di Paolo Ottolina - @pottolina

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Flow-1166bSull’App Store ci sono milioni di app. Ogni anni Apple ne sceglie un numero molto ristretto e le premia con l’Apple Design Awards (ADA), un riconoscimenti agli sviluppatori iOS che hanno convinto con “eccezionale abilità artistica, i risultati tecnici, l’interfaccia utente e il design delle applicazioni”. Gli ADA vengono consegnati alla WWDC di San Jose: un premio per sviluppatori davanti a una platea di migliaia di colleghi da tutto il mondo. Sul palco a festeggiare salgono aziende grandi e piccole, di Paesi diversissimi, dall’Australia alla Lituania. Quest’anno ben due delle app premiate hanno dentro un po’ di Italia. Niente male considerando la quantità e qualità della concorrenza.
“Gli sviluppatori iOS continuano ad alzare il livello. Quest’anno siamo particolarmente orgogliosi di vedere così tante app e giochi che mettono la salute, il fitness, la creatività e il gameplay al centro della loro esperienza di app”, ha detto Ron Okamoto, vicepresidente di Apple per le Worldwide Developer Relations. Le nove app vincitrici sono molto diverse non solo per l’origine geografica delle software house o degli sviluppatori: spaziano in una gamma di categorie amplissime, dal fotoritocco al disegno, dal medicale allo sport, fino ai giochi, che sull’App Store vanno sempre molto forte. Ognuna è stata scelta per il suo approccio unico al design dell’interfaccia utente, al sound design, alla grafica, ai controlli o al gameplay, ma anche perché è riuscita a sfruttare al meglio le tecnologie di sviluppo messe a disposizione da Apple come Metal (grafica), Core ML (machine learning) o haptics (feedbeck fisico).

In generale si tratta di app davvero belle, creative, nuove: per questo vi consigliamo di dar loro un’occhiata e di scaricarle se il genere vi interessa.

Flow-1219-FlowL’app made in Italy premiata è Flow by Moleskine, storica aziende delle agendine tascabili che da tempo si è lanciata nel digitale e nel mondo delle app. Moleskine ha base a Milano, anche se il team di sviluppo è composto da ragazzi di altri Paesi. Flow è un’evoluzione innovativa della classica agenda, un luogo dove disegnare idee, catturare pensieri ed esplorare la creatività senza distrazioni.

christian baumgartner broken rules elohLa seconda app che ha qualcosa di italiano è ELOH, creata dall’austriaca Broken Rules, che ha sede a Vienna. In questo caso sono italiane le firme dietro l’app, un puzzle game musicale basato sul ritmo. Lo sviluppatore è l’altoatesino Christian Baumgartner (nella foto), mentre l’artista/grafico è Philipp “Lip” Comarella, compagno di scuola al liceo di Christian.

Queste invece le altre 7 app premiate:

Ordia
di Loju LTD (Londra, Inghilterra)
“Ordia” di Loju è un gioco d’azione che si controlla con un solo dito: i giocatori diventano una nuova forma di vita che fa i suoi primi salti in un mondo strano e pericoloso.

Butterfly IQ
Butterfly Network (USA)
Butterfly IQ by Butterfly Network permette di avere un’ecografia mobile con una sonda, utilizzabile su tutto il corpo, ad un costo inferiore rispetto alla radiologia tradizionale.

Thumper: Pocket Edition
Drool LLC (Rhode Island, USA)
“Thumper: Pocket Edition” di Drool offre un’esperienza di gioco musicale coinvolgente con la classica azione arcade, la velocità e l’intensa fisicità.

Pixelmator Photo
Pixelmator Team (Lituania)
Pixelmator Photo by Pixelmator Team è uno degli strumenti di editing fotografico più noti (e migliori) dell’App Store. Premiato per il modo in cui sfrutta CoreML per consentire agli utenti di migliorare le foto come un professionista.

The Gardens Between
The Voxel Agents (Melbourne, Australia)
“The Gardens Between” di The Voxel Agents è un poetico gioco di avventura sul tempo, la memoria e l’amicizia.

HomeCourt 
NEX Team Inc. (San Jose, California)
HomeCourt by NEX Team è un’app per allenarsi a basket. HomeCourt utilizza CoreML per tracciare, registrare e fornire un’analisi approfondita dei tiri e degli allenamenti di basket utilizzando solo la fotocamera dell’iPhone.

Asphalt 9: Legends
Gameloft (Parigi, Francia)
“Asphalt 9: Legends” di Gameloft è uno dei giochi più scaricati dell’App Store, ultimo episodio della serie arcade di corse automobilistiche.

Lamborghini-OPPO-Find-X-1

Lusso e tecnologia possono stare insieme? Ci sono marchi che da sempre hanno fatto proprio questo binomio, come la danese Bang & Olufsen. Ma il cosiddetto High Tech Luxury resta un settore particolare perché il prodotto, oltre che bello, deve rimanere anche utile e di qualità intrinseca elevata. Altrimenti si fa la fine della britannica Vertu, che vendeva smartphone mediocri in confezione extra lusso (cuoio pregiato, pelle di coccodrillo e preziosi) e che ha chiuso l’anno scorso.

Eppure in tanti strizzano l’occhio a questo filone: per intercettare una clientela affluente, per rafforzare il brand, per aumentare i margini in un’industria che ha ricavi enormi ma utili risicati. È soprattutto la Cina a cercare partnership con marchi prestigiosi di altri settori.
Una via perseguita per prima da Huawei, l’azienda che dichiaratamente punta a diventare il primo «brand premium» del Dragone. Per i suoi smartphone ha sposato prima la tedesca Leica, leggendario marchio della fotografia, e poi Porsche Design: lo smartphone Mate RS, dotato di un design esclusivo e dello stato dell’arte dell’hardware (sensore di impronte sotto il display, 512 GB di memoria) arriva alla folle cifra di 2.095 euro. Oppo, altra cinese, quarto produttore mondiale di telefonini, a fine estate debutterà anche in Italia con il suo avveniristico Find X, smartphone con fotocamera a scomparsa.

Se Huawei sceglie Porsche, Oppo abbraccia Lamborghini, con lo stemma del toro a impreziosire un’edizione limitata da 1.699 euro. E ancora: OnePlus, ennesimo marchio made in China, ha optato per la moda francese, con edizioni speciali Colette e Jean-Charles de Castelbajac. In passato avevamo visto i matrimoni (brevi) Samsung-Armani e Lg-Prada.
E poi c’è Apple, che per il suo Watch ha un bracciale Hermès. Ma lì è difficile capire quale marchio porta lustro all’altro: la Mela si sta spostando sempre più verso il «lusso possibile». Con l’accento su lusso e un po’ meno su possibile.

(pubblicato sul L’Economia del Corriere della Sera, 2 luglio 2018)

ipad
Gli smartphone sempre più grandi (ormai siamo oltre i 6 pollici di schermo) hanno azzoppato i tablet, ma non li hanno uccisi. Almeno non in casa Apple, dove continuano a credere nell’iPad. E con buone ragioni. La concorrenza Android si è rarefatta: Samsung non presenta novità da oltre un anno, Lg, Sony e altri marchi storici si sono defilati, la sola Huawei di recente ha rinnovato i suoi MediaPad. Apple ha invece appena lanciato l’iPad di sesta generazione.

iPad 2018: che cosa cambia?
Il nuovo modello porta due novità sostanziali. La prima è il prezzo: a 359 euro è l’iPad più economico mai lanciato, almeno in «grande formato» (con l’esclusione dunque dei Mini). La seconda è il supporto alla Apple Pencil. La mossa della penna digitale (venduta a parte, costa 99 euro) serve a non mollare la presa sul mercato delle scuole (negli Usa per lo meno, da noi gli istituti hanno ben altri problemi a livello di materiali e budget…).

Il software

La Apple Pencil è anche una strategia per differenziarsi dagli smartphone e (ri)dare un senso al tablet. Non a caso è stata aggiornata l’intera famiglia iWork (l’Office di Apple): su Pages, Numbers e Keynote la penna consente annotazioni o illustrazioni disegnate di proprio pugno. Ma il supporto a Pencil si estende a tutte le app riservate finora all’iPad Pro, incluso Microsoft Office, che su questo iPad 2018 ha il vantaggio di essere gratuito (merito della politica di Microsoft per i dispositivi con schermo sotto i 10 pollici).

Chip A10 Fusion e AR

Rispetto al modello 2017, l’iPad di sesta generazione non solo costa 50 euro in meno, ma è stato aggiornato con il potente processore A10 Fusion, quello dell’iPhone 7. Nei test che abbiamo eseguito la cpu è risultata anche più potente di quella installata sullo smartphone della Mela 2017, mentra la gpu restituisce esattamente gli stessi punteggi nei benchmark. In generale il salto prestazionale rispetto all’iPad dell’anno scorso è evidente ed è una delle chiavi per garantire il pieno supporto alle applicazioni per la realtà aumentata, che sull’App Store stanno crescendo in numero e qualità.

Cosa manca rispetto al Pro?

Che cosa manca a questo iPad rispetto alla versione Pro da 10.5 pollici (che costa però più del doppio)?
Intanto lo Smart Connector, che permette di collegare tastiere come la Smart Keyboard Apple. Sull’iPad 2018 dovrete utilizzare una tastiera o una tastiera/cover Bluetooth: abbiamo recuperato una vecchia Logitech pensata per l’iPad Air e calza perfettamente.
Mancano anche il Touch ID di seconda generazione (quello più veloce) e l’audio con 4 altoparlanti.
Soprattutto c’è un display di minor qualità, ma probabilmente solo chi fosse abituato a un iPad Pro noterà l’assenza del True Tone che corregge i colori e del Pro Motion che rende le animazioni più fluide. Così come per l’assenza della “laminazione” del display: rispetto al Pro, su questo iPad si nota un po’ il gap tra vetro e pannello Lcd, e i riflessi possono essere fastidiosi, soprattutto in stanze molto illuminate o all’aperto.
Ovviamente rispetto al Pro c’è anche una scocca più spessa, un display più piccolo (9,7 contro 10,5 pollici) con cornici più larghe, oltre a una memoria Ram dimezzata (2 GB contro 4) e una memoria interna che al massimo arriva a 128 GB, contro i 512 GB del Pro. Insomma: il Pro resta di un’altra categoria, ma molte delle sue qualità le noteranno solo coloro che fanno del tablet un uso molto intenso, anche per produrre contenuti.

Il verdetto: da comprare?

Mentre per gli smartphone la scelta tra iOS e Android è soprattutto questione di gusti e di portafoglio, nel mondo tablet iPad da sempre stacca i rivali Google. Non tanto grazie all’hardware, che pure su questo iPad è impeccabile, ma soprattutto per il software. Mentre su Android le app sono ancora oggi nel 99% dei casi dei meri “zoom” delle versioni per telefono, sul tablet Apple quelle ottimizzate per lo schermo più grande sono centinaia di migliaia. E quelle utili ed esclusive, sopratutto in ambiti quali educational, infanzia e  creatività, sono davvero tante. Per questo, a 359 euro è difficile trovare un tablet migliore nel rapporto qualità/prezzo, a meno che non si cerchi a tutti i costi un prodotto a bassissimo costo. Quanto a quelli che già possiedono un iPad (che magari inizia a mostrare l’età), consigliamo l’upgrade per tutti i proprietari di modelli più vecchi dell’iPad Air 2: il nuovo hardware garantirà un’esperienza sensibilmente migliore. Chi ha un Air 2 è in una situazione più controversa: il processore dell’iPad 2018 è più potente, ma l’Air 2 resta più sottile, leggero e con un display a laminazione completa decisamente migliore.
Infine, ma è quasi scontato, questo iPad di sesta generazione è un must se cercavate un tablet Apple compatibile con la Pencil ma non volevate svenarvi con il listino probitivo del Pro.

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Del nuovo Apple Watch Series 3, che arriva in Italia senza la versione 4G, ne parliamo nella video recensione:

Il nuovo modello è l’occasione per qualche riflessione in più su Apple Watch e sugli orologi connessi più in generale. Sono utili? Sono inutili? Hanno senso o non ne hanno? Visto che siamo in un blog, mi addentro in qualche considerazione più personale.

Il primo Apple Watch è stato presentato poco più di 3 anni fa. Da allora, amici o semplici curiosi, vedendolo al mio polso mi fanno la classica domanda:
Com’è?
La mia risposta è sempre la stessa, laconica ma abbastanza chiara:
Bello. E funziona bene. Ma non è certo indispensabile

Eppure, da oltre due anni (Apple Watch è uscito in Italia nel giugno 2015), il Watch è diventato una presenza costante nelle mie giornate. Non proprio un’estensione del mio corpo quale è ormai (ahinoi) lo smartphone, ma neppure un gadget superfluo.
Sono un tipo da orologi, ne indosso uno da quando avevo 10 anni e ne ho diversi modelli, alcuni anche di discreta qualità. Eppure ormai raramente lascio Apple Watch nel cassetto per sostituirlo con un modello tradizionale. Succede ogni tanto nei weekend, quando decido di fare un po’ di “disintossicazione digitale” e tenere anche lo smartphone il più spento possibile. Succede d’estate, al mare o durante una gita, quando preferisco sostituirlo con un modello “più corazzato” (tipo G-Shock Casio).

Per il resto lo porto sempre. E ne sono molto soddisfatto, nonostante lo sfrutti al 20% delle sue possibilità, forse meno.
Uso pochissime app, praticamente nessuna.
Giusto le mappe quando sono in scooter e devo andare in qualche posto di Milano che non conosco: in combinazione con le AirPods infilate sotto il casco, Watch è un ottimo navigatore da polso, picchiettando con il suo Haptic Feedback quando c’è da girare.
Uso i controlli da polso per l’audio, Spotify o Podcast che siano. Per il resto delle app, poco o nulla.
Sinceramente non lo impiego neppure per il fitness: l’unica attività sportiva che contemplo è il calcio, e gli orologi fitness sono pensati quasi soltanto per sport solitari (e noiosissimi, permettetemi) tipo running, ciclismo o nuoto. L’app Attività che ti dice passi e calorie è un divertissement che mi piace tenere d’occhio, ma alla fine dall’utilità limitata.

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Il Watch per me è quasi soltanto notifiche. Nella recensione del primo Watch scrivevo: “Si è rivelato fin dall’inizio un formidabile rimedio contro «l’ansia da notifica» che la dipendenza da smartphone ha imposto a tanti di noi in questi ultimi anni”. Nel frattempo, versione dopo versione, ho continuato a sgrossare e a rifinire il numero di notifiche che mi arrivano. Il risultato è molto soddisfacente. Quando ho Apple Watch al polso, e cioè quasi sempre durante le giornate di lavoro, so che vedrò tutte le notifiche indispensabili. E accadrà (quasi) ovunque io mi possa trovare, anche alla guida del mio scooter o mentre sto dando il bianco in casa e sono in cima a una scala (è successo). So che invece non vedrò tutto quello che non è strettamente necessario alla mia sopravvivenza lavorativa e personale. Il tutto prendendo in mano l’iPhone molto meno di prima e solo quando è indispensabile per rispondere.
Mi pare un risultato non disprezzabile ed è il principale motivo per cui, ora, faccio più fatica a sostituire l’iPhone con un Android come primo smartphone durante i miei test. Non malaccio come effetto per un gadget che, razionalmente, continuo a definire “non indispensabile”.
Il merito è anche e soprattutto del Taptic Engine, su cui Apple ha investito molto e a ragione, visto che il feedback tattile (creato dal suddetto motore di vibrazioni, molto sofisticato) permette di ricevere le notifiche anche con il suono costantemente silenziato. Un bel vantaggio in termini di stress generato dai noiosissimi “bip bip” che ci circondano. Cosa che nessun altro smartwatch è in grado di garantire perché, banalmente, nessuno ha un “motore di vibrazioni” di questa raffinatezza.

A volte il Watch serve per risposte al volo (“Ok”, “Ora non posso parlare”, “Bene, a dopo”) a sms e WhatsApp. A volte ci parlo dentro rispondendo alle telefonate, ma solo quando l’iPhone è lontano e solo quando sono in casa, perché a parlare con l’orologio in pubblico mi sento la versione scema di James Bond. Da quando c’è Apple Pay lo uso per pagare, spesso al supermercato alle casse automatiche: è più comodo dell’iPhone.
Poi c’è la mia personalissima killer application la sveglia. Ho una basetta di ricarica sul comodino, lo piazzo lì prima di dormire, lui va in “modalità notte” e io sono tranquillo come un bebé. So che non mi lascerà a piedi (a differenza di una sveglia tradizionale a pile… storia vera), che mi sveglierà con un suono deciso ma che non ridesta tutto il condominio. In più ha la comodità che nel cuore della notte mi basta toccare il comodino perché il Watch si illumini e mi mostri l’ora, con caratteri abbastanza grossi per la mia vista da miope.
Anche per questo, la batteria che dura 1 giorno (ma in verità con il Watch 3 dura di più, come spiego nel video) non è affatto un problema. D’altronde il Watch non è fatto per essere indossato durante il sonno. Un po’ come le mutande.

apple-watch-series-3-lte-watch-appQuando arriverà la versione 4G, Apple Watch a tutto questo aggiungerà una risorsa in più: diventare un “muletto” dell’iPhone per sostituzioni in corsa, quando si dimentica il telefono a casa o lo si vuole lasciare lì apposta (durante l’attività fisica ad esempio).
Se voleste comprare questa versione (che ha un pallino rosso sulla corona digitale per distinguerlo dal Watch 3 Gps, quello che ho recensito), sappiate che è inutile acquistarlo all’estero. Il suo funzionamento su rete mobile dipende necessariamente dall’implementazione dell’operatore, che deve chiudere i contratti con Apple e soprattutto predisporre tutto ciò che serve per far funzionare la e-sim. La sim virtuale “clona” il numero dello smartphone e necessiterà di un contratto apposito (posso immaginare in un tot, 5 euro mensili in più, da aggiungere alla propria tariffa mensile, pardon “ogni 4 settimane”). Per altro, dalle prime informazioni, non funzionerà in roaming: quindi se avete una Sim francese e prendete oltralpe il Watch 3 Lte, comunque l’orologio non potrà ricevere dati sulle reti italiane.

Insomma, tocca aspettare. Nel frattempo, posso meditare sulla mia definizione di “non indispensabile” dell’Apple Watch.

apple iphone 8 iphone x invitoApple ha in calendario una presentazione di novità il 12 settembre, alle 10 (le 19 in Italia), dentro al finora mai inaugurato Steve Jobs Theater all’interno dell’Apple Park, il nuovo quartier generale dell’azienda, l’avveniristica “astronave”.
Lo seguiremo da Cupertino, in diretta a partire dalle 18 italiane di martedì 12, qui su Corriere.it e sul mio profilo Twitter @pottolina.

Verrà mostrato il nuovo iPhone?

Questo è sicuro. Da sempre negli ultimi anni, Apple piazza un evento a inizio settembre in cui mostra i nuovi iPhone, che nelle settimane seguenti arrivano nei negozi. Una tempistica studiata per sfruttare al meglio, su tutti i mercati mondiali, la stagione del Natale, quella in cui si vendono il maggio numero di smartphone. Su questa presentazione di Apple, si è concentrato quest’anno un fuoco mai visto di rumor (voci di corridoio) e leak (anticipazioni non autorizzate). Quelle delle ultime settimane, confermate da più fonti, sembrano del tutto attendibili. Poco, forse nulla, di ciò che l’ad Tim Cook e gli altri manager mostreranno sul palco probabilmente sarà una sorpresa per addetti ai lavori e appassionati.

Quanti iPhone verranno presentati?

Tre modelli. Due saranno un’evoluzione dei modelli attuali, iPhone 7 e iPhone 7 Plus. Un terzo tipo è quello più atteso: è l’iPhone del decennale (il primo “melafonino” fu lanciato da Steve Jobs nel 2007) e sarà di rotture rispetto a quanto visto finora sugli smartphone di Apple. Tanto a livello di design quanto per alcune funzioni mai sfruttate finora.

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Come si chiamerà questo modello?

Per mesi i rumor l’hanno chiamato banalmente iPhone 8, ma i conoscitori di Apple più attenti hanno sempre detto che non sarebbe stato questo il vero nome. Negli ultimi giorni, analizzando il codice dell’ultima versione beta di iOS 11, il sistema operativo che verrà rilasciato a tutti tra pochi giorni e che sarà installato anche sui nuovi iPhone, è venuto fuori che il nome sarà iPhone X, da pronunciarsi “ten”, dieci. Si tratta comunque di uno dei nomi celebrativi del decennale che, bene o male, circolavano negli ultimi mesi.

E gli altri due iPhone?

Sempre da ques’ultimo “leak” di iOS 11 pare si chiameranno iPhone 8 e 8 Plus. Non, dunque, 7S e 7S Plus. Se confermato, verrebbe infranta un’altra regola che Apple, azienda molto rigorosa nella scelta dei nomi dei suoi prodotti, si era data fin dall’iPhone 3GS. Ovvero l’alternanza, su cicli di 2 anni, di un nuovo numero (3G, 4, 5, 6, 7), seguito da un modello “S” (3GS, 4S, 5S, 6S). Quest’anno il 7S dovrebbe saltare, per segnare un’altra discontinuità nell’anno del decennale.

Come sarà questo iPhone X?

Il design sarà nel solco della tendenza avviata quest’anno da altri marchi: un grande schermo che occupa quasi l’intera parte frontale, con bordi molto ridotti intorno al vetro. Nessun tasto fisico. Per l’iPhone sarà un cambiamento epocale, perché intorno al tasto frontale è basata una buona fetta del modo con cui si usano gli smartphone Apple, fin dal primo modello di 10 anni fa. Lo schermo sfrutta la tecnologia Oled, diversa dai classici Lcd utilizzati finora dall’azienda Usa e dalla maggior parte dei telefoni. Il display è prodotto dalla rivale Samsung, che secondo alcuni analisti incasserà 130 dollari per ogni iPhone X prodotto.
Grazie ai bordi ridotti iPhone X sarà più piccolo dell’attuale iPhone 7 Plus, nonostante un display più grande, 5,8 pollici contro 5,5.
Sul retro iPhone X avrà una doppia fotocamera, ma orientata in verticale.

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Che cos’è il Face ID?

Se sul frontale di iPhone X manca il sensore di impronte digitali (Touch ID), come si sbloccherà il telefono? Apple ha sviluppato una tecnologia chiamata Face ID, basata sul riconoscimento del volto del proprietario. Dovrebbe essere più sicura e rapida delle tecnologie analoghe già utilizzata dai rivali, Samsung in testa. Su Twitter, analizzando il codice dell’ultima beta del sistema iOS 11, è anche comparso un video che mostra come funzionerà la prima associazione di Face ID. Sempre grazie a Face ID sarà possibile creare delle faccine 3D animate (“animoji”), basate sulle espressioni del proprietario dell’iPhone, che si potranno mandare via messaggio. Da chiarire come funzioneranno i pagamenti di Apple Pay, oggi basati su TouchID. Chi era abituato a un iPhone e acquisterà un iPhone X dovrà abituarsi a cambiamenti sostanziali nell’uso dello smartphone, dovuti all’assenza del tasto frontale. Ci saranno delle “gesture”, gesti del dito da memorizzare, simili a quelli che su iPad arriveranno con iOS 11.

 

Come saranno gli altri due modelli, iPhone 8 e 8 Plus (oppure 7S e 7S Plus)?

Verrà confermato per il quarto anno consecutivo il design che Apple ha introdotto con il 6. Ci saranno miglioramenti hardware: nuovo processore più potente (A11), display e connettività migliorata, probabili upgrade anche alla fotocamera, singola sul retro dell’8 e doppia (ma in orizzontale) sull’8 Plus.

Che prezzi avranno?

iPhone 8 e 8 Plus dovrebbero uscire all’incirca con gli stessi prezzi del 7. Quindi da 799 euro in su. Per l’iPhone X si parla di 999 dollari (esentasse) per la versione con meno memoria (64 GB): in Italia si tradurrebbe in un listino salatissimo, indicativamente 1.159-1.199 euro.

Quando usciranno iPhone X, iPhone 8 e 8 Plus in Italia?

8 e 8 Plus dovrebbero arrivare subito, con preordini dal 15 settembre e arrivo in negozio dal 22 settembre. Per chi vuole il modello più esclusivo potrebbe esserci da attendere un po’ di più. Come ha rivelato il Wall Street Journal, durante il mese di agosto la catena produttiva di Foxconn (l’azienda che assembla gli iPhone in Cina) ha avuto problemi con gli schermi Oled, accumulando ritardi fino a un mese sulla tabella di marcia. Possibile dunque che ci si un rinvio a ottobre. Oppure che le quantità iniziali siano davvero limitate.

Si vedrà altro durante l’evento? Un nuovo Apple Watch?

Prapple-watch-series-3-lte-watch-appobabile il debutto della terza edizione dell’Apple Watch. Stesso design ma stavolta l’orologio avrà la possibilità di collegarsi a Internet in maniera autonoma, senza smartphone, grazie a un Sim virtuale 4G. Apple Watch Lte avrà una rotellina (la corona digitale) di colore rosso per marcare la differenza rispetto ai modelli tradizionali.

Apple Tv? AirPods? HomePod?

Apple ha stanziato un budget di 1 miliardo di dollari per iniziare a far concorrenza a Netflix e Amazon sul fronte dei contenuti video in streaming. Anche per questo sarebbe in arrivo un nuovo “scatolotto” con hardware aggiornato, capace di supportare tecnologie oggi già presenti sul mercato dei tv e sui set-top-box concorrenti, quali 4K e Hdr.
Non mancherà probabilmente un richiamo durante l’evento alle AirPods, le cuffiette wireless lanciate l’anno scorso, e a HomePod, lo speaker smart con Siri a bordo, in arrivo nei negozi a fine anno.

E il software?

Durante la presentazione, ci sarà spazio anche per iOS 11: il sistema operativo mobile è stato mostrato in anteprima alla Wwdc di giugno, ma a Cupertino verrà svelato anche come il nuovo software parlerà al nuovo iPhone “tutto schermo”.

Qualcuno ha detto: vista la quantità di “leaks” l’unica cosa davvero da scoprire è lo Steve Jobs Theater.

È abbastanza vero. Di certo, oltre al debutto di iPhone X sarà il debutto “in società” anche per Apple Park, la nuova fantascientifica maxi-sede dell’azienda. Ultimo vero lascito di Steve Jobs. Qui c’è un approfondimento sullo Steve Jobs Theater e su Apple Park. Una curiosità? Le 1.000 sedie dell’auditorium, sotterraneo, sono costate a Apple 14.000 dollari l’una.

 

arkitAlla recente convention per sviluppatori di San Jose (tutte le news riassunte qui), Apple ha presentato le sue novità per la seconda metà dell’anno. Si è parlato di HomePod, altoparlante con Siri integrato, e del nuovo iPad, ma un altro annuncio è passato invece senza fare troppo rumore. Eppure punta in una direzione futuribile su cui l’azienda di Cupertino sta investendo: la realtà aumentata. O meglio, la mixed reality, in cui gli oggetti del mondo fisico interagiscono con elementi fatti di bit. Apple non ha annunciato novità hardware , ma dal palco della Worldwide developers conference Craig Federighi, vicepresidente e uomo del software di Cupertino, ha lanciato ARKit parlando della «più grande piattaforma al mondo di realtà aumentata». Una frase in puro stile marketing Apple, ma non per questo priva di fondamento.

Atomi e bit
ARKit è un software di sviluppo che permette a chi crea le app di analizzare l’ambiente attraverso la fotocamera di un dispositivo iOS, rilevare piani orizzontali e posizionare su di essi oggetti virtuali. Farà parte di iOS 11, prossima versione del sistema operativo mobile in arrivo in autunno. Di fatto trasforma centinaia di milioni di iPhone e di iPad in dispositivi abilitati a mixare atomi e bit. La frase di Federighi non pare dunque peregrina: con questa mossa Apple non solo recupera il terreno perduto rispetto a Microsoft e Google, ma si mette anche in una posizione di potenziale vantaggio. Usare il diffusissimo iPhone è sicuramente più facile e abbordabile (per pubblico e sviluppatori) delle alternative proposte dai concorrenti.
Google ha Project Tango, ambiziosa idea di creare dei «super-smartphone» in grado di rilevare l’ambiente circostante in maniera impossibile per i normali dispositivi di oggi. Finora però soltanto Lenovo e Asus hanno mostrato smartphone compatibili, con quote di mercato di fatto nulle. Microsoft punta su HoloLens: più che di occhiali, si tratta di un vero computer da indossare. Un concentrato d’innovazione diretto a professionisti, creativi e industria. Al momento costa oltre 2.700 euro e ha molte sfide tecniche da vincere prima di essere pienamente sfruttabile.  Poi ci sono progetti più fumosi, come Magic Leap, una startup impegnata sulla mixed reality che ha ottenuto finanziamenti per oltre 1,4 miliardi di dollari da nomi quali Google e Alibaba. E infine la prateria delle idee nel campo, affine ma diverso, della realtà virtuale: da Oculus di Facebook ad Htc Vive fino a PlayStation e Samsung.

Le assunzioni
Tutti questi tentativi sono accomunati da un aspetto: far transitare queste nuove realtà digitali attraverso un dispositivo concepito appositamente per questi usi. Tim Cook sta muovendosi in una direzione opposta: apparecchiare il futuro intorno alla pietra miliare della sua azienda, quell’iPhone che garantisce circa il 60% del fatturato. In marzo, il numero 1 di Apple ha dichiarato: «Considero la realtà aumentata un’idea grande quanto lo smartphone. Le cose che permette di fare mi stimolano, potrebbero migliorare la vita di molte persone».
A Cupertino sono state assunti diversi esperti in questo ambito, come Jeff Noris dalla Nasa, Yury Petrov da Oculus e Zeyu Li da Magic Leap. Secondo alcuni rumor , anche Apple starebbe ragionando su un suo visore a forma di occhiali mentre è certo che i prossimi iPhone avranno una fotocamera con potenziate capacità di interpretare la profondità di campo. Un elemento chiave per interagire con gli «ologrammi» generati dagli sviluppatori che lavoreranno con ARKit. Tra loro sono già stati annunciati nomi come Ikea, Lego, Pokemon Go e Wingnut AR, azienda del regista Peter Jackson, che a San Jose ha mostrato una demo piuttosto convincente.
Secondo stime di Grand View Research il settore della realtà aumentata, che oggi vale poco più di 30 milioni di dollari, potrebbe esplodere e generare un mercato da 6,86 miliardi di dollari nel 2024. A guidare il boom film e videogame, ma anche la progettazione di auto e aerei. Aex Kipman, il genio creativo dietro agli HoloLens di Microsoft, ha profetizzato che «la realtà aumentata renderà lo smartphone non più necessario». Se anche avesse ragione, Apple non vuole farsi trovare impreparata. «Per avere successo non basta un dispositivo – dice l’analista Gene Munster – . Servono altre cose, dalle mappe ai pagamenti online . Apple è una delle poche aziende che le può mettere insieme».

(articolo pubblicato su L’Economia di lunedì 12 giugno 2017)

applewwdc1Dopo Microsoft Build e Google I/O, la Apple Wwdc (Worldwide Developers Conference) concluderà a partire dal 5 giugno il trittico delle principali conferenze per gli sviluppatori di software. Eventi molto ambiti perché i posti sono poche migliaia e le richieste da tutto il mondo sono decine di volte le disponibilità effettive. Alla Wwdc Apple parteciperanno circa 5.000 sviluppatori che hanno vinto una lotteria tra i richiedenti e che pagheranno 1.599 dollari per accedere al keynote iniziale e alle tante sessioni e workshop attivati da Apple fino al 9 giugno.

Tra i 5.000 ci sarà anche un numero record di studenti italiani che hanno vinto una borsa di studio messa in palio da Apple per partecipare alla 28ma edizione della Wwdc, che quest’anno non si terrà più al Moscone Center di San Francisco, bensì al McEnery Convention Center di San Jose. Si tratta di 23 studenti che studiano alla Apple Developer Academy a Napoli. Il gruppo di vincitori (nella foto in alto) rappresenta il numero più elevato di sempre di borsisti Italiani all’evento annuale, un numero 6 volte superiore rispetto all’anno scorso.

Molti studenti Italiani stanno attualmente studiando alla Apple Developer Academy a Napoli (21 dei 23 premiati, mentre altri 2 arrivano dal progetto parallelo, sempre a Napoli, che coinvolge altre università chiamato iOS Foundation Program). L’Academy è in procinto di chiudere il bando di selezione per il prossimo anno, il 31 maggio. Il bando, pubblicato il 28 Aprile (http://www.developeracademy.unina.it), ha già attratto candidature da tutta Europa, fra cui Germania, Francia, Olanda, Spagna, Gran Bretagna e da tutto il mondo, compresi Stati Uniti, Singapore, Russia, Emirati Arabi e molte altre nazioni.
L’Academy, che è gratuita, raddoppierà il numero di studenti accolti per il nuovo anno accademico, che avrà inizio nel mese di ottobre; saranno infatti circa 400 – rispetto ai 200 del primo anno – gli studenti selezionati. Lo scopo della scuola è fornire a ragazzi e ragazze competenze approfondite sullo sviluppo di app, spaziando dal design alla fruizione finale.

Tra i vincitori della borsa di studio c’è anche Federica Ventriglia, 23 anni, studentessa di Ingegneria Elettronica di Capua (Caserta): è la prima ragazza italiana ad aggiudicarsi la Wwdc Scholarship. “Usare le mie competenze nella programmazione e scrittura di codice per fare prodotti e servizi che possono migliorare la vita delle persone è il modo migliore per mettere insieme le mie passioni” dice Federica. Che aggiunge: “Vincere la Wwdc Scholarship è un onore perché mi dà l’opportunità di incontrare persone di tutto il mondo e ampliare le mie competenze”. Roberto Frenna, 20 anni di Quarto, Napoli, ha oltre 10 anni di esperienza nello sviluppo “per divertimento” della borsa di studio dice che “mi si è fermato il cuore quando l’ho saputo. Mi aspetto di conoscere gli sviluppatori più bravi al mondo a San Jose”.

FIRECORE_APREIl modello di business dell’App Store ha un baco. Non per Apple, ovviamente, ma per gli sviluppatori che lavorano duro e bene. E sperano di campare con le app che sanno inventare.

Oggi mi accorgo che è uscito Infuse 5, la nuova versione del miglior player video in circolazione.
Sono app come Infuse che scavano un solco, piccolo ma (per molti, come chi scrive) decisivo, tra l’ecosistema iOS e quello Android. Beninteso, si può vivere anche senza. C’è Vlc. Oppure Kodi. O tanti altri player multimediali. Tuttavia, quando inizi a usare app come Infuse capisci che ci sono quelle 3-4 cose che fanno la differenza tra un’esperienza piacevole e una frustrante.
Pagherò con estremo piacere i 13 euro per la quinta versione di questa app, che ha diverse cose in più, un paio delle quali assai utili per me.

Apple però dovrebbe seriamente considerare qualche modifica nel modello di funzionamento dell’App Store.
Perché? Perché per ripagare il proprio lavoro, gli sviluppatori sono costretti a tirar fuori nuove versioni, a metterle sullo Store come app a sé stanti e a chiedere agli utenti di acquistarle. Cosa che scatena la rabbia di tanti, perché la nuova release va riacquistata integralmente. Anche se uno già possedeva quella precedente. E magari, per caso, l’aveva persino comprata pochi giorni prima.

Tutto ciò perché non è possibile far pagare gli upgrade. Non è possibile garantire neppure uno sconto ai vecchi e fedeli utenti. Se rilasci un’app, poi devi dare gratis tutti gli aggiornamenti. A vita.
Da utente all’inizio mi sembrava una cosa fantastica. Poi parlando con gli sviluppatori, soprattutto quelli bravi, soprattutto quelli che tirano fuori app fantastiche come Infuse, capisci che non possono campare facendo pagare 2,99 euro (o anche 12,99 euro, che è il costo richiesto per Infuse 5) e poi fornendo update gratis nei secoli dei secoli.

Possono inventarsi degli add-on. Quanti li acquistano però?
Oppure devono per forza aggrapparsi al trucchetto di lanciare una nuova versione, abbandonare gli aggiornamenti di quella vecchia (Infuse 4 va a fine vita, infatti) e chiedere di comprarla ancora. Cosa che genera una ricaduta dal pubblico piuttosto negativa (e sappiamo quanto avere quelle maledette 5 stelline nei voti sullo Store sia fondamentale per farsi trovare e scaricare…). In più frammenta una sola app in più release diverse, cosa che genera rumore e confusione nei già super-caotici Store. Sarebbe ora di cambiare le cose.

FIRECOREOvviamente a Cupertino conoscono molto bene la situazione. Per ovviare al  problema, Apple ha spinto il modello a sottoscrizione (qui il nostro approfondimento di alcuni mesi fa). Vuoi un’app oppure vuoi godere delle funzioni “Pro”? Paga un abbonamento, annuale o mensile. Infatti anche di Infuse 5 c’è una seconda versione a “subscription”. Benissimo. Ma è un sistema che, a naso, può funzionare bene quando parliamo di un servizio che per sua natura funziona in questo modo. Netflix, Spotify, un quotidiano. Oppure per un’applicazione professionale, dove il costo dell’abbonamento viene diluito nelle spese legate al proprio lavoro.

Quando arriva Evernote – tanto per citare un’altra ottima app con problemi di modello di business – a chiedermi 6,99 euro al mese per la versione Premium scatta un certo rifiuto. Mi tengo la mia app Note di Apple e si va avanti così. Per salvare la lista della spesa va bene lo stesso.
Chi paga lo fa per senso di solidarietà e riconoscenza verso gli sviluppatori. Ma è evidente che, al di fuori di un ambito lavorativo, ben pochi possono o vogliono pagare 10 euro al mese per lo streaming video, 10 per la musica, 10 per Office, 10 per l’informazione, 7 per un’app di note, 3 per una di Calendario, 2 per un player video e così via.
Infuse 5 chiede 7,49 euro l’anno. Davvero pochi ma personalmente penso preferirò il modello “one shot”, finché esisterà.
(qui gli sviluppatori di Firecore, quelli di Infuse, dopo le polemiche spiegano perché hanno dovuto mettere a pagamento Infuse 5 Pro e creare una seconda versione ad abbonamento)

Queste stesse dinamiche hanno determinato il sostanzialmente fallimento del Mac App Store, da cui molti sviluppatori di app “ad alto spessore” hanno preferito tenersi alla larga. Perché non è sostenibile pensare di vendere un software professionale di fotoritocco o video editing, incassare una volta sola e poi non fatturare più nulla con quell’utente nei decenni seguenti.

L’effetto collaterale di questa situazione è che il modello di business degli Store online si sposta sempre più irrimediabilmente verso l’infernale modello “freemium“. Una pura logica da pusher di stupefacenti. Sopratutto nel casual gaming, ormai per gli sviluppatori è molto complicato vendere un gioco, per quanto bello e divertente. Molto più redditizio regalarlo, spingere a usarlo (come fa il pusher con le prime dosi gratis) e poi – quando ci si incaglia o si iniziano a prendere bastonate dagli altri player online – indurre ad acquistare potenziamenti, armi virtuali, scrigni d’oro, dobloni, talleri e sghei. In cambio di euro, ma quelli veri. Ragion per cui a miei figli ho sempre vietato non dico di usare, ma pure di installare, giochini freemium virali. Da Clash of Clans in giù.

iphone7guardianL’iPhone 7 è stato recensito in maniera non entusiastica ma sostanzialmente positiva da tutti i principali siti di news, sia specializzati in tecnologia che generalisti. Compreso il sottoscritto: vai alla nostra prova completa e al video test.
Samuel Gibbs sul Guardian ha deciso però di stroncare il nuovo smartphone Apple. Il giudizio si ferma a 3 stelline (su 5). Nel mirino soprattutto l’autonomia: «Quanto può essere buono un telefono se la batteria non dura neppure una giornata?» titola la recensione del quotidiano britannico. Gibbs promuove nuove caratteristiche come la resistenza all’acqua, le fotocamera e il Taptic Engine (motore evoluto per le vibrazioni). Tra i contro, oltre ad alcune caratteristiche storiche dell’iPhone (batteria non rimovibile, memoria che non si può espandere, prezzo), è segnalata l’assenza dell’ingresso jack delle cuffie, l’impossibilità di sbloccare il telefono con i guanti ma soprattutto il fatto che, a dire dell’autore, l’iPhone 7 non ce la fa ad arrivare a fine serata. Per gli smartphone è un problema annoso e non a caso vanno per la maggiore schermi più grandi che – tra le altre cose – consentono di inserire sotto la scocca batterie più potenti che durano di più (non a caso Apple ha l’iPhone 7 Plus).

Ma Gibbs evidentemente si aspettava risultati concreti su questo fronte: già con il modello 6S del 2015 si era detto insoddisfatto, promuovendolo però con 4 stelline su 5. Ora il voto cala e Gibss racconta la sua esperienza: «Usandolo (l’iPhone 7, ndr) come mio dispositivo principale per 3 ore di app e browsing, centinaia di mail e notifiche push, un paio di foto, 5 ore di musica su cuffie Bluetooth e il gioco Jetpack Joyride durante la mia ora e 20 da pendolare, è durato una media di 14 ore, ovvero non è andato oltre le 21.30». Secondo il recensore britannico si tratta di una durata peggiore di quella dell’iPhone 6S, nonostante Apple promettesse il 20% di durata in più (valore registrato come realistico da quasi tutti i test dell’iPhone 7 dei vari siti). Gibbs è contrariato anche dalla ricarica lenta: «Anche usando l’alimentatore da 12W dell’iPad Pro occorrono ben più di 2 ore per una carica completa».  Sul fronte dell’autonomia però è difficile attendere rivoluzioni a breve: e allora probabilmente Gibbs sarà deluso anche dall’iPhone 8.

5Aggiornamento 13 dicembre 2016: con un ritardo di oltre un mese rispetto alle volontà iniziali di Apple e dopo diversi tentennamenti le AirPods sono in vendita anche in Italia. A seguire la nostra prova, con video, in anteprima.

Gli AirPods, i nuovi auricolari wireless di Apple, hanno attirato la curiosità del pubblico, forse addirittura più dell’iPhone 7 (che pure sarà il bestseller dei prossimi mesi). Anche una certa ironia, non del tutto ingiustificata. E pure un po’ di malanimo, visto che sono la concretizzazione in plastica e silicio di un’assenza: quella dell’ingresso cuffie su iPhone 7, una mossa che a tanti non è andata giù.

Sorpresa
Dopo una settimana di uso invece siamo rimasti piacevolmente sorpresi da AirPods. Per molti sensi sono un distillato di essenza Apple (la vecchia Apple, per lo meno): un oggetto gradevole esteticamente che fa poche cose ma le fa bene e soprattutto le fa in maniera facilissima. Quel “It just works!” che ci si attende da un oggetto Apple e che può fare la differenza rispetto alla concorrenza nell’uso di tutti i giorni. Semplificando un poco la vita (a prezzo di listino magari non proprio basso e con alcuni limiti, che andiamo a spiegare qui sotto). Anzi, sono convinto che questi oggetti siano una porticina dischiusa sul futuro (e anche qui ci arriviamo più avanti).

Ecco intanto la videoprova:

L’auricolare che non cade
Su un oggetto come un auricolare devo fare una premessa personale. Non ho mai usato gli EarPods ovvero gli auricolari standard, quelli bianchi, inseriti nella confezione dell’iPhone fin dall’iPhone 5 (nel 2012). Benché non sia un melomane incallito, trovo la qualità del suono degli EarPods bassa, appena sufficiente. Soprattutto non sono adatti alla forma del mio orecchio. Mi scivolano via e anche piuttosto in fretta. In verità quasi tutti gli auricolari che ho provato nel corso degli anni non sembrano essere graditi dai miei padiglioni. Con l’eccezione di quelli Bose, che grazie al peduncolo in silicone (Inserto StayHear, si chiama così) non si staccano mai e che sono da anni i miei preferiti.

Il mio pre-giudizio sugli AirPods era dunque questo: farò il test iniziale e poi li archivierò nella categoria del “non mi interessano e non li userò”. Ma ora che li ho provati a lungo, penso invece che li userò tutti i giorni.

Il perché è facile da spiegare: fanno qualcosa che non ho mai trovato in altri auricolari.

La soluzione di Bose per non far scappare gli auricolari dall'orecchio

La soluzione di Bose per non far scappare gli auricolari dall’orecchio

Intanto, con una certa sorpresa, non scappano dall’orecchio. La forma è quella degli EarPods ma il fatto che non ci sia il filo cambia la faccenda. Di solito è proprio il cavo a far uscire dai padiglioni la cuffietta: si aggancia in giro, lo si tocca inavvertitamente con le mani o semplicemente con il suo peso fa scivolare fuori l’auricolare (la soluzione Bose, poi copiata più o meno bene da altri produttori, serve proprio a garantire una “presa” solida).
AirPods ovviamente non ha il cavo. Ha invece un forma un po’ sgraziata, da “mezzo cotton fioc che esce dall’orecchio” (come ho letto) o da orecchino un po’ troppo nerd. Una forma però efficace perché, con le dimensioni e il peso di quel “bastoncino” che si allunga sotto all’auricolare vero e proprio, garantiscono un’ottima resistenza a fughe accidentali dall’orecchio. Li ho utilizzati anche per attività fisica (corsa leggera, qualche scatto) e sono rimasti al loro posto.

Meglio una prova
Sono ovviamente considerazioni abbastanza personali perché AirPods esiste in un solo formato e il fatto che sia in plastica rigida (avrei preferito un sovraguscio in silicone morbido, di certo più confortevole) è un “prendere o lasciare”: su molte orecchie le cuffiette Apple potrebbero risultare troppo grandi o troppo piccole, ma nel complesso il design sembra tutt’altro che casuale e ben studiato. Ho indossato AirPods anche durante un po’ di relax a letto, senza particolari disagi (per molti altri auricolari non è così). Se possibile, in ogni caso è consigliata una prova, in negozio o tramite un amico, per capire se le nostre orecchie e le cuffiette Apple possono diventare buone amiche.

Addio grovigli
Rispetto ad auricolari cablati c’è l’ovvio vantaggio di non litigare più col filo. Per lavoro e no, spesso mi capita di dover rinunciare a usare le mie cuffie perché ho urgenza di fare (o prendere) una chiamata e non ho quei 2-3 minuti che mi servono – tra un’imprecazione e l’altra – per slegare i grovigli che regolarmente si creano (con i nodi ho un cattivo rapporto, sì).

Apri ed è fatta
4Ma anche rispetto alle decine di prodotti Bluetooth sul mercato, AirPods ha un vantaggio. Il pairing (ovvero l’accoppiamento tra telefono/tablet/pc e l’auricolare) è immediato, trasversale e pressoché infallibile. L’idea è vincente. Gli AirPods arrivano in una custodia: quando la apriamo vicino all’iPhone immediatamente vengono riconosciuti e basta estrarli, infilarli all’orecchio e utilizzarli.
Grazie ad iCloud, i nostri AirPods sono associati a tutti gli iDevice (iPhone, iPod Touch, iPad, Watch e presto anche Mac) collegati al nostro account Apple. Quindi si potrà usarli sull’iMac mentre si lavora in casa, poi uscire per un po’ di corsa e indossare solo il Watch, infine rientrare e fare una telefonata con l’iPhone. Sulla custodia, sul retro, c’è un pulsantino: serve ad accoppiare AirPods anche a un qualunque altro dispositivo Bluetooth (un telefono Android, un pc, etc). Si può fare ma si perdono tutte le funzionalità “smart” inserite da Apple.

Processore W1
w1Perché l’altro “margine” rispetto a un classico auricolare Bluetooth è nella parte di “intelligenza artificiale” inserita in AirPods grazie a un apposito chip, che Apple chiama W1. È lui a gestire la connessione super-facile, è lui a capire quando parlate al microfono (e tenta di migliorare la qualità della voce escludendo per quanto possibile i rumori di fondo), è lui a sapere se gli auricolari sono entrambi inseriti nelle orecchie.
Perché se ne togliete uno la riproduzione (musica, un podcast, un video) va in pausa. Quando lo infilate di nuovo va in Play. Quando li togliete tutti e due e li infilate nella scatolina, l’audio torna al telefono. Durante le telefonate si può usarne uno solo: automaticamente vengono gestiti i due microfoni, con l’utilizzo di tutti e due oppure del solo destro/sinistro. Se volete condividere una canzone con il vostro/a lui/lei basta mettere nel suo orecchio uno dei due auricolari. Tutto estremamente semplice.

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Le opzioni degli AirPods (via iPhone)

Siri
L’altro aspetto semplice semplice – forse anche troppo – sono i comandi. Non ci sono né pulsanti né comandi touch. Si passa dal telefono oppure, meglio, da Siri. Doppio tap su uno degli AirPods e si attiva Siri. L’assistente digitale fa le cose che a cui ci hanno abituati iPhone/iPad (ricerche, cercare percorsi su Mappe, inserire appuntamenti e pro-memoria, mandare messaggi, etc). Oppure serve a controllare la musica: comandi come “vai al prossimo brano”, “alza (o abbassa) il volume” funzionano perfettamente.
Alcune volte i limiti attuali di Siri sono una zavorra e tocca tirar fuori l’iPhone dalla tasca e interagire col telefono. Con iOS 10 però anche Siri è aperta alla possibili di interazione con tutte le app. Gli sviluppatori sfrutteranno la cosa ed AirPods è destinato a diventare una vera testa di ponte per la transizione dalle interfacce touch a quelle vocali.
Perché? Perché Siri entra, letteralmente, nelle vostre orecchie. Che è cosa ben diversa e con ben altra immediatezza rispetto al tirar fuori uno smartphone, schiacciare un pulsante e attendere una risposta. Se avete visto il film “Her” (“Lei”) sapete di cosa parlo. Ok, lì le cose non vanno esattamente benissimo per il protagonista, ma il portare gli assistenti vocali vicino al corpo o dentro alla casa (è la strategia di Amazon con Echo (“Alexa”) e di Google con Home) è l’idea vincente per spianare definitivamente il cammino all’interazione vocale continua con le macchine.

Ecco perché AirPods è anche l’inizio del sentiero che porta al futuro, un futuro meno distante di quel che possiamo pensare.

A patto che ci sia connettività: no Internet, no Siri, no comandi per AirPods.

Batteria e custodia
Un dato che ha fatto discutere è l’autonomia: ma come, durano solo 5 ore? Intanto è difficile pensare che oggetti così minuscoli, con una batteria quindi microscopica, possano assicurare molte ore di carica. In verità AirPods ha un’autonomia molto più lunga grazie a un trucco ingegnoso. La scatolina è anche il caricatore. Gli auricolari non hanno porticine di sorta. Per caricarli li si inserisce nella custodia: grazie a un sistema magnetico le due cuffiette sono saldamente agganciate (direi quasi ingoiate dall’ovetto bianco, che sembra un po’ la Eve di “Wall-E” quando ha assorbito la pianta ed è chiusa a bozzolo*) e partono a caricarsi. Un quarto d’ora garantisce circa 3 ore di autonomia.
Di fatto la custodia è un power bank (le batterie portatili esterne per gli smartphone) che fornisce in tutto 24 ore di autonomia e si ricarica a sua volta tramite una porta Lightning.
walleDopo 6 giorni di utilizzo, non assiduo ma quotidiano, sono arrivato a 0% di carica della scatolina, mentre gli AirPods sono ancora all’87%. Non male. La custodia è anche un ottimo deterrente contro lo smarrimento. Diventa abbastanza immediato sfilarsi gli auricolari e riporli immediatamente dentro l’ovetto. Se proprio temete di perderli (sono in effetti molto piccoli) c’è chi ha già inventato accessori anti-smarrimento.
(*nota: non a caso AirPods e Eve hanno in comune Jony Ive, il designer Apple)

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Samsung Icon X

Qualità audio
Considerato il precedente degli EarPods, non mi aspettavo nulla di particolare dal punto di vista qualitativo da parte degli AirPods. E così è stato, anche se siamo su un livello superiore alle cuffiette Apple cablate. I bassi sono molto decisi, in stile Beats (marchio che è di Apple), mentre a soffrire di più sono i toni medi. In generale il suono non è del tutto equilibrato, ma ci troviamo di fronte a oggetti che non sono certo pensati per audiofili che si vogliono godere un grande ascolto nel salotto di casa, con sigaro e cognac alla mano. Non sono pensati per l’ascolto in situazioni quali treno o aereo: non c’è cancellazione attiva del rumore e la scocca in plastica dura non offre neppure un valido argine “meccanico” alla limitazione dei suoni esterni. Gli audiofili continueranno quindi a rivolgersi altrove, ma AirPods non è certamente pensato per quel target. Anche se uno sforzo in più per un oggetto che costa 179 euro sarebbe stato gradito da parte di Apple.
Il prezzo resta il deterrente più forte all’acquisto. È elevato, certo. Il confronto però va fatto con micro-auricolari Bluetooth dotati di funzioni smart. Se lo si fa, si vedrà che prodotti come Samsung Icon X o Bragi Dash, più rivolti al fitness e dunque dotati di funzioni che gli AirPods non hanno (tracciamento dati biometrici, spazio di memoria interno per la musica, etc), ma anche con meno autonomia e meno facilità d’utilizzo, costano da 199 ai 299 euro.
Ma d’altronde il 90% della gente di solito si accontenta delle cuffiette che trova nella confezione del telefono: per loro l’ipotesi di acquisto degli AirPods neppure si porrà. Per chi invece è in possesso di diversi dispositivi Apple è un acquisto che, tenendo conto dei limiti di cui abbiamo parlato, può essere preso in seria considerazione.