Basso profilo qui a Barcellona per Samsung, il marchio che l’anno scorso si è affermato non solo come alternativa a Apple ma anche come leader del ricco mercato Android grazie a prodotti quali Galaxy S2, Galaxy Note e Galaxy Nexus. I coreani non hanno tenuto una conferenza stampa ufficiale, preferendo rimandare l’appuntamento a un evento più avanti nel corso dell’anno (probabile a maggio), quando verrà svelato il Galaxy S3, nuovo portabandiera Samsung.
A Barcellona spazio allora a prodotti più di nicchia e anche originali. Come il Galaxy Beam, uno smartphone Android 2.3 che integra un pico-proiettore, da usarsi per mandare su una parete immagini e video che arrivano anche a 50 pollici di dimensione. Per il resto è un telefono multimediale completo. Può occupare uno spazio interessante per manager, venditori, formatori, docenti e in generale chi parla in pubblico. L’arrivo in Italia non è certo.
Sicuro invece lo sbarco del secondo prodotto che porta il nome Galaxy Note: dopo il primo “phablet” (mezzo phone e mezzo tablet) da 5.3 pollici, entro giugno arriverà un tablet con pennino (caratteristica del Note) da 10.1 pollici. Un prodotto che si aggiunge alla gamma super-completa (pure troppo, al limite della confusione) dei tablet Samsung, una gamma che nei prossimi mesi guadagnerà anche il Galaxy Tab 2, nelle versioni da 7 e 10.1 pollici.
Ecco un video per farsi un idea del Galaxy Beam, girato allo stand Samsung a Barcellona:
Dennis Ritchie se n’è andato 6 giorni fa (ma la notizia si è diffusa in rete ieri). Senza grande clamore, se non fra gli addetti ai lavori. Il che è comprensibile. Non era un venditore e i suoi gadget non sono entrati nelle case di miliardi di persone. Non guidava aziende quotate al Nasdaq. Né faceva keynote ammaliando le folle.
Ma senza di lui non esisterebbero Linux, né Mac Os X. E neppure Windows. E parecchia altra roba. Di fatto Ritchie, una delle colonne dei Bell Labs, ha inventato – con altri – l’informatica moderna. Tra i “figli” di Ritchie c’è Unix, il primo sistema operativo che ha conquistato l’ambiente professionale (server, super-computer). Grazie Unix è nato Linux. E più tardi anche Mac Os X. (altro…)
Le immagini, di scarsa qualità sono state rubate durante un incontro con il ceo di Nokia, Stephen Elop. Quello che il numero 1 della casa finlandese maneggia dovrebbe essere il primo smartphone Nokia con Windows Phone. L’estetica è molto simile all’N9 appena presentato, ma i più attenti hanno notato che il flash si trova in una posizione diversa rispetto al modello con Meego. Si tratterebbe quindi di un telefono differente, nome in codice “Sea Ray”. Le foto arrivano dal sito ungherese Technet.hu, che ha pubblicato anche un video.
Nel frattempo, Elop ha confermato al sito finlandese Iltalehti che N9 – com’era facile ipotizzare – sarà il primo e ultimo modello Nokia con Meego. Peccato, visti i consensi, non entusiastici ma quasi unanimi, letti in rete dopo l’anteprima di N9. E per altro non il modo migliore per venderne almeno qualche migliaio. Come potrebbe insegnare a Elop il signor Osborne.
Direttamente dal Regno dei Morti ecco N9, il primo smartphone Meego marchiato Nokia. Che rischia anche di essere l’ultimo, visto il ritardo abissale (ricordiamo che l’annuncio di Meego risale al febbraio 2010!) con cui arriverà sul mercato, nell’autunno di questo 2011. L’impressione sull’N9 è positiva, a partire dall’interfaccia che porta qualcosa di davvero nuovo: è il primo smartphone che sostituisce il tasto fisico “Home”, quello che sta in basso al centro su iPhone per capirci, con un semplice gesto (una strisciata, “swipe” in gergo, sul bordo del display). I finlandesi sottolineano altri punti di forza del dispositivo, come la scocca del dispositivo ricavata da un unico pezzo di policarbonato (un tipo di plastica) che “offre una migliore prestazione dell’antenna garantendo una ricezione più chiara, una migliore qualità vocale e minori cadute di linea”, come si legge nel comunicato (e la frase potrebbe finire con “Capito, Cupertino?”).
SPECIFICHE RICCHE – N9 arriva con specifiche di fascia alta: un bel display Amoled da 3,9 pollici, vetro ricurvo antigraffio, ottica Carl Zeiss da 8 megapixel autofocus, lenti grandangolo, registrazione video in HD (720p), navigazione veicolare e pedonale gratuita con indicazioni vocali come da tradizione Nokia (e una nuova applicazione “Drive”), decodifica Dolby Digital Plus e tecnologia di post-processing Dolby Headphone per un audio di qualità con qualunque tipo di auricolari, tecnologia Near Field Communication (NFC) per condividere immagini e video tra dispositivi attraverso il semplice contatto (Nfc sarà utilizzabile anche con un accessorio, Nokia Play 360°, una cassa musicale wireless attivabile da un leggero tocco del telefono).
Nokia lancerà N9 in tre colori (nero, blu ciano e magenta) con tagli di memoria (interna) generosi da 16GB o 64GB. Il debutto è previsto “nella seconda metà dell’anno” e i prezzi non sono noti al momento (non costerà poco, va da sé, in rete si parla di cifre tra i 460 e i 520 euro).
FUTURI SVILUPPI – Perché è così importante un prodotto che viaggia su un binario morto, visto che Nokia ha scelto di abbracciare anima e core Windows Phone? Perché come dice Marko Ahtisaari, responsabile Design di Nokia, “i dettagli che oggi rendono unico il Nokia N9 (il design industriale, l’esperienza utente all-screen, nonché un framework Qt per gli sviluppatori) verranno ulteriormente sviluppati nei futuri prodotti Nokia”. Insomma, i Windows Phone Nokia riprenderanno i dettagli di design e non solo di N9. Ma quando arriveranno questi Win Phone by Nokia? E’ stato solo ribadito “entro fine anno”. Possibile, anzi probabile, che il primo venga mostrato al Nokia World, annuale appuntamento clou dei finnici, che è stato fissato a Londra per il 26/27 ottobre.
SYMBIAN E OLTRE – Gli annunci di Nokia, arrivati nel contesto del Nokia Connect di Singapore, dicono altre cose. Ad esempio che Symbian non sarà abbandonato. Non a breve, per lo meno. Arriveranno tre nuovi dispositivi Serie 40 (C2-02, C2-03 e C2-06, tutti e tre anche in versione dual Sim). A luglio sarà installabile su tutti i Symbian^3 (N8, E7, etc) l’aggiornamento Symbian Anna già disponibile sulle novità come l’X7 (lo stiamo provando in questi giorni), mentre nei prossimi 12 mesi saranno rilasciati fino a 10 nuovi smartphone Symbian. Il supporto a Symbian sarà garantito almeno fino al 2016 ma dalla prima metà di Ottobre lo sviluppo non sarà più gestito da Nokia che ha aggiornato le comunicazioni già diffuse: Symbian passa ad Accenture, insieme a 2.800 dipendenti (erano 3.000 nella nota di alcuni mesi fa, 200 che fine hanno fatto?) “Agli inizi di quest’anno abbiamo delineato una strategia completa, basata sull’innovazione, volta a cambiare il corso della nostra azienda – ha detto Stephen Elop, Presidente e Ceo Nokia -. Oggi abbiamo compiuto importanti passi in avanti nello stabilire un nuovo percorso di innovazione: per Nokia sta iniziando una nuova era”. Nel 2012 si tireranno le prime somme su questa nuova era dei finlandesi. Certo, vedendo N9, un po’ di rimpianto c’è. Non è detto che avrebbe permesso alla casa di Espoo di svoltare ed evitare l’abbraccio con Microsoft. Che si riveli salvifico o letale, è un abbraccio che di certo toglie personalità all’ultimo colosso europeo dell’elettronica di consumo.
Oggi è il giorno del rilascio ufficiale di Ubuntu 11.04, la più diffusa e “facile” (user friendly) distribuzione di Linux per pc desktop. La nuova versione (nome in codice Natty Narwhal, narvalo elegante) introduce la rivoluzione Unity. La scrivania “classica” si trasforma radicalmente, adottando l’interfaccia usata per la prima volta nella versione per netbook di Ubuntu 10.10. Una svolta, quella della distribuzione spinta da Canonical di Mark Shuttleworth, che ha sollevato molte critiche, molte obiezioni, molte contrarietà. Non solo di carattere tecnico e di usabilità, ma anche “filosofico”, sui rischi di introdurre un nuovo “fork“, un vero e proprio scisma, in un mondo come quello di Gnu-Linux e dell’open source in cui di certo non mancano particolarismi e divisioni. Ma Shuttleworth ha tirato dritto per la sua strada, giustificando il passaggio a Unity con la volontà di avere un’unica interfaccia per tutte le tipologie di computer (anche per i tablet con touchscreen, che finora si sono tenuti piuttosto alla larga da Ubuntu, con qualche eccezione) e con «l’entusiasmo» (parole del boss di Ubuntu Foundation) mostrato dalla comunità e dai produttori di pc con Linux a bordo (come Lenovo, Acer e altri). Per ora sospendo il giudizio (ho installato la beta da poco), ma di certo Unity su un desktop è spiazzante e va metabolizzata a dovere. Oltre ai siti ufficiali, ai forum di aiuto della comunità, alle super-guide (in inglese) del sito Omg! Ubuntu, qui c’è un ottimo post (in inglese) di Rick Spencer, direttore dell’ingegnerizzazione di Ubuntu. Il collega Silvio Gulizia poi ha preparato un sintetico libretto in .pdf (in italiano) da scaricare.
Grazie a D-Link, ho avuto modo di provare un po’ la Boxee Box. Un oggettino davvero interessante, basato su una piattaforma open versatilissima e dalle grandi potenzialità (basata su Linux, funziona con il concetto dei repositories che aggiungono funzioni al sistema). A seguire il breve pezzo uscito oggi sul Corriere (sulla Boxee ci sarebbe moltissimo da raccontare, a chi mastica l’inglese consiglio il forum ufficiale)
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Il televisore è l’elettrodomestico passivo per antonomasia. Ma da un po’ si parla di «smart tv» (tv intelligente) grazie all’integrazione con il web. I modelli di punta dei principali marchi ormai sono connessi alla rete. Ma per chi volesse Internet sullo schermo del salotto senza spendere 1.000-2.000 euro, ci sono proposte degli operatori telefonici (Cubovision di Telecom o TvBox di Tiscali). E alternative di aziende hi-tech, come Apple Tv o questa (nella foto) compatta Boxee Box di D-Link, dal design curioso e piacevole (è un cubotto inclinato).
I suoi usi sono quasi infiniti. È un mediacenter, intanto: non ha un disco fisso interno ma riproduce qualunque video (anche in Full Hd), collegandosi a un hard disk esterno oppure ai pc di casa attraverso la rete wi-fi. Ha un browser per navigare: il telecomando sul retro ha una mini-tastiera. Permette di vedere film, telefilm e show in streaming. Non manca il lato «social»: con un clic si condividono i filmati preferiti via Facebook o Twitter. Per estendere ancora di più le possibilità ci sono centinaia di applicazioni, sviluppate da una folta comunità.
Il rovescio della medaglia è che l’oggetto è piuttosto complesso da usare ed è consigliato solo agli «smanettoni» . I contenuti, quasi tutti gratuiti, sono di nicchia: mancano film e spettacoli di richiamo. In lingua italiana poi non c’è praticamente nulla. Se cercate queste cose meglio rivolgersi a proposte completamente diverse, tipo Sky o Mediaset Premium.
D-Link Boxee Box Prezzo: 229,90 euro Giudizio: *** su 5
Oggi sul Corriere è uscito questo breve pezzo in cui proviamo a raccontare qualcosa dell’Olipad di Olivetti. Un tablet Android 2.2 di cui si è parlato abbastanza in rete (ancheoltreoceano) soprattutto perché un marchio davvero storico per l’informatica torna sul mercato con un prodotto consumer (ma la clientela business non viene trascurata, come leggerete qui sotto).
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«Back to the future», ritorno al futuro: si legge accendendo il tablet Olipad. Per Olivetti che lo produce è una rivendicazione d’orgoglio e un richiamo alla propria storia. Dai mitici pc anni Ottanta M20 e M24 ai tablet di oggi. La proposta della casa di Ivrea, ora nel gruppo Telecom, arriva sul mercato con un prezzo aggressivo (399 euro), sistema Android e l’ambizione di trovare spazio in aree non coperte da iPad. Nel mirino c’è anche la clientela business: Olivetti offre personalizzazioni in base alle esigenze delle aziende e un «Application Warehouse» di software configurabili.
Ad allettare il pubblico generalista c’è un hardware robusto: processore dual-core Nvidia Tegra 2 da 1 GHz, 1 Gb di memoria Ram, 16 Gb di archivio dati. Oltre a Wi-fi e bluetooth, «di serie» c’è anche un modem 3G (il tablet non telefona, ma gestisce sms). Il sistema Android Froyo 2.2 è nato per gli smartphone ma Olivetti ne ha rivoluzionato l’interfaccia per adattarla a una «tavoletta». Il risultato è buono anche se manca l’Android Market, surrogato da un altro store che ha circa 7 mila «app». Il sistema è discretamente fluido, ma se siete abituati a un iPad non aspettatevi la stessa reattività. Nel complesso però il rapporto qualità-prezzo non è disprezzabile, considerata la presenza di una porta Usb e di un ingresso per microSd.
Olipad è il più promettente ma non il solo tra i tablet a marchio italiano. Uniqo è un piccolo (8″) tablet Android 2.1 venduto da Kiwie(499 euro) e arricchito da una custodia Piquadro. Drake (da 489 euro) è invece l’ultima novità della casertana Ekoore, che punta su Ubuntu Linux come sistema opzionale in alternativa a Windows 7.
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In attesa di un’analisi più dettagliata (con video), qualche considerazione in più sull’Olipad e qualche nota dopo una chiacchiarata con chi ha seguito lo sviluppo del prodotto in Olivetti:
– Olivetti ha voluto uscire ora per cercare uno spazio sul mercato prima dell’ondata di tablet Android 3.0 in arrivo nei prossimi mesi
– Olivetti lavora su un tablet 3.0, che non sarà però questo primo Olipad che (ipse dixit) “nasce e muore con la 2.2”
– il tablet è un filo pesante e un po’ spesso, ma sono considerazioni che si fanno facilmente se si è abituati alle dimensioni di iPad.
– l’Olipad arriva sul mercato a un prezzo che è quasi la metà dell’equivalente Apple (399 contro 599) e dell’unico credibile Android già nei negozi (il Galaxy Tab, che attualmente si trova tra i 589 e i 699 euro).
– l’hardware ha molti punti di contatto con il Viewsonic G-Tablet perché arrivano dallo stesso produttore cinese (Malata) ma Olivetti “ha influenzato lo sviluppo delle carattteristiche” (che infatti sono un po’ diverse dal G-Tablet), così come ha fatto con l’interfaccia (che non è malaccio ma perde fluidità in certi frangenti e sopratutto perde quasi del tutto i widget attivi sul desktop che sono per me una caratteristica importante di Android). Per chi avesse voglia di smanettare, sarebbe interessante capire se le tante Rom “customizzate” disponibili per il Viewsonic funzionano anche su questo Olivetti
– il difetto più grosso (mancanza dell’Android Market a parte) è il ridotto angolo di visuale del display
E così i “rumors” erano veri: Nokia abbraccia Microsoft e il suo Windows Phone 7. Non è un accordo che viene dal nulla e non tutto va ascritto ai trascorsi in Redmond del nuovo leader dei finlandesi, Stephen Elop. Le intese strategiche sul software tra i due giganti vanno avanti da alcuni anni e se vogliamo questo è solo un ulteriore passo. Un passo ovviamente di ben altro peso rispetto a quelli del passato visto che trasforma Windows Mobile 7 nella piattaforma di riferimento del gigante finlandese (qui il comunicato ufficiale in inglese con tutti i punti dell’accordo, che coinvolge diversi altri “asset” delle due società come Nokia Maps, Bing e i due store online, Ovi e Marketplace).
La situazione di Nokia per certi versi è paradossale: quale altra azienda si strapperebbe i capelli dopo un quarto trimestre 2010 in cui si annunciano un fatturato di 12,65 miliardi di euro (+6%), utili di 1,09 miliardi di euro (in calo del 26%), 28,3 milioni di telefoni venduti in tre mesi (7,5 in più del 2009, +36%)? Numeri pazzeschi. In apparenza. In verità, come chi segue il settore ben sa, le quote di mercato sono declinanti e gli utili pure. Le prospettive poi sono il fattore decisivo: in un documento finito in rete involontariamente (involontariamente? Qui gatta ci cova…) Elop enumerava con brutalità tutti i problemi e gli errori strategici di Nokia degli ultimi anni, nell’era post-iPhone, quando la leadership di mercato mondiale è stata mantenuta sostenendo i volumi ma perdendo i “cuori” degli appassionati e il gradimento dei trendsetter.
“Siamo su una piattaforma petrolifera in fiamme e ci buttiamo benzina sopra […] Abbiamo avuto una serie di mancanze. Non abbiamo innovato abbastanza rapidamente. Non stiamo collaborando internamento. Nokia, la nostra piattaforma sta bruciando”, ha scritto Elop nel “memo” diretto ai colleghi.
Ed ecco la svolta. Nokia è rimasta ostinatamente aggrappata a Symbian, un sistema che ha fatto la storia della telefonia cellulare e che continua a farla (resta il numero 1 anche tra gli smartphone per quote di mercato, anche se Android incalza), ma che non riesce più a reggere il passo del mercato touchscreen. La svolta open di Symbian non ha portato i frutti sperati: di fatto ormai è un sistema Nokia-only, perché i pochi compagni di avventura (Sony-Ericsson, Samsung) hanno abbandonato la nave buttandosi su Google-Android. L’evoluzione promessa con Symbian^3 non è arrivata: una bella rinfrescata ma non sufficiente a raggiungere i rivali. Anche il piano di spostare, o almeno ribilanciare, il focus dall’hardware verso il mondo dei servizi non è riuscito: il mondo Ovi, nonostante il parco utenti potenzialmente immenso, stenta a ingranare (Ovi Store cresce poco per tutta una serie di problemi; Ovi Music è desaparecido insieme all’incompreso servizio Comes With Music). Certo c’è Navteq, un’acquisizione costosa che però produce utili (+85% nel Q4 2010). Ma non può bastare.
E allora ecco l’abbraccio a Windows Phone 7. Vista la storia “open” di Nokia molti tifavano per Android. E invece sarà Microsoft. Un’opzione con molte incognite: WP7 è un buon sistema, potenzialmente ottimo se con i prossimi aggiornamenti sistema le magagne di gioventù che abbiamo 2 provato a raccontare qui, ma è un grosso punto di domanda al momento. Sicuramente ha tante cose che Symbian non ha al momento e che neppure sembra in grado di avere in tempi brevi: velocità, personalità grafica, perfetta aderenza alle necessità dei prodotti touch. La sua alterità dai modelli dominanti (iPhone-iOs e Android) lo può far amare “a pelle” dal pubblico ma anche (forse più facilmente) rifiutare. Microsoft finora non ha dato numeri ufficiali, ma quelli circolati (2 milioni di smartphone ordinati – ordinati e non venduti, attenzione – dal momento del lancio, non sono un flop ma neanche un successone considerato che la gamma dei modelli tra Samsung, Lg e Htc è abbastanza vasta). D’altronde abbracciare Android avrebbe significato buttarsi in un calderone con decine e decine di altri marchi, alcuni dei quali imbattibili nel prezzo al pubblico (pensate a Huawei con il suo ottimo Ideos lanciato a 99 euro).Insomma, la scelta ha senso ma non è detto che paghi o che per lo meno paghi in tempi brevi.
Resta l’affaire MeeGo, a cui gli affezionati linuxari guardano con affetto e attesa, annunciato in pompa magna giusto un anno fa al MWC di Barcellona e scomparso dai radar, almeno a livello di prodotti veri arrivati sul mercato. Nei comunicati di oggi lo si archivia a piè di pagina, trasformandolo in “progetto di sistema operativo open-source” che “metterà l’accento sull’esplorazione del mercato dei device di prossima generazione” (ma si conferma l’arrivo di un terminale MeeGo entro il 2011). Un altro errore strategico di Nokia, un’altra illusione di rilancio su cui i finlandesi si sono troppo a lungo cullati.
(ripubblico qui i due miei pezzi usciti oggi sul Corriere nella ormai consueta pagina sulle tecnologie del Sabato. Il primo è un punto sulla situazione, sopratutto nel mondo desktop, di Linux. Il secondo, che incollo in coda, un super-basico manuale/prova di Ubuntu 10.10 uscito da poco. Agliesperti di Linux diranno poco, ma la speranza è che accendano una minima scintilla d’attenzione in chi si è sempre tenuto lontano dal mondo del software non commerciale…)
La marcia del Pinguino prosegue instancabile ma la meta resta lontana . Ogni anno il movimento di Linux spera nella conquista dei computer domestici. E ogni anno la speranza è disattesa. Le quote di utilizzo del software libero restano bassissime, intorno all’1 per cento (media ponderata su diverse rilevazioni web). Windows è ancora lontanissimo, inattaccabile, con percentuali bulgare.
Eppure il variegato universo di Linux, o meglio di Gnu/Linux come ci tengono a chiamarlo i duri e puri del «Free Software», cresce e ribolle di iniziative. A partire dal Linux Day, che va in scena proprio oggi in 135 città italiane (nel 2009 erano 123). Il tutto nello spirito comunitario e libero che contraddistingue la comunità dell’«open source»: nessun maxi-evento ma tante iniziative «dal basso» gestite direttamente dai locali Linux User Group (gruppi auto-organizzati). Solo a Milano e hinterland ce ne sono ben sei, segnalate sul sito della manifestazione (www.linuxday.it). Sono previsti incontri, conferenze, dimostrazioni e spesso le tradizionali «feste dell’installazione»: si va con il pc portatile notebook e gli esperti, sul posto, installano una versione di Linux e la configurano a puntino.
Un’ottima occasione per rendersi conto dei tanti progressi del Pinguino in termini di usabilità e di compatibilità con l’hardware. «Linux ormai non è più uno strumento per “informatici brufolosi” come nell’immaginario di qualcuno», spiega Luca Menini, uno degli organizzatori del Linux Day e nella vita direttore della Scuola di alta specializzazione ambientale del Veneto. Alcune versioni di Linux, come Ubuntu o Mint, risultano ormai in effetti alla portata di tutti: gradevoli graficamente, «amichevoli» nell’uso, dotate di tutti i software. Che cosa manca allora al Pinguino per diventare un sistema operativo davvero di massa? «Prevalentemente — aggiunge Menini — è un problema psicologico, legato all’abitudine. Il nuovo spaventa sempre. Paradossalmente è più facile far cominciare direttamente con Linux chi è digiuno di informatica piuttosto che convincere al passaggio un utente Windows. Il resto, purtroppo, lo fa l’ampia disponibilità di software a pagamento “piratato”». L’altro problema è che sono ancora poche le aziende e le scuole che hanno abbandonato il software a pagamento per quello libero. «Sarebbero ben contente, anche per ragioni di costi, ma spesso si resta con Microsoft perché i servizi di assistenza e consulenza sono più convincenti», spiega Fabio Marzocca, uno dei padri fondatori della comunità italiana Ubuntu. Si usa Windows in ufficio e di conseguenza si tende a farlo anche a casa.
Eppure, proprio in ambito aziendale, il Pinguino ha conquistato il mercato dei server. L’ultimo baluardo di Microsoft espugnato è la Borsa di Londra: a novembre dovrebbe essere completato il passaggio verso una piattaforma basata su Linux.
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La prova – Ubuntu 10.10Gratis, a prova di virus. Restano i nodi della compatibilitàLinux non è un’entità monolitica. Esiste una serie infinita di versioni, chiamate distribuzioni («distro», in gergo). Da tempo la «distro» più installata è Ubuntu. Una parola di origine africana — scelta per sottolineare lo spirito comunitario «open source» — che si può tradurre con «io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti». Il sistema operativo nasce nel 2004 su iniziativa del sudafricano Mark Shuttleworth: il giovane multimilionario è riuscito a creare un sistema Linux facile, bello graficamente e il più compatibile possibile con le componenti dei pc. Il 10.10.2010 è uscita l’ultima versione, la 10.10. Si scarica (gratis, ovviamente) da ubuntu.com, si masterizza il file su un cd, lo si inserisce nel lettore e si riavvia il computer. Chi non avesse una connessione veloce può ordinare un cd a domicilio per pochi euro.
I passaggi dell’installazione sono chiari e ben illustrati. Per chi vuole mantenere anche Windows sul pc ci sono diverse soluzioni. La prima è provare un «live cd» di Ubuntu: il sistema si carica e si usa direttamente dal cd. L’alternativa è utilizzare un programma chiamato Wubi che installa Ubuntu all’interno di Windows: è sufficiente riservare a Linux un po’ di spazio disco (una decina di Giga, ad esempio). Al riavvio del pc, una schermata chiede se si vuole accedere al sistema Microsoft oppure a Linux. Per eliminare Ubuntu basta disinstallarlo da Windows, come una normale applicazione. Il sistema è interamente in italiano. L’interfaccia grafica è molto piacevole, declinata in tonalità scure (nero-viola) o più chiare. Chi arriva da Windows potrà essere disorientato dalla barra delle applicazioni: nel sistema di Microsoft è in basso, in Ubuntu (basato sull’ambiente desktop Gnome) è in alto. In breve ci si abitua. Tutti i software indispensabili su Windows hanno un equivalente. Basta scoprire qual è. OpenOffice al posto di Office; Firefox è il browser; la novità Shotwell per gestire le foto. E così via. Facebook e Twitter sono già integrati nel sistema. Quello che manca si può aggiungere attraverso il pratico Ubuntu Software Center: si cerca l’applicazione desiderata (tutto gratis anche qui) e la si ottiene con un clic. Insomma, tutto semplice e «amichevole». E i virus sono un ricordo. Per i meno smaliziati però non tutto è così banale. La compatibilità hardware è elevata ma non perfetta: il rischio di avere una stampante, uno scanner o una scheda wi-fi inutilizzabili è ancora reale. Nulla che spesso non si possa risolvere con l’aiuto della comunità Linux (forum o blog), ma qualche problema resta. In assenza di iTunes, ad esempio, la gestione dei gadget Apple è ancora faticosa. E non tutti i software disponibili per Windows hanno una controparte nel mondo «free». Un pc «dual boot», ovvero due sistemi operativi sullo stesso computer, è consigliabile: si può prendere il meglio dei due mondi, «free» e a pagamento, senza pagare dazio.