Dipartimento di Scienze Umanistiche e sociali

Giuliana Altea N Ne el l p pa ae es se e d de ei i c ce er rc ch hi i i in n a az zi io on ne e. . E Ev va as si io on ne e, , n no os st ta al lg gi ia a e e u ut to op pi ia a s so oc ci ia al le e i in n C Ci ir rq qu ue e d di i L Lé ég ge er r Negli ultimi quindici anni della vita di Léger, dal periodo dell'esilio ame-19

Sommario Introduzione 9 1. La donna decorativa 19 Femminilità ornamentale e ornamento femminilizzato 19 -Sotto il segno meno 22 -Decorativa e decoratrice 26 -Iconografie della femminilità decorativa: la donna allo specchio e il ritratto ambientato 34 -Il tema della «donna decorativa» 37 2. Estetiche di superficie 43 Estremismi ornamentali 43 -L'estetica dell'arazzo 49 -Tra decorazione e astrazione 54 -Metamorfosi decorative 56 -Donne, merci, desideri 60 -Dalla coquette alla cocotte 65 3. L'ornamento totale 71 L'arte della moda, la moda nell'arte 71 -Primitivismo decorativo 77 -Klimt e l'aura del consumo 81 -La maschera dell'ornamento 88 -Chic e shock 94

The recent critical reappraisal of the work of Bernard Rudofsky has highlighted the originality of his multifaceted approach to architecture and to life in general. This paper examines his only architectural work completed between 1941 and 1962: the garden of his friend Tino Nivola’s house in Long Island, designed in 1949-50 in collaboration with Nivola himself, where Rudofsky put in practice the idea of the “open-air room” envisaged in his designs made in Italy with Gio Ponti during the Thirties and then in Brazil. While the architectural layout of the garden was done by Rudofsky, Nivola – later to became a prominent figure in architectural sculpture - contributed a series of murals and others details. A pivotal work in Rudofsky’s career, the Nivola garden represents a unique attempt at implanting themes and motifs from European Mediterraneism in an American habitat, but it also mirrors the insights of George Eckbo developed within the landscape architecture debate that took place ...

III · Dagli anni sessanta alla fine del secolo / Il genius loci e il progettista distante Il genius loci e il progettista distante Artisti e laboratori tessili nella Sardegna del secondo Novecento Nella primavera del 1961 la rivista statunitense "Craft Horizons" dedicava un servizio di dieci pagine all'artigianato della Sardegna, nel quale i tessuti -da sempre fiore all'occhiello della produzione isolana -erano l'elemento di primo piano 1 . I tappeti e gli arazzi presentati nell'articolo avevano ornati di sapore tradizionale, le cui semplici geometrie li rendevano capaci di integrarsi nell'arredamento moderno; riprodotti in scatti ravvicinati che ne evidenziavano i dettagli decorativi e mettevano in risalto la ruvidezza "primitiva" del materiale, ossia la lana sarda tessuta a stuoia, erano accostati a reperti archeologici di età nuragica come sculture e spade <votive in bronzo. Tessuti e pezzi di scavo, suggeriva implicitamente l'articolo, andavano considerati come espressioni diverse di un'identica cultura mantenutasi intatta nei secoli, sobria e severa ma anche ricca di colore e di saporosa ingenuità. Questa rappresentazione, funzionale alle esigenze del mercato turistico e alle attese del pubblico americano affamato di passato, trovava conforto nel carattere conservativo rivestito dall'artigianato tessile in Sardegna. Nata nel quadro di una società agropastorale in cui perduravano ruoli ed equilibri ancora premoderni, la tessitura prescindeva nell'isola dalle istituzioni didattiche consolidate che caratterizzavano altre realtà italiane: non vi era nella regione niente di paragonabile alle scuole industriali tessili presenti in centri quali Como, Biella o Napoli. Fatto più importante, in Sardegna la tessitura si presentava come un'attività fortemente connotata nel senso del genere: non esistevano -o erano rarissimi -tessitori maschi. Fino agli anni cinquanta il lavoro veniva svolto prevalentemente in casa; successivamente si formarono laboratori con piccoli gruppi di tessitrici, che rappresentavano contesti produttivi solo relativamente più organizzati. I prodotti, originariamente destinati all'uso domestico, avevano cominciato a venire reindirizzati al mercato solo a partire dai primi del secolo, a seguito di svariate iniziative pubbliche e private 2 . Questo scenario contribuiva ad alimentare la fantasia di un artigianato tessile immobile, specchio di una cultura altrettanto statica, non suscettibile di evoluzione e proprio per questo ricca di fascino 3 ; un'immagine che era però ben lungi dal rispecchiare la realtà, come del resto lo stesso articolo di "Craft Horizons" documentava.

Sagittario discorsi di teoria e geografia della letteratura collana diretta da Federico Bertoni e Giulio Iacoli serie neocritica iv L'eredità di Antigone Sorelle e sorellanza nelle letterature, nel teatro, nelle arti e nella politica A cura di Monica Farnetti e Giuliana Ortu Franco Cesati Editore Volume realizzato con il contributo della Regione Sardegna L.R. 7/2007, annualità 2013 e del Dipartimento di Scienze umanistiche e sociali dell'Università degli Studi di Sassari. È vietata la traduzione, la memorizzazione elettronica, la riproduzione totale o parziale con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico. ISBN 978-88-7667-745-8 © 2019 proprietà letteraria riservata Franco Cesati Editore via Guasti, 2 -50134 Firenze Cover design: ufficio grafico Franco Cesati Editore.

While Le Corbusier’s first sojourn in America, in the mid 1930s, has been reconstructed thanks to the research carried out by Mardges Bacon, the architect’s return to the United States after World War II has until now received only limited attention, for the most part focused on the history of the project for the United Nations Headquarters. The role played by that stay in his activity as a painter has instead remained largely off the radar of scholarship on Le Corbusier. It was, however, an extremely interesting chapter in the development of his thought, artistic vision, and public image, the moment in which Le Corbusier, in the new context of the United States, reread his work as a whole in light of visual art and reformulated it in terms of the “synthesis of the arts.”
Within this practical and theoretical framework, his friendship with Costantino Nivola played  a critical role, witnessed by the collection of works that Le Corbusier left with the younger artist, now divided between the Fondation Le Corbusier and private collections in America. This paper specifically reconstructs the history of the collection, examining Le Corbusier’s graphic and pictorial development between the late 1920s and early 1950s through his “American” drawings.

Dalla fine degli anni Venti, quando compie il suo debutto di caricaturista, al momento in cui depone la matita allo scadere degli anni Sessanta, Ennio Zedda ha attraversato diverse stagioni della storia italiana -politica, sociale e del gusto- con un'attività intensissima, condotta al ritmo incalzante che le esigenze della stampa periodica imponevano agli illustratori. Se la prima fase della sua produzione, ospitata soprattutto sulle pagine de Il Balilla, è quella cui più direttamente il suo nome è stato fin qui associato, ciò si deve non soltanto alla qualità della proposta grafica, ma anche -per qualche verso- alla fascinazione che l'immaginario del Ventennio continua tuttora a esercitare, pur nel rifiuto delle sue connotazioni politiche e nella consapevolezza della tragedia storica scaturita dai presupposti ideologici che gli erano sottesi. Il lavoro di Zedda si presta a suggerire una riflessione sul complesso rapporto fra intenti propagandistici ed effettiva portata dei significati veicolati dall'immagine, tra ricerca di strategie di indottrinamento e relativa autonomia dello stile. Le pagine a vignette che Zedda pubblica negli anni Trenta e nei primi Quaranta costituiscono un ottimo osservatorio per verificare il grado di penetrazione dei messaggi del regime in un ambito della produzione di immagini particolarmente efficace nel modellare le coscienze, quello della stampa per ragazzi; e insieme consentono di cogliere i margini di divagazione e di libertà fantastica lasciati aperti dalla pervasiva presenza dell'ideologia.

Oggetto di questo intervento sono tre diversi modi di guardare alla dimen-sione della memoria, da parte di due protagonisti della storia dell'arte del Novecento, Jackson Pollock e Le Corbusier, e di una figura di artista late-rale e tuttora poco conosciuta, Costantino Nivola, trait d'union fra perso-naggi così lontani fra loro come il capofila dell'Espressionismo astratto e l'architetto modernista.

Il saggio si incentra sull'uso della fotografia in due azioni artistiche realizzate da Costantino Nivola e Maria Lai. Nivola e Lai si erano conosciuti nel 1972, durante uno dei periodici ritorni di Nivola in Italia, e avevano stretto rapidamente amicizia. Ad accomunarli c'era il profondo interesse per le proprie radici e l'esperienza del distacco dal luogo d'origine come premessa a una ricerca artistica fondata su un ripensamento della sua cultura antropologica. I due casi di cui parlo sono separati da circa vent'anni e vanno dunque contestualizzati nell'ambito di due momenti diversi del dibattito artistico. Di conseguenza, anche il ruolo che in essi riveste la fotografia non può che essere differente. Al tempo stesso, però, vi sono degli aspetti che li avvicinano e che inducono a qualche riflessione su un certo uso della della fotografia come mediatrice tra contesti "etnografici" (uso il termine con tutte le cautele del caso) e dimensione artistica.