Papers by Marino Angelocola

L’elaborato prende in esame le citazioni di Dante nelle Lezioni di estetica di Hegel. Dei cinque ... more L’elaborato prende in esame le citazioni di Dante nelle Lezioni di estetica di Hegel. Dei cinque riferimenti presenti alla Divina Commedia ne vengono scelti due che significativamente esprimono e esemplificano la trattazione hegeliana sull’opera d’arte e in particolare della forma poetica.
Il primo riferimento a Dante si trova nell’Introduzione. Dante diventa l’esemplificazione dell’artista in cui “il contenuto è già immagine” ovvero di come un’opera d’arte debba avere un’unità tra contenuto e forma/immagine, e la Divina Commedia è definita come una vera opera d’arte dal quale si può ricavare un certo contenuto dottrinale. Questo aspetto della trattazione hegeliana viene approfondito con il riferimento al canto X del Paradiso. La figura problematica di Sigieri di Bramante problematizza il rapporto fra contenuto e forma poetica. Soprattutto E. Gilson argomenta che “quando un artista lavora per una verità, il suo modo di servirla non è tanto quello di dimostrarla ma quello di farla sentire”. La poesia nella quale vale l’assunto hegeliano di unità fra contenuto e forma ha il suo modo peculiare di veicolare una conoscenza.
Il secondo riferimento a Dante si trova nella trattazione sulla poesia epica. La Divina Commedia diventa “l’epopea del cattolicesimo” ovvero un’opera nel quale sono evidenti due condizioni: una condizione “eterna” che fa da sfondo alle azioni singole, ovvero la Giustizia eterna di Dio che si esprime nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso, e una condizione individuale ovvero come i personaggi si relazionano a questa condizione stabile, come si sono eternati. In Dante è evidente che “il contenuto dell’epos è dunque la totalità di un mondo nel quale accade un’azione individuale”. Qui viene riportato il canto XIII dell’Inferno dove Pier delle Vigne diventa espressione di queste due condizioni. Si evidenzia la presa di coscienza del personaggio, in relazione al mondo nel quale è inserito.
In definitiva la trattazione hegeliana si mostra molto attuale (si veda l’opera di Danto) e sembra rispondere alla domanda sul valore della poesia: sviluppando la lettura hegeliana di Dante, si evidenzia l’importanza dell’arte come riconoscimento di noi stessi attraverso e in ciò che facciamo, come coscienza di noi stessi nel nostro rapporto con il mondo.
Nell'Also sprach Zarathustra, si possono individuare due tipi di speranza, una considerata negati... more Nell'Also sprach Zarathustra, si possono individuare due tipi di speranza, una considerata negativamente e una considerata positivamente; Zarathustra, in questo senso, si pone emblematicamente come fattore discriminante fra la speranza negativa (dell'ultimo uomo, simbolo della speranza religiosa) e la più alta speranza che è l'attesa del superuomo. La Hoffnung, come la intende Nietzsche, non può essere separata dall’Übermensch.

Il paper tratta della nozione di “giardino” e di come questo particolare tipo di arte (se si può ... more Il paper tratta della nozione di “giardino” e di come questo particolare tipo di arte (se si può parlare di arte) e questo particolare tipo di bellezza (se si può parlare di bellezza) è stato affrontato in tre autori: Immanuel Kant, Roger Scruton e Arthur C. Danto.
Questo lavoro affronta principalmente tre testi: la Critica del Giudizio (1799¬III) di Kant, e in particolare il paragrafo 51; La bellezza, ragione ed esperienza estetica (2009) di Scruton, in particolare il 4° capitolo, La bellezza quotidiana; L’abuso della bellezza (2003) di Danto, e in particolare il 4° capitolo, Bellezza e abbellimento.
Kant procedendo ad una divisione delle arti belle colloca il giardinaggio all’interno della pittura; analizzando soprattutto le differenze con un'altra categoria di queste arti (la plastica) tento di argomentare come Kant sia in gran parte influenzato dalla cultura del suo tempo nel considerare il giardino come un prodotto per l’osservazione di uno spettatore, ossia il paradigma del giardino all’inglese.
Scruton riprende il giardino considerandolo non solo come oggetto degli occhi ma come spazio dell’uomo. In questa argomentazione il giardino diventa l’esempio più chiaro di quel tipo di bellezza che fonde in sé due elementi: come già Kant prima di lui, Scruton tematizza il giardino come un’arte della medietà (between-ness), dove l’arte naturale ed artistica sono fuse insieme.
Danto riprendendo le varie arti vicine al giardino già trattate da Kant e Scruton e basandosi su temi hegeliani tematizza un terzo regno della bellezza, ossia un regno della bellezza quotidiana. Questo regno si differenzia dalla natura e dall’arte per due motivi principali: l’abbellimento e il rapporto con la morale.
In generale si può dire che il giardino è una nozione molto discussa e non costituisce certo un tema semplice e senza problematiche. Anzi si può dire che per la molteplicità ed eteronomia delle sue caratteristiche è stato certamente considerato un elemento evidenziatore e chiarificatore rispetto ad altri elementi che secondo Scruton e Danto, sempre di più nella nostro tempo cercano di emergere da quel regno della quotidianità dove sono stati relegati dalla tradizione estetica.
Thesis by Marino Angelocola

Al giorno d’oggi il tema del sacrificio in Agostino è lontano dall’essere esaurito sia nella sua ... more Al giorno d’oggi il tema del sacrificio in Agostino è lontano dall’essere esaurito sia nella sua analisi che nella sua comprensione più profonda.
Questo lavoro non pretende di dare una definizione onnicomprensiva di cosa sia il sacrificium, ma si sforza di offrire una lettura attenta e coerente di come Agostino si è posto il problema all’interno di un’opera importante come il De civitate Dei. In questo senso, le pagine successive nascono e si sviluppano direttamente sul testo agostiniano del decimo libro del De civitate Dei. Mi si perdonerà quindi l’uso della citazione diretta, molto frequente, e la continua parafrasi dei periodi del retore di Tagaste: fare altrimenti mi sembrerebbe un tradimento dell’originalità e della ricchezza di questo autore.
Molto è stato scritto sul decimo libro del De civitate Dei, ma invece di rassicuranti e univoche interpretazioni su questo importante snodo teoretico i vari studiosi nel corso degli anni non hanno fatto altro che dimostrare una diversità di opinioni e risultati. Questo lavoro innanzitutto deve misurarsi con questa sterminata selva di definizioni, interpretazioni, errori e prospettive diverse : una loro sintesi, oltre a non essere utile, di certo non si può riportare in così poco spazio. Spero che i continui rimandi alla letteratura secondaria non siano una distrazione rispetto al testo agostiniano, ma siano un mezzo e un aiuto per futuri lavori e approfondimenti.
Considerando i primi capitoli dove Agostino si rivolge esplicitamente al neoplatonismo, si cercherà di evidenziare come l’uso e il significato di particolari termini sia fondamentale nell’apologetica agostiniana . Il capitolo centrale tenterà, sempre seguendo l’ordine dell’argomentazione agostiniana, di esplicitare quelli che sono i cardini dell’interpretazione del sacrificio, e come questi si inseriscano nel dialogo fra Agostino e il mondo neoplatonico rappresentato da Porfirio . Nei capitoli conclusivi si cercherà di ricapitolare i punti più importanti della trattazione .

Le Enarrationes in Psalmos sono l’opera più estesa di Agostino. Misurandoci con questa ricchezza,... more Le Enarrationes in Psalmos sono l’opera più estesa di Agostino. Misurandoci con questa ricchezza, abbiamo cercato di raccogliere e far emergere il pensiero agostiniano su un tema particolare, molto caro al vescovo di Ippona: l’antropologia. Che cosa sia, chi sia e per chi sia l’uomo: questa magna quaestio e come Agostino si sia misurato con essa è il tema principale delle prossime pagine.
Questo lavoro si è confrontato con la scarsa attenzione che gli studiosi hanno riservato allo studio filosofico di quest’opera e in particolare all’aspetto antropologico. Per il loro carattere omiletico e il loro stretto rapporto biblico, le Enarrationes sono state lette soprattutto dai teologi, che in esse hanno trovato la famosa dottrina ecclesiologica del Christus totus che compare ripetutamente. Allo stesso tempo gli studi filosofici ed antropologici su Agostino sembrano semplicemente non considerare l’opera se non in maniera secondaria.
L’antropologia, invece, ha un ruolo importante nelle Enarrationes. Cercheremo di mostrarlo sia nella presentazione generale del commento agostiniano ai Salmi, che sottolinea l’importanza di queste composizioni bibliche per il pensiero di Agostino, sia nei capitoli conclusivi della tesi, in cui emergeranno gli aspetti propri dell’antropologia agostiniana. È da notare anche l’originalità del nostro autore in rapporto al suo contesto culturale, caratterizzato sia dalla filosofia neoplatonica, sia dalla tradizione cristiana.
Questa originalità si determina nella strutturazione stessa dell’essere umano: corpo e anima, esteriorità e interiorità non sono più termini sufficienti per il vescovo di Ippona. Eppure, anche nel porre Dio come ciò che supera l’interiorità si pone il problema di come Egli sia accessibile all’uomo. Come si può relazionare l’invisibile con il visibile?
Questa domanda rimanda all’ermeneutica sacramentale che tenta di esprimere tale relazione e che, in maniera inaspettata, è risultata la chiave di comprensione dell’intera opera, compresa la stessa dottrina del Christus totus.
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Papers by Marino Angelocola
Il primo riferimento a Dante si trova nell’Introduzione. Dante diventa l’esemplificazione dell’artista in cui “il contenuto è già immagine” ovvero di come un’opera d’arte debba avere un’unità tra contenuto e forma/immagine, e la Divina Commedia è definita come una vera opera d’arte dal quale si può ricavare un certo contenuto dottrinale. Questo aspetto della trattazione hegeliana viene approfondito con il riferimento al canto X del Paradiso. La figura problematica di Sigieri di Bramante problematizza il rapporto fra contenuto e forma poetica. Soprattutto E. Gilson argomenta che “quando un artista lavora per una verità, il suo modo di servirla non è tanto quello di dimostrarla ma quello di farla sentire”. La poesia nella quale vale l’assunto hegeliano di unità fra contenuto e forma ha il suo modo peculiare di veicolare una conoscenza.
Il secondo riferimento a Dante si trova nella trattazione sulla poesia epica. La Divina Commedia diventa “l’epopea del cattolicesimo” ovvero un’opera nel quale sono evidenti due condizioni: una condizione “eterna” che fa da sfondo alle azioni singole, ovvero la Giustizia eterna di Dio che si esprime nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso, e una condizione individuale ovvero come i personaggi si relazionano a questa condizione stabile, come si sono eternati. In Dante è evidente che “il contenuto dell’epos è dunque la totalità di un mondo nel quale accade un’azione individuale”. Qui viene riportato il canto XIII dell’Inferno dove Pier delle Vigne diventa espressione di queste due condizioni. Si evidenzia la presa di coscienza del personaggio, in relazione al mondo nel quale è inserito.
In definitiva la trattazione hegeliana si mostra molto attuale (si veda l’opera di Danto) e sembra rispondere alla domanda sul valore della poesia: sviluppando la lettura hegeliana di Dante, si evidenzia l’importanza dell’arte come riconoscimento di noi stessi attraverso e in ciò che facciamo, come coscienza di noi stessi nel nostro rapporto con il mondo.
Questo lavoro affronta principalmente tre testi: la Critica del Giudizio (1799¬III) di Kant, e in particolare il paragrafo 51; La bellezza, ragione ed esperienza estetica (2009) di Scruton, in particolare il 4° capitolo, La bellezza quotidiana; L’abuso della bellezza (2003) di Danto, e in particolare il 4° capitolo, Bellezza e abbellimento.
Kant procedendo ad una divisione delle arti belle colloca il giardinaggio all’interno della pittura; analizzando soprattutto le differenze con un'altra categoria di queste arti (la plastica) tento di argomentare come Kant sia in gran parte influenzato dalla cultura del suo tempo nel considerare il giardino come un prodotto per l’osservazione di uno spettatore, ossia il paradigma del giardino all’inglese.
Scruton riprende il giardino considerandolo non solo come oggetto degli occhi ma come spazio dell’uomo. In questa argomentazione il giardino diventa l’esempio più chiaro di quel tipo di bellezza che fonde in sé due elementi: come già Kant prima di lui, Scruton tematizza il giardino come un’arte della medietà (between-ness), dove l’arte naturale ed artistica sono fuse insieme.
Danto riprendendo le varie arti vicine al giardino già trattate da Kant e Scruton e basandosi su temi hegeliani tematizza un terzo regno della bellezza, ossia un regno della bellezza quotidiana. Questo regno si differenzia dalla natura e dall’arte per due motivi principali: l’abbellimento e il rapporto con la morale.
In generale si può dire che il giardino è una nozione molto discussa e non costituisce certo un tema semplice e senza problematiche. Anzi si può dire che per la molteplicità ed eteronomia delle sue caratteristiche è stato certamente considerato un elemento evidenziatore e chiarificatore rispetto ad altri elementi che secondo Scruton e Danto, sempre di più nella nostro tempo cercano di emergere da quel regno della quotidianità dove sono stati relegati dalla tradizione estetica.
Thesis by Marino Angelocola
Questo lavoro non pretende di dare una definizione onnicomprensiva di cosa sia il sacrificium, ma si sforza di offrire una lettura attenta e coerente di come Agostino si è posto il problema all’interno di un’opera importante come il De civitate Dei. In questo senso, le pagine successive nascono e si sviluppano direttamente sul testo agostiniano del decimo libro del De civitate Dei. Mi si perdonerà quindi l’uso della citazione diretta, molto frequente, e la continua parafrasi dei periodi del retore di Tagaste: fare altrimenti mi sembrerebbe un tradimento dell’originalità e della ricchezza di questo autore.
Molto è stato scritto sul decimo libro del De civitate Dei, ma invece di rassicuranti e univoche interpretazioni su questo importante snodo teoretico i vari studiosi nel corso degli anni non hanno fatto altro che dimostrare una diversità di opinioni e risultati. Questo lavoro innanzitutto deve misurarsi con questa sterminata selva di definizioni, interpretazioni, errori e prospettive diverse : una loro sintesi, oltre a non essere utile, di certo non si può riportare in così poco spazio. Spero che i continui rimandi alla letteratura secondaria non siano una distrazione rispetto al testo agostiniano, ma siano un mezzo e un aiuto per futuri lavori e approfondimenti.
Considerando i primi capitoli dove Agostino si rivolge esplicitamente al neoplatonismo, si cercherà di evidenziare come l’uso e il significato di particolari termini sia fondamentale nell’apologetica agostiniana . Il capitolo centrale tenterà, sempre seguendo l’ordine dell’argomentazione agostiniana, di esplicitare quelli che sono i cardini dell’interpretazione del sacrificio, e come questi si inseriscano nel dialogo fra Agostino e il mondo neoplatonico rappresentato da Porfirio . Nei capitoli conclusivi si cercherà di ricapitolare i punti più importanti della trattazione .
Questo lavoro si è confrontato con la scarsa attenzione che gli studiosi hanno riservato allo studio filosofico di quest’opera e in particolare all’aspetto antropologico. Per il loro carattere omiletico e il loro stretto rapporto biblico, le Enarrationes sono state lette soprattutto dai teologi, che in esse hanno trovato la famosa dottrina ecclesiologica del Christus totus che compare ripetutamente. Allo stesso tempo gli studi filosofici ed antropologici su Agostino sembrano semplicemente non considerare l’opera se non in maniera secondaria.
L’antropologia, invece, ha un ruolo importante nelle Enarrationes. Cercheremo di mostrarlo sia nella presentazione generale del commento agostiniano ai Salmi, che sottolinea l’importanza di queste composizioni bibliche per il pensiero di Agostino, sia nei capitoli conclusivi della tesi, in cui emergeranno gli aspetti propri dell’antropologia agostiniana. È da notare anche l’originalità del nostro autore in rapporto al suo contesto culturale, caratterizzato sia dalla filosofia neoplatonica, sia dalla tradizione cristiana.
Questa originalità si determina nella strutturazione stessa dell’essere umano: corpo e anima, esteriorità e interiorità non sono più termini sufficienti per il vescovo di Ippona. Eppure, anche nel porre Dio come ciò che supera l’interiorità si pone il problema di come Egli sia accessibile all’uomo. Come si può relazionare l’invisibile con il visibile?
Questa domanda rimanda all’ermeneutica sacramentale che tenta di esprimere tale relazione e che, in maniera inaspettata, è risultata la chiave di comprensione dell’intera opera, compresa la stessa dottrina del Christus totus.
Il primo riferimento a Dante si trova nell’Introduzione. Dante diventa l’esemplificazione dell’artista in cui “il contenuto è già immagine” ovvero di come un’opera d’arte debba avere un’unità tra contenuto e forma/immagine, e la Divina Commedia è definita come una vera opera d’arte dal quale si può ricavare un certo contenuto dottrinale. Questo aspetto della trattazione hegeliana viene approfondito con il riferimento al canto X del Paradiso. La figura problematica di Sigieri di Bramante problematizza il rapporto fra contenuto e forma poetica. Soprattutto E. Gilson argomenta che “quando un artista lavora per una verità, il suo modo di servirla non è tanto quello di dimostrarla ma quello di farla sentire”. La poesia nella quale vale l’assunto hegeliano di unità fra contenuto e forma ha il suo modo peculiare di veicolare una conoscenza.
Il secondo riferimento a Dante si trova nella trattazione sulla poesia epica. La Divina Commedia diventa “l’epopea del cattolicesimo” ovvero un’opera nel quale sono evidenti due condizioni: una condizione “eterna” che fa da sfondo alle azioni singole, ovvero la Giustizia eterna di Dio che si esprime nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso, e una condizione individuale ovvero come i personaggi si relazionano a questa condizione stabile, come si sono eternati. In Dante è evidente che “il contenuto dell’epos è dunque la totalità di un mondo nel quale accade un’azione individuale”. Qui viene riportato il canto XIII dell’Inferno dove Pier delle Vigne diventa espressione di queste due condizioni. Si evidenzia la presa di coscienza del personaggio, in relazione al mondo nel quale è inserito.
In definitiva la trattazione hegeliana si mostra molto attuale (si veda l’opera di Danto) e sembra rispondere alla domanda sul valore della poesia: sviluppando la lettura hegeliana di Dante, si evidenzia l’importanza dell’arte come riconoscimento di noi stessi attraverso e in ciò che facciamo, come coscienza di noi stessi nel nostro rapporto con il mondo.
Questo lavoro affronta principalmente tre testi: la Critica del Giudizio (1799¬III) di Kant, e in particolare il paragrafo 51; La bellezza, ragione ed esperienza estetica (2009) di Scruton, in particolare il 4° capitolo, La bellezza quotidiana; L’abuso della bellezza (2003) di Danto, e in particolare il 4° capitolo, Bellezza e abbellimento.
Kant procedendo ad una divisione delle arti belle colloca il giardinaggio all’interno della pittura; analizzando soprattutto le differenze con un'altra categoria di queste arti (la plastica) tento di argomentare come Kant sia in gran parte influenzato dalla cultura del suo tempo nel considerare il giardino come un prodotto per l’osservazione di uno spettatore, ossia il paradigma del giardino all’inglese.
Scruton riprende il giardino considerandolo non solo come oggetto degli occhi ma come spazio dell’uomo. In questa argomentazione il giardino diventa l’esempio più chiaro di quel tipo di bellezza che fonde in sé due elementi: come già Kant prima di lui, Scruton tematizza il giardino come un’arte della medietà (between-ness), dove l’arte naturale ed artistica sono fuse insieme.
Danto riprendendo le varie arti vicine al giardino già trattate da Kant e Scruton e basandosi su temi hegeliani tematizza un terzo regno della bellezza, ossia un regno della bellezza quotidiana. Questo regno si differenzia dalla natura e dall’arte per due motivi principali: l’abbellimento e il rapporto con la morale.
In generale si può dire che il giardino è una nozione molto discussa e non costituisce certo un tema semplice e senza problematiche. Anzi si può dire che per la molteplicità ed eteronomia delle sue caratteristiche è stato certamente considerato un elemento evidenziatore e chiarificatore rispetto ad altri elementi che secondo Scruton e Danto, sempre di più nella nostro tempo cercano di emergere da quel regno della quotidianità dove sono stati relegati dalla tradizione estetica.
Questo lavoro non pretende di dare una definizione onnicomprensiva di cosa sia il sacrificium, ma si sforza di offrire una lettura attenta e coerente di come Agostino si è posto il problema all’interno di un’opera importante come il De civitate Dei. In questo senso, le pagine successive nascono e si sviluppano direttamente sul testo agostiniano del decimo libro del De civitate Dei. Mi si perdonerà quindi l’uso della citazione diretta, molto frequente, e la continua parafrasi dei periodi del retore di Tagaste: fare altrimenti mi sembrerebbe un tradimento dell’originalità e della ricchezza di questo autore.
Molto è stato scritto sul decimo libro del De civitate Dei, ma invece di rassicuranti e univoche interpretazioni su questo importante snodo teoretico i vari studiosi nel corso degli anni non hanno fatto altro che dimostrare una diversità di opinioni e risultati. Questo lavoro innanzitutto deve misurarsi con questa sterminata selva di definizioni, interpretazioni, errori e prospettive diverse : una loro sintesi, oltre a non essere utile, di certo non si può riportare in così poco spazio. Spero che i continui rimandi alla letteratura secondaria non siano una distrazione rispetto al testo agostiniano, ma siano un mezzo e un aiuto per futuri lavori e approfondimenti.
Considerando i primi capitoli dove Agostino si rivolge esplicitamente al neoplatonismo, si cercherà di evidenziare come l’uso e il significato di particolari termini sia fondamentale nell’apologetica agostiniana . Il capitolo centrale tenterà, sempre seguendo l’ordine dell’argomentazione agostiniana, di esplicitare quelli che sono i cardini dell’interpretazione del sacrificio, e come questi si inseriscano nel dialogo fra Agostino e il mondo neoplatonico rappresentato da Porfirio . Nei capitoli conclusivi si cercherà di ricapitolare i punti più importanti della trattazione .
Questo lavoro si è confrontato con la scarsa attenzione che gli studiosi hanno riservato allo studio filosofico di quest’opera e in particolare all’aspetto antropologico. Per il loro carattere omiletico e il loro stretto rapporto biblico, le Enarrationes sono state lette soprattutto dai teologi, che in esse hanno trovato la famosa dottrina ecclesiologica del Christus totus che compare ripetutamente. Allo stesso tempo gli studi filosofici ed antropologici su Agostino sembrano semplicemente non considerare l’opera se non in maniera secondaria.
L’antropologia, invece, ha un ruolo importante nelle Enarrationes. Cercheremo di mostrarlo sia nella presentazione generale del commento agostiniano ai Salmi, che sottolinea l’importanza di queste composizioni bibliche per il pensiero di Agostino, sia nei capitoli conclusivi della tesi, in cui emergeranno gli aspetti propri dell’antropologia agostiniana. È da notare anche l’originalità del nostro autore in rapporto al suo contesto culturale, caratterizzato sia dalla filosofia neoplatonica, sia dalla tradizione cristiana.
Questa originalità si determina nella strutturazione stessa dell’essere umano: corpo e anima, esteriorità e interiorità non sono più termini sufficienti per il vescovo di Ippona. Eppure, anche nel porre Dio come ciò che supera l’interiorità si pone il problema di come Egli sia accessibile all’uomo. Come si può relazionare l’invisibile con il visibile?
Questa domanda rimanda all’ermeneutica sacramentale che tenta di esprimere tale relazione e che, in maniera inaspettata, è risultata la chiave di comprensione dell’intera opera, compresa la stessa dottrina del Christus totus.