Ph.D in "Lingue, Letterature e Culture in contatto" at the Department of Lingue, Letterature e Culture Moderne, “G. d’Annunzio” University of Chieti-Pescara. Visiting Ph.D. at Université Paris Nanterre.
My primary research focuses on the narrative representations of the city in the Italian novel of the twentieth century. My field of study and work also includes literary theory, comparative literature, modernism and neomodernism, non-fiction, narratives of labour, forms of the hyper-contemporary novel, visual culture.
My primary research focuses on the narrative representations of the city in the Italian novel of the twentieth century. My field of study and work also includes literary theory, comparative literature, modernism and neomodernism, non-fiction, narratives of labour, forms of the hyper-contemporary novel, visual culture.
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Books by Niccolò Amelii
“controbiografia” che si concretizza morfologicamente come un bildungsroman capovolto. Inoltre, l’attenzione critica sarà posta sul valore simbolico che assume la morte del padre quale sintomo evidente della disgregazione definitiva di una realtà sociale, economica, lavorativa, che in Italia è andata rapidamente mutando pelle dalla fine degli anni Sessanta in poi, provocando contemporaneamente la graduale sparizione di un determinato microcosmo patriarcale storicamente irreggimentato, al suo interno regolato da inscalfibili strutture di comportamento e da controllate geometrie relazionali, e l’emersione di una frattura generazionale che ha a poco a poco indebolito la fisionomia del pater familias sino a destituirlo dai suoi antichi poteri.
Papers by Niccolò Amelii
intervista impossibile, racconto “puro” – mediante cui Segre costruisce i suoi esercizi immaginativi, abbozzando contro-storie e versioni (im)possibili di una realtà ipotetica che trova però un suo specifico statuto come invenzione letteraria.
e pane' - mediante una lettura comparata che ne evidenzi continuità
e cesure, con l’intento di indagare le modalità narrative - stilemi
anti-populistici, tono anti-idillico, linguaggio popolare “traslato” -
attraverso cui vengono messe in dialogo la rappresentazione
realistica del microcosmo contadino abruzzese e la trasfigurazione
romanzesca della crisi ideologica, identitaria e morale sperimentata
dallo stesso Silone nei primi anni Trenta. Nostro interesse sarà, poi,
quello di evidenziare le forti istanze morali mediante cui l’impronta
necessariamente regionalistica che abita le pagine di Silone si sposa ad
una tensione universalizzante che pone sempre al centro l’immagine
dell’uomo storicamente condannato all’oppressione.
“controbiografia” che si concretizza morfologicamente come un bildungsroman capovolto. Inoltre, l’attenzione critica sarà posta sul valore simbolico che assume la morte del padre quale sintomo evidente della disgregazione definitiva di una realtà sociale, economica, lavorativa, che in Italia è andata rapidamente mutando pelle dalla fine degli anni Sessanta in poi, provocando contemporaneamente la graduale sparizione di un determinato microcosmo patriarcale storicamente irreggimentato, al suo interno regolato da inscalfibili strutture di comportamento e da controllate geometrie relazionali, e l’emersione di una frattura generazionale che ha a poco a poco indebolito la fisionomia del pater familias sino a destituirlo dai suoi antichi poteri.
intervista impossibile, racconto “puro” – mediante cui Segre costruisce i suoi esercizi immaginativi, abbozzando contro-storie e versioni (im)possibili di una realtà ipotetica che trova però un suo specifico statuto come invenzione letteraria.
e pane' - mediante una lettura comparata che ne evidenzi continuità
e cesure, con l’intento di indagare le modalità narrative - stilemi
anti-populistici, tono anti-idillico, linguaggio popolare “traslato” -
attraverso cui vengono messe in dialogo la rappresentazione
realistica del microcosmo contadino abruzzese e la trasfigurazione
romanzesca della crisi ideologica, identitaria e morale sperimentata
dallo stesso Silone nei primi anni Trenta. Nostro interesse sarà, poi,
quello di evidenziare le forti istanze morali mediante cui l’impronta
necessariamente regionalistica che abita le pagine di Silone si sposa ad
una tensione universalizzante che pone sempre al centro l’immagine
dell’uomo storicamente condannato all’oppressione.
physical and moral annihilation of the main character.
Michele’, published ten years later, the family community is, instead, completely fragmented and disintegrated. The aim of the essay is to analyze the representation of the male figures present in this work, especially that of the protagonist Michele, brother and missing son, within a broader reflection on the gradual decadence of the traditional
bourgeois family system and on the radical redefinition of male and paternal models inaugurated by the social and generational upheavals that have been set in motion since the late Sixties.
Negli ultimi due decenni la letteratura italiana dell'ipermodernità (per usare un concetto socio-culturale introdotto in Italia da Donnarumma), seguendo un percorso di graduale emancipazione dalla temperie postmodernista, ha imboccato una strada orientata verso il cosiddetto “ritorno alla realtà”, che si manifesta soprattutto nella proliferazione di forme narrative ibride, spesso non finzionali o autofinzionali, tendenti a incorporare nel proprio dettato elementi spuri ed extraletterari, riconfigurando nel tessuto diegetico pratiche discorsive proprie della cronaca, dell’inchiesta, dell’indagine storica. Allo stesso tempo, a fianco ad una riproposizione marcata della letteratura di genere – noir, giallo, fantascienza –, si può individuare una linea di ricerca e di proposta – nelle opere di autori come Vasta, Falco, Pecoraro, Orecchio, solo per citarne alcuni – più interessata a rifunzionalizzare l’eredità del modernismo novecentesco, sia in termini di riproposizione in forme peculiari del suo ampio spettro di tecniche, soluzioni stilistiche e istanze espressive, sia in termini di ripensamento e problematizzazione in chiave attualizzante dei suoi principali motivi tematici: la dissociazione tra il sé e il mondo, lo scollamento tra pensiero e azione e la disgregazione del mondo borghese. Attraverso l'analisi testuale di alcune opere paradigmatiche di questo rinnovato dialogo con la lezione modernista, in grado di mettere in luce non solo eventuali costanti o cesure, ma anche le modalità narrative attraverso le quali quest'ultima si manifesta, l'obiettivo della proposta è verificare la tenuta e la portata di una categoria storiografica come quella di neomodernismo – già utilizzata da Toracca per indicare un’area di riemersione modernista tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta del Novecento – quando applicata alla letteratura italiana ipercontemporanea.
Negli ultimi anni in Italia il numero di romanzi che raccontano il trasferimento e la vita all'estero di giovani lavoratori è andato notevolmente crescendo. Si tratta di opere di scrittori spesso appartenenti alla generazione dei millennial, che hanno sperimentato in prima persona, nel passaggio dall'adolescenza all'età adulta, le esperienze di dislocazione geografica, nella maggior parte dei casi in capitali europee, poi rielaborate in modo romanzesco o in forme autobiografiche e autofinzionali. Sono queste narrazioni che intercettano una costellazione di dati generazionali tra loro complementari – la precarietà abitativa, i problemi relazionali, la flessibilità lavorativa –, intrecciando ricerca identitaria e analisi del presente, vicenda personale e il più ampio contesto socio-culturale. Nel 1952, presentando 'Fausto e Anna' di Cassola, Vittorini scriveva che quest’ultimo era uno dei pochi scrittori capaci di «fare la cronaca psicologica di un’epoca». Ora, rifacendoci alla categoria di “realismo esistenziale” e valutandone le modulazioni euristiche assegnate ad essa da critici come Contini, Spinazzola, Milanini e Castellana, il nostro interesse primario è quello di ragionare, esaminando alcune opere paradigmatiche degli ultimi anni, come 'Spatriati' di Mario Desiati (vincitore del Premio Strega 2021) e 'Le perfezioni' di Vincenzo Latronico (2022), sulle caratteristiche formali, tematiche, narratologiche attraverso cui sia Latronico sia Desiati provano a restituirci la “cronaca psicologica” degli ultimi quindici anni a partire dalla specola privilegiata dell'expat, una figura di sempre maggior rilievo nella realtà demografica italiana e di riflesso nella letteratura italiana dell’ipercontemporaneità. L’obiettivo è quello di analizzare le connotazioni emotive e le istanze di formazione (o de-formazione) che emergono nel racconto dell’espatrio – scelto o forzato – e come queste ultime si intreccino con gli aspetti socio-economici sottesi e con la critica delle situazioni lavorative e professionali che caratterizzano con moti oscillanti l'esistenza di chi vive lontano da casa, prestando altresì particolare attenzione al ruolo della memoria e alla dialettica che si crea nella polarizzazione simbolica istituitasi tra i ricordi legati al paese d'origine e le valutazioni riguardanti il paese ospitante.
Nel pamphlet 'Il feticcio urbano', pubblicato nel 1968 in Italia da Einaudi, Alexander Mitscherlich scrive che le città mediterranee «sono configurazioni nelle quali si poté sviluppare un "colorito" collettivo, un avvertibile, caratteristico aspetto dei loro cittadini». Esse presentano, infatti, un nucleo architettonico, urbanistico e storico-sociale germinativo, un «punto di cristallizzazione» transgenerazionale e culturalmente stratificato in cui convergono le memorie del passato e le esperienze del presente. Al crocevia tra storia e mito, tra natura e cultura, le città del Mediterraneo che divengono materia di rappresentazione nel romanzo italiano del secondo Novecento – basti citare qui, solo per fare alcuni esempi paradigmatici, 'Il mare non bagna Napoli', 'Ferito a morte', 'Le donne di Messina', 'Althénopis' – possono essere indagate quali prismi ermeneutici attraverso cui, da un lato, analizzare a livello tematico cosa lo spazio urbano restituito dalle narrazioni ci permette di comprendere sulla società italiana nel determinato frangente storico di riferimento (prestando particolare attenzione agli speculari risvolti simbolici, metaforici e allegorici); dall'altro, esaminare a livello formale il variare delle costruzioni narrative, degli espedienti tecnici, degli stilemi linguistici mediante cui i testi romanzeschi rielaborano e designano la fenomenologia metropolitana, cercando di rispondere alla sfida innanzitutto gnoseologica e percettiva che essa pone. Nel tentativo di avvicinare storia delle forme narrative e storia della modernità, il panel intende indagare la città mediterranea come elemento-soglia tra fatto romanzesco e fatto storico-sociale al fine di far emergere innanzitutto attraverso quali istanze, strategie, soluzioni figurative lo spazio metropolitano venga inglobato all'interno dello spazio testuale, e successivamente come la componente spaziale dell'opera possa farsi “sistema” all’interno della narrazione stessa, agendo trasversalmente, non più e non solo come scenografia, sfondo o ambientazione delle vicende, ma come strumento centrale nella determinazione della parabola narrativa dei personaggi e dello sviluppo diegetico dell'opera, diventando un asse portante del complesso di significazione del romanzo, entrando in dialogo serrato con gli altri livelli di senso da quest'ultimo generati. Allo stesso tempo però, partendo dall'assunto lotmaniano per cui esiste una corrispondenza stringente e biunivoca tra l'insieme di valori etici e morali, i modelli culturali e ideologici di una determinata epoca e le modalità attraverso cui il linguaggio spaziale agisce e significa nei testi, il nostro interesse è altresì volto a sondare quanto il discorso romanzesco risemantizzi, risimbolizzi o demistifichi il discorso sulla città che viene costruito nel consesso sociale e quanto lo specifico letterario – il suo surplus conoscitivo – sia capace di problematizzare, questionare o rivivificare investimenti di retoriche, identità e immaginari sedimentatisi nei secoli nel corpo stesso dell'urbs mediterranea. Detto in altri termini, il primo obiettivo che intende perseguire il panel è quello di verificare le modalità autoriali attraverso cui la città “reale” – spazio culturale, sociale, economico produttore di una propria specifica costellazione di senso, storicamente data (e storicamente mutevole) – venga ri-significata nel perimetro testuale e quali risorse epistemiche si originino dalla collisione tra questa e il suo alter-ego finzionale. Il secondo obiettivo, invece, può essere racchiuso sommariamente in una doppia interrogazione correlata: cosa la città, come immagine, funzione, referente, simbolo, elemento mitopoietico, racconta del romanzo nella sua parabola – formale, tematica, ideologica – degli ultimi settant’anni? E viceversa, cosa il romanzo racconta della città (e metonimicamente della società di cui è espressione) nel suo processo di mutazione storica?
Intervento intitolato: "La grande occasione mancata. La Capria, Napoli e il mito decaduto della 'bella giornata'
'Il padrone', ultimo romanzo pubblicato in vita da Goffredo Parise, si fonda su un principio di sistematica operazione di allegorizzazione dei dati di realtà – spaziali e temporali – che permette al testo di radiografare, nei suoi risvolti più degenerati, il perverso meccanismo religioso-sacrificale soggiacente alle dinamiche industriali del neocapitalismo. In virtù di tale processo, che apparentemente allontana i referenti sullo sfondo, mentre nel frattempo ne ispessisce la fisionomia e i connotati, 'Il padrone' è probabilmente il romanzo italiano che compie la diagnostica più acuta e sottile della mentalità padronale, in particolar modo lombarda – storicamente improntata a una forte etica del lavoro, di ascendenza protestante, che prende le sembianze concrete di un capitalismo a trazione moraleggiante –, degli anni Sessanta. Alla base di questa proposta vi è il tentativo di rileggere Il padrone attraverso una prospettiva weberiana in grado di far emergere il carattere ascetico, fondamentalmente puritano, calvinista, che caratterizza l’operato del dottor Max, la cui etica lavorativa non si fonda, almeno apparentemente, né sul profitto né sul consumo né sulla ricerca dell’utile, ma su una ben più capillare aziendalizzazione dell’esistenza, cioè su un investimento totale della vita privata nella dimensione autotelica del lavoro. L’attenzione sarà poi posta sulle modalità attraverso cui la “sovra-realtà” aziendale costringe anche la città, che dell’azienda condivide il medesimo humus darwinista, a subire, per un principio di semplice osmosi, un inevitabile fenomeno di “spettralizzazione”, dovuto al potere derealizzante delle logiche capitalistiche e al contempo allo scarto generato dalla collisione tra i vari livelli di realtà.
Before making her narrative debut in 1981 with Althénopis, Fabrizia Ramondino published a book in 1977 entitled 'Napoli. I disoccupati organizzati', which has a hybrid physiognomy, at the crossroads between a political pamphlet, a sociological inquiry and an interview with several voices. Inaugurating a line of research linked to civil and social commitment that will always run parallel to her purely fictional and theatrical production, Ramondino's first work closely recounts the experiences of protest of the members of the Neapolitan movement of the "organized unemployed", formed in the mid-seventies in the wake of the protest movements that developed in Italy after 1968, at a time of great employment crisis, even more burdensome in a city like Naples characterized by historical structural deficiencies in the production and industrial sector. The aim of the intervention is to reason on the compositional and linguistic methods through which Ramondino decides to integrate into the text the voices of those who personally fight for the right to housing and work, mixing them with his reflection, within a historical-critical study aimed at dissecting at the same time the political reasons and the planning instances of a movement capable of unmasking the contradictions of a labor market characterized by opaque dynamics and of occupying for several years the void left by the left-wing parties, pursuing remarkable results, such as obtaining employment subsidies for hundreds of people, despite the ostracism of organized trade unions.
Il mare Adriatico è storicamente uno spazio foriero di incontri e scontri identitari, un incubatore di scambi commerciali e di influenze artistiche e culturali che ha sempre occupato un posto di rilievo nell'immaginario letterario e poetico italiano, in particolar modo nel XX secolo. Una delle opere novecentesche che meglio rappresenta l'Adriatico come cronotopo di relazionalità e di condivisione è 'Gente di mare' di Giovanni Comisso, pubblicato la prima volta nel 1929. Alla base di questo contributo vi è il tentativo di indagare le modalità narrative – mappature, descrizioni, testimonianze traslate – mediante cui nelle pagine di Comisso – abilissimo a raccontare luoghi, traversate, esperienze autobiografiche – l'Adriatico diventa perimetro di scoperta esistenziale, nonché immagine reale e al contempo visionaria di una civiltà marina che, sulle due sponde, combatte testardamente, tramandando i propri usi, costumi, detti e proverbi, per non scomparire tra le spire della modernizzazione incipiente.
'La speculazione edilizia', pubblicato nel 1958, è il primo romanzo in cui Calvino congiunge narrazione e riflessione sul tema della città, facendo di quest’ultima il nucleo poietico e sineddotico per raccontare in controluce i primi anni del “miracolo” economico e restituire il senso di un’epoca di “bassa marea morale”. Negli anni successivi Calvino torna a ragionare sulle profonde trasformazioni occorse al paesaggio metropolitano in 'Marcovaldo' (1963), seppur trasfigurando il dato di realtà attraverso un registro maggiormente favolistico. L’intervento si propone di illuminare l’immaginario urbano dello scrittore tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta riflettendo in maniera più ampia sull’evoluzione della poetica calviniana in quegli anni cruciali e sulle metamorfosi del suo “realismo speculativo” (secondo la formula di Milanini), operando una rilettura delle due opere alla luce delle posizioni teoretiche – “la letteratura della coscienza”, “la sfida al labirinto” – che emergono nella produzione saggistica coeva, soprattutto sulle pagine del “Menabò”, co-diretto con Vittorini.
The anti-romance sentiment prevailing in Italy in the first twenty years of the twentieth century begins to fade at the beginning of the thirties, when a new generation of writers – Vittorini, Pavese, Moravia, Pratolini, Bilenchi – appears on the horizon, questioning the “novel to do”, rediscovering local models remained until then in the shadows – Verga, Tozzi, Svevo – and finding others outside the national borders – Proust, Anglo-American literature. The diegetic structures of romance begin to open up to the surrounding society, incorporating in themselves the icons and the images of incipient modernity. At the base of this proposal there is the attempt to reread 'Tre operai' by Bernani (1934) and 'Quartiere Vittoria' by Dèttore (1936), two novels in which are represented the processes of urbanization and industrialization, in which two of the fundamental categories of that historical period –proletariat and building contractors– rise to the rank of main characters and in which are highlighted some of the critical issues and problems detected even a few years earlier from the most sensible urban sociology– massification, growth of suburbs, phenomena of identity indifferentiation. The exegetical commitment aimed at examining these works, both at a thematic and formal level, allows, in the wake of the works of Van den Bergh (2015) and Biagi
(2022), to resemantize and question a category with vague and nuanced contours such as that of ”neorealism”, making it interact with more recent critical-theoretical concepts, such as that of “modernist realism” (Castellana), here examined together with the expressionist component that permeates the two novels through the decisive influence of the “Neue Sachlichkeit”, with the aim of removing certain limiting critical mortgages and reopening an interpretative discourse aimed at deepening the interactions between realistic models and modernist modules in the Italian literature of the thirties.
Durante gli anni Venti in Italia il dibattito sulla riabilitazione del romanzo come genere degno di rispetto e attenzione critica diventa centrale, dopo due decenni di strali anti-romanzeschi, coinvolgendo le maggiori riviste letterarie dell’epoca. Allo stesso tempo, si vanno delineando i tratti ambigui di una ideologia fascista che tenta di penetrare nel sostrato culturale del paese cooptando intellettuali e scrittori con l’obiettivo di normalizzare, dopo la crisi post-matteottiana, il proprio potere, di propagandarlo presentandosi come regime foriero di un nuovo stile di vita, di rinnovati costumi e comportamenti, derivati da un bagaglio ampio di miti, valori e dogmi. Tuttavia, proprio il tentativo di sintetizzare le diverse “anime” del partito e dei suoi adepti si scontra con l’irriducibilità ad una matrice unica e condivisa di componenti sociali assai diverse tra loro: da un lato, i ceti medi dei grandi agglomerati urbani, dall’altro, la piccola borghesia delle cittadine di provincia. L’intervento si propone di indagare come la querelle sulla presunta essenza del fascismo – in una contraddittoria dialettica tra mentalità rurale e arcaica e aspirazioni alla modernizzazione del paese – si articoli nelle più influenti riviste del decennio, come Il Selvaggio di Maccari e 900 di Bontempelli, e in quali modalità essa si ripercuota sulle riflessioni teoriche e poetiche legate al rinnovato interesse per la forma romanzesca che prende piede negli anni di Solaria e dopo la pubblicazione de 'Gli indifferenti' di Moravia, configurando un campo largo di posizioni spesso antitetiche, tra “contenutisti” e “calligrafi”, “costruttori” e “frammentisti”.
"Il padrone" (1965) e "Il crematorio di Vienna" (1969) sono le due opere con cui Goffredo Parise entra a tutti gli effetti in una nuova fase della sua parabola artistica, lasciandosi alle spalle le prove giovanili e il trittico “vicentino” del decennio precedente. Agli inizi degli anni Sessanta Parise va, infatti, abbracciando una visione neodarwiniana dell’esistenza individuale e collettiva, che si riverbera con forza nei motivi poietici propri dei suoi testi coevi, all’interno dei quali l’alienazione tematizzata dall’autore non coincide con l’accezione marxista del termine, bensì germina dal sostrato biologico dell’uomo, in cui sono inscritti la legge del più forte e la selezione naturale, processi fondati sugli impulsi primari della violenza, della sopraffazione, dello sfruttamento. Obiettivo primario dell’intervento è quello di analizzare l’originale postura autoriale con cui Parise, sulla scia lunga del cosiddetto “miracolo economico”, decide di interrogare narrativamente il processo di “cosificazione” messosi in moto nello stadio avanzato del sistema neocapitalistico e contestualmente le modalità formali, le istanze espressive e i nuclei tematici attraverso cui le due opere prese in esame, smarcandosi dalle secche di un abusato neonaturalismo e dai moduli già schematici della letteratura industriale, inglobano nelle loro strutture interne una dialettica ambivalente e però fruttuosa tra storicizzazione del discorso, sempre ben puntato sulle storture della civiltà industriale, e ampliamento in senso universale del sottotesto bio-ideologico, nel tentativo ultimo di restituire le fasi cruciali dell’avvicendamento in via di consumazione tra l’“l’uomo naturale” e l’“uomo artificiale”.
Gli attraversamenti spaziali di Giorgio Vasta dai deserti alle vie palermitane"
Nelle opere di Giorgio Vasta, sin dal suo romanzo d’esordio 'Tempo materiale', la riflessione sugli spazi, su ciò che essi raccontano di sé e di chi li attraversa o li contempla, assume spesso grande rilevanza, divenendo uno dei centri nevralgici delle sue architetture diegetiche. Dai deserti americani raccontati nel reportage finzionalizzato 'Absolutely nothing' sino ai dedali e ai crocevia del capoluogo siciliano esplorati nell’ultimo lavoro – 'Palermo' –, che riprende e approfondisce alcuni motivi del precedente 'Spaesamento', i luoghi divengono in Vasta irradiamenti mitopoietici all’interno dei quali è possibile provare a leggere i mutamenti del tempo, personale e collettivo, carotando il presente alla ricerca di campioni di realtà capaci di illuminare i chiaroscuri del nostro vivere contemporaneo. Il contributo si propone di indagare la funzione simbolica che assume l’attraversamento spaziale nelle narrazioni di viaggio dello scrittore palermitano con l’obiettivo di vagliare le modalità mediante cui all’interno di geografie intime e al contempo metaforiche Vasta verifichi non solo la congiuntura tra esperienza, invenzione e immaginario, ma anche la propria tenuta esistenziale, la natura cangiante e la latitanza del desiderio, il baricentro di un’identità scissa.
Negli ultimi anni in gran parte delle città italiane sono stati avviati sostanziosi progetti di riqualificazione urbana, che, assecondando i dettami estetici e concettuali dell’ideale “smart city” – decoro urbano, maggiore qualità della vita, investimenti in tecnologie sostenibili e green – lavorano, in realtà, per brandizzare il tessuto metropolitano, alzando gli standard qualitativi degli ambienti rigenerati e adeguandoli ai canoni internazionali di una bellezza normativizzata ed eterodiretta dagli investimenti e dalle speculazioni del capitalismo mediatico (Jameson 2015). I processi di gentrificazione ridisegnano la mappa delle città, sconvolgono le identità delle comunità urbane, problematizzando la storica opposizione tra centro e periferia, determinando l’aumento del valore immobiliare del quartiere “imborghesito”, nonché di quelli circostanti, respingendo ai margini dell’agglomerato cittadino i servizi e le attività più deboli, così come gli strati sociali meno competitivi economicamente. In tal modo la città del XXI secolo torna ad assumere, così come accadeva nei primi decenni del Novecento, un’organizzazione interna fondata sull’azzonamento e sulla progressiva differenziazione ed esclusione sociale, che rispecchia fedelmente le logiche e gli idioritmi imposti dalla speculazione edilizia e dagli investimenti ad alta rendita: massimizzare in termini di profitto le dinamiche spazio-temporali che caratterizzano in primis la vita lavorativa, e poi, a cascata, la vita sociale,
degli abitanti. Tuttavia, come scriveva Jane Jacobs già agli inizi degli anni Sessanta, «una città non può essere un’opera d’arte» né tantomeno uno spazio astratto e geometrico sacrificabile al volere degli interessi privati. I meccanismi della gentrificazione stanno lentamente entrando nel campo diegetico della letteratura italiana ipercontemporanea, soprattutto nei romanzi di scrittori appartenenti alla generazione dei millenials. Obiettivo di questo intervento è analizzare la rappresentazione di tale fenomeno specialmente nelle opere di Vincenzo Latronico e Jonathan Bazzi, focalizzando l’attenzione sugli effetti socio-culturali e sui risvolti esistenziali che questo nuovo «spazio dominato» (Lefebvre 2018) dal discorso tardocapitalista causa su chi vi abita o sogna di abitarci.
Negli anni del cosiddetto boom economico i fenomeni di urbanizzazione, specialmente nell’Italia del Nord, parallelamente ai processi di forte industrializzazione inaugurati nel periodo di ricostruzione post-bellica, mutano radicalmente il panorama demografico e socio-economico del paese. Al potenziamento in senso industriale e metropolitano del settore dell’informazione e della cultura si accompagna l’inglobamento effettivo dell’intellettuale – trasformatosi ora in «tecnico del sapere» (Sartre 1980) – all’interno del processo di razionalizzazione lavorativa del sistema neocapitalista. Oramai quasi del tutto estinta la figura dell’umanista letterato che vive di rendita, l’intellettuale-tipo del secondo Novecento, che spesso sfugge a una precisa categorizzazione di classe, subisce un processo di imborghesimento, che se da una parte lo proietta all’interno di una corporazione o di una categoria di appartenenza più o meno ideale, dall’altra lo
costringe a farsi imprenditore di sé stesso, commercializzando il proprio sapere e il proprio acume critico e artistico. Impossibilitato ad applicare appieno l’eredità concettuale dell’idealismo crociano, che promulgava una cultura totalmente libera e svincolata dai retaggi corrosivi e terreni del quotidiano, l’intellettuale italiano vive una contraddizione in termini, incapace di sfuggire «alla pressione che la realtà
economica esercita su di lui e all’obbligo di soddisfarne le mutevoli esigenze» (Horkheimer 2015). Partendo da queste premesse, la mia proposta intende analizzare due romanzi-chiave di questo periodo – 'La vita agra' di Bianciardi e 'Il padrone' di Parise –, prestando particolare attenzione alle modalità narrative mediante cui
i due autori testimoniano le tappe forzose di imborghesimento e inurbamento che contraddistinguono il tracciato di ascesa e caduta del letterato di provincia, raccontando criticamente il processo di formazione di una nuova “forza-lavoro” intellettuale.
Nei romanzi e diari autobiografici e ‘visuali’ di Teju Cole – 'Città aperta' (2013), 'Ogni giorno è per il ladro' (2014), 'Punto d'ombra' (2016) –, pensati e strutturati come dispositivi fototestuali internamente dialettici e stratificati, scrittura e immagine si compenetrano, dando vita ad una dialettica transmediale in cui il vissuto autobiografico dell'autore e la dimensione di ricerca identitaria ivi inscritta, sospesa tra presente e passato, tra attualità e memoria, diviene materia privilegiata di una peculiare rielaborazione verbale e di una complementare rifigurazione visiva. Anche in 'Punto d’ombra' (2016) – diario iconotestuale in cui, sulla scorta di autori come Berger e Sebald, poetica fotografica e prosa liricizzante vengono compiutamente annodate – Cole si interroga sulle possibilità di conoscenza e rappresentazione di spazi e luoghi della memoria e del viaggio e sulle forme attraverso cui risignificare l’esperienza tramite il mezzo letterario e il mezzo fotografico, in special modo una volta che le due diverse operazioni mediali collaborano per ampliare e ispessire il portato epistemologico dell’opera. Ragionando intorno all’‘autorialità doppia’ di Cole – presentatosi sin dai suoi esordi contemporaneamente come fotografo e come scrittore –, il contributo intende indagare le modalità attraverso cui Cole declina la propria disposizione artistica nelle espressioni formali ed estetiche di natura fortemente autobiografiche caratteristiche della sua produzione creativa, travalicando e contaminando più codici performativi, facendo interagire, mediante peculiari strategie poietiche e compositive, campo
testuale e visivo, costantemente operando in bilico tra produzione e riproduzione dell'esistente, con l’obiettivo di fornire uno strumento ermeneutico a doppia matrice per abbracciare la realtà circostante e
farne perimetro d’indagine e riflessione esistenziale.
Nel panorama letterario italiano degli ultimi vent’anni diversi autori – come Trevi, Vasta, Doninelli –, interessati a nuove rappresentazioni della città e al racconto che lo spazio urbano produce, hanno sperimentato materiali narrativi ibridi, tra non-fiction e autofiction, tra narrativa breve e ì reportage, per poter meglio indagare la complessità del palinsesto urbano, che presenta in maniera condensata e accelerata i numerosi cambiamenti sociali, culturali, economici in corso nel mondo contemporaneo. Tra le più recenti proposte narrative “metropolitane” un posto privilegiato è occupato da 'Lo stradone' di Francesco Pecoraro, ex-architetto (di formazione storico dell’arte), che sin dai racconti d’esordio di 'Dove credi di andare' ha fatto della riflessione sullo spazio e sulla città che dismette le proprie sembianze e si fa irriconoscibile una costante tematica, un leitmotiv sotterraneo dei suoi testi. Del resto, essendo l’identità dell’uomo «in larga misura una funzione di luoghi e cose» (Norberg-Schulz, 1986), nell’epoca del "Ristagno" (Pecoraro, 2019) la scomparsa dell’identità del luogo causa un triplo fenomeno di disidentificazione, disappartenza e disorientamento. La perdita dei luoghi equivale, in via generale e più estesa, alla perdita della città, la cui stratificazione storica di memorie, architetture e significanti topografici non può essere più rivestita di un senso univoco, unificante e condiviso, così come non possono essere più riconosciuti i valori simbolici, estetici ed identitari che ne solcano e ne sublimano lo scheletro. L’intervento si propone di analizzare l’opera dello scrittore romano focalizzando in particolare l’attenzione critica sulle operazioni stratigrafiche mediante cui Pecoraro scandaglia il sostrato archeo-architettonico di Roma, con l’obiettivo di decrittare i segnali minimi del discorso prodotto dalla città, di interpretare l’intersezione fra forma urbis e forma mentis, di verificare la persistenza del genius loci – «lo “spirito del luogo” che gli antichi riconobbero come quell’“opposto” con cui l’uomo deve scendere a patti per acquisire la possibilità di abitare» (Norberg-Schulz, 1986).
Nel panorama letterario italiano degli ultimi vent’anni la tematica bellica ha trovato ampio spazio, venendo riconfigurata all’interno dei nuovi stilemi formali e dei nuovi generi narrativi ibridi affermatisi nell’«età ipermoderna» (Donnarumma 2014), in cui la mescolanza di cronaca, testimonianza, indagine storica, reportage, sostanzia e definisce nuove peculiari ramificazioni della non fiction. Poste di fronte alla cosiddetta “crisi dell’esperienza”, le scritture dell’estremo contemporaneo in Italia tornano ad interrogarsi sulla realtà, a rappresentare criticamente il presente e a gettare un rinnovato sguardo sul passato cercando di emanciparsi dalle imperanti logiche televisive e mediatiche che colonizzano e “derealizzano” l’immaginario collettivo, in nome di un rinnovato impegno post-ideologico, che pare muoversi da istanze etiche e morali poste al di là di specifiche o rivendicate appartenenze politiche. Il presente panel vorrebbe fornire una prima mappatura, evidentemente non esaustiva ma significativamente sintomatica e tipologica, delle modalità narrative, delle risorse espressive, delle retoriche discorsive mediante cui il topos della guerra viene rivisitato, rielaborato e declinato nella letteratura italiana post-Duemila, sulla scorta della centrale rivalutazione della funzione soggettiva dell’autore-narratore e, contestualmente, del valore epistemologico del documento.
Structured as a layered phototextual device, which is at the same time travel reportage, photographic story, autobiographical diary, 'Every Day is for the Thief' (2007) by Teju Cole is an atypical and heterogeneous book, in which writing and image interpenetrate each other, giving life to an intermedial dialectic in which the author's autobiographical reality, suspended between present and past, between actuality and memory, is not just a dimension to interpret and document, but it also becomes the object of a precise verbal and visual refiguration. Alternating narration and photos, the book questions the possibilities of knowledge and representation of a multifaceted space in which the places of memory are confronted with the places of rediscovery, problematizing the experience of returning home after so many years and the perceptive resources inherent in the literary and photographic medium once the two compositional operations collaborate to broaden the cognitive effect of the work. Through an analytical and comparative reading that takes into account the narrative and photographic work of Teju Cole - first and foremost Open City (2012) and Blind Spot (2017) - the essay aims to investigate the expressive resources and compositional strategies through which writing and image interact with each other, inside the textual field, constantly balanced between depiction and re-semantization, between production and reproduction of the existing, providing a hermeneutic tool of double matrix to embrace the surrounding reality, trying to provide this reality with a memorialistic and individual identity trace that is at the same time the bearer of universalizable meanings.
Finzione biografica in 'Dieci prove di fantasia' di Cesare Segre".
Cesare Segre in 'Dieci prove di fantasia', sua unica opera di finzione, si è cimentato in una serie di “sconfinamenti” letterari che si dispiegano nella rievocazione immaginaria di episodi di vita di scrittori e personalità del passato recente e lontano – tra cui Giulio Cesare, Vittorio Alfieri, Antonio Machado, Cesare Pavese. Il contributo intende analizzare, sulla scorta dei più recenti sviluppi critico-teorici in merito alla biofiction e alla finzione biografica, le risorse espressive, le strategie stilistiche, nonché i sorprendenti camouflage metalettici attraverso cui Segre innesca quell’ibridazione tra discorso fattuale e finzionale che
costituisce il nucleo poietico dei suoi racconti, prestando particolar attenzione alle variegate soluzioni narratologiche adottate, come l’alternanza tra narratore interno e narratore onnisciente e le diverse
focalizzazioni. In tal modo sarà possibile indagare le operazioni diegetiche – finta ricostruzione storica, intervista impossibile, racconto “puro” – mediante cui Segre costruisce i suoi esercizi immaginativi,
abbozzando contro-storie e versioni (im)possibili di una realtà ipotetica che trova però un suo specifico statuto ontologico come invenzione letteraria.
- 22/11/2024 "Dalla cronaca alla storia: il romanzo italiano alla prova dell’ideologia"
- 2/12/2024 "Esordire negli anni Cinquanta: dal realismo espressionista di Testori al modernismo esistenzialista di La Capria"
- 16/12/2024 "Oltre il giogo della verosimiglianza: 'Il ragazzo morto e le comete' di Parise tra straniamento e surrealtà"
- 28/10/2024 "Dove e cosa guardare? Il dibattito sulle riviste tra autonomia ed eteronomia dell’arte"
- 4/11/2024 "Esordire negli anni Trenta: modelli, continuità, cesure"
- 15/11/2024 "La metropoli e il disagio della modernità: da 'L’uomo nel labirinto' a 'Tre operai'"
● Canone “minore” e campo letterario (problematizzazione del contesto di
produzione e della ricezione critica primaria e secondaria di un’opera, processi
di riscoperta, ricanonizzazione e attualizzazione);
● Letterature “minori”, cioè poco riconosciute in contesti nazionali maggioritari
a forte carattere e tradizione identitaria (letteratura delle migrazioni, letteratura
postcoloniale, scrittori bilingui o multilingui);
● Uso “minoritario” (in senso deleuziano) di una lingua maggiore nella letteratura
contemporanea italiana e straniera;
● La critica letteraria nel dibattito culturale contemporaneo: rapporti di forza,
strategie, tendenze “minori” e tendenze “maggiori” all’interno dell’industria
culturale;
● Autrici e autori inquadrati nel “controcanone”: nuove tendenze criticointerpretative riguardanti opere incentrate sull’esperienza della deportazione,
dell’esilio e della migrazione e sulle declinazioni dell’alterità e della diversità;
● Testimoni minori di tradizioni manoscritte;
● Studio dei marginalia;
● Minoranze linguistiche, dialetti, idioletti;
● Traduzione come strumento di emancipazione linguistico-culturale;
● Accessibility e AVT;
● Studio di fenomeni linguistici marginali;
● Analisi (sincronica o diacronica) delle lingue minoritarie, dei dialetti e degli
idioletti;
● Didattica e acquisizione delle lingue minoritarie;
● Cultura e politica linguistica delle lingue minoritarie;
● Analisi interlinguistica e norma nativa;
La call è rivolta a dottorandi, dottori di ricerca e ricercatori. Le proposte di contributo (in italiano o in inglese) provviste di titolo, abstract (max. 500 parole, bibliografia esclusa) e breve profilo bio-bibliografico dovranno essere inviate in formato pdf entro e non oltre il 15 febbraio 2025 all’indirizzo e-mail [email protected], inserendo come oggetto “Cfp_Titolo_Cognome Nome”. L’eventuale accettazione della proposta verrà comunicata entro il 1° aprile 2025. Il convegno si svolgerà in presenza nei giorni 29 e 30 maggio. Ogni relatore avrà a disposizione 20 minuti. Il comitato organizzativo resta a disposizione per ogni chiarimento.
Allo stesso tempo però, partendo dall'assunto lotmaniano per cui esiste una corrispondenza stringente e biunivoca tra l'insieme di valori etici e morali, i modelli culturali e ideologici di una determinata epoca e le modalità attraverso cui il linguaggio spaziale agisce e significa nei testi, il nostro interesse è altresì volto a sondare quanto il discorso romanzesco risemantizzi, risimbolizzi o demistifichi il discorso sulla città che viene costruito nel consesso sociale e quanto lo specifico letterario – il suo surplus conoscitivo – sia capace di problematizzare, questionare o rivivificare investimenti di retoriche, identità e immaginari sedimentatisi nei secoli nel corpo stesso dell'urbs mediterranea. Detto in altri termini, il primo obiettivo che intende perseguire il panel è quello di verificare le modalità autoriali attraverso cui la città “reale” – spazio culturale, sociale, economico produttore di una propria specifica costellazione di senso, storicamente data (e storicamente mutevole) – venga ri-significata nel perimetro testuale e quali risorse epistemiche si originino dalla collisione tra questa e il suo alter-ego finzionale. Il secondo obiettivo, invece, può essere racchiuso sommariamente in una doppia interrogazione correlata: cosa la città, come immagine, funzione, referente, simbolo, elemento mitopoietico, racconta del romanzo nella sua parabola – formale, tematica, ideologica – degli ultimi settant’anni? E viceversa, cosa il romanzo racconta della città (e metonimicamente della società di cui è espressione) nel suo processo di mutazione storica?
- 23/10/23 "René Girard e la teoria del desiderio mimetico"
- 30/10/23 “Confondere la vita col travestimento di sé”: le geometrie del desiderio in 'Un giorno d’impazienza' di Raffaele La Capria"
- 06/11/23 "Cosa resta del desiderio? Ipotesi e nuovi modelli interpretativi"
- 21/04/23 "Forme e declinazioni del Potere nell’opera di Silone”
Sulla scia di queste considerazioni, i dottorandi e i dottori di ricerca in Lingue, Letterature e Culture in Contatto dell’Università degli Studi «G. d’Annunzio» Chieti – Pescara, in collaborazione con il collegio dei docenti del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Moderne, organizzano un convegno dedicato alle declinazioni del contatto in ottica linguistica, letteraria e filologica, con lo scopo di promuovere il dialogo tra prospettive diverse e creare un momento di riflessione critica e di scambio. Di seguito, si suggeriscono possibili, ma non esclusive, linee di ricerca.
Sono accettati ulteriori argomenti d’indagine, purché affini, e proposte declinate
in maniera interdisciplinare:
● Fenomeni di interferenza e pratiche di espressione in contesti bilingui o
multilingui
● Insegnamento, apprendimento di L2/LS e analisi interlinguistica
● Paradigmi e fenomeni del contatto nella linguistica dei corpora, nel
discorso scritto, orale e multimediale
● AVT e accessibilità
● Convergenze e divergenze nella storia delle lingue e delle culture
● Contatto tra lingue e culture in prospettiva sincronica e diacronica
● Contatto di scritture, tradizioni manoscritte e critica del testo
● Riscritture, traduzioni, ibridazioni di modelli e forme letterarie
● Intertestualità come fenomeno del contatto tra testi e letterature
● Contaminazioni transmediali
● Il ruolo della traduzione nella formazione di mitologie e canoni letterari
● “L’altro” e “l’altrove” nella letteratura odeporica
● Mondi dell’immaginario (fantastico, fantascientifico, distopico)
La call è rivolta a dottorandi, dottori di ricerca e ricercatori. Le proposte di
contributo provviste di titolo, abstract (max. 500 parole, bibliografia esclusa) e
breve profilo bio-bibliografico dovranno essere inviate in formato pdf entro e non
oltre il 31 ottobre 2023 all’indirizzo e-mail [email protected],
inserendo come oggetto “CFP Forme e modelli del contatto”.
L’eventuale accettazione della proposta verrà comunicata entro il 15 dicembre
2023 e il convegno si svolgerà in presenza nei giorni 18 e 19 gennaio 2024.
Ogni relatore avrà a disposizione 20 minuti, cui seguiranno 10 minuti di
discussione.
Il comitato organizzativo resta a disposizione per ogni chiarimento.