Papers by Isabella INNAMORATI

Drammaturgia, Dec 21, 2023
ISABELLA INNAMORATI 256 Domenico Scarpetta, era ufficiale agli affari ecclesiastici del ministero... more ISABELLA INNAMORATI 256 Domenico Scarpetta, era ufficiale agli affari ecclesiastici del ministero borbonico e tra i suoi compiti rientrava la vigilanza sui teatri, dove, di tanto in tanto, portava con sé la famiglia. Ecco perché Eduardo fu uno spettatore precoce: varcò presto la soglia del teatro dei Fiorentini, assistendo con poca attenzione agli spettacoli di prosa delle maggiori compagnie italiane di passaggio per Napoli, e quella del teatro San Carlino dove invece si appassionò agli spettacoli comici, in dialetto, dinamizzati dal genio di Antonio Petito, interprete moderno della maschera di Pulcinella e di Pascariello. Fu precoce anche nell'ingresso professionale a teatro, che avvenne a quindici anni, in tristi circostanze e dietro pressanti necessità economiche: il padre Domenico si spense nel 1868 dopo una lunga malattia che aveva prosciugato i risparmi di famiglia. Eduardo si propose come attore alla compagnia del teatro Nuovo-dove recitava Antonio Petito-contando sulle buone relazioni del padre, ma senza successo. Ripiegò allora sulla nuova compagnia del San Carlino, capeggiata da Tommaso Zampa, dove recitava Antonio Natale, un altro attore amico, con l'impresa Mormone. E qui ottenne la sua prima scrittura il 22 ottobre 1868, il cui testo è parzialmente pubblicato nell'autobiografia. Stando a quanto vi si legge il giovane era ingaggiato «in qualità di generico di secondo filo, non escluse le ultime parti e quelle di poca o niuna entità». 4 Doveva, insomma, assolvere alle più disparate e marginali esigenze in qualunque tipo di spettacolo, compreso «ballare, tingermi il volto, essere sospeso in aria, se qualche produzione il richiedesse, ed in fine fare tutto ciò che mi verrà imposto, come anche cantare nei cori, e a solo, nei vaudevilles». 5 Sostiene di aver debuttato nella nuova rivista di Antonio di Lerma di Castelmezzano Cuntiente e guaie, ma il suo nome compare già in piccoli ruoli nelle locandine teatrali di altri spettacoli precedenti. 6 Quello al San Carlino fu, comunque, un ingaggio di breve durata perché l'impresa sciolse la compagnia nel marzo del 1869. Trovò, tuttavia, rapidamente un nuovo impiego grazie ai buoni uffici di due attori, Cesare Spelta e Giovannina Altieri, nella formazione del teatro Partenope, diretta dal capocomico Gennaro Pastena per l'impresa di Gennaro Falanga. Costui controllava un vero e proprio sistema teatrale, basato su tre distinte sale: Fenice, Partenope e Sebeto. Nel complesso l'offerta era molto variata, contemplando sia il dramma storico che la commedia, la farsa, la rivista e il ballo (l'impresa aveva costituito un vero e proprio corpo di ballo con primi ballerini, danzatrici, mimi, un maestro concertatore di danza, un maestro di musica e musicisti). La strategia impresariale era quella di far re

Domenico Barone di Liveri, corago, scenografo, commediografo e aristocratico nolano, appassionato... more Domenico Barone di Liveri, corago, scenografo, commediografo e aristocratico nolano, appassionato di teatro, diventò celebre grazie alla sua attività presso la corte di Napoli, godendo della protezione del sovrano, Carlo di Borbone. Tra il 1735 e il 1757 egli allestì annualmente le sue commedie nella Sala Regia di Palazzo Reale, facendo costruire un originale impianto a scena fissa, tridimensionale e praticabile quasi per intero, per ogni nuova rappresentazione. Le aeree volumetrie delle scene liveriane erano in controtendenza rispetto alla scenografie dei melodrammi barocchi con mutazioni a vista sontuosamente realizzati al Teatro San Carlo; pure la tridimensionalità della scena fissa, la praticablità della scena a rilievo, consentivano al Liveri di ottenere sorprendenti effetti di simultaneità e di gioco d'insieme combinando e concertando il movimento e il ritmo della recitazione. Il saggio investiga sulle esperienze formative che hanno indotto Barone alla scelta della scena a rilievo e propone una visualizzazione delle scena della commedia liveriana 'La Contessa' (1735)
Il contributo si concentra sulla specificità del linguaggio scenotecnico barocco dalle origini ci... more Il contributo si concentra sulla specificità del linguaggio scenotecnico barocco dalle origini cinquecentesche fino alla fine del XVIII secolo prendendo in esame la trattatistica teatrale del periodo

Il saggio si interroga sui contrastanti giudizi di valore attribuiti al dramma e al teatro dalla ... more Il saggio si interroga sui contrastanti giudizi di valore attribuiti al dramma e al teatro dalla coscienza leopardiana nell’età dell’acceso dibattito classico-romantico (cui partecipò a suo modo Leopardi stesso). Da una fase di iniziale entusiasmo tra il 1811 e il 1823, testimoniata dalle note zibaldoniane e soprattutto dalla composizione di due tragedie (La virtù indiana, Pompeo in Egitto) e tre abbozzi drammatici (Maria Antonietta, Erminia, Telesilla), Leopardi passò attraverso una fase di rifiuto (1828) per giungere ad un approdo di sperimentale ibridazione della forma lirica della canzone con la forma drammatica del monologo, illustrata da una serie di appunti e dal Consalvo. Viene, in tal modo, sfatato il pregiudizio della “inettitudine” di Leopardi al teatro, riavvicinando l’atteggiamento del recanatese a quello di altri grandi poeti italiani, come Foscolo e Manzoni, tutt’altro che indifferenti al teatro, semmai ad esso ostili per ansia di riforma o di radicale rinnovamento
Il breve contributo mira all'analisi delle finalità di questo periodico teatrale pubblicato i... more Il breve contributo mira all'analisi delle finalità di questo periodico teatrale pubblicato in Napoli nel corso dell'Ottocento. Passando in rassegna l'intera serie delle sue pubblicazioni, conservata presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, emerge in primo luogo il taglio eminentemente di settore e in secondo luogo la sua rappresentatività, a livello di una ricezione culturalmente attrezzata, degli umori e delle tendenze del gusto. Pur senza trascurare l'attività dei teatri di prosa napoletani –si veda il riferimento all'attività del Majeroni al Teatro del Fondo – l'attenzione del periodico privilegia le scelte del repertorio melodrammatico e gli avvenimenti del Teatro San Carlo
In Ogni anno punto e da capo wrote and directed, but not recited, by Eduardo in 1971, you can get... more In Ogni anno punto e da capo wrote and directed, but not recited, by Eduardo in 1971, you can get much more significant implications than the tone of the show – a fun reinvention of the revue of the Thirties – could let believe at first. The show stands, in fact, as the peak of an intense season of exchanges and collaborations between Eduardo and the Piccolo Teatro of Milan, also promoted by the interest of Eduardo for modern prerogatives of the role of director. Making use of critical and documentary evidence of the period, the contribution reconstructs the show by Eduardo, focusing on his own directing perspective, characterized by metatheatricality and autobiography, towards a regeneration of national dramaturgy by the lifeblood of the Neapolitan theater tradition.
Rassegna Della Letteratura Italiana, 1999
Drammaturgia, Dec 15, 2022
UniSa. Sistema Bibliotecario di Ateneo, 2019
Il teatro e la sua memoria: la registrazione dell'esperienza La raccolta, la lettura e l'interpre... more Il teatro e la sua memoria: la registrazione dell'esperienza La raccolta, la lettura e l'interpretazione delle fonti rappresenta il primo livello di ogni ricerca storiografica. Nella ricostruzione dei fenomeni teatrali l'individuazione dei documenti si rivela particolarmente delicata,

Tra i principali filoni dell'opera registica di Massimo Castri figura quello delle tragedie c... more Tra i principali filoni dell'opera registica di Massimo Castri figura quello delle tragedie classiche. In particolare Le Trachinie di Sofocle e Elettra, Oreste e Ifigenia in Tauride di Euripide hanno dapprima costituito un’importante esperienza di pedagogia laboratoriale, indirizzata alla formazione di giovani attori, trovando sbocco, successivamente, in una memorabile serie di spettacoli di regia. Il lavoro di regia, in Massimo Castri, matura sempre mediante una laboriosa stesura di taccuini preparatori, qui editi per la prima volta, con l'intento di far conoscere più da presso i procedimenti della creazione teatrale e contemporaneamente offrire esemplari campionature del modus operandi del regista toscano. I criteri di edizione, orientati ad un principio fortemente conservativo, mirano a privilegiare un incontro del lettore non mediato – o il meno possibile – con la scrittura di Massimo Castri, sia pure in questa dimensione originariamente privata e immediatamente funzionale dei taccuini preparatori delle regie. E tuttavia il lavoro del lettore si può appoggiare da un lato su di un agile apparato critico, funzionale alla piena comprensione delle particolarità e delle consuetudini grafiche del regista e dall’altro sulle note di commento utili al riconoscimento di opere, persone e avvenimenti che rinviano ad un contesto culturale assai ampio e ad un fitto intreccio di esperienze di vita e di lavoro, consentendo, così, di apprezzare l’energia e l’originalità della invenzione teatrale di questo grande protagonista della scena novecentesca

La energia di Majakovskij come interprete sulla scena, benché sia attestata con certezza da varie... more La energia di Majakovskij come interprete sulla scena, benché sia attestata con certezza da varie fonti dell’epoca, resta ormai irrimediabilmente perduta. E’ stato però ritrovato – e di recente restaurato – il film "La signorina e il teppista", scritto e interpretato da Majakovskij nel ruolo di protagonista. Si tratta dell’unica pellicola sopravvissuta al naufragio del tempo delle tre realizzate da Majakovskij nel 1918 per la casa cinematografica Neptun: "La signorina e il teppista", tratta da un racconto di Edmondo De Amicis (1895) che si intitolava "La Maestrina degli Operai"; "Non nato per il denaro", tratto dal romanzo "Martin Eden" di Jack London (1909); e lo scenario originale "Incatenata dal film" in cui recitava Lilja Brik. La reinvenzione majakovskiana del testo deamicisiano appare molto interessante perché attiva una scrittura cinematografica fortemente segnata dalla personalità del poeta autore e interprete e perché arricchisce la prevalente sintassi naturalistica del linguaggio filmico (imposto dalla casa di produzione) di inattese potenzialità metaforiche d’avanguardia. Del pari la recitazione majakovskiana conferma la forte connotazione autobiografica che già caratterizzava la vitale espressività del poeta-attore anche a teatro. Il contributo si interroga, infine, sulle relazioni esistenti tra la concreta esperienza del film e l’ambito teorico degli scritti majakovskiani intorno alle finalità del teatro e del cinema nel più ampio contesto della rivoluzione russa

Il breve contributo si propone di ricostruire la rapida parabola della "Settimana teatrale&q... more Il breve contributo si propone di ricostruire la rapida parabola della "Settimana teatrale", periodico teatrale del 1865, fondato a Napoli dal fervente garibaldino Giuseppe Ajello. Gli anni della complessa riunificazione nazionale spingono l'intellettualità a riconoscere nel teatro un importante strumento di edificazione morale della nuova cittadinanza unita; di qui la serrata polemica contro la speculazione teatrale e la necessità di un nuovo impegno da parte degli impresari teatrali. Il giornale registra criticamente l'ingresso della prosa al San Carlo, il massimo teatro napoletano dedito essenzialmente alla musica, il palcoscenico del quale ospita l' esibizione della grande attrice Adelaide Ristori, interprete della "Sanfelice" e della "Giuditta". Si eccepisce, non sull'arte della attrice in sé, ma sulla deroga alla dignità della massima istituzione cittadina, rivelando il pregiudizio del mondo musicale nei confronti della prosa

L'articolo ricostruisce la quadriennale attività della Rondinella, il pugnace settimanale fon... more L'articolo ricostruisce la quadriennale attività della Rondinella, il pugnace settimanale fondato da Francesco Mastriani, celebre autore di molte opere tra cui "La cieca di Sorrento" e "Il ventre di Napoli", coadiuvato dai fratelli Giuseppe e Ferdinando oltre a una nutrita schiera di collaboratori tutti impegnati nel comune scopo di diffondere la cultura nel popolo. La Rondinella non si prefiggeva di intervenire soltanto sul teatro, ma ampliò la discussione all'attualità, alla politica, alla letteratura e all'arte. Riservò, tuttavia, al teatro ben due specifiche rubriche: la prima intitolata "la piccionaia" (tanto per sottolineare metaforicamente il punto di vista ideologico, essendo la piccionaia il tradizionale luogo d'assise del pubblico popolare) e "teatri esteri". Il teatro restò sempre, nella coscienza dei redattori di formazione ideale socialista, un mezzo fondamentale per l'educazione e l'emancipazione dalla subalternità culturale. Il fine dell'arte dichiarò Francesco Mastriani, non è il bello: esso viene posto costantemente in relazione con la morale. Il genere teatrale prediletto, come affermò Giuseppe Mastriani, era il genere serio da considerarsi superiore a quello ridicolo. Si stigmatizzava, non di meno, l'imitazione dei modelli francesi impostisi ovunque, come un segno della mancanza di originalità nei giovani autori italiani

Il contributo si propone di cogliere la qualità artistica degli allestimenti dedicati a I Giganti... more Il contributo si propone di cogliere la qualità artistica degli allestimenti dedicati a I Giganti della montagna da par-te di due registi attivi nella seconda metà del XX secolo, Giorgio Strehler e Mario Missiroli. Costoro declinarono, con diversa sensibilità, l’inchiesta pirandelliana sul mistero che alimenta la creazione artistica infrangendola consistenza apparente del reale e il confine tra la vita e la morte. Gli spettacoli presi in esame sono le tre regie strehleria-ne del 1947, 1966 e 1994 e la regia di Mario Missiroli del 1979. Secondo Strehler, che iniziò a occuparsi giovanissimo dei Giganti della montagna e che pose il dramma nel pro-gramma del primo anno di inaugurazione del Piccolo Teatro di Milano (1947), occorreva respingere il ricorrente pirandellismo che ancorava l’opera al relativismo e alla «scontatissima commedia dell’incomprensione umana» perché il tema del dramma verteva, invece, sulla contrapposizione tra i soli due modi possibili di praticare l’arte tea-trale: quella esclusiva di Cotrone, paga di sé, vissuta in assoluta purezza, e quella dialettica di Ilse, consacrata all’espressione dell’arte e alla sua diffusione nel mondo. Questa interpretazione incardinò tutte e tre le regie strehleriane, ma ad ogni messinscena, mediante la leva della meta teatralità e per via di rimandi impliciti tra autore, personaggio e regista reale, il testo diede luce alla dimensione autobiografica strehleriana sostenuta da un’intensa riflessione sulle finalità dell’arte nella società reale. Per Mario Missiroli I Giganti della montagna, messi in scena nel 1979, costituirono la base di partenza per uno spettacolo che, grazie anche ad una scenografia di grande impatto visivo, spostava l’inchiesta pirandelliana intorno al mistero dell’arte sul terreno dell’attualità, più in particolare del teatro degli anni Sessanta e Settanta, mediante efficaci metafore visive. Con il suo gravitare attorno alla questione centrale della destinazione dell’opera d’arte, il testo pirandelliano sollecitava, infatti, il regista a esprimersi sulla contestazione del teatro di regia sollevata dagli spettacoli dei protagonisti del Nuovo Teatro (come il Living Theatre o Grotowskij). Il baricentro dello spettacolo si fissò, dunque, sulla contrapposizione tra le concezioni di Cotrone e quelle di Ilse e tra il modo di vivere degli attori e quello degli Scalognati (metafore viventi dell’utopia teatrale contemporanea). Il lavoro di studio e preparazione di una materia come quella dei Giganti portò in primo piano, nella visione di Missi-roli, la bruciante questione culturale del destino della regia italiana – così come si era definita nel secondo dopo-guerra – nella contemporaneità.The contribution is intended to capture the artistic quality of the I Giganti della montagna set-up by two directors who worked in the second half of the 20th century, Giorgio Strehler and Mario Missiroli. They went, with different sensibilities, through Pirandellian inquiry into the mystery that nourishes artistic creation, by breaking the apparent consistency of reality and the boundary between life and death. This will be considering the three plays directed by Strehler in 1947, 1966 and 1994 and the one directed by Mario Missiroli in1979. According to Strehler, who began to work on I Giganti della Montagna very early in his life putting the drama in the program of the first year of inauguration of the Piccolo Teatro di Milano (1947), it was necessary to reject the recurring idea about pirandellism that drove the work to relativism of the «of human incomprehension», because the theme of the drama was, on the contrary, the opposition of the two possible ways of practicing theatrical art: the exclusive one of Cotrone, self-reflected, lived in absolute purity, and that dialectic of Ilse, consacrated to the expression of art and its diffusion in the world. This interpretation encompassed all three Strehler's directions, and at every mise-en-scene, through the use of metatheatrality and through implicit references between author, character and director, the text gave light to Strehler autobiographical dimension supported by intense reflection on the purposes of art in real society. For Mario Missiroli I Giganti della Montagna, staged in 1979, was the starting point for a show that, thanks to a scene of great visual impact, moved the pirandellian investigation around the mystery of art on the ground of the present , more particularly of the theater of the sixties and seventies, through effective visual metaphors. With its gravitational focus on the central issue of the work of art, the pirandellian text urged the director to express himself in the controversy of the theater directed by the performances of the protagonists of the New Theater (such as the Living Theater or Grotowski). The center of gravity of the show, therefore, focused on the contrast between Cotrone's and Ilse's views, and be-tween the way of approaching to life of the actors on one side,and that of…

La trasformazione professionale di Massimo Castri da attore a regista, nei primi anni Settanta, n... more La trasformazione professionale di Massimo Castri da attore a regista, nei primi anni Settanta, non si è configurata come lineare evoluzione di competenze organiche al teatro di rappresentazione. Sembra piuttosto essersi determinata come imprevedibile irruzione dall’esterno del teatro di ricerca verso l’interno del teatro istituzionale, come inclusione di una realtà eterodossa e conflittuale dentro la struttura regolata del teatro pubblico. Il presente contributo si propone di esaminare le tappe principali di tale percorso che ha poi lasciato tracce inconfondibili nelle realizzazioni e nelle riflessioni del regista toscano: il suo stile, a cominciare dai primi allestimenti, si è infatti caratterizzato per un’insolita energia, per gli imprevedibili contrasti, per la corrosività. La sua riflessione, che ha costantemente posto in primo piano il problema della formazione dei giovani attori, si basa sul ruolo generatore dell’immaginazione attivata dalla lettura critica del testo. In forza di tale fondamentale concezione, le due distinte sfere dell’attore e del regista possono interrelazionarsi concorrendo alla creazione dello spettacolo: non per un impraticabile egualitarismo di funzioni, ma in virtù del comune innesco dell’immaginazione entro i confini degli specifici metodi di elaborazione artistica
Uploads
Papers by Isabella INNAMORATI