Roma, 1489: dopo un'assenza di almeno cinque anni Melozzo degli Ambrosi si riaffaccia per l'ultima volta nell'Urbe; nel 1493 lo ritroviamo prima ad Ancona -per una commissione perduta nel palazzo degli Anziani -poi in patria, dove morirà...
moreRoma, 1489: dopo un'assenza di almeno cinque anni Melozzo degli Ambrosi si riaffaccia per l'ultima volta nell'Urbe; nel 1493 lo ritroviamo prima ad Ancona -per una commissione perduta nel palazzo degli Anziani -poi in patria, dove morirà l'anno successivo, lasciando al suo erede Marco Palmezzano il completamento degli affreschi della cappella Feo in San Biagio 1 . In contemporanea (1488-1490) Andrea Mantegna, nume riconosciuto della formazione del forlivese, è all'opera per papa Innocenzo VIII nella cappella del Belvedere in Vaticano, demolita nel Settecento per far posto al Museo Pio-Clementino. La decorazione mantegnesca, risplendente di ori e rifinita al punto da parer "più tosto cosa miniata che dipintura" (Vasari), includeva un mirabile saggio di virtuosismo pittorico: "Un comparto di finta cornice dentro di cui è dipinto un Credenzino per ogni vano, ove si vedono espressi Calici, Pissidi, Croci, Candelieri, ed altri Sacri Vasi" (Taia) 2 . Se analoghi, più minuti trompe l'oeil caratterizzano le decorazioni di cappelle già nel Trecento, la moderna versione del grande pittore padovano doveva apparentarsi piuttosto alle laiche 'piattaie' che facevano bella mostra di sé nelle dimore nobiliari e cardinalizie, evocate dai carteggi umanistici e curiali 3 o restituite da rare testimonianze pittoriche, come quella in anni non lontani riemersa in palazzo Riario-Altemps, talora associata al nome di Melozzo (o di Pedro Berruguete) 4 . Una più concreta traccia dell'Ambrosi, nella stessa sala, si ha nei frammentari putti reggicartiglio nel fregio dell'attico, sodi e paffuti: proprio nel palazzo del conte Girolamo Riario (1443-1488), signore di Imola e di Forlì, è ambientato un aneddoto del De divina proportione (1509) di Luca Pacioli, che vede Melozzo tra i protagonisti 5 . Se Mantegna aveva raggiunto lo status di "Comes Palatinus eques auratae militiae" (orgogliosamente riportato nella firma degli affreschi del Belvedere), Melozzo non gli fu da meno, se proprio "lo illustre conte Girolimo [Riario] lo volse per suo scodiero e gentilomo, e davagli una magna provisione, perché le paria de l'arte de la prospectiva e pictora el più solenno de la Talia; e sì lo chiamava Melancio, per el nome de lo antico" (Leone Cobelli) 6 . Novello Melanzio -pittore campione di prospettiva in Plinio e in Diogene Laerzio -, in virtù della sua "collocazione cortigiana nella Roma dei Riario-della Rovere" Melozzo maturò un concetto della pittura "come attività totalmente svincolata dalle costrizioni della pratica artigianale, della bottega, e piuttosto pronta ormai a rivendicare con urgenza un proprio seggio nel consesso delle arti liberali per precipui meriti scientifici e matematici" 7 . Tale alto concetto lo apparenta, oltre che a Mantegna, a Leon Battista Alberti e a Piero della Francesca, i maggiori artefici della conquista, tipicamente umanistica, del riconoscimento intellettuale della professione artistica. Agli antipodi si colloca l'articolazione, ancora di stampo medievale, di un'ampia bottega artigiana, affollata e versatile, che fioriva nella Roma di quegli stessi anni a opera di Antoniazzo Romano: due anime, all'apparenza così distanti, che seppero tuttavia giungere a patti, come è provato dalla documentata collaborazione, su cui torneremo, dei due artisti. La maturazione umanistica di Melozzo trovò il suo terreno di coltura ideale nel pontificato di Sisto IV, illuminato costruttore e splendido mecenate 8 . Pictor papalis -designazione con la quale, in forma abbreviata (pi.pa.), il forlivese compare tra i firmatari del primo Statuto dei pittori romani (1478) 9 -, Melozzo elaborò il più compiuto e grandioso manifesto pittorico della magnificentia del papato della Rovere: l'affresco che ritrae il pontefice e quattro suoi nipoti, due laici (Giovanni della Rovere e Girolamo Riario) e due ecclesiastici (i cardinali Pietro Riario e Giuliano della Rovere) oggi nella Pinacoteca Vaticana (en-37