree rurali, luoghi abbandonati, zone ai margini si rivelano attraverso modalità di ascolto che le riconfigurano come spazi estetici e critici inusitati ed aumentati, attraversati dal suono non solo come strumento, ma come metodo e dispositivo di indagine.
“Lungo questo percorso articolato, il suono valica territori, geografie, spazi, paesaggi, rivelandosi come il filo conduttore di una narrazione frammentata, complessa, mai trasparente, che lascia emergere le linee di paesaggi in costante trasformazione. Il suono ci esorta a ridefinire il senso degli spazi che attraversiamo, dei luoghi che abitiamo, invitandoci a tracciare le linee di paesaggi costruiti anche con le nostre traiettorie, attraverso il pensiero, la memoria, la risonanza, l’articolarsi ed il disarticolarsi di tracce materiali o effimere. All’interno di questo contesto, riscopriamo così la possibilità non solo di abitare i luoghi, ma anche, una volta di più, di immaginarli e costruirli rendendoli ambiente complessi e riecheggianti. Facendo esperienza del pensiero, in ultima analisi, come un’infinita risonanza.” (p. 14)
By critically crossing the diverse cultures that result from the varied sounds and histories of sound in a European context, it’s possible to create the conditions within which to make other positions perceptible – not by adhering to every utopian notion of connectivity and borderlessness, but by highlighting the dyssymmetries and tensions produced by the listening process. Such a practice can lead us to think and feel, to continue to learn, to produce agonistic tensions that challenge the authorised knowledge. Overcoming a pure musical approach, a broader culture of sound is one which would empower cross-cultural relation – enhancing encounters and forms of cultural translation; configuring a practice of border crossing; re-routing the discourse on gender, race and difference; and making new sense of concepts such as “identity” and “community”.
This article focuses on the SoCCoS European Sound Art network that is a project based on the idea that distinct cultures of sound art and experimental music can be brought into dialogue with one another in a process aimed at reveal[ing] the culture of Sound (The Sound of Culture: A European Sound Art Residency Network).
“In this framework, sound – as a matter necessarily linked with both affect and the public sphere – invites us to deal with new forms of connectedness and multiculturalism. Especially at a time when the notion of Europe is “under fire, both as a result of resurgent nationalism and euro-scepticism that challenge the ideal of supra-nationality and cooperation and as a result of its contested border politics” (Ponzanesi and Leurs, 2014: 4), such an invitation is vital. Whether we think of Europe as a historical, political, geographical, or emotional concept, there is an urgency now to scrutinize and to re-configure its notion, to listen to the “ruins” that it has produced through the creation of unequal categories and regimes of human rights, citizenship, and hospitality.” (p. 202)
In questa esperienza, “il territorio diventa un laboratorio culturale dove diventa possibile immaginare e praticare un’economia politica diversa. La novità entra per far parte del territorio non come una forza esterna ma tramite un nuovo assemblaggio di elementi, pratiche e possibilità che sono già in circolazione.” (I. Chambers)
Attraverso questa ricombinazione, si aprono spazi di interazione tra comunità e gli artisti coinvolti, fondati su interessi condivisi anche in maniera temporanea, o semplicemente costruiti sull’incontro che avviene per caso, determinato dall’abitare transitoriamente lo stesso luogo e lo stesso tempo. È un incontro che produce l’inatteso, che rivela l’arte nelle sue possibilità di oltrepassare i vincoli imposti da confini e sintassi disciplinari, che ridisegna il territorio rurale come uno spazio critico in cui interrogare gli ambiti semantici di termini come “comunità” o “identità” e individuare nuove modalità di traduzione anche rispetto alle tradizioni.
“In Irpinia come nel Sannio, a Latronico come OGNI DOVE, fare esperienza del territorio attraverso questi processi di incontro in transizione innescati dalle pratiche dell’arte, significa riuscire a re-immaginarlo nella complessità delle sue voci, dei suoi paesaggi, delle sue vite, adoperando punti di vista e di ascolto “altri”, attraverso i quali relazionarsi con le storie e le culture che lo attraversano.” (p. 50)