Papers by Gabriele Pedullà

Quienes se dedican a investigar el pensamiento de Maquiavelo siempre han mostrado especial interé... more Quienes se dedican a investigar el pensamiento de Maquiavelo siempre han mostrado especial interés en conocer la primera circulación de sus obras, es decir, antes de que Il principe y los Discorsi fuesen impresos por Blado en Roma en 1531 y por Giunta en Florencia en 1532. Conocemos, gracias a diversos epistolarios y a las obras de algunos de sus primeros lectores, empezando por las Considerazioni sopra i Discorsi de Francesco Guicciardini, algunas lecturas y transcripciones de sus manuscritos llevadas a cabo tanto dentro como, por cierto, fuera del ambiente de la cancillería fl orentina. De especial interés es, sin duda, el caso del fi lósofo campano Agostino Nifo, que publicara a comienzos de 1523 un tratado político en el que pueden encontrarse tal cantidad de pasajes de Il principe traducidos al latín que los críticos han llegado a defi nir esta operación editorial como un auténtico plagio.

Die früheste Verbreitung der Werke Machiavellis, das heißt jene vor dem Druck des Principe und de... more Die früheste Verbreitung der Werke Machiavellis, das heißt jene vor dem Druck des Principe und der Discorsi bei Blado in Rom und bei Giunta in Florenz 1531/2, erregte seit jeher das Interesse der Forschung. Es ist bekannt, dass die entsprechenden Manuskripte vereinzelt (im Umfeld der Kanzlei von Florenz, aber nicht nur dort) gelesen und abgeschrieben worden sind; davon zeugen die Epistolarien ebenso wie auch die Werke einiger der allerersten Leser, angefangen mit den Considerazioni sopra i Discorsi von Francesco Guicciardini. Der außergewöhnlichste Fall ist aber zweifellos jener des kampanischen Philosophen Agostino Nifo, der zu Beginn des Jahres 1523 ein politisches Traktat publizierte, der eine so große Anzahl von Abschnitten aus dem Principe in lateinischer Übersetzung beinhaltet, dass die modernen Gelehrten im Hinblick auf dieses Vorgehen von einem ganz typischen Plagiat gesprochen haben.
In nessuna stagione della letteratura italiana le categorie geografiche sono state utilizzate con... more In nessuna stagione della letteratura italiana le categorie geografiche sono state utilizzate con tanta abbondanza per classificare autori e movimenti quanto nel secondo Novecento. Si è parlato di una «linea lombarda» (Sereni, Orelli, Risi, Erba), di «matti padani» (Zavattini, Delfini, Malerba, Manganelli, Celati), di «barocchi siciliani» (Sciascia, Consolo, Gesualdo Bufalino -ma secondo taluni anche Tomasi di Lampedusa), o di «scuola romana» (Moravia, Morante, Pasolini, Bertolucci, Penna)… Senza contare, naturalmente, i piemontesi dell'Einaudi (Pavese, Calvino, Primo Levi, Fenoglio, Natalia Ginzburg).
Nei primi trent'anni dopo la fine del potere pontificio e l'avvento di quello sabaudo, tra il 187... more Nei primi trent'anni dopo la fine del potere pontificio e l'avvento di quello sabaudo, tra il 1870 e il 1900, Roma passa da 400 a 900 ettari di superficie e da poco meno di 250 000 a più di 420 000 abitanti. La città degli anni sessanta -di vistosa impronta barocca, chiusa tra le sue mura, punteggiata da ville patrizie -subisce sventramenti e demolizioni, sviluppandosi prima verso est, poi verso ovest secondo le nuove forme della città borghese: strade a scacchiera, isolati per il ceto medio, villini per l'alta borghesia.
Quando si fa storia dei consumi culturali tre fenomeni si impongono subito all'attenzione nell'It... more Quando si fa storia dei consumi culturali tre fenomeni si impongono subito all'attenzione nell'Italia del xx secolo: l'allargamento del pubblico dei lettori (e degli spettatori), la moltiplicazione dell'offerta grazie alle nuove tecnologie (radio, cinema, televisione, internet) e la crescente influenza dei mass media sulle diverse arti, letteratura compresa.
Negli anni venti del xiii secolo l'Italia si presentava agli osservatori divisa fondamentalmente ... more Negli anni venti del xiii secolo l'Italia si presentava agli osservatori divisa fondamentalmente in tre grandi aree geografiche: un Sud legato alla casa di Hohenstaufen e governato da quel Federico II di Svevia che aveva eletto proprio Palermo a sua residenza principale (giusto al centro di un Impero che idealmente si estendeva dalla Germania alla Terra Santa); i possedimenti della Chiesa nell'Italia centrale, da Roma a Bologna, passando per l'Umbria e le Marche; e la parte restante della penisola, dalla Toscana all'arco alpino: anch'essa formalmente sotto la giurisdizione dell'imperatore, ma frammentata in una miriade di entità politiche di fatto indipendenti.

Un deciso processo di accentramento, che sembra contraddire in maniera clamorosa la precedente st... more Un deciso processo di accentramento, che sembra contraddire in maniera clamorosa la precedente storia italiana, caratterizza l'ultimo spicchio del xvi secolo. La lunga fase espansiva della letteratura latina e volgare era stata segnata, soprattutto nel lungo Quattrocento, da un moltiplicarsi vertiginoso dei centri e delle istituzioni del sapere a sud delle Alpi: biblioteche pubbliche, accademie, tipografie e università si erano diffuse in maniera sempre più capillare, specialmente nel Centro-Nord, rafforzando una secolare vocazione al policentrismo. Almeno dal punto di vista culturale, la debolezza politica di un paese frammentato in cinque potenze regionali e in una miriade di staterelli più piccoli aveva significato per letterati e artisti un'eccezionale abbondanza di opportunità. E se le guerre d'Italia avevano condotto a una prima semplificazione del sistema, con Napoli e Milano entrate nell'orbita spagnola e con Siena assoggettata da Firenze, gli anni della riconquista cattolica, all'indomani del concilio di Trento, appaiono segnati dal prevalere sempre più netto di Roma su ogni altro centro della penisola.
Questo Atlante della letteratura italiana nasce dalla consapevolezza di una crisi e dalla propost... more Questo Atlante della letteratura italiana nasce dalla consapevolezza di una crisi e dalla proposta di un metodo di lavoro. Il metodo di lavoro si fonda su un rapporto nuovo fra critica letteraria, sapere storico e sapere geografico. La crisi è quella dello storicismo -desanctisiano, crociano, gramsciano -che per un secolo e mezzo ha orientato, nel bene o nel male, gli studi letterari in Italia e che, almeno nella sua vulgata tradizionale, ha subito uno scacco irreversibile. Tanto più alla luce delle profonde trasformazioni politiche e culturali degli ultimi vent'anni.
Alla fine di marzo del 1523, presso la bottega di Caterina de Silvestro, la più importante delle ... more Alla fine di marzo del 1523, presso la bottega di Caterina de Silvestro, la più importante delle quattro tipografie attive a Napoli a quel tempo, fece la sua comparsa l'ultima fatica di una delle principali glorie locali, il filosofo peripatetico Agostino Nifo. Si trattava di uno smilzo libretto di quarantadue carte, stampato in quarto e dedicato all'arte di governare, come indicava il titolo De regnandi peritia. Da quando la guerra tra francesi e spagnoli si era spostata nelle regioni settentrionali della penisola, la città partenopea attraversava un periodo di ritrovata tranquillità e tra mille incertezze anche l'editoria aveva a poco a poco ripreso a prosperare trainata dall'affidabile mercato universitario, ma un'opera di Nifo rappresentava di per sé una sicurezza.
Non ho ancora deciso, caro Bembo, se debba essere d'accordo o no con il tuo modo di imitare gli a... more Non ho ancora deciso, caro Bembo, se debba essere d'accordo o no con il tuo modo di imitare gli antichi e di discutere con me dell'imitazione. Infatti ho imparato che anche gli antichi che vengono proposti all'imitazione su questo punto sono stati molto incerti e hanno professato idee diverse [cum varios tum animi dubios]. 99_Pedullà.qxp 29-07-2010 14:42 Pagina 732
Giustamente da parte di principi e di uomini privati, antichi e moderni, le nozze sono state tenu... more Giustamente da parte di principi e di uomini privati, antichi e moderni, le nozze sono state tenute in gran conto; giustamente nel celebrarle si ritiene di dover usare uno splendore particolare, una particolare magnificenza. […] Ma lasciamo stare i re: quale pover'uomo, appartenente alla plebe, non celebra con un certo lusso [aliquo apparatu] le nozze? Tanto più bisogna vegliare che si comporti non solo non da pezzente ma il più possibile da uomo magnifico colui che ha sufficienti mezzi economici.
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Papers by Gabriele Pedullà
Nondimeno, una forma di resistenza, spesso sottaciuta, resta uno dei tratti specifici della tradizione modernista, da Clement Greenberg a Michael Fried o, al di là della storia dell’arte, da Franz Kafka a Roland Barthes. Le ragioni che si nascondono dietro tale chassé-croisé restano da indagare nella loro complessità. Al riguardo, i rapporti tra storia dell’arte e film studies suscitano sempre più l’interesse degli studiosi. Una tendenza che, da una parte, corre parallela al ripensamento, ormai ineludibile, della storia dell’arte in quanto disciplina all’interno del contesto più ampio della cultura visiva (cultural studies, visual studies, media archaeology). Dall’altra, è il riflesso della situazione artistica contemporanea, con la migrazione delle immagini in movimento verso ambienti una volta riservati alle immagini fisse. Sin dalla fine degli anni sessanta, gli spazi museali si sono così confrontati con il dispositivo cinematografico ovvero, per semplificare: con la presenza fisica del proiettore; con il fascio di luce che attraversa un ambiente oscurato; con la superficie immacolata dello schermo; con l’esperienza d’immersione dello spettatore. Un dispositivo che, elaborato almeno sin dal XIX secolo attraverso la spettacolarizzazione dell’esperienza estetica, come nel caso del panorama, trova la sua istituzionalizzazione nella sala cinematografica, in cui l’immobilità dello spettatore si accompagna alla mobilità dello sguardo.
In tal senso, la migrazione delle immagini in movimento dal loro supporto, il loro ingresso negli spazi d’esposizione ha costituito una trasgressione degli aspetti coercitivi delle sale cinematografiche: l’immobilità dello sguardo, l’invisibilità del proiettore, la presenza esclusiva di un solo schermo, la collettività e simultaneità dell’esperienza e così via. Una conseguenza inattesa, se consideriamo che gli spazi espositivi presentavano a loro volta altrettanti aspetti coercitivi se non un vero e proprio apparato ideologico, la cui incarnazione più diabolica ai tempi del modernismo è stato il white cube. In altri termini, le immagini in movimento e il dispositivo cinematografico sono riusciti ad aprire dal suo interno il white cube, se non a scardinare la sua logica cronofoba e la sua supposta autonomia. Un fenomeno oggi esteso alla smaterializzazione delle immagini in movimento, alla loro proliferazione sugli schermi della televisione, del computer, dei palmari e in generale a quella che Rosalind Krauss ha identificato come la condizione post-mediale dell’arte contemporanea.
Che qualcosa di simile sia pensabile – e praticabile – anche sul piano disciplinare oltre che su quello delle pratiche artistiche? Oppure la storia e la critica dell’arte, la storia e la critica del cinema, l’estetica, i visual studies e la sfera culturologica sono destinate a riaffermare, davanti alle immagini in movimento, la specificità del proprio approccio? Molti sono concordi nell’affermare che non è più possibile considerare il cinema nei confini della storia del cinema e che è necessario ridefinirlo nel campo allargato della storia dell’arte. Tuttavia la storia dell’arte – una disciplina di cui negli anni ottanta si decretava la fine, in Europa come negli Stati Uniti, e che, a partire dagli anni novanta, è stata sottoposta a verifica, se non minacciata, dall’agenda dei visual studies – è nelle condizioni di garantire tale apertura disciplinare?
Questo numero monografico di “Predella” intende affrontare la questione dei rapporti tra storia dell’arte e film studies sia attraverso incursioni teoriche e metodologiche, sia attraverso l’analisi di alcuni incontri – effettivi e mancati – occorsi nel XX secolo tra immagini fisse e immagini in movimento.