Papers by Alessandra Di Pilla
La krisis si è configurata nel cristianesimo antico come il momento e il luogo della formulazione... more La krisis si è configurata nel cristianesimo antico come il momento e il luogo della formulazione di un giudizio sulle differenze: differenze di tipo filosofico e religioso che hanno portato a mutamenti etici e culturali, ma anche sociali, politici ed economici. Riconsiderare le fonti e i modi del cambiamento epocale che ha investito il mediterraneo pagano fino a trasformarlo nella civiltà cristiana, pur nella consapevolezza della lontananza temporale, pone la questione della re-interpretazione del momento presente: si può uscire dalla constatazione negativa della fine dell'epoca moderna per cogliere il lato fecondo di un nuovo esercizio della capacità di giudicare? L'occasione è qui proposta come riscoperta del logos ut relatio, che permetta di passare da un'ontologia dialettica ad un'ontologia relazionale.
De uilium animalium auctore. Bontà della creazione e conseguenze del peccato in Fulgenzio di Rusp... more De uilium animalium auctore. Bontà della creazione e conseguenze del peccato in Fulgenzio di Ruspe, de incarnatione 2456, in: XLI Incontro di studiosi dell'antichità cristiana. La teologia dal V all'VIII secolo fra sviluppo e crisi (Roma, 911
pubblicato in :
Zetesis. Rivista di cultura greca e latina, Anno XXXV (2015), n. 2, 6-20
ACCESSO LIMITATO A TESTO EDITO-LIMITED ACCESS
Il Manicheismo nelle opere di Gregorio Magno,
in:... more ACCESSO LIMITATO A TESTO EDITO-LIMITED ACCESS
Il Manicheismo nelle opere di Gregorio Magno,
in: A. Isola (cur.), Gregorio Magno e l’eresia. Tra memoria e testimonianza. Atti dell’Incontro di studio delle Università degli Studi di Perugia e Lecce con la collaborazione della Fondazione Ezio Franceschini e della Società Internazionale per lo Studio del Medioevo Latino (Perugia 12 dicembre 2004), SISMEL Edizioni del Galluzzo, Firenze 2009, 81-106.
![Research paper thumbnail of I due calici dell’ultima Cena (Lc 22, 17-20) nell’esegesi di Fulgenzio di Ruspe (Ep. 14, 39-47) [2011]](https://attachments.academia-assets.com/45941456/thumbnails/1.jpg)
Tra i quesiti del diacono cartaginese Ferrando a cui Fulgenzio risponde nell’ Ep. 14, l’ultimo è ... more Tra i quesiti del diacono cartaginese Ferrando a cui Fulgenzio risponde nell’ Ep. 14, l’ultimo è una richiesta di chiarimento sul passo di Luca che, narrando l’ultima Cena di Gesù, menziona due volte il calice, a differenza degli altri sinottici che lo citano una sola volta. Fulgenzio replica in modo ampio e articolato. In primo luogo presenta - senza però citarne le fonti - le varie interpretazioni di cui è al corrente: si possono individuare almeno quelle di Agostino (un unico calice, retoricamente menzionato due volte per anticipationem) e di Gerolamo (due calici distinti: con il primo Gesù celebrò la Pasqua ebraica, figura del suo sacrificio, con il secondo la nuova Pasqua, sacramento del suo corpo e del suo sangue; i due calici sono inoltre collegati al precetto delle due Pasque, quella dei santi e quella dei penitenti, presente in Numeri 9, 10-11). F. si pronunzia a favore di due calici e, soprattutto, di una lettura figurata per cui essi indicano i due Testamenti. Prima di approfondire tale lettura, apre un’ampia parentesi per mostrare che, in altri punti della Scrittura, ‘calice’ può essere legittimamente inteso nel senso di gratia passionis. Il concetto di ‘calice della passione’ si identifica con quello di ‘ora della passione’: indizi, nel Signore, sia dell’autenticità dell’umano sentimento di fragilità, sia della natura volontaria della passione. Questi due aspetti della figura di Cristo sono al centro dell’interesse di F.: il primo richiama l’orizzonte della controversia sulla grazia, il secondo quello della polemica con gli Ariani. Particolarmente rilevante, oltre all’Agostino del Commento a Giovanni, è il tema della sancta ebrietas dei santi e dei martiri, ripreso da Ambrogio. F. torna quindi a documentare la sua ipotesi. La conferma che i due calici simboleggiano la distinzione dei due Testamenti viene dalle parole differenti con cui il Signore ordina ai discepoli di prendere il primo e il secondo di essi. Solo per il primo calice Gesù dice Accipite et dividite inter vos (Lc 22, 17); del secondo invece, dato insieme con il pane, egli non dice che debba “essere diviso”. Questa verborum quaedam discretio diventa per F. il punto di partenza di un ricco approfondimento del rapporto tra Vecchio e Nuovo Testamento. Dividere significa saper tralasciare o conservare qualcosa, a seconda della congruentia temporis. Protagonista della divisio è la Chiesa, che distingue “il tempo del Cristo che doveva venire e quello del Cristo che viene”. Nel movimento dell’accipere e del dividere il valore del VT è salvaguardato: i suoi precetti vengono ‘presi’ e ‘divisi’ secondo una ratio che non li svilisce, giacché la Chiesa li guarda nella loro natura di promesse fatte da Dio e, al tempo stesso, riconosce che Dio ha ormai compiuto quelle promesse. Il secondo calice è invece escluso dal suddetto ordine del Signore. F. vede in questa differenza lo speciale statuto del NT: un tempo in cui non avviene una ‘divisione’ di sacramenta, bensì un’elargizione di dona, che non rientra nella facoltà degli uomini ma è in potere solo dello Spirito, protagonista dell’economia della gratia. Con argomentazione familiare alla polemica anti-ariana, Fulgenzio proclama la divinità dello Spirito santo e l’unità di operazioni all’interno della Trinità. Non manca infine, riguardo alla presente età dei dona, un richiamo di sapore anti-pelagiano: l’uomo non guadagna né merita, ma riceve gratuitamente “la misura della fede che Dio gli ha concesso” (Rm 12, 3). La divisio donum richiama la divisio fidei.Nell’ultima parte, F. approfondisce il valore permanente del VT, che “deve essere preso” come il Signore ordina riguardo al primo calice. Il Vecchio Testamento, nel momento in cui si accoglie il Nuovo, va vagliato ma non rigettato (ricorso all’esegesi agostiniana di Ps 74,9: il mistero spirituale della divisio delle fecce e del vino). Appellandosi a Eccli 9, 14-15 (il nuovo amico non deve condurre ad abbandonare quello vecchio; il vino nuovo si gusta con gioia solo se invecchia), F. indica che tra VT e NT esiste un rapporto di continuità nella diversità. Non si può comprendere appieno la portata risolutiva del NT se non lo si scopre come compimento delle antiche promesse. Ad Emmaus, spiegando le Scritture, Gesù “fece invecchiare il vino nuovo nel cuore dei discepoli”. Il vincolo inscindibile tra i due Testamenti poggia sull’unicità della fede.
in:
" TECHNAI. An International Journal for Ancient Science and Technology " 3 (2012) [Scritti i... more in:
" TECHNAI. An International Journal for Ancient Science and Technology " 3 (2012) [Scritti in onore di Sergio Sconocchia], 21-34
Le epistole di Ferrando di Cartagine: materiali per una nuova edizione,
in: A. Piras (a cura di)... more Le epistole di Ferrando di Cartagine: materiali per una nuova edizione,
in: A. Piras (a cura di), Lingua et ingenium. Studi su Fulgenzio di Ruspe e il suo contesto, Sandhi, Ortacesus 2011, 29-70.
Nella prospettiva di una nuova edizione critica, le epistole di Ferrando di Cartagine, discepolo di Fulgenzio, vengono presentate dal punto di vista della tradizione manoscritta e delle vicende della pubblicazione a stampa, con cenni alle probabili linee direttrici della loro fortuna. La tradizione, non unitaria e di entità disomogenea, disegna le alterne vicende di un epistolario composito, in cui a temi teologici tipici della temperie dei primi decenni del secolo VI (questione teopaschita; controversia dei Tre Capitoli) si affiancano spunti di varia dottrina e di spiritualità quotidiana, a testimonianza della poliedrica fisionomia di Ferrando, monaco e diacono.
in: Krisis e cambiamento in età tardoantica. Riflessi contemporanei. A cura di A. M. Mazzanti e I. Vigorelli , Roma 2017, 2017
Un tratto affascinante della pedagogia di Gesù verso i discepoli è la sua messa in discussione de... more Un tratto affascinante della pedagogia di Gesù verso i discepoli è la sua messa in discussione dei loro criteri di misura. Il saggio si concentra sull'episodio del cosiddetto "esorcista estraneo" (Mc 9, 38-40 e Lc 9, 49-50) e propone una rassegna delle interpretazioni degli autori cristiani di lingue greca e latina di età patristica.
![Research paper thumbnail of Il viaggio dei Magi. Osservazioni sul sermo IV de epiphania di Fulgenzio di Ruspe [2016]](https://attachments.academia-assets.com/59582312/thumbnails/1.jpg)
in: Apis matina. Studi in onore di Carlo Santini, a cura di A. Setaioli, Trieste 2016
Tra i sermoni attribuiti con certezza a Fulgenzio di Ruspe (467-533), due sono relativi alla fest... more Tra i sermoni attribuiti con certezza a Fulgenzio di Ruspe (467-533), due sono relativi alla festa liturgica dell’Epifania: il IV (De Epiphania deque innocentum nece et muneribus Magorum) e il VI (De Epiphania Domini). Il sermo IV verte direttamente sul giorno dell’Epifania, mentre il VI si collega alla precedente solennità del Natale. Il saggio propone un esame generale e alcune considerazioni sul sermo IV. Testo evangelico di riferimento è Mt 2,1-12 (la storia dei Magi), principale lettura liturgica della festa, che viene declinata secondo uno specifico percorso esegetico e dottrinale. Alle spalle di Fulgenzio si intravedono innanzitutto le opere di Agostino, in particolare i discorsi sull’Epifania, ma nuclei tematici e spunti esegetici agostiniani sono da lui attinti e ricomposti secondo una ratio propria, su misura degli interessi principali del suo tempo: il tema trinitario di impegno anti-ariano, riplasmato però dalle interferenze delle grandi controversie cristologiche del V secolo, e il tema soteriologico (dottrina della grazia e libero arbitrio), che si era riproposto nella discussione con i cosiddetti semi-pelagiani. Profondamente riplasmato rispetto ad Agostino, inoltre, è senz’altro lo stile: Fulgenzio abbonda nell’ornamentazione retorica del discorso, ama i parallelismi e le antitesi, le anafore e i collegamenti a catena, specchio del suo pensiero brillante ma rigoroso, abituato alle puntualizzazioni e alle definizioni tipiche delle controversie dottrinali, spesso sottili e giocate sul filo delle parole.
![Research paper thumbnail of La rondine nella letteratura cristiana greca e latina di epoca patristica [2002]](https://attachments.academia-assets.com/6293483/thumbnails/1.jpg)
*ALESSANDRA DI PILLA, La rondine nella letteratura cristiana greca e latina di epoca patristica, ... more *ALESSANDRA DI PILLA, La rondine nella letteratura cristiana greca e latina di epoca patristica, in: A. Isola, E Menestò, A. Di Pilla (ed.), Curiositas. Studi di cultura classica e medievale in onore di Ubaldo Pizzani, Napoli, ESI 2002, pp. 423-459.
Dopo aver ripercorso i tratti salienti della fortuna della rondine nella cultura letteraria greca e latina e nel testo biblico, la ricerca ricostruisce le valenze che tale uccello assume nella letteratura cristiana di epoca patristica. L’antichità (§ 1: ‘Gli antichi e la rondine: ombre e luci’) considera la rondine a livello sia descrittivo che allegorico: il suo comportamento è annotato dai naturalisti, cantato dai poeti, trasposto nel mito, nel sentimento religioso, nella riflessione filosofica. Dal punto di vista simbolico, accanto al significato positivo (abbinamento alla primavera, alla vita che rinasce), troviamo assai sviluppato quello negativo (canto di dolore, lutto, colpa, incertezza) a motivo del legame con il sanguinoso mito della fanciulla trasformata in rondine nella saga di Tereo, Procne e Filomela. Nella Bibbia (§ 2: ‘La rondine nella Scrittura’) la presenza della rondine è di valutazione non del tutto certa, a motivo della traduzione non univoca, prima in greco e poi in latino, dei termini ebraici che la designano. Con la Vulgata di S. Gerolamo, alle occorrenze in Isaia, Geremia e Baruc si aggiunge quella nel libro di Tobia e si amplia così la base scritturistica per l’allegorizzazione. Nella letteratura cristiana (§ 3: ‘I cristiani e la rondine’) l’uccello appare a vario titolo legato al tema del pentimento e della penitenza, con ricchi e articolati agganci alla tematica ascetica, battesimale, quaresimale e pasquale (§ 3.1: ‘Tra mortificazione e resurrezione’); ampio è l’allegorismo sul comportamento della rondine-madre: libertà, povertà, fiducia nelle prove; rapporto con i piccoli assunto a immagine del rapporto tra Dio e l’uomo, tra Cristo e i suoi (§ 3.2: ‘Una madre esemplare’); si riscontra una rilettura dei topoi sulla irrazionalità degli animali ereditati dalle discussioni filosofiche antiche (§ 3.3: ‘Tra gli aloga zoa’); sulla base del libro di Tobia, letto in chiave moraleggiante soprattutto a partire da Beda, si sviluppa una simbologia ambivalente destinata a durare per tutto il Medioevo (§ 3.4: ‘Le rondini di Tobit’). La ricerca mostra l’importanza, nel formarsi dell’allegorismo cristiano della rondine, del concetto scritturistico di dolore penitenziale, che incide profondamente sulla connotazione piangente e luttuosa che la rondine eredita dalla cultura classica. Icona penosa e inquietante del cuore senza pace, attanagliato dal dolore e dal rimorso, nei testi cristiani l’uccello del mito si trasforma infatti in una direzione soprattutto positiva: il suo lamento diviene domanda di perdono, monito a ricordare che cambiamento e ritorno sono sempre possibili, che il sacrificio è strada a un possesso più vero. Il simbolo si arricchisce di sfumature nuove e inedite, che consistono in primo luogo nella valorizzazione, all’interno della dinamica di movimento e alternanza che da sempre identifica questo uccello messaggero della primavera, delle componenti del distacco e della mortificazione, del versante cioè più ‘buio’ e invernale della polarità, scarsamente focalizzato nella cultura classica, e in secondo luogo nella fioritura delle potenzialità simboliche del rapporto madre-piccoli, immagine del legame tra creatore e creatura, còlto in ambedue i suoi versanti, laddove il mondo greco-latino, affascinato dall’intelligenza e dall’industria della rondine-madre, non valorizza affatto la dipendenza del figlio dal genitore.
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Papers by Alessandra Di Pilla
Il Manicheismo nelle opere di Gregorio Magno,
in: A. Isola (cur.), Gregorio Magno e l’eresia. Tra memoria e testimonianza. Atti dell’Incontro di studio delle Università degli Studi di Perugia e Lecce con la collaborazione della Fondazione Ezio Franceschini e della Società Internazionale per lo Studio del Medioevo Latino (Perugia 12 dicembre 2004), SISMEL Edizioni del Galluzzo, Firenze 2009, 81-106.
" TECHNAI. An International Journal for Ancient Science and Technology " 3 (2012) [Scritti in onore di Sergio Sconocchia], 21-34
in: A. Piras (a cura di), Lingua et ingenium. Studi su Fulgenzio di Ruspe e il suo contesto, Sandhi, Ortacesus 2011, 29-70.
Nella prospettiva di una nuova edizione critica, le epistole di Ferrando di Cartagine, discepolo di Fulgenzio, vengono presentate dal punto di vista della tradizione manoscritta e delle vicende della pubblicazione a stampa, con cenni alle probabili linee direttrici della loro fortuna. La tradizione, non unitaria e di entità disomogenea, disegna le alterne vicende di un epistolario composito, in cui a temi teologici tipici della temperie dei primi decenni del secolo VI (questione teopaschita; controversia dei Tre Capitoli) si affiancano spunti di varia dottrina e di spiritualità quotidiana, a testimonianza della poliedrica fisionomia di Ferrando, monaco e diacono.
Dopo aver ripercorso i tratti salienti della fortuna della rondine nella cultura letteraria greca e latina e nel testo biblico, la ricerca ricostruisce le valenze che tale uccello assume nella letteratura cristiana di epoca patristica. L’antichità (§ 1: ‘Gli antichi e la rondine: ombre e luci’) considera la rondine a livello sia descrittivo che allegorico: il suo comportamento è annotato dai naturalisti, cantato dai poeti, trasposto nel mito, nel sentimento religioso, nella riflessione filosofica. Dal punto di vista simbolico, accanto al significato positivo (abbinamento alla primavera, alla vita che rinasce), troviamo assai sviluppato quello negativo (canto di dolore, lutto, colpa, incertezza) a motivo del legame con il sanguinoso mito della fanciulla trasformata in rondine nella saga di Tereo, Procne e Filomela. Nella Bibbia (§ 2: ‘La rondine nella Scrittura’) la presenza della rondine è di valutazione non del tutto certa, a motivo della traduzione non univoca, prima in greco e poi in latino, dei termini ebraici che la designano. Con la Vulgata di S. Gerolamo, alle occorrenze in Isaia, Geremia e Baruc si aggiunge quella nel libro di Tobia e si amplia così la base scritturistica per l’allegorizzazione. Nella letteratura cristiana (§ 3: ‘I cristiani e la rondine’) l’uccello appare a vario titolo legato al tema del pentimento e della penitenza, con ricchi e articolati agganci alla tematica ascetica, battesimale, quaresimale e pasquale (§ 3.1: ‘Tra mortificazione e resurrezione’); ampio è l’allegorismo sul comportamento della rondine-madre: libertà, povertà, fiducia nelle prove; rapporto con i piccoli assunto a immagine del rapporto tra Dio e l’uomo, tra Cristo e i suoi (§ 3.2: ‘Una madre esemplare’); si riscontra una rilettura dei topoi sulla irrazionalità degli animali ereditati dalle discussioni filosofiche antiche (§ 3.3: ‘Tra gli aloga zoa’); sulla base del libro di Tobia, letto in chiave moraleggiante soprattutto a partire da Beda, si sviluppa una simbologia ambivalente destinata a durare per tutto il Medioevo (§ 3.4: ‘Le rondini di Tobit’). La ricerca mostra l’importanza, nel formarsi dell’allegorismo cristiano della rondine, del concetto scritturistico di dolore penitenziale, che incide profondamente sulla connotazione piangente e luttuosa che la rondine eredita dalla cultura classica. Icona penosa e inquietante del cuore senza pace, attanagliato dal dolore e dal rimorso, nei testi cristiani l’uccello del mito si trasforma infatti in una direzione soprattutto positiva: il suo lamento diviene domanda di perdono, monito a ricordare che cambiamento e ritorno sono sempre possibili, che il sacrificio è strada a un possesso più vero. Il simbolo si arricchisce di sfumature nuove e inedite, che consistono in primo luogo nella valorizzazione, all’interno della dinamica di movimento e alternanza che da sempre identifica questo uccello messaggero della primavera, delle componenti del distacco e della mortificazione, del versante cioè più ‘buio’ e invernale della polarità, scarsamente focalizzato nella cultura classica, e in secondo luogo nella fioritura delle potenzialità simboliche del rapporto madre-piccoli, immagine del legame tra creatore e creatura, còlto in ambedue i suoi versanti, laddove il mondo greco-latino, affascinato dall’intelligenza e dall’industria della rondine-madre, non valorizza affatto la dipendenza del figlio dal genitore.
Il Manicheismo nelle opere di Gregorio Magno,
in: A. Isola (cur.), Gregorio Magno e l’eresia. Tra memoria e testimonianza. Atti dell’Incontro di studio delle Università degli Studi di Perugia e Lecce con la collaborazione della Fondazione Ezio Franceschini e della Società Internazionale per lo Studio del Medioevo Latino (Perugia 12 dicembre 2004), SISMEL Edizioni del Galluzzo, Firenze 2009, 81-106.
" TECHNAI. An International Journal for Ancient Science and Technology " 3 (2012) [Scritti in onore di Sergio Sconocchia], 21-34
in: A. Piras (a cura di), Lingua et ingenium. Studi su Fulgenzio di Ruspe e il suo contesto, Sandhi, Ortacesus 2011, 29-70.
Nella prospettiva di una nuova edizione critica, le epistole di Ferrando di Cartagine, discepolo di Fulgenzio, vengono presentate dal punto di vista della tradizione manoscritta e delle vicende della pubblicazione a stampa, con cenni alle probabili linee direttrici della loro fortuna. La tradizione, non unitaria e di entità disomogenea, disegna le alterne vicende di un epistolario composito, in cui a temi teologici tipici della temperie dei primi decenni del secolo VI (questione teopaschita; controversia dei Tre Capitoli) si affiancano spunti di varia dottrina e di spiritualità quotidiana, a testimonianza della poliedrica fisionomia di Ferrando, monaco e diacono.
Dopo aver ripercorso i tratti salienti della fortuna della rondine nella cultura letteraria greca e latina e nel testo biblico, la ricerca ricostruisce le valenze che tale uccello assume nella letteratura cristiana di epoca patristica. L’antichità (§ 1: ‘Gli antichi e la rondine: ombre e luci’) considera la rondine a livello sia descrittivo che allegorico: il suo comportamento è annotato dai naturalisti, cantato dai poeti, trasposto nel mito, nel sentimento religioso, nella riflessione filosofica. Dal punto di vista simbolico, accanto al significato positivo (abbinamento alla primavera, alla vita che rinasce), troviamo assai sviluppato quello negativo (canto di dolore, lutto, colpa, incertezza) a motivo del legame con il sanguinoso mito della fanciulla trasformata in rondine nella saga di Tereo, Procne e Filomela. Nella Bibbia (§ 2: ‘La rondine nella Scrittura’) la presenza della rondine è di valutazione non del tutto certa, a motivo della traduzione non univoca, prima in greco e poi in latino, dei termini ebraici che la designano. Con la Vulgata di S. Gerolamo, alle occorrenze in Isaia, Geremia e Baruc si aggiunge quella nel libro di Tobia e si amplia così la base scritturistica per l’allegorizzazione. Nella letteratura cristiana (§ 3: ‘I cristiani e la rondine’) l’uccello appare a vario titolo legato al tema del pentimento e della penitenza, con ricchi e articolati agganci alla tematica ascetica, battesimale, quaresimale e pasquale (§ 3.1: ‘Tra mortificazione e resurrezione’); ampio è l’allegorismo sul comportamento della rondine-madre: libertà, povertà, fiducia nelle prove; rapporto con i piccoli assunto a immagine del rapporto tra Dio e l’uomo, tra Cristo e i suoi (§ 3.2: ‘Una madre esemplare’); si riscontra una rilettura dei topoi sulla irrazionalità degli animali ereditati dalle discussioni filosofiche antiche (§ 3.3: ‘Tra gli aloga zoa’); sulla base del libro di Tobia, letto in chiave moraleggiante soprattutto a partire da Beda, si sviluppa una simbologia ambivalente destinata a durare per tutto il Medioevo (§ 3.4: ‘Le rondini di Tobit’). La ricerca mostra l’importanza, nel formarsi dell’allegorismo cristiano della rondine, del concetto scritturistico di dolore penitenziale, che incide profondamente sulla connotazione piangente e luttuosa che la rondine eredita dalla cultura classica. Icona penosa e inquietante del cuore senza pace, attanagliato dal dolore e dal rimorso, nei testi cristiani l’uccello del mito si trasforma infatti in una direzione soprattutto positiva: il suo lamento diviene domanda di perdono, monito a ricordare che cambiamento e ritorno sono sempre possibili, che il sacrificio è strada a un possesso più vero. Il simbolo si arricchisce di sfumature nuove e inedite, che consistono in primo luogo nella valorizzazione, all’interno della dinamica di movimento e alternanza che da sempre identifica questo uccello messaggero della primavera, delle componenti del distacco e della mortificazione, del versante cioè più ‘buio’ e invernale della polarità, scarsamente focalizzato nella cultura classica, e in secondo luogo nella fioritura delle potenzialità simboliche del rapporto madre-piccoli, immagine del legame tra creatore e creatura, còlto in ambedue i suoi versanti, laddove il mondo greco-latino, affascinato dall’intelligenza e dall’industria della rondine-madre, non valorizza affatto la dipendenza del figlio dal genitore.