
Fosco Bugoni
University at Buffalo, State University of New York, Philosophy, & Jewish Thought, Levinas summer seminar attendee - summer term 2014
Address: Milano, Italy
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Drafts by Fosco Bugoni
La tesi si focalizzava principalmente sull’influenza delle comunità locali nei processi di integrazione e sulle pratiche messe in atto dai richiedenti asilo per riappropriarsi della propria agency all’interno di un limbo di isolamento e precarietà passivizzante. Particolare attenzione era stata attribuita alle storie di vita, intese come modi in cui può emergere la dimensione attiva e profondamente politica dei soggetti, che contesta l’idea che gli individui siano semplici effetti di una posizione che viene loro assegnata dalle convenzioni sociali, dagli apparati burocratici o dalle contingenze storiche. Anche se affrontate sotto il profilo biografico, le storie di vita non costituiscono il semplice registro di stati emotivi o di una serie di esperienze interiori e private. Al contrario, sono le rielaborazioni attive di fatti ed esperienze (nella maggior parte dei casi traumatiche) che fanno luce su dinamiche di esclusione (cfr. Vacchiano 2011; Pinelli 2011; 2016). La storia di vita, per il modo in cui viene raccontata, rimodellata e reinterpretata nel presente a seconda della situazione e degli interlocutori, permette di «cogliere i segni e il lavorio delle forme di potere sui soggetti e le modalità con cui i soggetti, pur all’interno delle maglie strette della burocrazia o dell’illegalità, di discorsi razzisti e politiche restrittive, costruiscono il sé e la propria soggettività» (Pinelli 2011: 12).
In tempi di inasprimento delle politiche migratorie, di declino del paradigma multiculturalista, di rinnovate pressioni assimilazionistiche e di derive xenofobe e nazionaliste, diventa quindi rilevante interrogarsi su come le amministrazioni locali recepiscano queste tendenze restrittive e in che misura le comunità “ospitanti” possano costituire dei contesti fertili per i processi di integrazione. Proprio in virtù di questo loro posizionamento strategico all’interno del campo di relazioni di potere e processi globali che è la gestione della migrazione, i contesti locali sono in grado di costituire l’ostacolo più grande ad ogni progetto di inserimento. Politiche dichiarate e politiche praticate, dimensione nazionale e dimensione locale, chiusure e aperture non si allineano, ma si intrecciano in configurazioni diverse. Da qui la necessità di analizzare anche gli aspetti cognitivi e percettivi delle comunità ospitanti rispetto alle figure di rifugiato e richiedente asilo e al riconoscimento dei loro diritti. Va infatti tenuto in considerazione l’utilizzo nella sfera pubblica di un linguaggio che negli ultimi anni ha alimentato l’intolleranza, minando in tal modo la convivenza civile tra italiani e stranieri. La narrazione mediatica, o meglio la diffusione di un certo tipo di immagini, ha contribuito a cristallizzare una “struttura del sentire” comune sui temi dell’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo che ha allargato in particolare l’area della diffidenza e delle paure, influendo negativamente nella creazione di un clima di empatia. Un contesto rimasto finora marginalmente interessato dal fenomeno delle migrazioni per asilo, come quello di Piacenza e provincia, costituisce un campo di ricerca importante per analizzare come i discorsi pubblici sia politici che civili arrivino a permeare le relazioni concrete tra cittadinanza, autorità e richiedenti asilo.
L’argomento di questo elaborato si distanzia leggermente dall’ambito di analisi della tesi. Per alcuni partecipanti alla ricerca la situazione è cambiata (per esempio con il riconoscimento della protezione), mentre per altri si è protratta ulteriormente nell’attesa di ricevere una decisione in merito alla propria domanda. È importante quindi cogliere come dinamicità e stagnazione nei processi amministrativi influiscano sulla dimensione esistenziale, identitaria e sulle aspettative dei richiedenti asilo e beneficiari. Prima di essere riconosciuti come tali, i rifugiati possono trascorrere lunghi periodi nel paese d’accoglienza, talvolta diversi anni, in attesa dell’esito della loro domanda d’asilo. Il fatto di essere ammessi a una procedura d’asilo non segna la fine dell’incertezza: fattori come la mancanza di un alloggio, la vita in un centro d’accoglienza o di detenzione, l’isolamento e la separazione dalla famiglia, le restrizioni sulla libertà di lavorare, sulla libertà di muoversi (anche fuori dall’Italia), la dipendenza dall’assistenza materiale e la diffidenza spesso associata all’essere un richiedente asilo o un rifugiato possono avere effetti duraturi e destabilizzanti sulle soggettività, relegandoli le persone margini della società. Né l’eventuale riconoscimento dello status si traduce in un automatico ritorno alla normalità, poiché tanto per il rifugiato, quanto per la comunità che lo accoglie, può rivelarsi difficile ricominciare.
La tesi si focalizzava principalmente sull’influenza delle comunità locali nei processi di integrazione e sulle pratiche messe in atto dai richiedenti asilo per riappropriarsi della propria agency all’interno di un limbo di isolamento e precarietà passivizzante. Particolare attenzione era stata attribuita alle storie di vita, intese come modi in cui può emergere la dimensione attiva e profondamente politica dei soggetti, che contesta l’idea che gli individui siano semplici effetti di una posizione che viene loro assegnata dalle convenzioni sociali, dagli apparati burocratici o dalle contingenze storiche. Anche se affrontate sotto il profilo biografico, le storie di vita non costituiscono il semplice registro di stati emotivi o di una serie di esperienze interiori e private. Al contrario, sono le rielaborazioni attive di fatti ed esperienze (nella maggior parte dei casi traumatiche) che fanno luce su dinamiche di esclusione (cfr. Vacchiano 2011; Pinelli 2011; 2016). La storia di vita, per il modo in cui viene raccontata, rimodellata e reinterpretata nel presente a seconda della situazione e degli interlocutori, permette di «cogliere i segni e il lavorio delle forme di potere sui soggetti e le modalità con cui i soggetti, pur all’interno delle maglie strette della burocrazia o dell’illegalità, di discorsi razzisti e politiche restrittive, costruiscono il sé e la propria soggettività» (Pinelli 2011: 12).
In tempi di inasprimento delle politiche migratorie, di declino del paradigma multiculturalista, di rinnovate pressioni assimilazionistiche e di derive xenofobe e nazionaliste, diventa quindi rilevante interrogarsi su come le amministrazioni locali recepiscano queste tendenze restrittive e in che misura le comunità “ospitanti” possano costituire dei contesti fertili per i processi di integrazione. Proprio in virtù di questo loro posizionamento strategico all’interno del campo di relazioni di potere e processi globali che è la gestione della migrazione, i contesti locali sono in grado di costituire l’ostacolo più grande ad ogni progetto di inserimento. Politiche dichiarate e politiche praticate, dimensione nazionale e dimensione locale, chiusure e aperture non si allineano, ma si intrecciano in configurazioni diverse. Da qui la necessità di analizzare anche gli aspetti cognitivi e percettivi delle comunità ospitanti rispetto alle figure di rifugiato e richiedente asilo e al riconoscimento dei loro diritti. Va infatti tenuto in considerazione l’utilizzo nella sfera pubblica di un linguaggio che negli ultimi anni ha alimentato l’intolleranza, minando in tal modo la convivenza civile tra italiani e stranieri. La narrazione mediatica, o meglio la diffusione di un certo tipo di immagini, ha contribuito a cristallizzare una “struttura del sentire” comune sui temi dell’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo che ha allargato in particolare l’area della diffidenza e delle paure, influendo negativamente nella creazione di un clima di empatia. Un contesto rimasto finora marginalmente interessato dal fenomeno delle migrazioni per asilo, come quello di Piacenza e provincia, costituisce un campo di ricerca importante per analizzare come i discorsi pubblici sia politici che civili arrivino a permeare le relazioni concrete tra cittadinanza, autorità e richiedenti asilo.
L’argomento di questo elaborato si distanzia leggermente dall’ambito di analisi della tesi. Per alcuni partecipanti alla ricerca la situazione è cambiata (per esempio con il riconoscimento della protezione), mentre per altri si è protratta ulteriormente nell’attesa di ricevere una decisione in merito alla propria domanda. È importante quindi cogliere come dinamicità e stagnazione nei processi amministrativi influiscano sulla dimensione esistenziale, identitaria e sulle aspettative dei richiedenti asilo e beneficiari. Prima di essere riconosciuti come tali, i rifugiati possono trascorrere lunghi periodi nel paese d’accoglienza, talvolta diversi anni, in attesa dell’esito della loro domanda d’asilo. Il fatto di essere ammessi a una procedura d’asilo non segna la fine dell’incertezza: fattori come la mancanza di un alloggio, la vita in un centro d’accoglienza o di detenzione, l’isolamento e la separazione dalla famiglia, le restrizioni sulla libertà di lavorare, sulla libertà di muoversi (anche fuori dall’Italia), la dipendenza dall’assistenza materiale e la diffidenza spesso associata all’essere un richiedente asilo o un rifugiato possono avere effetti duraturi e destabilizzanti sulle soggettività, relegandoli le persone margini della società. Né l’eventuale riconoscimento dello status si traduce in un automatico ritorno alla normalità, poiché tanto per il rifugiato, quanto per la comunità che lo accoglie, può rivelarsi difficile ricominciare.