di Paolo Ottolina - @pottolina

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Tim Cook (a sinistra) e Steve Jobs in una foto d’archivio del 2008 (Epa / Monica M. Davey)

Ha debuttato nei panni di una ragazzina irriverente e geniale. Come tanti divi adolescenti, ha avuto una crisi di crescita che l’ha portata a un passo dal disastro. Poi una resurrezione che ha fatto scuola e l’inizio di un’ascesa apparentemente senza fine. Ora entra nei suoi secondi 40 anni, con qualche ruga e alcuni dubbi sul suo futuro (leggi: I primi 40 anni di Apple in 40 schede).

Eredità e futuro

Apple ha appena celebrato, il 1° aprile, il quarantesimo anniversario dalla fondazione. Nessuno dei tre soci originari ha più un ruolo nell’azienda. Non Ronald Wayne, l’uomo che rivendette dopo soli 12 giorni il suo 10% (oggi varrebbe 70 miliardi di dollari). Non Steve Wozniak, che da anni si gode una sorta di dorata pensione. E ovviamente non Steve Jobs, il visionario leader scomparso nell’ottobre 2011. A Cupertino si ricorda il passato, ma non c’è tempo per guardare indietro, in un settore iper-competitivo dove è necessario spingere ogni giorno le frontiere più in là. Un ruolo che Jobs ha svolto con maestria ineguagliata. Ora i detrattori puntano il dito sullo sbiadirsi dell’eredità di Jobs, sull’evaporare del patrimonio di idee che ha lasciato. L’inizio dei secondi 40 anni di Apple come principio di una crisi di mezza età dovuta all’incapacità lanciare nuovi prodotti rivoluzionari. Nel mirino i nuovi prodotti. L’iPhone SE è un remake (molto potenziato) di un modello presentato nel 2012 (la nostra recensione: guarda). L’iPad Pro da 9.7 pollici (la recensione) è la versione più compatta del modello di tablet professionale uscito pochi mesi fa.

L’imprenditore Vivek Wadhwa, in un intervento sul «Washington Post», ha lanciato un attacco senza mezzi toni: «Apple potrebbe già aver raggiunto l’apice del suo successo. Ha imboccato la stessa direzione presa da Ibm negli anni Novanta e da Microsoft alla fine degli anni Duemila. L’ultima innovazione importante, l’iPhone, è del giugno 2007. Da allora Apple ha lavorato sulla messa a punto delle componenti, inserite in dispositivi dalla forma più grande o più piccola, come l’iPad e l’Apple Watch. Sembra che Apple sia impegnata solo a rincorrere Samsung – che offre tablet e smartphone di diverse dimensioni e con caratteristiche migliori – e a copiare prodotti come Google Maps, con scarsi risultati».

Un’accusa esplicita (e un po’ troppo audace: difficile sostenere che l’iPad o il Watch siano solo iPhone di dimensioni differenti) che fa eco a un ritornello in voga fin dalla scomparsa di Jobs: Apple non innova più, non inventa più. Non sperimenta, dice Wadhwa, citando competitor che hanno progetti dal dubbio (o nullo) successo commerciale ma di sicuro più audaci: Oculus e la realtà virtuale per Facebook, i Google Glass e la Google Car per Alphabet.

Apple 40 years in a graphic

(clicca sul grafico per ingrandirlo)

 

Nuovo leader

Tim Cook ha però più di un argomento per smontare questa tesi. La strategia dell’amministratore delegato di Cupertino è sempre stata all’insegna di un doppio binario. Da una parte il sostegno alla crescita dell’azienda, strada percorsa con successo. Apple è sempre la prima società al mondo per capitalizzazione in Borsa (dopo il breve sorpasso di Alphabet). Tra gli smartphone si porta a casa oltre il 90% degli utili globali. Le vendite dei pc languono, ma i Mac da anni fanno meglio del mercato e la quota sale (7,5% a fine 2015, Apple è ora nella top 5 dei produttori). I tablet faticano e anche l’iPad non brilla ma (stime di Idc) il costoso iPad Pro ha venduto meglio dei Surface di Microsoft.
Apple Watch secondo gli analisti di Juniper ha già conquistato oltre il 50% del mercato smartwatch. iPhone SE sarà anche un «remake» ma nel 2015 Apple ha venduto 30 milioni di smartphone con schermo da 4 pollici: i pre-ordini dalla Cina dicono che il nuovo arrivato sarà un successo, con margini elevati per l’azienda. Cook ha allargato la sua ragnatela ad altri promettenti settori: dai pagamenti elettronici (Apple Pay ora si espande in Europa e Cina) alla musica in streaming (Apple Music in gennaio era già a 11 milioni di abbonati, al secondo posto dietro a Spotify), dalla tv (su Apple Tv debutteranno serie originali prodotte dalla Mela), alla rete degli Apple Store, formidabile presidio sul territorio ora in 39 Nazioni e quasi 500 punti vendita.

Rivoluzione

Ma è il secondo sentiero battuto da Tim Cook la vera rivoluzione per un’azienda che sotto Jobs era tutta concentrata sui prodotti. Come scrive Jean-Louis Gassé, ex manager di Apple, in una sua analisi sui 40 anni della Mela, «Nei 5 anni sotto Cook, Apple persevera nel suo ‘Think Different’, e lo fa in modo differente dal pensiero di Jobs. Ora Apple paga dividendi, supporta attivamente cause legate ai diritti civili, massimizza il riciclaggio e fa massiccio uso di fonti rinnovabili». E potremmo aggiungere il tema della privacy, in cui Apple si erge (non senza ritorni di marketing, sottolineano i maliziosi) a paladina dei cittadini contro l’invadenza dei governi. Una «Apple 3.0» come la definisce Gassé, che affronta in modo nuovo un mondo in rapido cambiamento.
L’analista Horace Dediu ricorda che l’azienda è arrivata ad avere un miliardo di dispositivi attualmente in uso nel mondo. Rammenta inoltre l’elevato livello di fedeltà al marchio e conclude: «La dimensione e la lealtà del pubblico Apple porteranno a un’ulteriore crescita. Anche nei prossimi 40 anni ci sarà un’ampia fetta di consumatori disponibile a spendere per qualunque cosa Apple creerà». Nel futuro, dopo altri iPhone e iPad e Watch, può esserci lo sbarco nel mondo dell’auto: con la Apple Car potrebbe partire l’era 4.0 della Mela.

(questo articolo è stato pubblicato sul Corriere Economia di lunedì 4 aprile)

immagine dal sito Ubergizmo (http://www.ubergizmo.com/2012/08/adobe-stops-flash-development-for-android/)

Addio Flash Player: da oggi l’app per visualizzare i contenuti in Flash, ancora molto diffusi sui siti Internet, sparisce dal Play Store, il negozio virtuale di applicazioni di Google per smartphone e tablet Android. L’annuncio di Adobe, l’azienda proprietaria di Flash, era arrivato qualche mese fa ma la decisione diventa operativa proprio dal 15 agosto. Per chi ha un terminale con l’app già installata, i contenuti in Flash attraverso il browser Android continueranno a essere visibili, anche se il Flash Player non verrà più aggiornato. Per chi compra oggi un terminale Android invece niente più Flash (o meglio, per averlo sarà necessario ricorrere all’installazione manuale di un file .apk del Flash Player, operazione non certo da geni informatici ma non alla portata né nell’interesse dei milioni di utenti comuni che si mettono un telefono Android in saccoccia) con l’eccezione dei modelli “certificati” da Adobe. (altro…)

Con un po’ di perfidia il Wall Street Journal ricorda che la paga di Steve Jobs era di “un dollaro”. Quella di Tim Cook, l’erede del guru californiano alla guida di Apple, nel 2011 è stata di 377.996.537 dollari. Non troppo lontana dalla soglia psicologica, impressionante, dei 400 milioni di biglietti verdi. Al cambio il nuovo amministratore delegato di Cupertino ha ricevuto oltre 295 milioni di euro.

In verità Cook non si è messo in tasca la somma, perché il suo stipendio per il 2011 ammonta a “soli” 900 mila dollari (100 mila in più del 2010, in cui ricopriva il ruolo di Coo, Chief operating officer). Il resto gli è stato attribuito in azioni della società (link: il documento di Apple), che non potrà vendere prima del 2016 (una metà, l’altra nel 2021). Un ottimo incentivo per restare in azienda e continuare a dare il meglio di sé, insomma. E inoltre una “ricompensa” per aver gestito la delicata transizione degli ultimi mesi di Steve Jobs, che Cook ha sostituito temporanamente nel 2009 e a inizio 2011, prima del definitivo cambio di testimone lo scorso agosto. Una transizione che l’azienda della Mela morsicata deve sicuramente ancora completare, tanto a livello organizzativo quanto “psicologico”, ma che Cook sta governando con sicurezza. Almeno a giudicare dal gradimento dei mercati: il titolo Apple al Nasdaq ha toccato proprio ieri il massimo storico, a oltre 427 dollari (chiudendo poi a 421).

(sì, la paga di Jobs era di 1 dollaro, ma nel 2006 ne ricevette 646 milioni in azioni. Cook ha ancora un po’ di strada davanti, quindi. Anche in questo campo)

Così l’agenzia Reuters:

L’ad di Apple, Tim Cook, ha ricevuto un compenso una tantum in azioni pari a 376 milioni di dollari, il più elevato elargito dalla società negli ultimi dieci anni. Il board della società ha assegnato a Cook un milione di restricted stock unit (RSUs) per evidenziare la fiducia nell’amministratore delegato dopo che Steve Jobs, morto ad ottobre, gli ha affidato il timone della società produttrice di iPhone e iPad lo scorso agosto.

Il compenso, metà del quale potrà essere incassato nel 2016 e l’altra metà nel 2021, è stato valutato oltre 376 milioni di dollari, sulla base del prezzo di chiusura delle azioni di Apple il 24 agosto 2011, come ha spiegato ieri la società. Apple ha precisato che il pacchetto di azioni dato a Cook rappresenta uno strumento per trattenerlo e di incentivo, nonché un riconoscimento per aver gestito la società nel periodo di assenza di Jobs per malattia. Jobs è morto lo scorso ottobre dopo una lunga battaglia contro un cancro.


Il 9 gennaio 2007 Steve Jobs presentava al Macworld il primo iPhone, che avrebbe debuttato nei negozi in giugno e sarebbe arrivato in Italia solo l’anno seguente nella versione 3G.

Cinque anni sono pochi nell’industria, molti nella tecnologia e un’era geologica nella telefonia.

Devo ammettere che all’epoca trovai lo slogan “Apple reinventa il telefono” improvvido e pure un po’ “sborone”. Non pensavo, come molti altri, che la Mela sarebbe stata in grado di avere un tale impatto su un mercato così consolidato e così ampio come quello della telefonia mobile. Ed ero in buona compagnia a dare troppo peso ai limiti prettamente tecnologici dell’oggetto. E, pur essendo affascinato (come tutti) dalla bellezza del design e dagli “effetti speciali” dell’interfaccia (dallo “pinch zoom” con le due dita alla rotazione del display gestita dall’accelerometro), non ero affatto convinto che si potesse sopravvivere senza una tastiera fisica a portata di dita.

E invece 5 anni dopo è facile (molto facile) dire che aveva ragione Jobs. Non solo per i circa 150 milioni di pezzi venduti. Non solo perché Apple è passata da zero al primato nel settore smartphone. Ma soprattutto per l’impatto sull’industria dei telefoni: touchscreen, multitouch, sensori di prossimità e di movimento. Più in generale, a livello di paradigmi (come dicono quelli che parlano bene) ha segnato la prevalenza del software sull’hardware e dell’esperienza utente sulle specifiche tecniche. Siamo sempre più “smart” (web, social network e instant messaging, mappe, video e così via) e sempre meno tradizionalmente telefonici (voce e sms). Per tacer di concetti alla base dei moderni smartphone come le “app” e gli “app store” che dal mondo della telefonia sono debordati in settori contigui come quello del computing tradizionale (vedasi Mac App Store e il futuro Marketplace per Windows 8).

Che si veneri il Melafonino come una divinità post-moderna o che lo si schifi come simbolo del tecno-consumismo più modaiolo, è innegabile che Apple ha davvero “reinventato” il telefono. Ed era meritato il posto che Jobs riservò in quella presentazione accanto a due prodotti davvero rivoluzionari di Cupertino, il Macintosh e l’iPod (in compartecipazione con iTunes).

Non siete ancora convinti? Ricordatevi che nel 2007 i cellulari erano delle robe così:

Oggi invece li chiamiamo smartphone e sono diventati così:

 

Per chi ha voglia di rivedersela, la presentazione dell’oggetto da parte dell’Incantatore di serpenti:

Immagine anteprima YouTube

 

 


La “Flash War” è finita. E ha vinto un signore con girocollo nero e jeans, che qualche anno fa ha deciso di non inserire sui suoi telefoni e tablet (e persino computer) il Flash Player di Adobe. Perché affossa la batteria, rallenta il sistema, apre buchi nella sicurezza del device (e gli fa vendere molti meno giochini dall’App Store, ma con quel signore c’erano sempre almeno due verità come racconta la sua biografia). Insomma Jobs l’aveva vista lunga un’ennesima volta. (altro…)


L’uomo era sobrio e minimalista almeno quanto era magnetico, geniale, creativo, visionario e tutti gli altri aggettivi (comprensibilmente) retorici che oggi si riverseranno in rete, sui giornali e in tv. Quindi capiteci se almeno qui  tagliamo corto.
E’ impossibile non notare che la morte di Steve Jobs arriva il giorno dopo il lancio di  un oggetto che secondo diversi commentatori è l’inizio della fine della magia di Apple. La normalizzazione di Cupertino. La trasformazione da rivoluzionari e precursori in banali duplicatori dei successi del passato (fin che durano). Insomma, un telefono come l’iPhone 4S che pare uguale a un altro lanciato 16 mesi prima, come sintomo e simbolo che Apple ora è cieca senza il suo leader radbomante. Quello che negli ultimi 16 anni ha azzeccato una mossa dietro l’altra, centuplicando il valore delle azioni e portando un’azienda di nicchia – venerata ma pur sempre di nicchia – a essere la prima società al mondo per capitalizzazione, il brand più amato, la lepre da inseguire per tutti.

Ma le cose stanno davvero così? (altro…)