di Paolo Ottolina - @pottolina

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Qualche settimana fa abbiamo provato il P40 Pro di Huawei, raccontando i molti pregi e il problema non trascurabile dell’assenza delle app e dei servizi Google. Nel frattempo la casa cinese ha continuato a lavorare: negli ultimi tempi, per limitarsi alle ultimissime notizie, ha imbarcato sul suo store AppGallery applicazioni per i pagamenti e l’home banking come SatispayHype di Banca Sella e Ubi Banca, oltre a Dazn (qui trovate un’analisi della galassia dei servizi Huawei, già attivi e in arrivo).

Nel frattempo la casa cinese fa debuttare un’altra versione del P40 Pro, chiamata Pro+ (Pro Plus). Quest’anno anche Huawei si è adeguata al nuovo trend di smartphone che possiamo definire ultra-premium, con caratteristiche ancora più elevate di quelle dei modelli che fino all’anno scorso erano i top di gamma. Anche i prezzi sono ultra-premium: per il P40 Pro Plus, appena arrivato in Italia, si parla infatti di 1.399 euro. Quanti esemplari vengano effettivamente venduti di questi modelli super-costosi non è dato sapere, ma tutti gli indicatori ci dicono che solo Apple, con i suoi iPhone 11 Pro e Pro Max, muove volumi significativi quando si parla di telefoni da 1.200-1.300 (e oltre) euro.

HUAWEI P40 PRO+ (4)

Il P40 Pro+ di Huawei per di più è penalizzato dall’assenza dei servizi Google. Il senso di  questo dispositivo è allora, ancor più che nel P4o Pro, nella fotocamera, che allinea caratteristiche tecniche assolutamente straordinarie per uno smartphone. Una spia degli enormi progressi che Huawei ha fatto in questo ambito, investendo cifre rilevantissime con la partnership di Leica. Su questo Pro Plus c’è una “penta-cam” Ultra Vision Leica. C’è il sensore principale da 50 MP, dotato di un sensore su misura e di un filtro array RYYB, il primo al mondo a supportare il Full Pixel Octa PD AutoFocus,  che dovrebbe garantire una messa a fuoco senza imprecisioni a prescindere dalla complessità della scena e dalle condizioni di luce. A questo sensore si aggiunge un set di altre 3 fotocamere. C’è l’ultra-grandangolo da 40 MP, molto luminoso per un ultrawide (f/1.8) e con sensore molto grande per uno smartphone (1/1.54″). E ci sono ben due teleobiettivi. Uno con zoom 3X e un altro con zoom ottico addirittura 10X, grazie a un design inedito, estremamente sofisticato, basato su un  sistema periscopico con doppio prisma. Completa il set un ToF (Time of Flight, tempo di volo) per migliorare i ritratti. A livello di design, il Pro+ ha un retro della scocca realizzato in nano-tech ceramica (bianca o nera), e parlando di specifiche tecniche rispetto al P40 Pro abbiamo ben 512 GB di memoria interna mentre il processore resta il medesimo, il Kirin 990.

Cercheremo di provare le capacità fotografiche del P40 Pro+ nelle prossime settimane.
Nel frattempo, Huawei – oltre a lavorare sull’ecosistema delle app (un punto chiave per restare a galla e superare il veto Usa che l’ha privata della collaborazione con Google) – spinge sul fronte delle offerte commerciali. Per l’estate (fino al 31 agosto) l’azienda propone delle promozioni legate ai dispositivi recenti, come P40, P40 Pro, P40 Pro +, P40 lite e Y Series. “Oggi, la richiesta degli utenti è quella di avere device connessi che dialoghino tra di loro senza soluzione di continuità. Per questo abbiamo costruito un vero e proprio ecosistema fatto da prodotti, come smartphone, tablet, PC, cuffie o wearable ma anche, e soprattutto, servizi, come Huawei Video, Huawei Music o Huawei Cloud e, naturalmente Huawei AppGallery. Dato che l’estate è il momento di condivisione per eccellenza, abbiamo lavorato con le aziende per offrire a tutti gli utenti promozioni vantaggiose come sconti su viaggi, voucher, buoni o crediti per i propri acquisti” dice Isabella Lazzini, Marketing & Retail Director Huawei CBG Italia. Le varie offerte riguardano Cloud, Musica e Video, oltre ad accessori quali le cuffiette Freebuds 3i o il Huawei mini speaker. Ma sono legate anche ad aziende terze, come Alitalia, Italo, Hype, Burger King, Satispay, AliExpress (i dettagli sulla pagina Huawei Summer Campaign). Lo sforzo di Huawei è evidente: completare la “traversata del deserto”, tamponando l’assenza di Google con offerte allettanti, con la qualità hardware e con l’ecosistema (ne abbiamo parlato qui). In attesa  che l’App Gallery diventi più matura e ricca. O che, magari dopo le prossime elezioni presidenziali Usa, lo scenario legato a Google diventi meno duro per la casa di Shenzhen.

(articolo pubblicato su Corriere Economia di lunedì 23 gennaio 2017)
andy-rubinIl mercato dell’elettronica di consumo quest’anno toccherà i 754 miliardi di dollari (dati Ces Las Vegas). Di questi, il 47% saranno frutto degli smartphone che dunque continuano a essere la forza trainante del settore. Una forza stanca, però: secondo le previsioni, quest’anno il fatturato totale sarà di 432 miliardi, contro i 431 dell’anno scorso. Un sostanziale stallo: i mercati più ricchi sono saturi e non bastano quelli emergenti per continuare a correre (solo 3 anni fa la crescita era stata del 21%). Sorprende quindi che ci siano start-up che puntino sull’hardware e sugli smartphone. Tanto più se non parliamo di una delle tante aziende cinesi che lanciano prodotti low cost più o meno scopiazzati dai big del settore. L’idea arriva invece dagli Stati Unit, come ha anticipato Bloomberg: un’azienda chiamata Essential sta lavorando a un super-smartphone che vuole competere con i top di gamma come iPhone, Samsung Galaxy S o Google Pixel. Il suo punto di forza sarà un sistema di intelligenza artificiale, a bordo anche di altri oggetti smart prodotti dalla start-up. Prima di liquidare la faccenda come folle o inconsistente è bene aggiungere che il regista dell’operazione non è uno qualunque, ma è Andy Rubin. Ovvero il padre di Android, il sistema operativo mobile di Google che domina il mercato, installato su quasi l’88% degli smartphone in circolazione. Informatico, nato nel 1963 nello stato di New York, Rubin ha prima fondato Danger, azienda che ha prodotto uno dei primissimi smartphone, un anti-BlackBerry con tastiera estraibile (Danger fu acquisita da Microsoft). Poi ha creato Android Inc., che nel luglio 2005 passò sotto il controllo di Google, insieme ai suoi dipendenti. Lì cominciò l’ascesa di Rubin, man mano che il robottino verde (logo del sistema operativo) si trasformava da promettente idea a forza dominante del mercato dei device mobili. Fino al 2013 quando Rubin fece un passo indietro, lasciando spazio a Sundar Pichai, oggi ceo di Google. Andò ad occuparsi di robotica, una delle sue grandi passioni. Un anno dopo Andy lasciò definitivamente il colosso di Mountain View. Una separazione che ha fatto discutere e lasciato molti interrogativi. Non solo perché Rubin faceva parte del circolo ristretto di Larry Page ma anche perché Rubin era Android. Lo era letteralmente: «Android» era il soprannome che i colleghi gli diedero nel 1989 quando lavorava in Apple, un po’ per l’assonanza «Andy-Android», un po’ per l’amore per i robot. Android.com è stato persino il suo sito personale fino al 2008.

Leggi l’intervista di Rubin al “Corriere della Sera”

Finita l’avventura con Big G, è cominciata quella di Playground Global, un incubatore di start-up che ha raccolto 300 milioni di dollari di finanziamenti e si è concentrato su trend emergenti quali intelligenza artificiale, robotica e realtà aumentata. Anzi su un concetto di fondo ancora più audace: l’idea che il mondo reale può interagire con Internet e con i dati. «Penso che la nuova opportunità sia prendere dati da fonti offline — ha spiegato Rubin a Bloomberg — e non dal cloud. Qui è dove entrano in gioco i robot. I robot si spostano, li si può dotare di sensori che percepiscono l’ambiente, farli interagire e apprendere da queste azioni. Se fai cose nel cloud, resti imprigionato nella nuvola». In Playground Rubin e il suo team, 15 ingegneri con esperienze differenti, stanno incubando una quindicina di aziende. C’è chi lavora sui computer quantistico, nuova (e quasi fantascientifica) frontiera dell’informatica, e chi pensa a portare l’intelligenza artificiale a nuovo livello. Rubin è convinto che la AI (Artificial Intelligence) sia la prossima ondata che sconvolgerà la tecnologia. «I cambi di scenario nell’informatica accadono ogni 10-12 anni. Qual è il prossimo? Riguarda i dati e gli esseri umani che insegnano alle AI come imparare» ha detto nel giugno scorso alla Bloomberg Technology Conference. Per questo, si ritiene che la sua Essential punterà per il futuro smartphone anche sull’intelligenza artificiale, un terreno di battaglia che vede in pista tutti i big (da Amazon a Google, da Microsoft a Apple, da Samsung a Huawei).

Che cos’altro si sa di questo fantomatico telefono? Dovrebbe avere uno schermo più grande dell’iPhone 7 Plus (5,5 pollici) ma avere dimensioni più compatti grazie a bordi ridottissimi. Sarà in materiali pregiati, in metallo e ceramica ad alta resistenza: lo produrrà la cinese Foxconn. Lo schermo sarà in grado di recepire differenti livelli di pressione, come l’iPhone. Ma in più, gli ingegneri al lavoro con Andy Rubin starebbero studiando uno speciale connettore magnetico in grado di espandere e aggiornare le funzionalità del dispositivo. Ad esempio con accessori quali una videocamera sferica a 360 gradi. La data di arrivo sul mercato è stimata, secondo l’anticipazione di Bloomberg, intorno a metà 2017 con un prezzo simile a quello dell’iPhone 7 (650 dollari). Con Rubin è al lavoro una squadra di esperti hardware e software, molti dei quali ex Google ed ex Apple. Uno dei più stretti collaboratori è un italiano: il giovane Niccolò De Masi, nominato presidente e Coo (Chief Operating Officer) dell’azienda. De Masi è stato per anni ad di Glu, azienda di videogame per dispositivi mobili: nel 2015, a 33 anni, fece notizia per la paga record di 7,7 milioni di dollari l’anno (più di Zuckerberg) . «L’abilità di Rubin — racconta a Business Insider una fonte anonima che lo conosce bene — è di attirare talenti e di convincerli ad avere fiducia nel percorso che lui ha scelto. È il suo tocco magico».

OnePlus è l’unica start-up nel settore dei dispositivi mobili che è riuscita a dotarsi di un’identità ben definita: quella di marchio “di nicchia”, ma capace di produrre smartphone (soprattutto OnePlus One e OnePlus 3) in grado di competere alla pari con i migliori top di gamma dei colossi.
Di certo è di aiuto avere alle spalle un gigante come BBK, sconosciuto dalle nostre parti ma con ben due brand (Oppo e Vivo, vedi l’approfondimento sui marchi cinesi) nella top 5 mondiale delle vendite. Se Oppo e Vivo prosperano sul mercato cinese, OnePlus – gestita in maniera autonoma – attacca con decisione altri continenti, tra cui quello europeo. Con l’idea di puntare solo e soltanto sui flagship, i telefoni di fascia alta. Modello dopo modello, OnePlus rinnova la promessa di creare un “flagship killer”, un telefono con caratteristiche tecniche ed estetiche molto elevate, ma con prezzo da fascia media. Dopo soli 6 mesi, OnePlus “pensiona” il suo OnePlus 3 e lo rimpiazza con OnePlus 3T. Non perché non abbia avuto successo (è anzi finito a ripetizione “out of stock”) ma per la volontà di limare alcune imperfezioni del modello precedente. OnePlus 3 (vai alla nostra recensione) offriva un’ottima esperienza ma oggettivamente c’erano alcuni dettagli che potevano essere ritoccati. E così è stato. 3T, dove la “T” sta per Turbo oppure per “la lettera che viene dopo la ‘S’ usata da iPhone e altri”, è un OnePlus 3 con lo stesso design ma con un nuovo processore, una batteria migliorata e una fotocamera anteriore portata ai livelli di quella posteriore.

3T sostituirà del tutto il 3, che esce dal mercato. Perché farlo dopo neppure 6 mesi? Lo spiega il fondatore e Ceo di OnePlus, Pete Lau: “In OnePlus siamo costantemente alla ricerca del miglior prodotto e della user experience ottimale per i nostri clienti, che sono tra i più competenti ed esigenti al mondo in fatto di tecnologia. Abbiamo sviluppato OnePlus 3T per apportare migliorie significative consentite dalle nuove tecnologie, e permettere così ai nostri clienti di non dover attendere oltre per ottenere la migliore esperienza possibile”. Qualche possessore di OnePlus 3 potrà essere irritato (o peggio) dalla mossa. ma l’idea ha un suo perché ed è in effetti in linea con la filosofia del “Never Settle“, mai accontentarsi, che è lo slogan di OnePlus fin dalla sua nascita.

Screenshot (22 nov 2016 00-01-39)Con 3T, OnePlus introduce per la prima volta (almeno in Italia) il nuovo processore Qualcomm Snapdragon 821 (2,35 GHz). A questo si aggiungono l’enorme quantitativo di 6 GB di Ram già visti su OnePlus 3 (qui utilizzati in maniera molto efficiente) e 64 oppure 128 GB di memoria interna. Spazio dati non espandibile, per precisa scelta: “Avevamo provato a introdurre lo slot micro SD con OnePlus X ma la schedina esterna pregiudica le prestazioni ottimali. Per questo non la inseriremo più sui nostri smartphone”, ci ha spiegato un portavoce di OnePlus. Ancora una volta una scelta che potrà trovare qualche critica, ma che non fa una grinza a livello di motivazioni, se inquadrata nell’ottica di offrire le migliori prestazioni possibili. In effetti, 3T vola letteralmente in tutte le situazioni e sull’app di benchmark Antutu fa segnare 165 mila punti: secondo solo a iPhone 7 e superiore a tutti gli altri smartphone Android.

Abbiamo apprezzato anche l’autonomia migliorata: grazie ai 3400 mAH (rispetto ai 3000 del modello precedenti) si arriva agevolmente a sera (con 5 ore abbondanti di schermo attivo), grazie anche alle buone prestazioni energetiche garantite dallo Snapdragon 821. E poi c’è un altro aspetto apprezzabile di OnePlus 3T: la ricarica super-rapida che l’azienda chiama Dash Charge. È una delle tecnologie di ricarica più veloci sul mercato: in mezzora ricarica il 3T fino al 60% circa. Se qualcuno ha qualche timore di un caso “Note 7 bis”, con esplosioni o surriscaldamenti anomali, OnePlus si premura di chiarire che “Dash Charge si surriscalda meno di altre soluzioni di ricarica rapida in quanto trasferisce più corrente spostando il processo di gestione dell’alimentazione dal telefono all’adattatore Dash Charge, in modo che la grande maggioranza del calore generato durante la carica non raggiunga mai il dispositivo”. La critica è che il mercato delle ricariche rapide si è purtroppo frammentato in maniera fastidiosa: se avete un alimentare a ricarica rapida Samsung ad esempio non lo potete usare su questo OnePlus. E viceversa.

La fotocamera posteriore ora è protetta da un vetro zaffiro antigraffio. I megapixel restano 16, ma la cosa interessante è che anche i quelli della camera anteriore diventano 16: lavora bene anche in situazioni di luminosità ridotta e i selfie (per chi è interessato all’argomento) sono davvero superlativi.

Il design di OnePlus 3T rimane quello del 3, con l’eccezione del colore Gunmetal Gray (grigio scuro), che trovo più piacevole del precedente color argento, ma che allo stesso tempo accentua l’effetto simil-Htc del retro. Per tutte le altre caratteristiche (a partire dallo schermo Full Hd Amoled da 5,5 pollici) rimandiamo a quanto detto per OnePlus 3.

Il software è Android 6.0.1 con interfaccia Oxygen OS: il fatto che non un’azienda così attenta ai dettagli non proponga subito Android 7.0 (arriverà entro fine anno con un aggiornamento) è fonte di piccola delusione, ma conferma anche la difficoltà a proporre aggiornamenti Android tempestivi. Aggiornamenti che pure continueranno ad arrivare anche per OnePlus 3.

Il prezzo del 3T sale di un po’: 439 euro, 40 in più di OnePlus 3. Si scollina “psicologicamente” nella fascia oltre i 400 euro, un territorio difficile per un’azienda che vende ancora esclusivamente online (e neanche su Amazon ma solo dal proprio store). Però il prezzo resta “giusto” per quanto OnePlus 3T propone. Anzi, il modello suggerito è quello da 128 GB, che richiede altri 40 euro in più (479), a fronte dei 110 in più che – giusto per non far nomi – richiede una Apple per passare da 64 a 128 GB.
Insomma, se la decisione di lanciare un “upgrade” dopo pochi mesi è contestabile, OnePlus 3T è invece una solida conferma del buon operato della giovane azienda di Shenzhen.

Ne resterà solo uno? Come nel film Highlander anche il mercato degli smartphone è una lotta a eliminazione. In uno scenario estremamente competitivo, l’asse si sposta sempre di più a Oriente. O meglio in Cina, che occupa stabilmente tre dei primi 5 posti tra i produttori che vendono di più: Huawei (7,3% del mercato nel 2015 Gartner), Lenovo-Motorola (5,1%) e Xiaomi (4,6%). Davanti ci sono Samsung (22,5%) e Apple (15,9%), unica occidentale. Per entrambe però si profila un anno complicato.

Samsung

L’azienda coreana ha chiuso bene il 2015 ma nell’anno le sue quote sono scese (-2,2% per Gartner, -1,7% per Idc), anche se le consegne globali sono moderatamente salite, superando i 320 milioni di pezzi. Per il 2016 è l’azienda stessa a parlare di «difficoltà a sostenere il livello degli utili a causa della domanda globale più debole sull’IT». Continuerà lo snellimento del portafoglio prodotti, che era diventato fin troppo ampio. Si punterà di più sui servizi, con Knox (sicurezza) e Pay, creati sotto la guida del nuovo numero uno della divisione Mobile, D.J. Koh. Al Mobile World Congress hanno debuttato i top di gamma Galaxy S7 e S7 Edge. Un bel colpo di immagine è stato l’ospite dell’evento, Mark Zuckerberg, che ha rilanciato l’alleanza sulla Realtà virtuale. Il settore è pionieristico ma chissà che l’asse con FB non diventi strategico anche per allentare i lacci dell’alleanza con Google. E alle Olimpiadi di Rio Samsung sarà, come già a Londra 2012, tra i main sponsor.

Apple

Come Samsung, anche Apple dovrà fare i conti col raffreddamento della fascia alta di mercato. La Cina che frena è un altro problema per Tim Cook che, secondo i rumor, avrebbe dato già ordine alle fabbriche asiatiche di rallentare la produzione dell’iPhone. A metà marzo l’azienda di Cupertino è attesa al lancio di un nuovo iPhone più economico (anche se non low cost, prezzo intorno ai 500 euro). Prosegue la diversificazione: Apple Watch secondo Idc ha venduto (in 9 mesi) 11,6 milioni di pezzi. Meno di alcune stime ma, visti gli alti margini, quanto basta per compensare il calo di altri prodotti come gli iPad. Oltre il 90% degli utili globali dell’industria degli smartphone è della Mela.

Huawei

Il futuro sembra decisamente promettente per Huawei: nel 2015 è decollata, con vendite cresciute del 53%. Merito di un brand che acquista riconoscibilità e dell’attacco a due punte: oltre al marchio principale, funziona bene anche Honor, con buoni prodotti venduti a prezzi aggressivi sfruttando l’online (ma in Italia è sbarcata anche in alcune catene di elettronica). L’ultimo nato, Honor 5X, sarà tra i probabili bestseller dell’anno. Huawei ora si allarga a settori finora non battuti: come i pc, con il nuovo ibrido MateBook che usa Windows 10.

Lenovo-Motorola

Lenovo ha chiuso un anno difficile, in cui ha scontato le difficoltà dell’acquisizione di Motorola. Per ripartire punta su due marchi: Moto, che prende il posto di Motorola, e Vibe (Lenovo). Nel frattempo proseguono le economie di scala e le razionalizzazioni, mentre in estate debutteranno gli avveniristici dispositivi Project Tango, sviluppati insieme a Google, capaci di analizzare l’ambiente reale grazie all’uso di nuovi sensori. Un passo nel futuro che mostra il potenziale nella ricerca dell’azienda guidata da Yang Yuanqing.

Xiaomi

Infine Xiaomi, ancora un oggetto misterioso dalle nostre parti ma leader di mercato in Cina. Liquidata spesso come clone cinese di Apple, l’azienda creata meno di 6 anni fa da Lei Jun ha costruito un solido ecosistema software, con una enorme community che contribuisce agli aggiornamenti dell’interfaccia MiUi (installata su oltre 170 milioni di terminali). L’altro pezzo della strategia è nella costruzione di una galassia di startup. Xiaomi vende di tutto, dai purificatori d’aria ai pupazzetti di peluche. Il gioiello della corona è Segway, le «bighe elettriche» acquisite lo scorso anno. Proprio al Mobile World Congress di Barcellona Xiaomi ha tenuto il primo evento europeo per il top di gamma Mi5: una presentazione per pochi intimi, nulla di paragonabile a quella faraonica di Samsung, ma le parole dal palco di Hugo Barra (strappato da Lei Jun a Google nel 2013) fanno intuire che l’assalto ai mercati extra-cinesi arriverà, a partire dagli Stati Uniti. Con l’obiettivo di vendere più telefoni di fascia alta.

Lg e gli altri

Al di sotto della top 5 cresce la quota dei cosiddetti others, il calderone degli altri marchi: supera il 44%. Lì dentro si trovano anche nomi con quarti di nobiltà per il settore. Da Lg a Sony, da Microsoft a Htc. Di queste è la prima ad avere più chance di restare in scia alle 3 cinesi: a Barcellona ha rilanciato con il G5, primo smartphone modulare e il know how dell’azienda negli schermi a tecnologia Oled (i più promettenti per il futuro) è un punto di forza. Microsoft ha snobbato Barcellona e Windows 10 su smartphone non decolla. Per molti analisti è possibile un disimpegno dalla produzione diretta dei dispositivi, affidandosi ai partner come Hp, che ha appena lanciato l’Elite x3, una sorta di anello di congiunzione tra telefono e pc. «Ma attenzione a stabilire gerarchie, perché il ricambio nel settore è velocissimo — spiega Carolina Milanesi, capo analista di Kantar Worldpanel —. La soglia d’ingresso è molto bassa e a differenza del mercato dei pc degli anni Ottanta, è possibile fare profitti trovando spazio in una nicchia. Un caso è quello della francese Wiko, ad esempio»


Nella seconda metà dell’anno il mercato degli smartphone non starà certo a dormire. Sono in arrivo modelli importanti, attesi dagli appassionati. A partire dal Nokia Lumia 1020, il cosiddetto Eos, con fotocamera Pureview da 41 Megapixel: sarà svelato l’11 luglio a New York. Ma poi arriveranno anche il Samsung Galaxy Note 3, il nuovo iPhone (5S?), il cosiddetto Moto-X di Motorola/Google, solo per citare i più anticipati dai rumors.

Guardandoci indietro abbiamo voluto provare a stilare una classifica dei 10 migliori smartphone disponibili al 30 giugno. Eccola:

Clicca sull’immagine per andare alla top 10 >>>

Video: le nostre recensioni  degli smartphone >>>

(altro…)

È sempre più “smartphone che passione” nel nostro Paese. Complice il taglio dei prezzi e la progressiva sostituzione dei “dumbphone” (i normali telefonini) con modelli smart-, siamo arrivati alla bella cifra di 20 milioni (dati freschi freschi Ipsos MediaCT).
Qualcuno di voi gira ancora con un normalissimo e banale telefonino? Se sì, perché? Se avete voglia raccontatecelo qui sotto.

A seguire l’Ansa di oggi, firmata dalla collega Titti Santamato: (altro…)

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