La moda è realtà al tempo stesso concretissima e intangibile che si sostanzia di un complesso di ... more La moda è realtà al tempo stesso concretissima e intangibile che si sostanzia di un complesso di funzioni e di relazioni. Risponde alle esigenze del corpo e della mente, tanto individuali quanto collettive. La moda rispecchia le capacità produttive di un paese, crea cultura, in essa trovano espressione sia le relazioni di genere sia le logiche di potere, del gusto e della creatività di uomini e donne. Il gusto svolge un ruolo importante giacché la moda è per sua natura una macchina estetica. Si tratta di un gusto costruito, manipolato, socialmente determinato, perennemente cangiante, e difficile quindi da cogliere e da descrivere. L'abbigliamento comunica stati d'animo, rispecchia determinate situazioni sociali, è il terreno su cui si rappresentano anche nuovi modi di vivere nella collettività. Ci si veste per dimostrare quello che si è o per attribuirsi un'identità diversa. La moda lascia poco spazio all'individualità eppure si presenta anche come strumento privilegiato di espressione delle preferenze nonché del capriccio dei singoli. La moda è anche una forma sociale di condivisione estetica. Si dovrebbe parlare di un'imposizione accettata giacché seguire la moda finisce con l'essere un imperativo dal momento che il mercato ha esigenze che non possono essere eluse. È un fenomeno che punta al futuro ma ha forti legami con il passato. Mette l'accento sulla distinzione e sulla competizione, sul cambiamento e sulla socializzazione. Riconducibile ai caratteri culturali ed economici propri al singolo paese, la moda è aperta a suggestioni esterne e pronta a farsi contaminare per rinnovarsi. È disposta al cambiamento e assetata di novità. Barthes disse che ritroviamo la moda in tutti i fatti di neomania apparsi nella civiltà. Nel XIV secolo, epoca in cui le informazioni viaggiavano con lentezza, si registrava dunque il diffondersi in aree diverse d'Italia di un nuovo e analogo stile arrivato dalla Francia. Erano soprattutto i giovani ad aver accolto e a diffondere usi discutibili. Siamo all'esordio della consapevolezza della moda e al primo proporsi dei giovani come suoi testimonial. Nel Trecento, dunque, la moda impose fogge inedite e accessori bizzarri. Se alla fine del Medioevo e nella prima età moderna l'Italia fu in grado di dettare mode, nel secondo Cinquecento è stata la Spagna a imporre fogge e colori, mentre dal Seicento all'Ottocento la Francia ha goduto di un primato pressoché incontrastato. Le vicende politiche si riverberano anche negli abiti e le fogge dei vincitori prevalevano su quelle di tutti gli altri diventando "di moda". Nei secoli della modernità ci sono state mode di corte che hanno omogeneizzato aree anche molto distanti fra loro. Certi usi diventano moda senza che la loro acquisizione avesse un significato chiaramente politico. Ad esempio, vestirsi di nero, alla spagnola, si generalizzò nella seconda metà del XVI secolo anche in aree non soggette al dominio della Spagna. Stando a Cesare Vecellio, nel XVI secolo non erano poi così insignificanti gli elementi che differenziavano il modo di vestire a Firenze, a Roma o a Napoli. Egli risulta consapevole della confluenza nella moda di peculiarità locali dovute sia a ragioni produttive sia a fattori culturali e tradizionali. Le diverse Italie si rispecchiavano nelle diverse interpretazioni dell'essere alla moda. Tra XIX e XX secolo la dipendenza italiana da Parigi era ancora forte e indiscussa. Affrancarsi da essa cominciò a costituire un progetto politico e culturale dopo l'Unità d'Italia, quando cerare e diffondere una moda italiana divenne una forma di patriottismo. Tra XII e XVI secolo le sete di Lucca o i veli impalpabili prodotti a Bologna si imposero nelle altre città della penisola e anche fuori d'Italia grazie alla bravura degli artigiani. Quanto veniva "fatto in Italia" ha avuto nel basso Medioevo e nel periodo rinascimentale un valore reale e simbolico ben prima che venisse fatta l'Italia. Vestirsi non è sinonimo di moda. Se è vero che gli uomini da sempre si coprono e quindi si vestono, è possibile fissare un periodo in cui collocare la nascita della moda? Essendo il cambiamento la caratteristica principale della moda, è impossibile dare ragione delle continue evoluzioni, ma si può tentare di individuare alcune epoche significative per il fenomeno. La moda è luogo di incrocio di differenti attitudini e bisogni, individuali e collettivi, privati e pubblici, e si manifesta in forme che chiamano in causa la sociologia come l'antropologia, la psicologia come l'economia. Per cercare di sciogliere l'intrico che è la moda, la cosa migliore da fare è partire dalla parola stessa. Moda e moderno, dalla stessa radice etimologica, sono termini estremamente connessi. Non implica che la moda si manifesti solo nell'età moderna, ma è legata al significato specifico del termine "moderno" in quanto presa di distanza da ciò che caratterizza il periodo precedente. Essere moderni significa innanzi tutto apparire e volersi manifestare come diversi da prima. La modernità comporta la scoperta dell'importanza del nuovo, la piena valorizzazione dell'inedito. Gli antropologi sostengono che la moda è un fatto universale, dovunque e sempre ci si è vestiti e si p costantemente attribuito valore all'abito. Dal punto di vista storico, si può invece sostenere che ha cominciato a delinearsi un fenomeno moda prima dell'effettivo ricorso a questa parola e cioè quando nelle città l'offerta di capi d'abbigliamento si è fatta relativamente ampia. Per parlare di moda è dunque preliminarmente necessario che vi sia un'ampia e variegata offerta di capi e accessori nuovi. A partire dal XIII secolo nelle città del basso Medioevo furono proprio gli artigiani a dare una svolta, assieme ai mercanti e nell'ambito di una rinnovata forma di partecipazione alla vita politica, alla produzione e al commercio, innovando gli stili di vita e conseguentemente il modo di apparire. Le botteghe sono state uno dei laboratori della modernità oltre che del fenomeno della moda. Una prima proposta di datazione del fenomeno ci porta al XIII secolo in Italia, dove nelle città le realtà comunali avevano determinato importanti modificazioni sociali e politiche non prive di ricadute anche nel campo della moda. A quel tempo gli abiti femminili quelli maschili cominciano a differenziarsi. Le gambe degli uomini sono rimaste in vista fino al XVIII secolo e quelle delle donne hanno cominciato ad essere visibili solo nel XIX. Nel XIX secolo leziosità e ricercatezza divennero invece appannaggio quasi esclusivo delle donne, il che comportò una sorta di femminilizzazione della moda. Una serie di eventi del XX secolo, tra i quali rientra l'adozione dei pantaloni da parte delle donne e la diffusione dei jeans, ha comportato un'invasione di tendenza. Tornando al basso Medioevo, molte fonti testimoniano un interesse diffuso per l'abbigliamento, una sempre maggiore disponibilità di oggetti ma anche una insistita critica da parte dei moralisti e una lotta dei legislatori per contrastare quella che appariva come una degenerazione esibizionistica. Di moda si può parlare dunque già fra Due e Trecento, nel senso di desiderio ed esibizione di oggetti concepiti e prodotti per indurre all'acquisto e per manifestare gusto, privilegio sociale e ricchezza di chi li possedeva e li indossava. Fu moda, se per moda si intende ricerca del nuovo e dell'esclusivo. L'intreccio fra iconografia e testi letterari ha consentito di collocare intorno agli anni Trenta-Quaranta del XIV secolo un sovvertimento radicale del costume con l'adozione di nuove fogge. Gli abiti del Trecento subirono profondi cambiamenti, più cuciti, più adattati al fisico, più sessualmente distinti: un primo passo verso una visione dinamica del vestiario che iniziò a differenziarsi e a differenziare. Nuovi ceti, portatori di una nuova mentalità, usano la moda per cercare di mettere in crisi una società "posizionale", legata all'idea della fissità dell'ordine e della sua leggibilità tramite vesti ed ornamenti. I legislatori, consapevoli di ciò, hanno tentato di governare il fenomeno stabilendo divieti, limitazioni e concessioni. L'intento era contemperare gli interessi degli artigiani con le posizioni dei moralisti e far corrispondere alle diverse condizioni sociali uno specifico codice di apparenze. Si trattò di un'esperienza di governo della moda tentata e fallita, anche se non si è smesso di produrre leggi suntuarie fino alla Rivoluzione francese. È possibile individuare una seconda fase rilevante per la storia della moda, se non una possibile data di nascita ufficiale, tra il XVI e il XVII secolo, quando fa la sua comparsa la parola "moda". In Italia il primo ad impiegate il lemma fu l'abate milanese Agostino Lampugnani, autore nel 1648 di un testo intitolato "Carrozza da Nolo overo Del vestire e usanze alla Moda". Nel Seicento la parola moda appare nei titoli e nei testi di molti autori a indicare una sorta di frenesia nell'adeguarsi agli ultimi, anzi ultimissimi usi. Al passaggio dal Medioevo al Rinascimento appare considerevolmente mutata la sensibilità nei confronti della modernità, delle novità e delle scoperte. Nel Medioevo si sono modernizzati ma non si sono voluti qualificare come moderni. Sul finire del XV secolo, di fronte a formidabili scoperte geografiche e a strepitose invenzioni come la stampa, il nuovo irruppe e non poté più essere minimizzato o inteso come progressivo slittamento della tradizione. La passione per le "cose nuove" dilagava e appariva contagiosa e a diffonderla erano principalmente le donne accusate di essere "mobili". Nel Seicento il tema della moda si è ormai imposto. Se ne parlava in Italia in connessione con il lusso e mentre cresceva la consapevolezza dell'importanza economica de fenomeno. Ne trattavano filosofi e moralisti. Dal XIV secolo il cambiamento dei comportamenti individuali, il perenne inseguimento di nuove fogge, il valore riconosciuto alle novità, il gusto per l'originalità hanno sempre meno fatto i conti con le...
La moda è realtà al tempo stesso concretissima e intangibile che si sostanzia di un complesso di ... more La moda è realtà al tempo stesso concretissima e intangibile che si sostanzia di un complesso di funzioni e di relazioni. Risponde alle esigenze del corpo e della mente, tanto individuali quanto collettive. La moda rispecchia le capacità produttive di un paese, crea cultura, in essa trovano espressione sia le relazioni di genere sia le logiche di potere, del gusto e della creatività di uomini e donne. Il gusto svolge un ruolo importante giacché la moda è per sua natura una macchina estetica. Si tratta di un gusto costruito, manipolato, socialmente determinato, perennemente cangiante, e difficile quindi da cogliere e da descrivere. L'abbigliamento comunica stati d'animo, rispecchia determinate situazioni sociali, è il terreno su cui si rappresentano anche nuovi modi di vivere nella collettività. Ci si veste per dimostrare quello che si è o per attribuirsi un'identità diversa. La moda lascia poco spazio all'individualità eppure si presenta anche come strumento privilegiato di espressione delle preferenze nonché del capriccio dei singoli. La moda è anche una forma sociale di condivisione estetica. Si dovrebbe parlare di un'imposizione accettata giacché seguire la moda finisce con l'essere un imperativo dal momento che il mercato ha esigenze che non possono essere eluse. È un fenomeno che punta al futuro ma ha forti legami con il passato. Mette l'accento sulla distinzione e sulla competizione, sul cambiamento e sulla socializzazione. Riconducibile ai caratteri culturali ed economici propri al singolo paese, la moda è aperta a suggestioni esterne e pronta a farsi contaminare per rinnovarsi. È disposta al cambiamento e assetata di novità. Barthes disse che ritroviamo la moda in tutti i fatti di neomania apparsi nella civiltà. Nel XIV secolo, epoca in cui le informazioni viaggiavano con lentezza, si registrava dunque il diffondersi in aree diverse d'Italia di un nuovo e analogo stile arrivato dalla Francia. Erano soprattutto i giovani ad aver accolto e a diffondere usi discutibili. Siamo all'esordio della consapevolezza della moda e al primo proporsi dei giovani come suoi testimonial. Nel Trecento, dunque, la moda impose fogge inedite e accessori bizzarri. Se alla fine del Medioevo e nella prima età moderna l'Italia fu in grado di dettare mode, nel secondo Cinquecento è stata la Spagna a imporre fogge e colori, mentre dal Seicento all'Ottocento la Francia ha goduto di un primato pressoché incontrastato. Le vicende politiche si riverberano anche negli abiti e le fogge dei vincitori prevalevano su quelle di tutti gli altri diventando "di moda". Nei secoli della modernità ci sono state mode di corte che hanno omogeneizzato aree anche molto distanti fra loro. Certi usi diventano moda senza che la loro acquisizione avesse un significato chiaramente politico. Ad esempio, vestirsi di nero, alla spagnola, si generalizzò nella seconda metà del XVI secolo anche in aree non soggette al dominio della Spagna. Stando a Cesare Vecellio, nel XVI secolo non erano poi così insignificanti gli elementi che differenziavano il modo di vestire a Firenze, a Roma o a Napoli. Egli risulta consapevole della confluenza nella moda di peculiarità locali dovute sia a ragioni produttive sia a fattori culturali e tradizionali. Le diverse Italie si rispecchiavano nelle diverse interpretazioni dell'essere alla moda. Tra XIX e XX secolo la dipendenza italiana da Parigi era ancora forte e indiscussa. Affrancarsi da essa cominciò a costituire un progetto politico e culturale dopo l'Unità d'Italia, quando cerare e diffondere una moda italiana divenne una forma di patriottismo. Tra XII e XVI secolo le sete di Lucca o i veli impalpabili prodotti a Bologna si imposero nelle altre città della penisola e anche fuori d'Italia grazie alla bravura degli artigiani. Quanto veniva "fatto in Italia" ha avuto nel basso Medioevo e nel periodo rinascimentale un valore reale e simbolico ben prima che venisse fatta l'Italia. Vestirsi non è sinonimo di moda. Se è vero che gli uomini da sempre si coprono e quindi si vestono, è possibile fissare un periodo in cui collocare la nascita della moda? Essendo il cambiamento la caratteristica principale della moda, è impossibile dare ragione delle continue evoluzioni, ma si può tentare di individuare alcune epoche significative per il fenomeno. La moda è luogo di incrocio di differenti attitudini e bisogni, individuali e collettivi, privati e pubblici, e si manifesta in forme che chiamano in causa la sociologia come l'antropologia, la psicologia come l'economia. Per cercare di sciogliere l'intrico che è la moda, la cosa migliore da fare è partire dalla parola stessa. Moda e moderno, dalla stessa radice etimologica, sono termini estremamente connessi. Non implica che la moda si manifesti solo nell'età moderna, ma è legata al significato specifico del termine "moderno" in quanto presa di distanza da ciò che caratterizza il periodo precedente. Essere moderni significa innanzi tutto apparire e volersi manifestare come diversi da prima. La modernità comporta la scoperta dell'importanza del nuovo, la piena valorizzazione dell'inedito. Gli antropologi sostengono che la moda è un fatto universale, dovunque e sempre ci si è vestiti e si p costantemente attribuito valore all'abito. Dal punto di vista storico, si può invece sostenere che ha cominciato a delinearsi un fenomeno moda prima dell'effettivo ricorso a questa parola e cioè quando nelle città l'offerta di capi d'abbigliamento si è fatta relativamente ampia. Per parlare di moda è dunque preliminarmente necessario che vi sia un'ampia e variegata offerta di capi e accessori nuovi. A partire dal XIII secolo nelle città del basso Medioevo furono proprio gli artigiani a dare una svolta, assieme ai mercanti e nell'ambito di una rinnovata forma di partecipazione alla vita politica, alla produzione e al commercio, innovando gli stili di vita e conseguentemente il modo di apparire. Le botteghe sono state uno dei laboratori della modernità oltre che del fenomeno della moda. Una prima proposta di datazione del fenomeno ci porta al XIII secolo in Italia, dove nelle città le realtà comunali avevano determinato importanti modificazioni sociali e politiche non prive di ricadute anche nel campo della moda. A quel tempo gli abiti femminili quelli maschili cominciano a differenziarsi. Le gambe degli uomini sono rimaste in vista fino al XVIII secolo e quelle delle donne hanno cominciato ad essere visibili solo nel XIX. Nel XIX secolo leziosità e ricercatezza divennero invece appannaggio quasi esclusivo delle donne, il che comportò una sorta di femminilizzazione della moda. Una serie di eventi del XX secolo, tra i quali rientra l'adozione dei pantaloni da parte delle donne e la diffusione dei jeans, ha comportato un'invasione di tendenza. Tornando al basso Medioevo, molte fonti testimoniano un interesse diffuso per l'abbigliamento, una sempre maggiore disponibilità di oggetti ma anche una insistita critica da parte dei moralisti e una lotta dei legislatori per contrastare quella che appariva come una degenerazione esibizionistica. Di moda si può parlare dunque già fra Due e Trecento, nel senso di desiderio ed esibizione di oggetti concepiti e prodotti per indurre all'acquisto e per manifestare gusto, privilegio sociale e ricchezza di chi li possedeva e li indossava. Fu moda, se per moda si intende ricerca del nuovo e dell'esclusivo. L'intreccio fra iconografia e testi letterari ha consentito di collocare intorno agli anni Trenta-Quaranta del XIV secolo un sovvertimento radicale del costume con l'adozione di nuove fogge. Gli abiti del Trecento subirono profondi cambiamenti, più cuciti, più adattati al fisico, più sessualmente distinti: un primo passo verso una visione dinamica del vestiario che iniziò a differenziarsi e a differenziare. Nuovi ceti, portatori di una nuova mentalità, usano la moda per cercare di mettere in crisi una società "posizionale", legata all'idea della fissità dell'ordine e della sua leggibilità tramite vesti ed ornamenti. I legislatori, consapevoli di ciò, hanno tentato di governare il fenomeno stabilendo divieti, limitazioni e concessioni. L'intento era contemperare gli interessi degli artigiani con le posizioni dei moralisti e far corrispondere alle diverse condizioni sociali uno specifico codice di apparenze. Si trattò di un'esperienza di governo della moda tentata e fallita, anche se non si è smesso di produrre leggi suntuarie fino alla Rivoluzione francese. È possibile individuare una seconda fase rilevante per la storia della moda, se non una possibile data di nascita ufficiale, tra il XVI e il XVII secolo, quando fa la sua comparsa la parola "moda". In Italia il primo ad impiegate il lemma fu l'abate milanese Agostino Lampugnani, autore nel 1648 di un testo intitolato "Carrozza da Nolo overo Del vestire e usanze alla Moda". Nel Seicento la parola moda appare nei titoli e nei testi di molti autori a indicare una sorta di frenesia nell'adeguarsi agli ultimi, anzi ultimissimi usi. Al passaggio dal Medioevo al Rinascimento appare considerevolmente mutata la sensibilità nei confronti della modernità, delle novità e delle scoperte. Nel Medioevo si sono modernizzati ma non si sono voluti qualificare come moderni. Sul finire del XV secolo, di fronte a formidabili scoperte geografiche e a strepitose invenzioni come la stampa, il nuovo irruppe e non poté più essere minimizzato o inteso come progressivo slittamento della tradizione. La passione per le "cose nuove" dilagava e appariva contagiosa e a diffonderla erano principalmente le donne accusate di essere "mobili". Nel Seicento il tema della moda si è ormai imposto. Se ne parlava in Italia in connessione con il lusso e mentre cresceva la consapevolezza dell'importanza economica de fenomeno. Ne trattavano filosofi e moralisti. Dal XIV secolo il cambiamento dei comportamenti individuali, il perenne inseguimento di nuove fogge, il valore riconosciuto alle novità, il gusto per l'originalità hanno sempre meno fatto i conti con le...
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