La Coquette Italienne : fashion trends 2015-2016 by Veronica Piersanti

Week! "Tutti sono in prima fila, e questo è uno spettacolo sulla vita quotidiana" ha detto Karl L... more Week! "Tutti sono in prima fila, e questo è uno spettacolo sulla vita quotidiana" ha detto Karl Lagerfeld alla sfilata di Chanel, al Grand Palais a Parigi; sfilavano gonne al ginocchio con zip aperta, comode, quasi sportive, quelle che ogni donna sceglierebbe. "La moda non è più solo per un élite: la moda è per tutti, è aperta e guidata dai social media! Instagramabile!" Il digitale è uno dei protagonisti di questa Fashion Week: nella collezione di Louis Vuitton i metodi di costruzione degli abiti sono digitali e si riflettono in tessuti di lusso, collegando ad esempio l'alta tecnologia al cashmere classico. Una delle vere "scoperte" di questa stagione è Manish Arora, che propone stampe digitali su abiti ispirati all'India e alla cultura indiana. Nella sfilata di Luis Buchinho sono i tagli a essere eseguiti con tecniche digitali. Stampe e fantasie a fiori sono i protagonisti nella sfilata di Leonard; ci sono abiti morbidi e comodi, e foulard legati al collo o alle borse. In questa Fashion Week i pantaloni continuano a essere larghi e morbidi: nella collezione di Ellery sono a "campana" e non superano la caviglia; appliques e spille (stelle, facce, bocche, e personaggi dei cartoni animati) che ricordano le emoticons compaiono sui cappotti e sui giubbotti di jeans. C'è una bigiotteria stravagante e catene extra large e extra long per gli occhiali da sole (Chanel, Westwood). Una Fashion Week Digitale, proprio come piace a noi!
Con la primavera/estate sempre più vicina, è venuto il momento di cominciare a pensare allo stile... more Con la primavera/estate sempre più vicina, è venuto il momento di cominciare a pensare allo stile per la nuova stagione.
Che siano ampie e compatte o sottilissime, le righe, trovano sempre il modo per essere un motivo di tendenza. Le idee semplici, dopo tutto, sono sempre le migliori.
Haute Couture S-‐S 2016: I have a Dream Paris Haute Couture Fashion Week looks back to the East
Una Milanese a Parigi : travel, lifestyle, fashion by Veronica Piersanti
Un po'(p) per tutte! Stampe pop art e fantasie coloratissime sono tra le tendenze di questa prima... more Un po'(p) per tutte! Stampe pop art e fantasie coloratissime sono tra le tendenze di questa primavera.

Week formato Snap! "Oggi fare la moda senza social network è come fare un defilè senza spettatori... more Week formato Snap! "Oggi fare la moda senza social network è come fare un defilè senza spettatori" Julie Hardy, vicepresidente dell'agenzia digitale Dan Paris. "Il defilè è diventato uno spettacolo per il branco" Toledano, presidente della federazione francese della Couture. "Durante la Paris Fashion Week ho assistito a quattro o cinque sfilate, le restanti le ho guardate su Snapchat" ho pensato. Poi ho riflettuto ... Anche le sfilate a cui ho assistito le ho guardate su Snapchat. Tra me e la passerella c'era di mezzo l'iphone, il suo schermo, e lo Snap. Se Instagram è quasi un album dei ricordi, Snapchat è il film in diretta, una vera e propria cronistoria che si sussegue a tempi ristrettissimi, con la rotellina che gira veloce, e che non fa più perdere tempo. Nel mondo della moda -- nella lotta quasi epica che direttori creativi/amministratori delegati da una parte e giornalisti/influencer dall'altra intraprendono all'insegna del "(try to) stay relevant" --Snapchat si sta ponendo come una sfida a tutti gli effetti. Entrato in voga nel 2011, ora sta diventando uno strumento essenziale: lo ha adottato la supermodel, la fashion blogger, il marchio ufficiale, il fashion designer e la fashion editor che vuole farsi conoscere. Con Snapchat non si tratta più di semplici campagne pubblicitarie (come con Instagram e Facebook) o di product placement, ma di vera e propria interazione con gli utenti laddove passano la maggior parte del tempo: con il telefono puntato verso gli occhi, e le cuffie nelle orecchie. Chi ha sfruttato al meglio Snapchat durante questa PFW? Lianna Brinded del Business Insider che sostiene che marchi come Chanel, Burberry e Gucci, hanno avuto un effettivo aumento delle vendite grazie alla condivisione di video della sfilata sul social. Nel frattempo ci sono sempre quelli che continuano a parlare del "culto della personalità": il 10 marzo ad esempio la storia "last day in Paris" era concentrata su Chiara Ferragni che salutava dalla prima fila di una sfilata i suoi seguaci/amici di Snap: le sfilate erano finite però, a quale defilè era la fashion blogger italiana più quotata? Il bug infastisce gli invidiosi, ma aumenta la visibilità dell'influencer; Oscar Wilde avrebbe detto: bene o male, l'importante è che se ne parli. D'altronde è stato Karl Lagerfeld a trasformare il defilè di Chanel in un vero e proprio spettacolo formato Instagram, come spiega bene Suzy Menkes nella sua rubrica su Vogue.it/fr/en. "Tutti sono in prima fila, e questo è uno spettacolo sulla vita quotidiana" dice Lagerfeld. Il vero messaggio della sfilata di Chanel quest'anno non è nell'abito (sport--wear, gonna fino al ginocchio, e calzatura piatta) ma nella nozione che la moda non è più dedicata solo ad un élite. La moda si è aperta al mondo social: anzi la moda è social--driven ... e guidata dai social network. Così sono cambiati sia i clienti, sia gli invitati alle sfilate: le fashion blogger siedono a fianco di Anna Wintour, direttrice di Vogue America, e le loro opinioni hanno lo stesso valore simbolico e culturale; si siedono una accanto all'altra, e tutte in prima fila. La tecnologia, l'avanguardia e il digitale contagiano la moda a tutti gli effetti, in quanto le tendenze sono movimenti che si sviluppano contemporaneamente (o quasi) in diversi campi o mondi: le proposte che hanno sfilato in questi giorni alla Paris Fashion Week sono infatti "digital": le stampe e i tagli degli abiti sono fatte con tecniche digitali (Louis Vuitton, Manish Arora, Luis Buchinho) e non mancano le spille, le appliqué (Maison Margiela) che ricordano chiaramente le emoticons che usiamo quotidiamente per comunicare sui social come Whatsapp e Facebook. "You have a new message" c'è scritto nell'invito al defilè di Sonia Rykel ...
"Potete finirla adesso di parlare del mio fisico?" E' il titolo che trionfa nella copertina del "... more "Potete finirla adesso di parlare del mio fisico?" E' il titolo che trionfa nella copertina del "Time" e che-‐ con accanto una foto della bionda più famosa del mondo, un po' ingrassata e con indosso un tubino nero-‐ annuncia così il cambio della silhouette di Barbie. Dal 1959 Barbie ha avuto forme irreali (95-‐45-‐82), insieme a quella che è stata per lei una combinazione vincente (occhi azzurri, pelle chiara e capelli biondi): così è stato prima del 16 Gennaio 2016 e della nuova collezione Barbie: fashionista.

Il salone dell'arte contemporanea a Parigi Noi di una Milanese a Parigi, il giorno di San Valenti... more Il salone dell'arte contemporanea a Parigi Noi di una Milanese a Parigi, il giorno di San Valentino, siamo andate a visitare per voi l'Art3f, un salone dell'arte contemporanea, che si tiene a Porte de Versailles: qui, le nuove proposte e i nuovi talenti dell'arte contemporanea internazionale espongono e vendono al pubblico opere a prezzi accessibili, spesso sotto i cinque mila euro. Oggi, fotografie, stampe e graffiti --anche eseguiti in diretta davanti al pubblico entusiasta --un forte richiamo alla pop art (super--eroi e fumetti dai colori sgargianti) che diventavano sculture illuminate, o stampati, disegnati e incollati su grandi tele la facevano da padroni. Anche tanti animali e una quasi tendenza di zoomorfismo per questa edizione dell'Art3f: un coniglio nero e lucido dalle orecchie lunghe seduto in un angolo quasi fosse in punizione, una pecora fucsia che sembrava sorridesse al pubblico, e una donna bianca dalla testa di gatto trionfavano in misura "umana/animale" in tre diversi stand.
Si tratta di una rivoluzione dolce, senza rumore, quella della "slow life". Avvicina l'hippy e il... more Si tratta di una rivoluzione dolce, senza rumore, quella della "slow life". Avvicina l'hippy e il no-global, a valori più alti, come il prendersi cura di sé e del proprio stile di vita. Ciò che c'è di nuovo è che questa aspirazione non è più riservata a una minoranza, ma è una tendenza che si sta diffondendo in tutti i campi, trasversalmente, dalla moda alla musica, alla letteratura. E' un'avanguardia, della quale si stanno appropriando in tanti: dal/la manager di successo, alla mamma che lavora tanto (troppo) e che sceglie (quando può) di "lavorare meno, per guadagnare meno, ma stare meglio".
La sfilata è il fuori sfilata
Papers by Veronica Piersanti
Del caso dellʼautore invisibile, colui che sceglie di non mostrarsi in faccia, quello che non ril... more Del caso dellʼautore invisibile, colui che sceglie di non mostrarsi in faccia, quello che non rilascia interviste davanti alle telecamere, che opera mascherato, scrive François Jost che "dalla loro maschera alla firma non cʼè che un passo”. Quando poi, non esiste nemmeno la maschera, come nel caso del designer di moda Martin Margiela, la firma sarà lʼunica cosa che resta a farci credere nella magia del creatore. I due casi empirici che ho analizzato, in questa che è la mia tesi di laurea magistrale, sono entrambi accomunati da un creatore invisibile, quello del fashion designer appena citato, e quello dello street artist Banksy; mettono in evidenza entrambi come il capitale di autorità allʼinterno del campo della moda e dellʼarte non sia in realtà legato al singolo individuo, bensì alla credenza nella sua firma, e nella sua "vita d'artista" (Bourdieu 1975 e 1977).
"Non credi mai a quello che è vero, perché è vero anche il contrario" (Gianna Nannini --Radio Bac... more "Non credi mai a quello che è vero, perché è vero anche il contrario" (Gianna Nannini --Radio Baccano --1993) Quando sono stata a Parigi, sia pure per pochi giorni, ho avuto l'impressione di una città, anzi metropoli, "troppo bella ", "troppo elegante", e in fondo, inaccessibile anche per i cittadini più ben piazzati. Credo, che quando ci si inoltri nel concetto di "troppo", conseguentemente ci si accorga, che qualcosa ci stia sfuggendo: se è vero poi, che come diceva Simmel "l'intuizione viene fuori dopo un periodo di annebbiamento" --a me succede sempre così--si inizia a dubitare un po'.

Esaminando la moda come attività creativa, il presente lavoro si prefigge di evidenziare alcuni m... more Esaminando la moda come attività creativa, il presente lavoro si prefigge di evidenziare alcuni momenti del processo creativo dell'azienda di moda Maison Martin Margiela 1 : proseguendo tramite citazioni di sistemi premianti (di riviste specializzate, di curatori di mostre, giornalisti di moda, e gruppo dei pari) -che promettono legittimazione sia al fashion designer, che alla Maison, che al prodotto culturale riconoscendolo come creativo -si evidenzieranno quelli che sono, dal punto di vista delle dinamiche micro-sociali e dal punto di vista delle dinamiche-macro sociali, i tratti spettacolari e anti-convenzionali della Maison Martin Margiela. 2 1 Maison Martin Margiela è un casa di moda fondata 1988 al 102 rue Reamur di Parigi, dal designer Martin Margiela. Martin Margiela inizia la sua carriera come designer free-lance nel 1980 a Milano, e dal 1985 al 1987 diventa design-assistant di Jean Paul Gautier. Nel 1988 fonda "Maison Martin Margiela" insieme a Ms. Jenny Meirens che appoggia il designer da un punto di finanziario. La prima collezione ready-to-wear donna di "Maison Martin Margiela" è dell'ottobre 1988. Numerose mostre sono state dedicate e/o sono stae curate dal designer belga, come: Le monde selon ses créateurs Musée de la Mode et du Costume, Palais Galliera, Paris 1991; Infra-Apparel, Metropolitan Museum of Art, 1993; Belgian Fashion, Antwerp Style Fashion Institute of Technology, New York City; Martin Margiela: 9/4/1615, Rotterdam, 1997. L'indirizzo della Maison attualmente è: 13, Boulevard St. Denis, 75002 Paris, France. 2 Ovvero le due condizioni che Diana Crane, in "Reward System In Art, Science and Religion, American
Contiene riferimenti al documentario girato da Win Wenders a Parigi e Tokyo seguendo le tappe de... more Contiene riferimenti al documentario girato da Win Wenders a Parigi e Tokyo seguendo le tappe del sarto Yamamoto.

Introduzione
L’abito fa il monaco? L’abito fa il padrino? L’analisi della cultura mafiosa che se... more Introduzione
L’abito fa il monaco? L’abito fa il padrino? L’analisi della cultura mafiosa che segue nelle prossime pagine, ha obiettivo di rispondere alla domanda. Questa tesi, tratta di mafia, ma è ben lontana dal voler tracciarne una storia e ancor più dal concentrarsi sull’analisi della mafia in quanto tale; piuttosto, nel solco aperto da alcuni studiosi italiani, vuole concentrarsi su certi aspetti culturali e simbolici che ne delineano i contorni di fenomeno sociale. In particolare, la mia analisi si concentrerà sugli oggetti culturali prodotti da… o riguardanti la mafia, tramite il metodo messo a punto dalla sociologa americana Wendy Griswold.
Nel corso dell’elaborato si vedrà come i simboli, singole componenti dell’oggetto culturale, siano spesso ripresi dalle industrie culturali ( ex le case di moda) per costruirne un prodotto di consumo: è questo il caso delle t-shirt “Mafia made in Italy”.
L’obiettivo è quello di dimostrare come anche l’abito, tra i tanti oggetti appartenenti alla produzione culturale della mafia, svolga un ruolo importante nello stile di vita dell’uomo di Cosa Nostra, come questo si evolva nel corso degli anni, in un rapporto di scambio con la società esterna. Uno stesso indumento (ex una camicia di seta) si vede indossato negli anni Sessanta da un boss del calibro di Tommaso Buscetta, e a metà anni Novanta, viene ripreso e tradotto dalla griffe Dolce&Gabbana. Lo stesso abito dunque, ma con un’accezione diversa; lo stesso oggetto culturale in entrambi i casi, ma, con un mondo sociale, un creatore, e un ricevente differenti.
Questi ultimi, sono gli elementi chiave del diamante culturale elaborato da Griswold che mi guiderà lungo tutto l’elaborato, e tramite il quale analizzerò volta per volta ogni oggetto. Il diamante, sostiene Griswold, “permette la comprensione della relazione tra un oggetto e il mondo” [Griswold 2005].
Il lavoro è strutturato in tre parti: nella prima mi sono concentrata sull’aspetto teorico,vi sono descritti i mezzi e le teorie che mi hanno permesso di giungere alla ricerca affrontata nelle parti successive.
La seconda parte la definisco come un’analisi degli oggetti culturali più tipici della cultura mafiosa, con una piccola introduzione di quelle che per me sono le più importanti connotazioni attribuibili alla mafia: la pratica, il sistema, e la cultura.
Nella terza parte infine mi concentro sul rapporto che esiste tra mafia e moda: un punto cruciale lo svolgono sia il “Buscetta-style” proposto da Dolce&Gabbana nel 1994, sia le diversità nell’identità vestimentaria esibita che si incontrano, ad esempio, osservando un “anziano padrino” come Bernardo Provenzano e una giovane “new entry”, già in carcere, come Gianni Nicchi.
“Che cosa c’entra la mafia con la moda?”
Con la ricerca, e con la lettura, con il dialogo e con una maggiore sensibilità sviluppata verso certi argomenti, ho capito che anche argomenti all’apparenza dissonanti e lontani tra loro possono avere elementi in comune; tutto ciò anche grazie al grande fil rouge che è la cultura. La moda esiste dove vi è cultura diceva Blumer, e la mafia esiste, anche e soprattutto, come “cultura mafiosa”.
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La Coquette Italienne : fashion trends 2015-2016 by Veronica Piersanti
Che siano ampie e compatte o sottilissime, le righe, trovano sempre il modo per essere un motivo di tendenza. Le idee semplici, dopo tutto, sono sempre le migliori.
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Una Milanese a Parigi : travel, lifestyle, fashion by Veronica Piersanti
Papers by Veronica Piersanti
L’abito fa il monaco? L’abito fa il padrino? L’analisi della cultura mafiosa che segue nelle prossime pagine, ha obiettivo di rispondere alla domanda. Questa tesi, tratta di mafia, ma è ben lontana dal voler tracciarne una storia e ancor più dal concentrarsi sull’analisi della mafia in quanto tale; piuttosto, nel solco aperto da alcuni studiosi italiani, vuole concentrarsi su certi aspetti culturali e simbolici che ne delineano i contorni di fenomeno sociale. In particolare, la mia analisi si concentrerà sugli oggetti culturali prodotti da… o riguardanti la mafia, tramite il metodo messo a punto dalla sociologa americana Wendy Griswold.
Nel corso dell’elaborato si vedrà come i simboli, singole componenti dell’oggetto culturale, siano spesso ripresi dalle industrie culturali ( ex le case di moda) per costruirne un prodotto di consumo: è questo il caso delle t-shirt “Mafia made in Italy”.
L’obiettivo è quello di dimostrare come anche l’abito, tra i tanti oggetti appartenenti alla produzione culturale della mafia, svolga un ruolo importante nello stile di vita dell’uomo di Cosa Nostra, come questo si evolva nel corso degli anni, in un rapporto di scambio con la società esterna. Uno stesso indumento (ex una camicia di seta) si vede indossato negli anni Sessanta da un boss del calibro di Tommaso Buscetta, e a metà anni Novanta, viene ripreso e tradotto dalla griffe Dolce&Gabbana. Lo stesso abito dunque, ma con un’accezione diversa; lo stesso oggetto culturale in entrambi i casi, ma, con un mondo sociale, un creatore, e un ricevente differenti.
Questi ultimi, sono gli elementi chiave del diamante culturale elaborato da Griswold che mi guiderà lungo tutto l’elaborato, e tramite il quale analizzerò volta per volta ogni oggetto. Il diamante, sostiene Griswold, “permette la comprensione della relazione tra un oggetto e il mondo” [Griswold 2005].
Il lavoro è strutturato in tre parti: nella prima mi sono concentrata sull’aspetto teorico,vi sono descritti i mezzi e le teorie che mi hanno permesso di giungere alla ricerca affrontata nelle parti successive.
La seconda parte la definisco come un’analisi degli oggetti culturali più tipici della cultura mafiosa, con una piccola introduzione di quelle che per me sono le più importanti connotazioni attribuibili alla mafia: la pratica, il sistema, e la cultura.
Nella terza parte infine mi concentro sul rapporto che esiste tra mafia e moda: un punto cruciale lo svolgono sia il “Buscetta-style” proposto da Dolce&Gabbana nel 1994, sia le diversità nell’identità vestimentaria esibita che si incontrano, ad esempio, osservando un “anziano padrino” come Bernardo Provenzano e una giovane “new entry”, già in carcere, come Gianni Nicchi.
“Che cosa c’entra la mafia con la moda?”
Con la ricerca, e con la lettura, con il dialogo e con una maggiore sensibilità sviluppata verso certi argomenti, ho capito che anche argomenti all’apparenza dissonanti e lontani tra loro possono avere elementi in comune; tutto ciò anche grazie al grande fil rouge che è la cultura. La moda esiste dove vi è cultura diceva Blumer, e la mafia esiste, anche e soprattutto, come “cultura mafiosa”.
Che siano ampie e compatte o sottilissime, le righe, trovano sempre il modo per essere un motivo di tendenza. Le idee semplici, dopo tutto, sono sempre le migliori.
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Nel corso dell’elaborato si vedrà come i simboli, singole componenti dell’oggetto culturale, siano spesso ripresi dalle industrie culturali ( ex le case di moda) per costruirne un prodotto di consumo: è questo il caso delle t-shirt “Mafia made in Italy”.
L’obiettivo è quello di dimostrare come anche l’abito, tra i tanti oggetti appartenenti alla produzione culturale della mafia, svolga un ruolo importante nello stile di vita dell’uomo di Cosa Nostra, come questo si evolva nel corso degli anni, in un rapporto di scambio con la società esterna. Uno stesso indumento (ex una camicia di seta) si vede indossato negli anni Sessanta da un boss del calibro di Tommaso Buscetta, e a metà anni Novanta, viene ripreso e tradotto dalla griffe Dolce&Gabbana. Lo stesso abito dunque, ma con un’accezione diversa; lo stesso oggetto culturale in entrambi i casi, ma, con un mondo sociale, un creatore, e un ricevente differenti.
Questi ultimi, sono gli elementi chiave del diamante culturale elaborato da Griswold che mi guiderà lungo tutto l’elaborato, e tramite il quale analizzerò volta per volta ogni oggetto. Il diamante, sostiene Griswold, “permette la comprensione della relazione tra un oggetto e il mondo” [Griswold 2005].
Il lavoro è strutturato in tre parti: nella prima mi sono concentrata sull’aspetto teorico,vi sono descritti i mezzi e le teorie che mi hanno permesso di giungere alla ricerca affrontata nelle parti successive.
La seconda parte la definisco come un’analisi degli oggetti culturali più tipici della cultura mafiosa, con una piccola introduzione di quelle che per me sono le più importanti connotazioni attribuibili alla mafia: la pratica, il sistema, e la cultura.
Nella terza parte infine mi concentro sul rapporto che esiste tra mafia e moda: un punto cruciale lo svolgono sia il “Buscetta-style” proposto da Dolce&Gabbana nel 1994, sia le diversità nell’identità vestimentaria esibita che si incontrano, ad esempio, osservando un “anziano padrino” come Bernardo Provenzano e una giovane “new entry”, già in carcere, come Gianni Nicchi.
“Che cosa c’entra la mafia con la moda?”
Con la ricerca, e con la lettura, con il dialogo e con una maggiore sensibilità sviluppata verso certi argomenti, ho capito che anche argomenti all’apparenza dissonanti e lontani tra loro possono avere elementi in comune; tutto ciò anche grazie al grande fil rouge che è la cultura. La moda esiste dove vi è cultura diceva Blumer, e la mafia esiste, anche e soprattutto, come “cultura mafiosa”.