di Paolo Ottolina - @pottolina

Categoria "hardware"

LAS VEGAS, NEVADA - JANUARY 08: An attendee photographs an exhibit of LG OLED TV screens at the LG booth at CES 2019 at the Las Vegas Convention Center on January 8, 2019 in Las Vegas, Nevada. CES, the world's largest annual consumer technology trade show, runs through January 11 and features about 4,500 exhibitors showing off their latest products and services to more than 180,000 attendees. David Becker/Getty Images/AFP == FOR NEWSPAPERS, INTERNET, TELCOS & TELEVISION USE ONLY ==

Viva Las Vegas, che trasforma il giorno in notte /
e la notte in giorno /
se la vedrai una sola volta /
non sarai più lo stesso

cantava Elvis e aveva ragione.
Vegas, come la chiamano da queste parti, la prima volta è una gioiosa baraonda di colori, musica e perenne rumore. La seconda un caos energizzante. La terza inizi a pensare che sia un caos e basta. Dalla quarta in poi restano soprattutto Paura e Disgusto, come nel romanzo di Hunter S. Thompson (anche senza ingollare il supermercato di droghe di Depp e Del Toro nel film di Terry Gillian). Immaginate la settima, la decima, la ventesima volta. Come un dolce con troppa panna alla fine di una cena pesante. Casa tua se sei un giocatore di Texas Hold’em professionista o un fan del blackjack. Meno se a Las Vegas ti tocca andare perché sede di una fiera. “La” fiera se ti occupi di tecnologia per lavoro. Dal 1979 la Città che non dorme mai ospita il Consumer Electronics Show. Ovvero il Ces, che è meglio pronunciare all’inglese “Si-i-es”, perché “Vado al Ces”, “le novità dal Ces”, “inviato al Ces” in italiano suonano malino (a Napoli ancora peggio).

Solo una città eccessiva, l’unica in cui basta pagare per guidare una ruspa (vera) o per  schiacciare auto con un carrarmato, può ospitare un expo in cui l’eccesso è la scorciatoia più veloce per farsi notare.

Non ci sono molte altre strade quando devi attirare l’attenzione degli oltre 6.000 giornalisti e dei 180.000 professionisti riuniti lì da tutto il globo. E quando devi competere con altri 5.000 espositori spalmati su quasi 3 milioni di metri quadri di stand. Perché il Ces deborda ben oltre i confini del già esteso Las Vegas Convention Center e invade molti dei colossali alberghi della Strip. Se non siete pratici di Sin City, la Strip è quel tratto del South Las Vegas Boulevard, lungo diverse miglia, che per i turisti è sinonimo tout court di Las Vegas. Di gioco d’azzardo, di casinò, di slot a perdita d’occhio, di asiatici che scialano capitali a poker e di pensionati del Montana in bermuda accampati alla roulette, di sterminati saloni decorati dalle immancabili e orribili moquette floreali, di super-show con le star “resident” (da Celin Dion a Britney Spears, dal Cirque du Soleil a David Copperfield), di club dove si alternano i deejay più pagati del globo. Ovviamente di gentlemen’s club con le stripper. E di escort, che si propongono a clienti più o meno naif nei casinò o vengono pubblicizzate in strada dai “prestigiatori del sesso”, quei tipi che fanno frullare in mano mazzi di carte pornografiche con i numeri delle ragazze. Anche se, contrariamente a quanto si possa pensare, la prostituzione non è legale a Las Vegas, la città e il sesso restano amici intimi. Tanto che dopo il Ces, giusto il tempo di smontare gli stand, ed è già ora della Fiera del porno.
Fino a pochi anni fa era in contemporanea a quella della tecnologia. Poi lo spazio ha iniziato a scarseggiare, i signori dell’hi-tech si sono lamentati dell’affollamento in città e delle camere d’hotel impossibili da trovare, così il cinema del sesso ha traslocato qualche settimana più avanti. Ma le leggende raccontano ancora oggi di giornalisti venuti a coprire il Ces, spariti tra gli stand con le pornostar e riemersi una settimana dopo senza aver inviato un solo pezzo di tecnologia.

The Bell Nexus hybrid electric air taxi concept is on display at the Bell booth at CES International, Tuesday, Jan. 8, 2019, in Las Vegas. (AP Photo/John Locher)

Difficile che abbiate potuto mettere piede in una fiera hi-tech, visto quanto sono lontani i tempi in cui appuntamenti come Smau a Milano radunavano torme di ragazzini con lo zainetto in spalla. Tutte le manifestazioni sono ormai riservate agli addetti ai lavori.
Com’è un evento come il Ces o  come l’E3 di Los Angeles (a giugno, dedicato ai videogiochi), come il Mobile World Congress di Barcellona (a febbraio, telefonia e dintorni), come l’Ifa di Berlino (a settembre, elettronica di consumo)? Immaginate un ipertrofico Mediaworld o Unieuro incrociato con i padiglioni dell’Expo di Milano. Accanto all’esposizione di decine di migliaia di prodotti da vedere e toccare, molti dei quali primizie ancora non in vendita, c’è la gara a sorprendere chi passa di là con ostentazioni di gigantismo o con vere coreografie in salsa tech.

Quest’anno tra i padiglioni c’era l’incredibile balletto dei tv flessibili di Lg, lo yacht super-lusso di 30 metri di Furrion, il televisore da 219 pollici di Samsung, il taxi volante di Bell. Il Ces, più di ogni altra fiera, negli ultimi anni è stata conquistata dall’industria dell’auto, che tra elettrico e guida autonoma sta cambiando pelle e ha voglia di accreditarsi presso un pubblico esperto e consapevole. Per questo Las Vegas ogni anno riserva chicche da stropicciarsi gli occhi. Quest’anno per la Strip giravano i taxi senza pilota di Lyft, con tanto di app che ti chiedeva di accettare la corsa a tuo rischio e pericolo. Mentre in fiera alcune dimostrazioni erano a metà tra l’entusiasmante e il terrore di futuri degni del serial distopico Black Mirror. Come il veicolo a guida autonoma di Continental che va in giro da solo, si ferma in un quartiere e fa scendere una muta di cani robot che vanno in giro a portare pacchi zampettando come inquietanti ragni di metallo.

Drapes billow out of broken windows at the Mandalay Bay resort and casino Monday, Oct. 2, 2017, on the Las Vegas Strip following a deadly shooting at a music festival in Las Vegas. A gunman was found dead inside a hotel room. (AP Photo/John Locher)

Seguire per lavoro una fiera come il Ces è una gara di fatica che richiede molta resistenza e un paio di scarpe comode.

Una maratona, letteralmente, perché le distanze a Las Vegas non sono a misura di pedone e ogni giornata si chiude (testimone il contapassi al polso) con 12, 15 e a volte anche 20 chilometri percorsi. Si parte il primo giorno con le conferenze stampa al Mandalay Bay, l’albergo dove nel 2017 Stephen Paddock sparò sulla folla di un concerto facendo 59 morti e oltre 800 feriti. Si prosegue poi in fiera e in tutti i resort dove le aziende e le centinaia di start-up allestiscono stand e spazi per interviste e anteprime. Dei 5.000 marchi presenti non si riesce a incontrarne che una manciata e qualcosa di simile a una copertura totale può riuscire solo alle testate web specializzate americane. Quelli di The Verge o di Cnet calano sul Nevada con una legione di 80-100 reporter, videomaker e social media manager, accampati in enormi caravan che fanno da redazione e da dormitorio, parcheggiati fuori dalla fiera (e per di più hanno battaglioni di reporter ventenni che campano per 5 giorni bevendo bevande energetiche). L’agenda dell’inviato solitario prevede invece gli ovvi salti mortali per passare da una conferenza stampa a un’intervista, da una visita guidata in uno stand a un passaggio nelle salette ad accesso limitato (foto e video vietati!) con i prodotti che arriveranno forse tra 2,3 o 5 anni. Il tutto sgomitando con l’esercito di altri giornalisti, professionisti ed espositori. Tutti devono portar via da quei 5 giorni il massimo possibile ed è un microcosmo che genera file infinite per i controlli di sicurezza, per salire sui pullman, per mangiare un panino, per accedere a una dimostrazione di realtà virtuale o di robotica particolarmente gustosa. Sudore, gambe toniche e molta, molta pazienza sono virtù necessarie da queste parti, l’unico posto del globo in cui la fila per il bagno è molto più lunga in quello dei maschi piuttosto che in quello delle signore. Frutto del gender gap che affligge tuttora il settore hi-tech, al punto che qualcuno, scherzando ma non troppo, ha detto che c’è più parità tra sessi alla Fiera del porno piuttosto che al Ces. La pazienza è virtù da esercitare soprattutto quando c’è da spostarsi, ovvero perennemente, perché dare una coerenza spaziale all’agenda è impresa da fachiri. In una città dove i trasporti pubblici si fermano alla pittoresca ma limitata monorotaia e ai bus allestiti dalla fiera stessa, la regola è l’assalto ai taxi. In certi orari le code sono degne dei Musei Vaticani in agosto, anche se negli ultimi anni l’arrivo di Uber e Lyft, capaci di trovare un compromesso con la lobby dei tassisti (sì, c’è anche da queste parti), ha migliorato la situazione.

Dopo altri incontri, altre interviste, altri oggetti pazzeschi, altre idee strampalate e assurde, altre start-up, altre cene con i manager e gli addetti stampa, e molte altre code e decine di chilometri a piedi, si arriva finalmente al giorno del rientro. Ubriachi di fatica, di jet-lag, di sonno arretrato, di rumore, di volti, di voci.

Me ne vado da Las Vegas /
E non ci tornerò /
No, non tornerò /
Non questa volta

canta Sheryl Crow. E l’ultimo giorno di Ces, ogni anno, vien voglia di metterci la firma. Ma l’anno seguente, chissà come mai, si torna sempre qui.

(da “7 – Corriere della Sera” del 31 gennaio 2019)

IASUS CEO Jerry Shen opens the We Love Photo press conference launching the new ZenFone 4 family in Europe.ntelligenza artificiale. La parola chiave a cui tutta la tecnologia di consumo vuole legarsi in qualche modo. Ne è convinto anche Jerry Shen, amministratore delegato dei taiwanesi di Asus, uno che nell’industria hi-tech vive da protagonista dalla fine degli anni Novanta. «Qual è la mia visione per i prossimi 5 anni? – ci ha raccontato -. Al centro ci sarà l’intelligenza artificiale, la AI. Intorno a essa quattro categorie di prodotti. La prima è il pc, poi c’è lo smartphone, il terzo è l’Internet delle cose che come numeri di dispositivi supererà anche i cellulari benché la telefonia mobile rimarrà il mercato principale. Poi i processori per device portatili. La AI legherà il tutto, insieme al cloud».

Shen, che abbiamo sentito a Roma dove ha da poco lanciato la nuova linea di telefoni Zenfone 4, prova a spiegare che cosa farà la differenza nel mondo degli smartphone: «Il design innanzitutto. Poi la fotocamera. Infine la connettività». Sono i tre assi, guarda caso, su cui Asus ha ricostruito la sua linea di telefoni, con modelli che partono dallo ZenFone 4 Pro e arrivano all’economico 4 Max. Il primo è uno dei pochi smartphone con connettività Gigabit: la capacità di supportare reti 4.5G e wi-fi con download fino a 1.000 Megabit al secondo. Spiega l’ad di Asus: «Lo smartphone è l’oggetto che consuma più dati. Gli utenti vogliono connettività più veloce, anche quando devono inviare dati perché la maggior qualità della fotocamera comporta immagini e video più pesanti. Ormai è impossibile separare la connettività dall’esperienza utente, perché è il mondo stesso ad essere sempre più connesso». Poi Shen conclude: «Un modem Gigabit sugli smartphone è un passo verso il 5G, che includerà non solo i telefoni ma tutti gli oggetti. Il 5G cambierà il mondo».

Kaz Hirai, ceo Sony

(AP Photo/Jae C. Hong)

(pubblicato sul Corriere Economia di lunedì 9 gennaio 2017)
«Abbiamo puntato su innovazione, design e qualità di video e audio. Abbiamo raddoppiato gli sforzi. E ora posso dire che l’elettronica di consumo è tornata a essere per noi un settore che fa profitti». Kazuo «Kaz» Hirai, il presidente e amministratore delegato di Sony, non canta vittoria ma si fa scappare un mezzo sorriso durante l’incontro che ci ha concesso al Ces (Consumer Electronic Show), la fiera di tecnologia appena terminata a Las Vegas.

Hirai è l’uomo che nel 2012 si è assunto il compito, improbo all’apparenza, di guarire il gruppo nipponico. Sotto la sua guida ha serrato le fila al grido di «One Sony», ha concentrato le risorse, ha accelerato processi decisionali e sinergie (con la dolorosa contropartita di oltre 10 mila licenziamenti), ha rinforzato il brand. Dopo anni di perdite, nel 2015 Sony è tornata a rivedere i profitti. «La differenziazione rispetto ai concorrenti e la riconoscibilità dei nostri prodotti sono stati cruciali nell’inversione di rotta» spiega Hirai. «L’elettronica è tornata in utile, così come le tv l’anno scorso. Mi aspetto che anche la telefonia mobile lo diventi quest’anno. Siamo fuori dal fitto del bosco ma non ancora fuori dal bosco. Non è ancora il momento di mettere il pilota automatico, per dirla con  un’altra metafora».

Nodi e soluzioni

Guardando avanti snocciola i numeri del piano: «L’anno fiscale, che per Sony comincia in aprile, è il terzo e ultimo del secondo triennio del nostro piano di medio periodo. È importante chiudere bene: il target che ci siamo dati per il prossimo anno fiscale sono profitti per 500 miliardi di yen (4 miliardi di euro) con un Roe del 10%. Centrare questo traguardo ci metterebbe nella giusta rotta per il triennio successivo». Guardando indietro individua i problemi: «Sony ha sempre avuto una tradizione nel design e nella qualità, ma poi dieci anni fa abbiamo  iniziato a spingere sul rapporto funzioni-prezzo per competere. Non era la filosofia giusta per noi. Quando sono diventato presidente di Sony ho chiesto l’impegno totale su ogni prodotto. Non perché lo desiderassi io, ma perché lo chiedono i nostri consumatori».

Nei suoi interventi non manca mai la parola giapponese «kando». Un termine che si può tradurre con «coinvolgere emotivamente, toccare corde profonde». Spiega Hirai: «La nostra abilità è creare oggetti che stanno a stretto contatto con la vita delle persone. Io lo chiamo “the last one inch”».

L’ultimo pollice

L’ultimo pollice (o centimetro, come diremmo in italiano) che richiama volutamente «l’ultimo miglio» delle telco, ma con un accento sul rapporto tra essere umano e tecnologia.

Una ricetta non troppo diversa da quella di Steve Jobs, con il quale Hirai, un giapponese anomalo per formazione (è cresciuto più negli Stati Uniti che in madrepatria), ha diversi punti in comune, a partire dalla passione per le arti e l’umanesimo. L’uomo che sta provando a risollevare Sony non nasconde  la sua ammirazione per l’Italia e le sue cose belle: dalle auto sportive, che possiede e guida anche in pista (Maserati e Ferrari), fino alla moda (con un debole per Zegna).

Non è questo però che ha portato di recente Sony Pictures Entertainment ad acquisire il 5% di Chili, l’azienda italiana di streaming online: «Produciamo contenuti quindi ha senso per noi essere presenti in aziende che li distribuiscono. Sarebbe presuntuoso però dire che vogliamo soppiantare Netflix, anche perché il modello di Chili è differente. Ma è un mercato in cui bisogna dare alternative agli utenti».

Le novità

Al Ces Sony ha messo sotto i riflettori Bravia Oled A1, prima tv dell’azienda con pannello auto-emissivo e primo in assoluto senza altoparlanti frontali: il suono fuoriesce da tutto lo schermo, mentre il supporto del tv sul retro contiene uno speaker surround per i bassi.

Nella strategia Sony resta però centrale PlayStation: la Ps4 continua a macinare ottimi numeri. Le vendite dal lancio (nel 2013) hanno toccato i 53,4 milioni di pezzi, con 6,2 unità nel periodo natalizio (dal 21 novembre a fine 2016) e 50 milioni di software. «Per noi — spiega l’ad — resta lo strumento chiave per far arrivare Sony ai giovani. Influenza l’intera percezione del nostro brand». La nuova sfida è la realtà virtuale: Sony finora non ha dato numeri su PlayStation VR, il visore lanciato a fine 2016. Si stimano «alcune centinaia di migliaia di pezzi. Io stesso — dice Hirai — avevo detto che non ci aspettavamo numeri enormi, perché per capire la realtà virtuale bisogna provarla, in negozio o da un amico. Posso dire che siamo soddisfatti. Anche se ammetto che VR è migliorabile. Bisogna però bilanciare tecnologia e prezzo».

Il manager supervisiona personalmente e dà suggerimenti su molti prodotti: «Oggi si dice che il valore stia nel cloud e nei servizi e che l’hardware è diventato una commodity — spiega Hirai —. Io credo invece che gli oggetti possono cambiare, ma restano sempre una leva per entrare in contatto con il pubblico. E così sarà anche in futuro. È qui che Sony può mostrare la sua unicità e trovare risorse per crescere».

Di Alessio Lana

Non capita spesso di dare uno sguardo chiaro al futuro ma qui al Mobile World Congress di Barcellona Ericsson ci ha dato questa opportunità. Con la sua Connected paper, la carta connessa, ci mette di fronte a un adesivo di pochi centimetri fatto di comunissima carta. Sul retro però è stato stampato con inchiostro conduttivo, un liquido che conduce elettricità.

Sul foglietto si trovano anche altri elementi stampati: un’antenna, un microchip e una batteria. Al momento gli ultimi due sono ancora in silicio e polimeri di litio per i limiti tecnologici dell’inchiostro conduttivo ma in futuro sarà tutto realizzato da una stampante tradizionale con l’inchiostro che dicevamo. Ora entriamo nel vivo. Di fronte a noi ci sono tre oggetti: una tazza con della cioccolata calda, una con della zuppa e una scatola. Basta prenderne uno per leggerne la scheda completa su un tablet che teniamo nell’altra mano.
(altro…)

Quando riuscirà il gigante dei processori Intel a saltare sul treno del mondo mobile, mancato diverso fa e terreno di conquista delle piattaforme con architettura ARM? Il 2014 potrebbe essere l’anno della riscossa, o almeno della ripartenza. Potrebbbe. Perché le soluzioni presentate al Mobile World Congress 2014 sembrano davvero promettenti. Due nuovi processori Atom, puntano alla fascia medio, medio-alta (nome in codice “Merrifield”, Dual core) e alla fascia dei top di gamma ( nome in codice “Moorefield”, Quad Core). Entrambi a 64 bit, promettono di essere più potenti delle soluzioni rivali (Qualcomm Snapdragon, Nvidia Tegra, etc) e allo stesso tempo di garantire un’autonomia superiore. Potranno essere abbinate al modem Lte Intel XMM. Il target è soprattutto il mercato Android: nei padiglioni della fiera giravano omini vestiti da robot verdi di Android con la maglietta Intel Inside. Il messaggio è chiaro e ce lo ha chiarito meglio il presidente di Intel, Renée James, che abbiamo intervistato: “Questo è l’anno in cui abbiamo soluzioni per la connettività evoluta di quarta generazione, chip per smartphone e tablet, 2 core e  4 core. Sarà un anno importante per noi”.  (altro…)

Questa pazza pazza pazza “patents war”. Date un’occhiata all’infografica Reuters qui sotto. La situazione delle cause sui brevetti nel mondo del mobile è evidentemente svincolata da qualsiasi criterio di realtà e serve a dare da mangiare (lautamente) ai (ricchi) uffici legali delle corporation. E come arma di pressione per accordi extra-giudiziari. O per sentenze che facciano clamore mediatico. Come quella che ha bloccato i tablet Samsung in Germania. Persino il Galaxy Tab 7.7 ne ha pagato le conseguenze, sparendo dallo stand berlinese dell’Ifa, dove era stato appena presentato.

 

Qualche mese fa ho avuto l’occasione di testare abbastanza a lungo un Chromebook, uno dei notebook di Google che montano il particolarissimo sistema operativo Chrome Os, tutto basato sul concetto di “cloud”. Nella “nuvola” su si salvano i file e su di essa girano le applicazioni, anzi le “app”. Ora ho avuto modo di usare durante l’estate il Serie 5 di Samsung, il primo Chromebook ad arrivare in Italia (l’altro è di Acer). La macchina ha un hardware interessante (ottimo davvero il display), di certo migliore del prototipo “no logo” che Big G mi aveva inviato a suo tempo. Ma in questo caso ovviamente le considerazioni prevalenti nel giudizio complessivo sono quelle sul sistema operativo, che definisce in maniera radicale l’uso di una simile macchina.

(altro…)

Touchpad cancellato

TouchPad cancellato!

Se l’annuncio di Google che si beve Motorola aveva fatto sensazione, il  futuro addio al mercato pc di Hp farà storia come la fece la mossa di Ibm. Vedremo se l’inversione a U di un’azienda che è tuttora ampiamente leader mondiale nella vendita di personal computer darà frutti sul lungo periodo. Anche se è di per sé parecchio simbolica di un’era nuova dell’informatica, pochi giorni dopo il trentennale del Pc Ibm.

Quel che tocca più da vicino questo blog è la triste soppressione in culla del progetto webOs. E qui qualche manager dovrebbe spiegarci come si può spendere 1,2 miliardi di dollari per acquisire Palm e chiudere baracca e burattini 7 settimane (set-te-set-ti-ma-ne, 50 giorni) dopo il debutto sul mercato dell’ambizioso TouchPad. Bocciato dai consumatori (nei negozi Usa ci sono scaffali zeppi di tablet Hp invenduti e nenche il taglio dei prezzi è bastato a convincere il pubbilco) ma promosso tiepidamente dalla critica, che ha lodato la bella interfaccia di webOs, il multitasking, le sinergia con gli smartphone Pre/Veer e in generale le potenzialità di un sistema sicuramente molto interessante.

(altro…)

(Pezzo uscito sul Corriere il 26 febbraio 2011)
—–
Avete comprato un pc senza curarvi del processore (la cpu)? Male, perché è il «motore» di un computer e condiziona in maniera determinante le prestazioni. Oggi però cresce l’importanza della scheda grafica (la gpu, Graphics Processing Unit). Sui computer economici spesso c’è una scheda grafica «integrata», soluzione economica poco adatta al gioco e alla multimedialità. 
A ribaltare la tradizionale separazione tra processore e scheda video, arriva una soluzione di Amd, azienda californiana che da 20 anni fa concorrenza al colosso Intel. Fusion è infatti una piattaforma che Amd non definisce né cpu né gpu, ma «apu» (Accelerated Processing Unit). Su un unico «pezzetto» di silicio sono integrati sia un processore grafico di ultima generazione che un microprocessore. Ma al di là delle novità progettuali, quel che conta è che Amd Fusion introduce una vera concorrenza (e la concorrenza fa sempre bene ai prezzi finali) nel settore dei portatili a medio-basso costo, a partire dai piccoli netbook. Abbiamo potuto provare il primo prodotto con Fusion: Acer 5253, notebook 15 pollici di fascia medio-bassa (499 euro). 
Le promesse di Fusion, qui nella versione E-Series 350, la più potente, sono mantenute in parte. Si disimpegna bene con il multimedia, anche con i filmati Full HD (1080p), ed è sufficiente per i giochi meno esigenti. La batteria dura poco più di 4 ore: un’autonomia discreta ma ancora inferiore a un’equivalente soluzione Intel. Nessun miracolo, dunque, ma per gli utenti c’è una credibile alternativa in più.
Asus 5253 con Amd Fusion
Prezzo: 499 euro
Giudizio: *** (su 5)