Diraas

(English)
This essay is part of a volume of papers first delivered in Boston at the conference The Pamphilj and the Arts (October 2010). It focuses on the patronage occasioned - in Rome and especially in Genoa - by the marriage of Anna Pamphilj and Giovanni Andrea III Doria Landi in 1671. Laura Stagno examines the use of visual arts, in various media, in the calculated negotiations which led to the marriage (in the course of which Anna’s portrait was painted by Jacob Voet, to be sent to her fiancé) and in the subsequent celebration of it. Matching data retrieved through archival research and existing works of art, a corpus of paintings and sculptures connected to the event  can be recognized. The role of Domenico Piola and Filippo Parodi – the latter acting as “director” of the marriage celebrations – is highlighted, and reference is made to the rich ephemeral  “apparati” and decorations (such as sugar sculptures) created for the occasion and described in various chronicles and documents.
(Italiano)
Il saggio è parte di un volume che raccoglie i contributi presentati a Boston nel quadro del convegno The Pamphilj and the Arts  (Ottobre 2010).  Oggetto della ricerca sono le committenze artistiche - a Roma e a Genova -  legate al matrimonio tra Anna Pamphilj e Giovanni Andrea III Doria Landi, nel 1671. L’autrice esamina l’utilizzo delle arti figurative durante i complessi negoziati (nel corso dei quali fu eseguito da Jacob Voet il ritratto di Anna, inviato al fidanzato) e poi in occasione della celebrazione delle nozze, esaminando anche dal punto di vista storico i caratteri ed il significato dell’alleanza nuziale.  Attraverso il confronto dei dati emersi dalla ricerca archivistica con le opere d’arte esistenti, può essere riconosciuto un significativo corpus di opere connesse all’evento. Viene messo in luce il ruolo di Domenico Piola e di Filippo Parodi, quest’ultimo “regista” dei festeggiamenti genovesi; sono presi in esame gli apparati effimeri e le decorazioni (quali, ad esempio, le sculture in zucchero) creati per l’occasione, descritti in diverse cronache.

Al tema della Vanitas rimanda una molteplicità di iconografie diverse, “di oggetti”  (le nature morte moralizzate) e “di figure” (allegorie ed immagini di santi), che in modi differenti declinano la riflessione sui concetti fondanti del tempo che trascorre, dell’inconsistenza dei beni terreni e della centralità della morte ineluttabile. Questo studio, dopo aver analizzato le radici del concetto, propone un’analisi sistematica dei percorsi iconografici che nel Cinquecento e poi in età barocca traducono visivamente i diversi versanti di questa complessa tematica, focalizzando l’attenzione sul contesto genovese, nel quale una serie di fattori concorre a radicare una visione del mondo sensibile ai motivi dell’instabilità della fortuna e ai moniti del memento mori. Dalle allegorie di Luca Cambiaso, giocate sul rapporto tra Vanitas e Verità, alla dimensione monumentale del Carro del Tempo affrescato nel palazzo Balbi Senarega da Valerio Castello, dalle variazioni sul tema proposte dalle raffinati composizioni di Giovanni Benedetto Castiglione, il Grechetto, alle personificazioni ammonitrici del Tempo di Domenico Piola, i differenti  aspetti  del tema trovano traduzione figurativa in esiti pittorici di notevole qualità.

Il volume, curato da Lauro Magnani e Laura Stagno, raccoglie gli atti del convegno organizzato presso l’Università degli Studi di Genova nell’ottobre 2009, mirato a creare un momento di confronto tra studiosi di diversa provenienza e ricercatori impegnati ad indagare tematiche francescane nell’ambito specifico del territorio ligure.
William R. Cook (State University of New York), riconosciuto esperto di arte francescana medievale, discute le origini di “quasi otto secoli” di produzione artistica legata all’ordine, mentre altri
studiosi - tra i quali Bert Treffers, Giorgio Leone, Andrea Spiriti, Mario Alberto Pavone, Mimma Pasculli Ferrara, Francesca Sinagra - presentano in questa sede i risultati delle proprie ricerche sul tema condotte in ambiti geografici diversi, con analisi di complessi decorativi e letture iconografiche talora puntate sul ruolo di singoli artisti, in particolare Caravaggio.
Una serie ampia ed articolata di contributi incentrati sul contesto ligure, proposti da autori legati per la maggior parte all’ateneo genovese, alle Soprintendenze e ai musei della regione, ricostruisce il mosaico degli insediamenti, delle architetture, delle committenze artistiche – conservate, o solo documentate – delle comunità francescane, e approfondisce, attraverso approcci metodologici diversificati, caratteri e significati delle scelte iconografiche delle diverse famiglie dell’ordine in un territorio che,  generalmente trascurato dalle precedenti indagini sull’argomento, si rivela invece, sotto questo profilo, particolarmente ricco.

Filippo Parodi, figura chiave della scultura genovese barocca, eseguì «molte figure» 1 per Giovanni Andrea III Doria Landi principe di Melfi (1653-1737) ed introdusse presso il committente il figlio Domenico, che «grandemente valse nella Pittura e nella Scultura», 2 a sua volta in più occasioni chiamato a servire il nobile genovese e la sua famiglia. I libri di cassa conservati nell'Archivio Doria Pamphilj, unitamente ad alcune lettere presenti presso la stessa sede, forniscono dati che disegnano un rapporto tra i due artisti e i Doria di Melfi connotato da una frequenza di commissioni e da una estensione cronologica sinora ignote. Sono, infatti, registrati pagamenti dal 1671 al 1698 nel caso di Filippo; dal 1695 al 1742, anno della morte, per quanto riguarda Domenico.

Michelangelo Merisi da Caravaggio fu a Genova per un breve periodo nell'agosto 1605. Vi si rifugiò dopo la fuga da Roma, ove il 29 luglio aveva ferito con un colpo di spada alla testa il notaio Mariano Pasqualone, per questioni di gelosia legate a una certa Lena, donna del pittore 1 . La notizia della sua presenza in città è fornita non da fonti locali, ma da alcune lettere che l'ambasciatore a Roma del duca Cesare d'Este, Fabio Masetti, spedì a Modena al segretario di Cesare, Giovanni Battista Laderchi, per dare conto dei propri pressanti ma infruttuosi tentativi di ottenere dall'artista una tela commissionata dal duca, che non venne mai consegnata 2 . Il 6 agosto 1605 Masetti scriveva: "Sarà cosa impossibile l'haver i quadri [due dipinti richiesti l'uno ad Annibale Carracci, l'altro al Merisi] per la cappella alla Madonna di settembre perche il Caravaggio è in contumacia alla corte per alcune ferite ch'egli diede a un sostituto del Spada Notar del Vicario e com'intendo si trova a Genova" 3 . Undici giorni dopo, l'oratore estense ribadiva che "il Caravaggio è in contumacia della Corte e si trova a Genova"; mentre in data 24 agosto ne segnalava il rientro, comunicando che "il Caravaggio è comparso a Roma per la speranza della pace" 4 (due giorni dopo, l'artista firmava nella città pontificia una domanda di perdono al ferito 5 , che ritirò la denuncia). Le missive offrono dati preziosi circa i termini del soggiorno genovese di Merisi; rimane aperta la questione relativa alla scelta del luogo presso quale riparò il pittore, in una situazione di drammatica emergenza. Perché l'artista si recò proprio a Genova? Certo si trattava di un grande porto, facilmente raggiungibile via mare. Ma è probabile che vi siano anche altre ragioni. Secondo Maurizio Calvesi "È evidente [...] che egli fu indirizzato in quella città dalle stesse persone che lo ospitarono" nei propri feudi l'anno seguente, dopo l'omicidio di Ranuccio Tommassoni per il quale fu condannato a morte in contumacia, ovvero i Colonna del ramo di Paliano, suoi protettori 6 . Il principe Filippo Colonna, nipote di san Carlo Borromeo e della marchesa di Caravaggio (del cui maestro di casa Michelangelo Merisi era figlio), certamente accolse a Paliano l'artista fuggiasco nell'estate del 1606 7 . La sorella di Filippo, Giovanna, viveva a Genova, avendo sposato nel 1592 Andrea, figlio primogenito di Giovanni Andrea I Doria principe di Melfi, generale del mare di Filippo II; è presso di lei, presso la famiglia Doria di cui per matrimonio ella faceva ormai parte, prosegue Calvesi, "che il Caravaggio con ogni probabilità ripara" nel 1605, benché -come è stato notato -importanti appoggi in loco potessero essere procurati all'artista anche da personaggi quali Ottavio Costa e soprattutto Vincenzo Giustiniani, appartenenti a grandi famiglie genovesi, suoi committenti a Roma 8 . I Doria di Melfi avevano come propria residenza principale lo splendido Palazzo del Principe a Fassolo ( , oggi temporaneamente sede di questa mostra, che Caravaggio quindi potè conoscere. Già Friedlaender 9 , del resto, citava la Carità romana affrescata in questa dimora nel contesto della disamina della scena caravaggesca di analoga iconografia -ma di carattere profondamente innovativo -che nelle Sette opere di misericordia del Pio Monte della Misericordia di Napoli simboleggia congiuntamente i precetti del "visitare i carcerati" e del "dar da mangiare agli affamati": "il pittore lombardo, come riteneva il Friedlaender, potè vede-

I l 20 gennaio 1603 maestro Andrea Vannone riceveva dall'amministratore del principe Giovanni Andrea I Doria un pagamento di cinquanta lire "per mercede delli Dissegni" fatti per la "Fabrica" del Monastero dello Spirito Santo 1 . L'attribuzione della progettazione di questo imponente complesso all'architetto di origini intelvesi -accennata dal Merli e dal Belgrano nel 1874 2 , ripresa dal Bracco e "dopo di allora completamente ignorata dalla critica" 3 , poi sostenuta da Nadia Pazzini in base ad un'articolata analisi delle soluzioni architettoniche adottate per la chiesa del convento 4 -trova dunque ulteriore conferma nei documenti dell'Archivio Doria Pamphilj. La fondazione del "nobile Monistero di Religiose Domenicane" 5 [ ], ultima grande impresa di edilizia religiosa, insieme al coevo Carmelo di Loano, voluta e finanziata dal principe Doria, è quindi anche il frutto estremo del forte e produttivo rapporto che legava questo committente d'eccezione al Ceresola, allora architetto camerale, "certamente la personalità architettonica più notevole a Genova tra la fine del '500, quando ormai è finita la generazione alessiana, e il primo ventennio del '600" 6 . L'ampia, sistematica campagna di edificazione di cappelle, chiese e conventi intrapresa da Giovanni Andrea I e sino al 1590 da lui condotta in consonanza d'intenti e stretta collaborazione con la moglie Zenobia del Carretto, morta in quell'anno, aveva ricevuto nella sua prima fase l'esplicita lode di San Carlo Borromeo; essa si poneva in ambito genovese quale modello per eccellenza di un concreto agire ispirato a saldi precetti di spiri-1. Alessandro Baratta, La famosissima e nobilissima città di Genova con le sue nuove fortificazioni (particolare che include il monastero dello Spirito Santo, detto Monastero Nuovo), 1637, Parigi, Bibliothèque Nationale, Cabinet des Estampes.

In a seuentb-century oeníon of the "Alexander Romance" b),Pseuclo-Calllsthe nes, a Greele anthologt o/ oaious nateùals uhose oigìnal uetsiox tt'as cottpìled in the firt feu certuies of the Christiat eru, there is a desctiption of a particular cntctpt'ite of the gteat Macedonianhis descent to the bottom of the sea. The scene, hehxging to the "maruellous" side of the figure of the hero, uas taken up latet hl Latln and uernacular translations. Thete are xùttetoas retoor/eitgs of the rcmance in the ttedieual peiod axd ix the fifteenth centrry, tuitlx lndny uaiants and narratiue iflterpolatì(,ns. I-his episode is tlepicted aith some fteqtexcl ù the tri,tiatrret tohich enbcllish the ston of the undetaater aduettate in thc illuniuatcd nanttscripfs. Outide codiccs, Loweu"r, its reprcscntaliot ir to b, fuuncl onll: in a taPesÍry toouen around 1160 in Tournai. Prcbablt, comnissioned b1 Philip the Good, Duke of Burgundy, it is nou the púpelty of thc Doia Panphili fauill'. The papcr aralyses the charucteislíc! of the cpisode and its illurtrution i the falrestrl, dlso ifl the light of the succcss of the figute of Alexantler at the Burgurtlian court n the fi/tecnth cettu4 <<Poco tempo dopo nacque in Alessandro il desiderio di scrurare, come aveva fatto con l'aria, anche la profondità del mare, per,,'ederne la meraviglia. Fece venire immediatamente gli artigiani ai quali commissionò una botte di vetro grande e ampia tanto da pernettergli di potersi girare comodamente>. Entrato nella botte, fasciata da pcsanu catene e munita di un anello attraverso cui oassava una fune. il Macedone si fece calare su1 fondo del mare. <Come ebbe modo di afferma re al suo ritorno, quello che potè scorgele fu cosa quasi da non credere: vide pesci che camminavano sul fondo come quadrupedi e che si nutrivano dei fruni degli alberi che si trovavano sul fondale mrrrino, vide balene di incredibile granàezza... Vi erano pesci di forma umana, maschile e femminile, i quali camminavano con i piedi e cacciava no i pesci per mangiarli come sulla terra si fa con gli animali. Dopo 50,1 Latru Sldgno

Researching Vanitas iconographies, I was particularly intrigued by the complex and often inherently ambiguous meaning of paintings depicting the emblems and tools of the figurative arts –brushes, palettes etcetera - in a context comprising symbols of the transient character of all human things and endeavors. In such works as Giovanni Benedetto Castiglione’s “Genius” engraving (acknowledged model for Salvator Rosa’s etching of the same title) or his “Vanitas” painting, as well as Valerio Castello’s “Young Woman with a mirror” (where the man in the background can be identified as a painter sketching the lady’s portrait), what is the status of art perceived to be? Is the reference to Art meant to suggest its triumph over Time, or is the reverse true? With reference to the very Baroque concept of human life and the world as places of deceitful appearances (one of the essential subtexts of the Vanitas discourse), what was the role of mimetic representation according to contemporary literature and to the evidence provided by the works of art themselves? Taking into account Gombrich’s famous statement about all still-lifes partaking of the nature of Vanitas paintings because they implicitly teach a lesson about the difference between semblance and reality, as well as the relevant reflections more recently expressed by authors such as Mitchell and Stoichita, I propose to investigate the fertile interconnections of these themes in Baroque culture, using Genoese art as a meaningful case study.

Gli scarni dati noti del profilo biografico di Lorenzo Capelloni da Novi 1 mettono in luce il ruolo essenziale che ebbe nella sua vita il legame con Andrea Doria, testimoniato dai punti fermi storicamente accertati della delicata missione diplomatica portata a termine dal novese nel 1544, su mandato del Doria, presso Carlo III di Savoia 2 , e dell'onorifico incarico, ricevuto quattro anni dopo, di comporre e pronunziare l'orazione di benvenuto per Filippo "Serenissimo Principe di Spagna" 3 , ospite nella dimora di Andrea all'esordio genovese del viaggio che per volere del padre compiva, con status di sovrano, al fine di visitare i dominî imperiali 4 .

Porre l'attenzione sui termini spazio e collezionismo è sembrato particolarmente stimolante alla luce degli studi che nell'ultimo trentennio hanno legittimato il consolidarsi di una accezione locale -pur nel quadro di una koiné internazionale, così consono a una classe di potere "europea" -del termine barocco applicato alla cultura artistica e alla qualità di vita dell'aristocrazia dominante nella Repubblica di Genova. Proprio la ricchezza con la quale i due termini si sono venuti a configurare nella cultura e nella socialità di uomini e donne nei secoli del barocco spinge a considerare in piena libertà, senza vincoli di sudditanza a tradizionali consuetudini accademiche, la categoria di spazio e le modalità di collezionismo, tradotte anzitutto in senso antropologico, come "circostanza" del vivere di quei personaggi. Lo spazio del collezionismo quindi dovrebbe in prima istanza configurarsi come spazio culturale del collezionista e la tessitura della collezione come prova visiva, oggi, di una potenzialità di lettura della realtà, allora. Questo primo volume di studi collettaneo, unito al secondo monografico, raccoglie i risultati del gruppo di lavoro attivo intorno al progetto finanziato dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca "Collezionismo e spazi del collezionismo a Genova nel XVII e nel XVIII secolo: unità e rapporti nella dimora aristocratica tra architettura, apparati decorativi, scelte collezionistiche e di committenza" e riprende i termini scaturiti dal confronto con altri ricercatori in occasione della giornata di studio conclusiva del progetto tenutasi a Genova nel settembre del 2012. Collezionismo e spazi del collezionismo a cura di LAURO MAGNANI Collezionismo e spazi del collezionismo Temi e sperimentazioni a cura di LAURO MAGNANI con saggi di In copertina: Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, Salotto Galeotti (Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologi della Liguria, su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Sullo sfondo: Bartolomeo Guidobono, Sala del Tempo che scopre la Verità, (particolare). Genova, Palazzo De Mari. © Proprietà letteraria riservata Gangemi Editore spa Piazza San Pantaleo 4, Roma w w w . g a n g e m i e d i t o r e . i t Nessuna parte di questa pubblicazione può essere memorizzata, fotocopiata o comunque riprodotta senza le dovute autorizzazioni. : Collezionismo e spazi del collezionismo a Genova nel XVII e nel XVIII secolo: unità e rapporti nella dimora aristocratica tra architettura, apparati decorativi, scelte collezionistiche e di committenza. La redazione del volume Collezionismo e spazi del collezionismo. Temi e sperimentazioni è a cura di Valentina Borniotto. 1. Art Collecting -17 th and 18 th century. 2. Display of art -17 th and 18 th century. 3. Architecture -17 th and

Tra le effigi immacoliste maggiormente venerate nel mondo, l'immagine acheropita della Vergine di Guadalupe vanta da secoli un ruolo preminente. In un passo del suo Imagen de la Virgen María (1648) -il testo chiave per la definizione del culto guadalupano, al quale fornisce una serrata e baroccamente immaginifica legittimazione teologica -il celebre predicatore creolo Miguel Sánchez chiama a raccolta i regni della Cristianità, affinché radunino tutte le immagini miracolose della Madonna, per consentire al consesso di sacre effigi di riconoscere la superiorità della Virgen messicana 1 . Il trattato contiene il primo resoconto noto della «leggenda dell'apparizione» connessa all'icona guadalupana 2 : nel dicembre 1531 la Madonna sarebbe apparsa ad un indio di umili origini, Juan Diego, per tre volte sul colle del Tepeyac, nei dintorni di Città del Messico, e ancora una volta sulla strada per Tlatilolco; il suo ritratto si sarebbe poi miracolosamente impresso sulla tilma (mantello) dell'uomo, da quel momento venerata presso la cappella eretta per ordine della stessa Vergine sul Tepeyac. Sánchez afferma che l'effigie comparsa sul manto, pur autenticamente messicana, criolla, è nel contempo la copia perfetta -ottenuta senza intervento umano -dell'immagine della Donna dell'Apocalisse, vista prima da San Giovanni a Pathmos e poi dall'indio a Tepeyac. Juan Diego è, a tutti gli effetti, il nuovo Giovanni: «la visión del indio es una repetición "arquetipica" de una hierofania que afecta a "un nuevo cielo y a una nueva tierra"» 3 . All'interno di un continuo, ispirato discorso tipologico intessuto di citazioni bibliche, l'autore colloca la visione nel contesto di un Messico cristiano la cui recente conquista da parte degli Spagnoli egli interpreta nei termini di un rinnovato scontro apocalittico tra San Michele e Satana; presenta Juan Diego come nuovo Mosè, e l'effigie della Vergine come Arca dell'Alleanza messicana; procede poi ad identificare Città del Messico con la Nuova Gerusalemme descritta da Giovanni 4 . Nel momento in cui Sánchez scriveva, l'effigie guadalupana godeva già di notevole fama, soprattutto per i miracoli ad essa attribuiti; ma fu il suo testo, nel quale compaiono per la prima volta la figura dell'indio e il tema dell'apparizione 5 , a definire gli elementi portanti della narrativa connessa all'immagine, tesi a dimostrarne l'assoluta eccezionalità. Molti dei materiali presenti nel suo trattato vennero ripresi l'anno seguente nell'opera pubblicata in lingua Nahuatl da Luis Laso de la Vega 6 , vicario del Santuario di Guadalupe, la cui seconda parte, intitolata Nican Mopohua (Qui si racconta), contiene la de-LAURA STAGNO