di Paolo Ottolina - @pottolina

Categoria "internet"

La regola fondamentale è «niente portoghesi». Non nel senso di Lisbona e dintorni, ma nell’accezione tipicamente italiana di chi viaggia senza biglietto. Se volete collegarvi al wi-fi degli altri dovete condividere un po’ della vostra connessione domestica. È questa la filosofia di un fenomeno che si affaccia, finalmente, anche in Italia. Sfruttare la banda della connessione Internet domestica, spesso utilizzata solo in minima parte, e «offrirla» agli altri. In cambio della cortesia si accede a un network che ci permette, quando siamo in giro, di collegarci alle reti wi-fi private di altri utenti. Gratis, legalmente e senza rischi.

Le aziende in campo
La mossa più significativa in questo trend arriva da Vodafone: grazie a un’intesa con Fon, che siamo in grado di anticipare, lancia Wi-Fi Community. Un’iniziativa che farà salire in un sol colpo gli hotspot wi-fi disponibili in Italia da poche decine di migliaia a oltre un milione. Non si tratta di reti pubbliche, che pure continuano una lenta (troppo lenta) avanzata, bensì di reti domestiche. In linea con la sharing economy, l’economia della condivisione, che sta cambiando le nostre città: do agli altri qualcosa che io in quel momento non uso e in cambio gli altri faranno lo stesso con me.
Prima di Vodafone, nei mesi scorsi hanno già avviato iniziative simili altri operatori di telefonia fissa, come Fastweb e Tiscali ma per ora in via sperimentale e su aree limitate. La mossa dell’operatore britannico cambia lo scenario. Non solo perché si applica a tutto il territorio nazionale, ma perché estende la possibilità di usare le reti wi-fi degli altri clienti anche all’estero.

È sicuro?
Il funzionamento di Wi-Fi Community è piuttosto semplice. Sui router più recenti di Vodafone, la Station 2 e la Station Revolution, è stato installato il software di Fon, un’azienda che da anni lavora proprio sul concetto di wi-fi condiviso e che ha (al momento) 15 milioni di hotspot nel mondo. In maniera completamente automatica, le reti senza fili degli utenti Vodafone verranno sdoppiate. A quella vera e propria dell’utente, a cui collega quotidianamente pc e dispositivi mobili, ne viene aggiunta una secondaria attraverso il software Fon. Un sorta di rete “guest” (ospite), che gli utenti smanettoni possono già creare in maniera autonoma sui modem router più evoluti. Le due reti wi-fi, quella primaria e quella Fon, sono fisicamente separate per rispondere ai requisiti di sicurezza necessarie. Non c’è quindi modo per un utente condiviso di accedere alla nostra “vera” rete wi-fi. Inoltre Vodafone su questa seconda rete può adempiere ai requisiti di legge su tracciabilità delle comunicazioni digitali ed eventuali intercettazioni disposte dalla magistratura: insomma, se qualcuno dovesse commettere reati sfruttando la nostra connettività non corriamo rischi.

Connessione più lenta?
La condivisione del wi-fi non comporta dunque problemi né di sicurezza né legali. L’altra domanda è: se condivido la mia banda, viaggerò più lento su Internet? Il sistema è progettato per condividere la banda non utilizzata. Se sto scaricando un file da un server molto veloce oppure se in casa stiamo vedendo in streaming uno o più video ad alta definizione, allora la banda condivisa con gli altri sarà molto, molto ridotta. Oppure anche nulla. Se invece non siamo in casa (o non stiamo usando Internet) la porzione di connettività che doniamo sarà più ampia. Il tutto funziona in maniera completamente automatica, con criteri di priorità gestiti in tempo reale. Ovviamente la priorità va sempre all’utente pagante. In questo modo la banda effettivamente disponibile non viene intaccata.

Perché mi conviene
Wi-Fi Community – che verrà abilitato su tutti i nuovi contratti a partire dalle prossime settimane e poi via via sui vecchi abbonato con le due Vodafone Station più recenti – si può disabilitare. Chi lo fa però si autoesclude dalla possibilità di sfruttare le reti domestiche Vodafone degli altri utenti. Non solo in Italia, dove a regime gli hotspot attivi saranno un milione circa, ma anche all’estero. La possibilità di accedere alle reti wi-fi può essere davvero utile per limitare i costi di roaming telefonico, di solito esorbitanti sul traffico dati Internet da smartphone e tablet. Le reti Fon sono diffusissime in Francia (Parigi ad esempio è coperta in maniera pressoché completa) e molte estese anche in Gran Bretagna, Germania e altri Paesi. Vodafone sta stringendo accordi bilaterali con gli operatori Internet di rete fissa locali in queste settimane. Una volta che il servizio Wi-Fi Community è attivo (l’annuncio agli utenti avverrà con una comunicazione in bolletta), dal servizio clienti si otterrà un nome utente, cui associare una password a scelta. Se si utilizza l’app della Vodafone Station basta inserirle una volta e poi tutti i collegamenti successivi sono automatici, non appena il telefono (o tablet) trova un wi-fi della comunità. Da pc (o se non si usa l’app) vanno inseriti ogni volta. Su Wi-Fi Community uno stesso abbonato Vodafone potrà utilizzare fino a 3 dispositivi diversi in contemporanea, permettendo l’uso a diversi membri della famiglia.

Perché aziende come Vodafone, che pure hanno un business nella telefonia mobile da difendere, attivano operazioni come questa, che permette di consumare un po’ di dati in meno su rete 3G/4G? L’obiettivo, oltre a offrire un servizio supplementare in più rispetto alla concorrenza, è anche quello di tenere più sgombra la rete cellulare, garantendo migliori performance ai clienti. Velocità sempre più importanti per i clienti, visto che si consumano sempre più contenuti ad alta occupazione di banda mobile, video in primis.

I primi bilanci di Fastweb e Tiscali
L’esperienza di Vodafone arriva su scala più ampia di quelle attivate da alcuni concorrenti, già in grado di tirare alcune somme. Fastweb ha lanciato il servizio Wow Fi a dicembre 2014 a Monza e Livorno. “La risposta – dice l’azienda – è molto positiva. Gli utilizzatori sono più del 20% dei clienti Fastweb delle due città, media superiore a iniziative analoghe in altri Paesi. Più persone in famiglia utilizzano Wow Fi e chi lo fa lo usa spesso: il 40% accede al servizio tutti i giorni e l’80% ben quattro volte a settimana”. Fastweb aggiunge: “Siamo decisamente convinti che il bisogno dei clienti di essere connessi sempre e ovunque sia in forte crescita. Per questo amplieremo il servizio e lo abiliteremo in nuove città in cui abbiamo ampliato la nostra rete in fibra ottica con tecnologia Fiber to the Cabinet già prima della fine di  giugno”.
Tiscali sta sperimentando il suo Social Wi fi a Cagliari dal 1 dicembre 2014, su 2.000 linee circa. Da pochi giorni è partita una fase di test anche a Roma a Milano, al momento su alcune centinaia di utenze. Anche l’operatore sardo prevede di estendere il servizio a tutto il territorio nazionale.
E c’è pure un operatore mobile come 3 Italia che permette ai suoi abbonati di accedere a una rete wi-fi. In questo caso creata da antenne wi-fi gestite dall’azienda (e non da una community di utenti): succede, anche in questo caso in modo sperimentale, a Monza, dove è stata coperta l’area del centro. Avevamo provato il servizio, ecco un video:


Ma serve più wi-fi pubblico (e privato) aperto a tutti

Ribadiamo un ultimo punto: questo trend del wi-fi offerto agli abbonati non è un’alternativa alle reti pubbliche e aperte a tutti, che speriamo di vedere crescere in numero e qualità su tutto il territorio. Ce n’è un gran bisogno, tanto più in un Paese a vocazione turistica come il nostro. Queste mosse degli operatori sono però utili iniziative complementari, preziose per placare la fame di Internet in mobilità. Una fame destinata a crescere, man mano che la nostra vita, non solo digitale, si sposta nella nuvola delle rete.

PocketCube di 3 Italia: clicca sull’immagine per vedere tutte le imamgini

C’è fame di banda larga in Italia. La chiave è la fibra ottica (il piano del governo è questione di attualità). Ma anche le reti mobili di nuova generazione possono aiutare, almeno in alcune situazioni, a superare il «digital divide» di molte aeree del Paese. È questa l’idea che vuole sfruttare 3 Italia con il suo nuovo (e originale) gadget. Si chiama PocketCube ed un router wireless 4G. Ovvero una «chiavetta» senza fili che crea una rete wi-fi in grado di dare connettività Internet a computer, tablet o anche smartphone. Fino a 5 contemporaneamente. (altro…)

YouTube diventa (anche) a pagamento e rilancia sul fronte della musica, uno dei fattori trainanti del successo del portale video di Google. Che, seguendo la strada tracciata dai servizi di musica in streaming, adegua alla moda del “freemium” anche YouTube.
L’Italia è uno dei 7 Paesi in cui debutta Music Key: un servizio per ora in “beta” (si tratta di un test per gli utenti più appassionati di musica), che consente alcune funzioni speciali:

– la visione di video musicali (solo di quelli musicali, non di tutti quelli su YouTube) senza annunci pubblicitari
– ascolto della musica in  background (su smartphone e tablet). Si lancia un video e la riproduzione dell’audio prosegue anche quando si passa ad altre app o si blocca il telefono
– download dei video per vedere/ascoltare anche offline. Sarà possibile impostare la qualità del download.
– e soprattutto – ed è il piatto forte – l’integrazione con Play Music, il servizio di Google per lo streaming musicale. I sottoscrittori di Music Key avranno l’accesso anche alla versione “pay” di Play Music (a oggi include oltre 30 milioni di canzoni). Vale anche il contrario: chi è già sottoscrittore di Play Music avrà anche le funzioni di Music Key
Quest’ultimo punto è un vantaggioso “due in uno” che farà felici gli appassionati di musica e che offre un margine sulla concorrenza quale Spotify e Deezer. (altro…)

Per il Corriere di oggi in edicola sono tornato a fare il punto sulle nuove iniziative nel campo dei motori di ricerca:

Come un elefante infilato in una stanzetta. Nel mondo della «search», ovvero dei motori di ricerca, Google è molto più che ingombrante. Entrare nello stesso terreno di gioco è complicato. Trovare spazio ancora di più. Google vince perché, banalmente, funziona meglio degli altri.

Eppure qualcuno prova a punzecchiare il pachiderma. Consapevoli che è pressoché impossibile — nel 2013 — metterlo al tappeto (non ci sono riusciti colossi come Yahoo o Microsoft). Ma c’è la volontà di esserci. Come primule sono spuntati alcuni nuovi motori di ricerca, un paio dei quali italiani. (altro…)

No, macché partita… ieri sera mi son messo lì è ho guardato un film su Megavideo“.
Ehhh, figurati che io mi son pure abbonato per vedere quelli in HD“.

Stralci di conversazione intercettata al volo in strada, solo pochi giorni fa. Che mi ha fatto drizzare le orecchie. Perché gli interlocutori non erano ragazzetti con lo zaino in spalla, ma signori con qualche capello bianco in testa. Megaupload e soprattutto lo streaming su  Megavideo, spenti ieri dall’Fbi, erano diventati un fenomeno di costume molto più ampio della cerchia degli smanettoni assidui (secondo la Fimi coinvolgeva circa 1,7 milioni di italiani). Una sorta di Facebook del download, facilissimo e immediato. Un supermercato dell’illegale da cui transitava di tutto. Anche roba perfettamente lecita: lo strumento era utile e anche qui al giornale ci è capitato di ricevere materiale (servizi video e fotografici) caricato su Megaupload da qualche collaboratore.

(altro…)

Office365.pngSe Microsoft porta il suo prodotto più redditizio – Office – sulla “nuvola”, allora c’è da star certi che il business del (o della?) cloud è un cosa seria. Si chiama Office 365 e dopo una fase “beta” di alcuni mesi è stato lanciato ufficialmente dall’azienda di Redmond in 40 mercati. Office 365 riunisce la suite Microsoft Office, SharePoint Online, Exchange Online e Lync Online in un unico servizio cloud, a un costo variabile a seconda di quanto si chiede a Microsoft. Un prodotto del genere è ovviamente mirato non al singolo utente domestico, ma (soprattutto) a piccole e medie aziende, un segmento produttivo come noto fondamentale per il nostro Paese. Spostare sul cloud i software per la produttività da ufficio vuol dire per una piccola organizzazione mettersi in casa una soluzione scalabile, a costi chiaramente predeterminati, senza mettere in piedi onerose infrastrutture tecniche e di sicurezza, e con certezze nella assistenza e negli aggiornamenti futuri (“Riduzione dei costi IT fino al 50%” sostiene il gigante americano).  (altro…)

top10.jpgIndovinate qual è il sito più visitato al mondo? Facebook, che fa meglio di Yahoo, Live.com (Microsoft) e Wikipedia. A dirlo è Google, attraverso il suo strumento Doubleclick AdPlanner, che pubblica la lista dei 1.000 siti più visitati al mondo. La classifica sfrutta le tecnologie di DoubleClick, che Google ha acquisito nel 2007. AdPlanner è destinato agli inserzionisti, per capire se un sito fa al caso loro per una campagna pubblicitaria. La classifica sarà aggiornata mensilmente e misura utenti unici e pagine di un dominio nell’arco dei 30 giorni. 

Si tratta di un maxi-elenco destinato senz’altro a diventare un punto di riferimento per i ragionamenti sui trend della rete, ma è (volutamente) incompleto. Oltre ai siti per adulti sono escluse anche diverse, importanti, proprietà di Google, fra cui la stessa homepage del motore di ricerca (Google.com) e YouTube. 
Nella top 10, ci sono anche Msn, Microsoft, il motore di ricerca cinese Baidu, Mozilla (Firefox), il sistema di messaggista Qq (il più popolare “instant messaging” della Cina) e la piattaforma per i blog BlogSpot (Google).Il primo sito di notizie è quello della Bbc, al 45esimo posto. Il New York Times svetta tra i quotidiani è 83°. Da notare al 40° posto Rapidshare, noto servizio per caricare file (e scaricarne, di illegali soprattutto). 
Per l’Italia il primo sito in classifica arriva (solo) al 232° posto ed è il portale Libero, che precede Virgilio (318°), eBay.it (430°) e Alice (480°). C’è anche Corriere.it, al 617° posto. Qualche posizione più su (545°) ecco Repubblica.it, ma per Google è da inserire nella categoria “Wine”.
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(Visto che Internet è come il maiale e non si butta via niente, ripubblico qui il mio pezzo in uscita oggi sul Corriere in edicola)

Nel mondo reale, sparire non è così difficile. Per lo meno se «Chi l’ha visto?» non si mette di mezzo. Ma cancellare tutte le tracce della nostra vita digitale diventa sempre più complicato. Tra computer, telefonini, email, social network, forum e blog far piazza pulita del mosaico di bit è un’impresa.

paper-shredder-3-sm.jpgQuando si parla di dati memorizzati su pc, una pulizia accurata è possibile. L’importante è seguire qualche avvertenza. Non basta buttare i file nel cestino e svuotarlo. Diversi casi di cronaca recente (da Parmalat al giallo di Garlasco) hanno dimostrato che è possibile ricostruire i contenuti rimossi dal disco fisso. «Quando si svuota il cestino sul pc, i documenti non sono davvero cancellati – spiega Paolo Salin, manager di Kroll Ontrack, azienda leader nel recupero di file danneggiati – Restano accessibili finché non sono sovrascritti». Esistono programmi, anche gratuiti, che permettono il recupero di questi dati. E neppure un intervento più radicale, come la formattazione del sistema, ci mette del tutto al riparo da sorprese. 

Il consiglio è allora di ricorrere a un programma specifico di “Wiping” (pulizia) o “Shredding” (“fare a pezzetti”) del disco fisso. Quelli più sofisticati rendono del tutto irrecuperabili i dati, senza danneggiare l’hard disk.
Per i più paranoici l’alternativa è la distruzione fisica del supporto di memoria. Su Internet i consigli abbondano: si va dall’acido muriatico, all’uso di campi magnetici, al forno a microonde (pare ottimo per i cd-rom), fino al più classico “sega elettrica e martello”. «Ma in quest’ultimo caso sinceratevi di ridurlo in pezzetti davvero piccoli, perché se no possiamo recuperarlo», chiosa Paolo Salin che ricorda come furono ricostruiti gli hard disk dello Shuttle Columbia esploso nel 2003. Il discorso è più o meno analogo per i cellulari. Anche qui esistono efficaci software di pulizia.

La faccenda si fa più complessa quando si passa ai dati sul web. Soprattutto se – tra Facebook, MySpace, Twitter e blog – la nostra identità digitale è aggiornata con continuità. Oggi i “cacciatori di teste” esaminano i candidati cercando anche sui social network. Per evitare affannose corse a cancellare vecchi video in cui si fumano sostanze proibite o si tracanna whisky, è meglio tenere presente la posizione del Ceo di Google, Eric Schmidt: «Se c’è qualcosa che vuoi nascondere agli altri, allora non dovresti fare del tutto quella cosa». È la privacy versione XXI secolo.

Il professor Francesco Pizzetti, presidente dell’autorità Garante per la privacy, mette l’accento sull’informazione personale: “I cittadini devono imparare a distinguere tra comunità chiuse, in cui si fa solo “comunicazione”, e pagine web aperte, in cui si applica il codice della privacy. Tenendolo presente si eviterebbero il 90% dei comportamenti illegittimi”.

Le informative dei siti sui personali, aggiunge Pizzetti «non sono ancora adeguate. Abbiamo chiesto un metodo a pop-up del testo, tipo pubblicità, e uno sportello reclami più visibile». La posizione di Google è chiara:«Offriamo agli utenti una reale scelta in merito alla gestione dei loro dati, attraverso strumenti quali la Privacy Dashboard (www.google.com/dashboard), un pannello di controllo dal quale chiunque può controllare e gestire le informazioni del suo account Google», dice la portavoce dell’azienda per l’Italia, Simona Panseri.

Sia Google che Facebook offrono una pagina in cui è possibile cancellare il proprio profilo, rendendo inaccessibili i file su di esso memorizzati. Chi teme di dimenticare in giro per la rete qualche file importante, può rivolgersi a un’azienda specializzata nel ripulire la reputazione online. Ne esistono diverse, da ReputationDefender.com a TigerTwo.co.uk, solo per citarne un paio. Si parte da una decina di euro al mese.

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Il mio browser preferito* si aggiorna. Su velocità e quisquilie tecniche ci sarà da approfondire. A occhio la grafica si sposta verso il minimalismo di Chrome con un po’ di “ribbon” alla Office 2007.

*sì, certo, uso anche lui, e ovviamente lui. E tengo installato anche lui, che non si sa mai. Però ho un debole per i norvegesi, anche se non sono open. Hanno innovato parecchio e continuano a farlo. E tutti li copiano. E non se li ca#a nessuno, almeno su desktop (sui cellulari è un’altra faccenda). Per questo mi stanno simpatici. E poi son norvegesi.