Papers by Laura Petrarca

Perché il mindreading non basta a spiegare il linguaggio, 2023
Che il mindreading sia il dispositivo cognitivo di primaria rilevanza nell’interpretazione dell’e... more Che il mindreading sia il dispositivo cognitivo di primaria rilevanza nell’interpretazione dell’enunciato è ormai un dato indiscutibile e non controverso. La Teoria della Pertinenza di Sperber e Wilson ha fornito sufficienti spiegazioni empiriche al riguardo, di cui di seguito discuteremo. Tra le altre ricerche sperimentali a supporto, un deficit nell’abilità di lettura della mente spiega perché il linguaggio appare fortemente ridotto nelle popolazioni cliniche ASD (Autism Spectrum Disorder), corroborando la tesi che alla base dei meccanismi di produzione-comprensione vi è tale dispositivo cognitivo. Quel che, tuttavia, rimane fuori dalle competenze del dispositivo di elaborazione in questione è la capacità di produrre e comprendere storie. Poiché sosteniamo che le origini della facoltà di linguaggio umano sono da rintracciare nell’innata propensione al racconto di storie, finalizzate alla persuasione, dobbiamo chiederci quali sono i sistemi cognitivi deputati al funzionamento di suddetta competenza narrativa. L’idea di fondo portata avanti nel corso del saggio è proprio questa. L’essenza del linguaggio umano, che lo caratterizza e distingue dal linguaggio degli altri animali, è la capacità di raccontare storie. E se i nostri antichi predecessori disponevano di un cervello narrativo, è utile quindi chiedersi quali sono i dispositivi biologici mentali che permettono di rappresentare (pensare) la realtà per poterla poi raccontare narrativamente. L’assunto dal quale partiamo è dunque che il pensiero (o per meglio dire, la cognizione) è precedente al linguaggio, e non viceversa (come sostenuto invece da linguisti e neuroscienziati dell’età classica, vd Chomsky). In questa prospettiva, il mindreading non basta a spiegare i meccanismi cognitivi processuali alla base del processo narrativo. Se da un lato ToM ci permette di “captare” le intenzioni del parlante per meglio anticiparne le risposte (in ambito di ‘azioni’ finalizzate al perseguimento di scopi), sempre ToM non è sufficiente da solo a dar conto di altre funzioni cognitive superiori che caratterizzano il racconto. L’intenzione comunicativa del parlante è infatti da ricercare nella trama degli eventi in cui è inserito il parlante stesso e non esclusivamente nell’inferenza dei suoi stati mentali. Comprendere ciò che il parlante intende dire, i suoi obiettivi e le motivazioni che lo spingono ad agire in un certo modo, non basta a comprendere l’intera storia, che fa parte di un più ampio contesto in cui, oltre al personaggio, anche lo spazio e il tempo giocano un ruolo chiave. Un «triumvirato» di sistemi mentali biologici - mindreading, mental space travel, mental time travel - che è impossibile scindere per pensare una facoltà di linguaggio. Sorprendente in quest’ottica la scoperta di come anche nei pazienti affetti da ASD, oltre ad essere deficitario il sistema di lettura della mente, appaiono deficitari anche gli altri due sistemi cognitivi (mental space travel e mental time travel). Per questo, a dispetto di chi sostiene che la trama è meno importante per interpretare un discorso finalizzato (cfr. Fludernik), noi sosteniamo, nell’ottica di Ricoeur, che entrambi, trama e personaggio, sono da considerare fortemente connessi nell’elaborazione cognitiva. Seguendo questa prospettiva, il mindreading è piuttosto un eccellente «dispositivo di sintesi» (Ferretti, 2022, p.114) della competenza narrativa ma fare riferimento anche allo spazio e al tempo rappresenta senza dubbio il punto di svolta per rispondere alla domanda su quali sono i processi mentali alla guida della creazione di quello stratagemma comunicativo che è il linguaggio. A patto, ovviamente, che si sostenga anche questa più recente tesi, ovvero che il pensiero è antecedente al linguaggio.

Sul conflitto: Machiavelli e Hobbes a confronto Per Machiavelli non vi è politica senza conflitto... more Sul conflitto: Machiavelli e Hobbes a confronto Per Machiavelli non vi è politica senza conflitto. Dunque, non c'è politica senza guerra. Anzi, la politica nasce proprio come emergenza sulla guerra, che però rimane viva dentro di essa, potendo riprendere in ogni momento il sopravvento. La guerra, il conflitto, non sono, come in Hobbes, equivalenti del caos, del disordine. Da una parte, la guerra è una forma del conflitto; dall'altra, ogni forma di conflitto (sia essa la guerra etc.) non è né costruttiva né distruttiva: contiene potenzialità ambivalenti verso la "generazione" e verso la "corruzione". Per queste ragioni, Machiavelli non pensa all'ordine politico come neutralizzazione del conflitto, ma come suo ordinamento. Nei brevi passaggi dei capitoli quarto e trentasettesimo del primo libro dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1531) si legge: "[…] ogni città debbe avere i suoi modi con i quali il popolo possa sfogare l'ambizione sua, e massime quelle città che nelle cose importanti si vogliono valere del popolo: intra le quali, la città di Roma aveva questo modo, che, quando il popolo voleva ottenere una legge, o e' faceva alcuna delle predette cose [tumulti], o e' non voleva dare il nome per andare alla guerra, tanto che a placarlo bisognava in qualche parte sodisfarli. E i desiderii de' popoli liberi rade volte sono perniziosi alla libertà, perché e' nascono, o da essere oppressi, o da suspizione di avere ad essi oppressi". L'universalità del conflitto è quello che conta nell'universo machiavelliano e su questa universalità si disegnano i profili dei corpi politici, che, di volta in volta, incorporano il conflitto per accrescere la propria vitalità. La guerra in tutte le sue forme-compresa la guerra civile-diventa un momento legittimo della lotta politica. Per riprendere il confronto con Hobbes, se in questi la politica è cessazione della guerra, in Machiavelli politica e guerra convivono in un intreccio strutturale, indissolubile. Lo storico della fine del Quattrocento giunge a impostare in questo modo il rapporto guerra-politica perché mette in questione proprio quella posizione teorica che si affermerà più tardi con Hobbes, nella nozione moderna di sovranità e legittimità come esercizio di una potestas absoluta. La disponibilità alla guerra, per Machiavelli, è l'unico modo

Riflessioni sull'umano analizzato nel contesto della sfera politica Introduzione Nel corso di que... more Riflessioni sull'umano analizzato nel contesto della sfera politica Introduzione Nel corso di questo elaborato analizzeremo il contemporaneo e la tradizione filosofica occidentale alla luce della domanda antropologica, che interpella la politica al trapasso delle forme della vita associata, nei momenti di tensione istituiti dalla crisi. Attribuiremo alla filosofia un senso di "apertura del possibile", che guarda alla politica non come qualcosa di fisso e di stabilito, ma che la interroga continuamente, andando oltre il "già dato". Un'interrogazione che avviene a livello collettivo e condiviso, non in modo solipsistico (come direbbe Kant). Il concetto di crisi può essere qualcosa che blocca l'immaginazione, qualcosa che ci fissa in un determinato momento (letto come il crollo dei valori, come una catastrofe della società), oppure può essere l'apertura del possibile, qualcosa che rende possibile nuove interrogazioni, nuove elaborazioni, nuove risposte. Sotto la spinta della crisi, l'umano può essere ricompreso in una dimensione relazionale-regolativa costitutiva. Al mutare delle condizioni dei contesti, muta anche la politica, nascono nuove "urgenze", nuove domande. La politica cambia forma, cambia assetto; è in un continuo mutamento, che è insito nella stessa condizione umana (e qui Arendt-sul totalitarismo-che vede la politica come capacità di elaborare un giudizio sul presente, di elaborare l'idea che ci si fa di ciò che accade all'altro, senza "delegare" ad un esterno la domanda, e quindi senza essere passivi). La definizione di politica a cui ci rifacciamo è una definizione molto ampia, non è solo ciò che riguarda lo stato, le leggi, ma corrisponde a tutte le forme di azione condivisa che intervengono sul presente. La politica è legata all'umano e l'umano è posto in posizione 'attiva': partecipa e cambia il mondo agendo nella dimensione pubblica, attraverso l'azione e il discorso. Salta la dicotomia tra individuale e collettivo. Si accede ad una dimensione diversa, di pluralità, in cui i soggetti rimangono individui in senso pieno ma non sono isolati: sono piuttosto in una dimensione ampia, plurale; le loro differenze rimangono e fanno la ricchezza della politica. La politica è capacità di stare in relazione con l'alterità. Il giudizio sulla politica si fa in relazione con l'altro. Questo rapporto con l'altro può essere letto in maniera conflittuale, di cura, di condivisione etc. Il rapporto con l'alterità chiama in causa il rapporto tra politica e passioni (e qui Platone, nel Simposio, che vede l'amore, in particolare, come la passione che muove l'essere umano. Al contrario, Hobbes metterà al centro l'unica passione
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Il giornalismo d'inchiesta: inchieste sul Covid-19, 2020
L'inchiesta giornalistica è quasi un mito. È lentezza. È scavare nel fango o nella spazzatura. È ... more L'inchiesta giornalistica è quasi un mito. È lentezza. È scavare nel fango o nella spazzatura. È un genere in crisi. L'inchiesta è un giallo, un modello ideologico, uno dei momenti più impegnativi del giornalismo. L'inchiesta è l'antidoto alla fugacità delle notizie. È la forma nobile del giornalismo. È un metodo, non un risultato. A scorrere le definizioni, le analisi e i tentativi di dare un'etichetta al giornalismo d'inchiesta, l'unica cosa che viene da pensare è che l'inchiesta sia tutto. O niente, a dare retta a chi sostiene che la professione giornalistica è, di per sé, inchiesta: non dovrebbe in ogni caso, anche dietro al più piccolo trafiletto o pezzo di servizio, esserci un lavoro di ricerca, di documentazione, di contatto con le fonti? L'inchiesta giornalistica, in realtà, è un genere che si può definire nella pratica della redazione grazie a elementi e aspetti che la caratterizzano: a differenza della cronaca quotidiana, impegna maggior tempo, richiede la consultazione di un alto numero di fonti e un ricco lavoro di documentazione, in molti casi rende necessaria la presenza del reporter sul posto. Già dalla sua nascita -dal suo concepimento -l'inchiesta mostra un carattere particolare: non è l'evidenza di un fatto battuto dalle agenzie a convincere un giornale a intraprendere l'inchiesta. Può essere un dettaglio che non torna, una segnalazione, un documento che per caso passa tra le mani di qualcuno, a far scattare l'idea di scavare, andare oltre l'apparente stato delle cose, ricostruire il contesto.
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