Books by benedetto fassanelli
Nei primi decenni del ’900, la Congregazione del Sant’Ufficio discusse al suo interno progetti di... more Nei primi decenni del ’900, la Congregazione del Sant’Ufficio discusse al suo interno progetti di riforma volti a riaffermare la propria autorità messa in discussione dai processi di secolarizzazione. Sullo sfondo di questo quadro istituzionale, il libro indaga le pratiche dei custodi dell’ortodossia e della morale cattolica. Al centro dell’attenzione vi sono vicende emblematiche del difficile rapporto tra il clero e il corpo: il corpo ostile della donna e il corpo inteso come luogo di pulsioni, indicibile perché scandaloso. Le vicende qui discusse – a proposito di mistiche, fondatrici, ‘teologhesse’, medici, pedagoghi e sacerdoti accusati di molestie verso le penitenti – permettono di osservare come il sant’Ufficio reagì a tali difficili questioni.

Donne e Inquisizione, 2020
CONTENTS
Marina Caffiero e Alessia Lirosi: "Introduzione"
Michaela Valente: "Tra i silenzi dell... more CONTENTS
Marina Caffiero e Alessia Lirosi: "Introduzione"
Michaela Valente: "Tra i silenzi della storia. Primi appunti su donne e Inquisizione romana nella prima età moderna"
Susanna Peyronel Rambaldi: "Inquisizione e donne accusate di ‘luteranesimo’ "
Massimo Moretti: "«Non è mia professione come donna intendermi delle pitture». Un’indagine sulla vita religiosa e sulla facoltà di giudizio delle donne negli atti di un processo del 1601"
Isabel Harvey: "Braccio di ferro tra una terziaria domenicana e un convento maschile visto attraverso l’Inquisizione napoletana. Il processo per affettata santità contro suor Giovanna Cesarea di Napoli (1672-1682)"
Giuseppina Minchella: "Cambiare nome, abito e religione:
un caso seicentesco di mobilità femminile"
Francesco Vitali: "Donne ebree sotto processo a Pisa tra gli Otto di Guardia e Balìa e l’Inquisizione: un caso del 1606"
Benedetto Fassanelli: "La condanna all’oblio di Maria Lilia Mastacchini e la «congiura del silenzio» di una comunità religiosa femminile di primo Novecento"
Papers by benedetto fassanelli
Studi storici, 2022
During the second half of the seventeenth century, the leaders of the movement known as the Pelag... more During the second half of the seventeenth century, the leaders of the movement known as the Pelagini stood trial in the Inquisition, which sentenced them to relegation for the "errors and blunders" they spread in some villages of the Venetian Terraferma. The Pelagian brotherhoods practiced mental prayer and pursued a model of religious community alternative to the Church's. Although their followers were not condemned as heretics, this fragmented, heterodox movement was included in the genealogy of Quietism established during the last decades of the century. Drawing on some unexplored sources preserved in the Archive of the Holy Office in Rome, this article aims to investigate the religious experiences of the Pelagini against the background of the definition of a heretical paradigm able to promote their prosecution.

Giornale di Storia, 2021
Se c'è, in Italia, un osservatorio nel carcere sul carcere questo non può che essere la redazione... more Se c'è, in Italia, un osservatorio nel carcere sul carcere questo non può che essere la redazione di «Ristretti orizzonti», la rivista che, da venticinque anni, racconta l'universo della reclusione. «"Ristretti orizzonti" è un nome un po' strano-ci racconta Ornella Favero, direttrice e fondatrice del periodico-perché nasce dal termine burocratico, "ristretti", con cui vengono chiamati i detenuti: "Ristretti orizzonti" vuole indicare la necessità di allargare gli orizzonti ristretti del carcere». Pensata per rispondere all'esigenza di «costruire un ponte che permettesse di arrivare alla società esterna», e di superare la «distanza enorme tra il dentro e il fuori» acuita dalla narrazione stereotipata del carcere veicolata dalla stampa, la rivista è diventata il fulcro di incontri, convegni, percorsi formativi e occasioni di confronto sul carcere, sulla pena e sulla giustizia. Abbiamo chiesto a Ornella Favero di raccontarci questa esperienza di lavoro e riflessione sulla detenzione oggi e sul rapporto taciuto tra la società esterna e ciò che di essa viene espulso-"ristretto" appunto-oltre le mura del carcere.
L'intervista fa parte del numero 38/2021 del Giornale di Storia: "Dialoghi sul carcere: sguardi, modelli, esperienze dal Settecento ad oggi", a cura di Chiara Lucrezio Monticelli
L’eresia della preghiera. Gesuiti e Pelagini tra Lombardia e Veneto nel Seicento, a cura di G. Mongini, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2021

Donne e inquisizione, a cura di M. Caffiero e A. Lirosi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, pp. 173-204, 2020
La vicenda esaminata permette di osservare le modalità, gli strumenti e le forme degli interventi... more La vicenda esaminata permette di osservare le modalità, gli strumenti e le forme degli interventi del sacro tribunale: in essi elementi della plurisecolare azione dell’inquisizione si affiancano a nuove procedure e chiavi analitiche che aggiornano il linguaggio e al contempo ribadiscono la missione della congregazione.
Questa tendenza al controllo e al governo si manifesta anche nei confronti di un’insorgenza di esperienze mistiche (falso misticismo agli occhi del sacro tribunale) di cui un numero non trascurabile di donne (soprattutto) si diceva protagonista. Una tendenza in certa misura sospinta anche dalle devozioni con cui la Chiesa si opponeva al processo di secolarizzazione (p.e. sacro Cuore) e da canonizzazioni recenti (Teresa di Lisieux). Il caso rivela come queste figure di “mistiche” suscitassero interesse e ammirazione anche in settori non marginali del clero che cercavano nei segni e nelle parole di queste donne manifestazioni autentiche della grazia. Al contempo, conferma e verifica il perdurare, nel lungo periodo, dell’attenzione da parte della gerarchia cattolica per lo spiritualismo, da sempre guardato con sospetto perché potenzialmente destabilizzante l’autorità e il ruolo di mediatore del sacerdozio fondato sull’ordine e non sul carisma.
Ma la vicenda permette anche di osservare, oltre la mistica, la volontà più generale della gerarchia ecclesiastica di controllare, guidare o governare ogni iniziativa autonoma femminile in ambito religioso e ecclesiastico (siamo nell’epoca dell’organizzazione del laicato femminile sotto la guida del clero). Lotta alle idee moderne, alla secolarizzazione delle società di tradizione cattolica e difesa dell’onore della Chiesa (e del clero) si esprimevano anche nei procedimenti disciplinari che miravano a riprendere e arginare (o interrompere e cancellare) i percorsi autonomi che le esperienze religiose femminili potevano imboccare rispetto a quelli approvati. Maria Lilia Mastacchini fu protagonista di questa duplice esperienza: giovane monaca di clausura visse una travagliata esperienza mistica o misticheggiante, uscita dal convento fondò un istituto religioso femminile che agiva tra il popolo e soprattutto per le donne di una società rurale soggetta a una repentina industrializzazione proponendo iniziative di formazione (e formazione al lavoro) e cura.
Le nuove forme di apostolato e i metodi di lavoro delle donne raccolte nell’istituto fondato dalla Mastacchini (l’attenzione per le donne, la necessità di confondersi con la classe lavoratrice, fino a farne parte per poter condividerne la vita), costituiscono un altro aspetto rilevante della vicenda.
Il lavoro e la formazione al lavoro delle donne sono centrali nella vicenda, l’opposizione ai tentativi di ingerenze da parte del clero locale sulla vita dell’istituto esprime una profonda consapevolezza della necessità di autonomia dell’iniziativa femminile.
La centralità del corpo delle donne è forse un altro aspetto non irrilevante: il corpo luogo dell’esperienza mistica – un’esperienza fisica – e delle sofferenze e della malattia che incarnano la penitenza della vittima sacrificale/strumento di salvezza/strumento della grazia.
Ma il corpo è anche quello scrutato dagli inquisitori – e esaminato dai medici – per leggere nella malattia (del corpo e della mente – accettando strumentalmente la lettura materialista e organicista prevalente nella psichiatria) le cause degli eccessi e per spiegare con essa tanto le “diavolerie” quanto l’insubordinazione e i conflitti col clero (col potere maschile).
Infine il saggio si sofferma sugli esiti della condanna all’oblio che il Sant’Ufficio pronunciò sulla Mastacchini: cosa ne sarebbe stato dell’opera da lei fondata? Come risolvere il conflitto tra l’esigenza di mantenere in vita un istituto utile e la necessità di cancellare le tracce della fondatrice il cui solo nome minacciava l’onore della Chiesa? E soprattutto, come uscirne senza coprire di ridicolo i decreti, il nome e l’autorità della Suprema congregazione?
Il lavoro delle “sorelle” della Mastacchini – ancora una volta – creò le condizioni per il raggiungimento di una mediazione. All’ombra di questa mediazione l’istituto e le comunità in cui questo era insediato, conservarono anche la memoria della fondatrice, una memoria confusa in decenni di clandestinità, sopravvissuta attraverso narrazioni che ripercorrono anche stilemi consueti e immaginari in parte codificati dalla religiosità popolare. A tutto ciò contribuì senz’altro la forma in cui venne pronunciata la condanna all’oblio – a sua volta quasi clandestina, non detta ma appena evocata dalle disposizioni comunicate alla suora – a cui corrispose il silenzio carico di ricordi e speranze – la «congiura del silenzio» – di chi custodì e tramandò la memoria.

Giornale di Storia, 2019
Graziella Bastelli — per più di quarant’anni infermiera all’Istituto di neuropsichiatria infantil... more Graziella Bastelli — per più di quarant’anni infermiera all’Istituto di neuropsichiatria infantile dell’Università la Sapienza di Roma – racconta il reparto di emergenze psichiatriche dell’Istituto a partire dalla stagione di sperimentazioni iniziata a metà degli anni Settanta del secolo scorso sotto la guida di Marco Lombardo Radice. Negli anni in cui esperienze innovative (da Gorizia a Colorno, da Perugia a Trieste) imponevano con urgenza il superamento della reclusione psichiatrica, a nell’Istituto romano fondato da Giovanni Bollea prendeva forma una pratica clinica neurologica e psichiatrica fondata sul riconoscimento della specificità dell’età evolutiva — e dell’adolescenza in particolare — nell’affrontare il disagio psichico. A “via dei Sabelli” si realizzò uno «strano miscuglio — come lo definì Lombardo Radice — fra ricerca del massimo di competenza tecnica, capacità di interrogarsi anche crudelmente, grande amore per i pazienti». Da questa esperienza — che non poteva non varcare i confini dell’ospedale per conquistare spazi di libertà — nacque anche il Grande Cocomero, un’associazione di volontariato, un "luogo del possibile” — ci racconta Lorenzo Manni — in cui le prospettive di cura si misurano con i confini e le soglie che tendono a costruire e a separare il “malato" dal “sano”.
L'intervista è parte del numero monografico 29/2019 del Giornale di Storia: "Prima e dopo Basaglia. Il trattamento del disagio psichico in Italia dalla seconda metà dell’Ottocento all’indomani della Legge 180"
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Giornale di Storia, 2019
All’indomani della riforma psichiatrica del 1978, l’ospedale Santa Maria della Pietà era ancora, ... more All’indomani della riforma psichiatrica del 1978, l’ospedale Santa Maria della Pietà era ancora, in buona sostanza, un luogo di custodia e contenzione del disagio psichico. Nel 1980, di ritorno da Trieste, Tommaso Losavio iniziò a lavorare in alcuni reparti del manicomio romano affidati al servizio psichiatrico territoriale di cui era primario. Si avviava allora, anche a Roma, un lento e complesso processo di de-istituzionalizzazione che procedeva insieme alla faticosa costruzione dei servizi psichiatrici diffusi previsti dalla riforma sanitaria. Nel 1994 Losavio divenne direttore del “Progetto di chiusura del Santa Maria della Pietà” e guidò lo smantellamento di ciò che restava dell’istituzione psichiatrica: alle soglie del 2000, trent’anni dopo il suo primo ingresso in un manicomio — quello di Rieti —, Losavio poté dichiarare chiuso l’ospedale psichiatrico romano. Il superamento del manicomio per come era stato fino ad allora conosciuto, però, non comportava — e non comporta tutt’ora — il superamento della "manicomialità” ossia del rischio latente — e immanente alla relazione malato-curante — dell’abuso di potere e del riproporsi, in forme diverse, dei "meccanismi tipici della violenza istituzionale”.
Losavio poté dichiarare chiuso l’ospedale psichiatrico romano. Il superamento del manicomio per come era stato fino ad allora conosciuto, però, non comportava — e non comporta tutt’ora — il superamento della "manicomialità” ossia del rischio latente — e immanente alla relazione malato-curante — dell’abuso di potere e del riproporsi, in forme diverse, dei "meccanismi tipici della violenza istituzionale”.
L'intervista è parte del numero monografico 29/2019 del Giornale di Storia: Prima e dopo Basaglia. Il trattamento del disagio psichico in Italia dalla seconda metà dell’Ottocento all’indomani della Legge 180.
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Liliana Billanovich, Fra istituzioni e società. Studi di storia della Chiesa tra Seicento e Novecento, a cura di P. Giovannucci, con contributi di A. Barzazi, B. Fassanelli, P. Giovannucci, G. Mongini, Padova, Istituto per la Storia Ecclesiastica Padovana, pp. LVII-LXXI., 2019
Vorrei iniziare questa breve introduzione ai due ultimi saggi raccolti in questo volume con un ri... more Vorrei iniziare questa breve introduzione ai due ultimi saggi raccolti in questo volume con un ricordo personale, di qualche anno fa oramai, quando per la prima volta mettevo piede ai Frari, l'archivio storico di Venezia, alla ricerca delle tracce della presenza, nella Terraferma veneta, di quello che veniva ancora ritenuto un 'popolo senza storia'. Liliana Billanovich, dopo avermi spiegato come muovermi tra indici e inventari, mi disse di non dubitare: « l'archivio paga sempre ». Mi accorsi col tempo che non si trattava semplicemente di un'esortazione

«Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 2017
Il saggio, analizzando i procedimenti censori di cui furono oggetto due intellettuali e accademic... more Il saggio, analizzando i procedimenti censori di cui furono oggetto due intellettuali e accademici cattolici legati all’ateneo patavino, si propone di indagare le modalità e le procedure adottate dal Sant’Ufficio per impedire il «pestifero contagio» delle idee moderne.
Le due vicende permettono di soffermare lo sguardo su altrettanti temi capaci di attrarre l’attenzione della Suprema autorità ecclesiastica deputata al controllo dell’ortodossia: la possibilità di discutere una filosofia cristiana diversa dal neotomismo, e la liceità e l’opportunità di promuovere un’educazione alla sessualità che fosse capace di tenere insieme questioni morali e spiegazioni scientifiche. L’appartenenza degli autori (e degli editori) al campo cattolico influì in maniera diretta sulla scelta delle strategie e soluzioni censorie ritenute più opportune e appropriate.

Rivista storica italiana, 2016
L’articolo esamina i progetti elaborati per riformare la Sezione Censura librorum istituita in Sa... more L’articolo esamina i progetti elaborati per riformare la Sezione Censura librorum istituita in Sant’Uffizio a seguito della soppressione della Congregazione dell’Indice nel 1917. Tra il 1934 e il 1939 in Sant’Uffizio venne presa in considerazione l’opportunità di dotarsi di un apparato di vigilanza sulla stampa adatto ai tempi (e ispirato, almeno in parte, ai modelli censori degli stati totalitari). I progetti naufragarono, ma dalla documentazione emerge l’a- spirazione della Suprema a rinnovare gli strumenti di una missione che restava centrale nella percezione del proprio ruolo.
In the Thirties of 20th century, after the suppression of the Congrega- tion of the Index, the Congregation of the Holy Office planned some projects aimed at reforming the Censura Librorum division instituted in 1917. Between 1934 and 1939 the Holy Office considered the advisability to provide itself with a surveillance apparatus on the publishing (inspired, at least in part, by censorship systems of totalitarian states). These projects failed, but the documentation shows the aspiration of the Supreme to renovate the means of a mission that remained centrally important in its own role perception.
Ricerche di storia sociale e religiosa, 2015
L’articolo si sofferma sul ricorso da parte del Sant’Uffizio alle categorie nosografiche della ps... more L’articolo si sofferma sul ricorso da parte del Sant’Uffizio alle categorie nosografiche della psichiatria nell’esame delle esperienze spirituali del primo Novecento. La documentazione conservata nell’archivio vaticano del Sant’Uffizio permette di osservare come la psicopatologia (l’utilizzo anche meramente evocativo del linguaggio specialistico e alcuni contributi di psichiatri) poteva fornire agli inquisitori strumenti utili per risolvere imbarazzanti casi di «falso misticismo» tra i numerosi che segnarono i primi decenni del XX secolo.

«Quaderni storici», 2014
This article proposes a reflection on the presence of Gypsy communities in the territory between ... more This article proposes a reflection on the presence of Gypsy communities in the territory between the Adriatic Sea and the Bosforo, between the 14th and the 17th Century. This area constituted a milestone in the Gypsy's dispersion; although a transitional moment, it assumed a founding value in the context of movements of longer duration. In the case of Gypsy people, this founding value cannot be based on an exclusive relationship with the land (i.e. the rooting via the occupation of more or less uninhabited places), but it rests upon the relationship with the people who inhabit it. Therefore, via an analysis of both published and unpublished sources, and with the support of the so-called "Romani Studies", the article aims to investigate some forms of coexistence and integration, and to consider the hostile climate in which these equilibria were reached in the Eastern Mediterranean area, particularly in the Venetian "Stato da Mar" and in the Ottoman Rumelia.
L'articolo propone una riflessione sulla presenza zingara, tra XV e XVII secolo, nei territori compresi tra l'Adriatico e il Bosforo. Quest'area costituì una tappa fondamentale della dispersione zingara; una tappa transitoria, che assume però un valore fondativo nell'ambito di movimenti di più lunga durata. Nel caso delle popolazioni rom, questo valore fondativo non può basarsi sulla relazione esclusiva con la terra (il radicamento attraverso l'occupazione di spazi più o meno disabitati), ma poggia sulla relazione con le popolazioni che la abitano. Attraverso il confronto con fonti edite e inedite, e con gli esiti dei cosiddetti "Romaní Studies", si intende dunque osservare alcune forme di convivenza e di integrazione, e riflettere sul clima ostile in cui questi equilibri vennero raggiunti nell'ambito del Mediterraneo orientale, in particolare nello "Stato da Mar" veneziano e nella Rumelia ottomana.L'articolo propone una riflessione sulla presenza zingara, tra XV e XVII secolo, nei territori compresi tra l'Adriatico e il Bosforo. Quest'area costituì una tappa fondamentale della dispersione zingara; una tappa transitoria, che assume però un valore fondativo nell'ambito di movimenti di più lunga durata. Nel caso delle popolazioni rom, questo valore fondativo non può basarsi sulla relazione esclusiva con la terra (il radicamento attraverso l'occupazione di spazi più o meno disabitati), ma poggia sulla relazione con le popolazioni che la abitano. Attraverso il confronto con fonti edite e inedite, e con gli esiti dei cosiddetti "Romaní Studies", si intende dunque osservare alcune forme di convivenza e di integrazione, e riflettere sul clima ostile in cui questi equilibri vennero raggiunti nell'ambito del Mediterraneo orientale, in particolare nello "Stato da Mar" veneziano e nella Rumelia ottomana.

«Società e storia», 2012
By focusing on the history of Gypsy groups in the early modern period, this paper aims to reflect... more By focusing on the history of Gypsy groups in the early modern period, this paper aims to reflect on the opportunity to use the notion of "hostility" as an interpretative category about the relationship between majority societies and minorities. It analyzes the form of the bans that hit Gipsy people and considers as case studies the sixteenth-century Venetian legislation and the project of "reducing" Gipsy people in the Papal State in 1631. The persistence of the minority (despite the resolute tones of the repressive speech and criminal rhetoric) can be studied throgh the notion of hostility, which also reflects a relational dimension, the level of integration that the early modern Italian society was able to reach. This relationship was based on an unstable balance, an hostile one, which cannot be understood thorugh the most rigid pair "toleration/intolerance".
Il saggio intende riflettere, attraverso alcune considerazioni sulla storia dei gruppi zingari in età moderna, sull’opportunità di introdurre il concetto di "ostilità" come categoria interpretativa con cui leggere i rapporti tra società maggioritarie e minoranze culturali. In particolare, si sofferma sulle forme del bando che colpiva, pressoché ovunque, gli zingari, assumendo come esemplificazioni la legislazione veneta del XVI secolo e il disegno di "riduzione" degli zingari intentato nel 1641 nello Stato pontificio. La persistenza della minoranza (nonostante i toni risolutivi del discorso repressivo e delle retoriche criminali) può essere studiata alla luce dell’idea di ostilità che rimanda ad una dimensione relazionale possibile, alla forma di integrazione di cui furono capaci le società dell’epoca. Una relazione che si regge su un equilibrio instabile, ostile appunto, ma che non potrebbe essere compresa pienamente riferendosi al più rigido binomio "tolleranza/intolleranza".
Ricerche di storia sociale e religiosa, 2012
Nella primavera del 1899, monsignor Luigi Franci, avvocato fiscale del Sant'Uffizio, presenta ai ... more Nella primavera del 1899, monsignor Luigi Franci, avvocato fiscale del Sant'Uffizio, presenta ai cardinali inquisitori generali la richiesta di poter sottoporre alla «Loro illuminata saviezza alcune osservazioni di diritto e di fatto» a proposito di una «nuova disposizione» che andava a toccare la procedura giudiziaria prevista in «materia di sollecitazione» 1 .

Ricerche di storia sociale e religiosa, 2011
This essay illustrates the results of the complete rewiew of the archival series “Devotiones vari... more This essay illustrates the results of the complete rewiew of the archival series “Devotiones variae” (1912-1938), from the Holy Office’s collection of the Archives of the Congregation for the Doctrine of the Faith. The bulk of the documentation contained within the “Devotione variae” series provides significant insight into the devotional and mystical experiences investigated by the tribunal of the faith in the early twentieth century. The article focuses upon the practices and procedures that were followed by the Congregation of the Holy Office in pursuing its mission, as well as the recurrent interpretative criteria used within the evaluations issued by the councilliors and officers, beginning with the significant role played by the nosographic categories, a tool for discerning spirits that seems to have been permanently associated with the “claves” of mystical theology.

«Quaderni storici», 2008
This article moves from what we might define a piece of news, that is, the story of the vicissitu... more This article moves from what we might define a piece of news, that is, the story of the vicissitudes of a cingani company that travelled for ten days between lake Garda and the Veronese countryside between June and July 1587. Traces of this transit emerge from the files of a court case. In spite of the limits of this kind of source, these return the echoes of the different voices of people dealing with the same issue - the presence of the cingani within the formal boundaries of a modern state - from different points of view. Particular attention was paid to the observation of a central issue in the daily life of so-called cultural minorities: the ability to establish and maintain relationships with the so-called indigenous populations. In the case of the cingani, such relationships took shape in cultural contexts characterized by broad and widespread hostility, and not without material consequences. Without any pretence to offer a comprehensive benchmark analysis or broad generalizations, a glance over what happened outside the borders of the Republic of Venice tries to collocate local vicissitudes in a broader and certainly more complex framework.
Italia romaní vol. V, a cura di M. Aresu e L. Piasere, Roma, Cisu, 2008
Nella storia della presenza "zingara" nella penisola italiana, il Cinquecento appare come il seco... more Nella storia della presenza "zingara" nella penisola italiana, il Cinquecento appare come il secolo dei bandi.
Alle radici dell’Europa. Mori, giudei e zingari nei paesi del Mediterraneo occidentale (secoli XV-XVII), a cura di F. Gambin, Firenze, Seid, 2008
Il mio intervento muove da un fatto di cronaca di qualche secolo fa, una vicenda di per sé minore... more Il mio intervento muove da un fatto di cronaca di qualche secolo fa, una vicenda di per sé minore ma che, forse, permette di riflettere sull'oggetto di studio di questo convegno, ossia sui rapporti tra società maggioritarie e minoranze culturali, sul loro essere "prodotti storici", costruiti e ricostruiti e che a loro volta partecipano al continuo coniugarsi nel tempo delle affermazioni identitarie e delle visioni dell'altro (maggioritario o minoritario che sia).
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Books by benedetto fassanelli
Marina Caffiero e Alessia Lirosi: "Introduzione"
Michaela Valente: "Tra i silenzi della storia. Primi appunti su donne e Inquisizione romana nella prima età moderna"
Susanna Peyronel Rambaldi: "Inquisizione e donne accusate di ‘luteranesimo’ "
Massimo Moretti: "«Non è mia professione come donna intendermi delle pitture». Un’indagine sulla vita religiosa e sulla facoltà di giudizio delle donne negli atti di un processo del 1601"
Isabel Harvey: "Braccio di ferro tra una terziaria domenicana e un convento maschile visto attraverso l’Inquisizione napoletana. Il processo per affettata santità contro suor Giovanna Cesarea di Napoli (1672-1682)"
Giuseppina Minchella: "Cambiare nome, abito e religione:
un caso seicentesco di mobilità femminile"
Francesco Vitali: "Donne ebree sotto processo a Pisa tra gli Otto di Guardia e Balìa e l’Inquisizione: un caso del 1606"
Benedetto Fassanelli: "La condanna all’oblio di Maria Lilia Mastacchini e la «congiura del silenzio» di una comunità religiosa femminile di primo Novecento"
Papers by benedetto fassanelli
L'intervista fa parte del numero 38/2021 del Giornale di Storia: "Dialoghi sul carcere: sguardi, modelli, esperienze dal Settecento ad oggi", a cura di Chiara Lucrezio Monticelli
Questa tendenza al controllo e al governo si manifesta anche nei confronti di un’insorgenza di esperienze mistiche (falso misticismo agli occhi del sacro tribunale) di cui un numero non trascurabile di donne (soprattutto) si diceva protagonista. Una tendenza in certa misura sospinta anche dalle devozioni con cui la Chiesa si opponeva al processo di secolarizzazione (p.e. sacro Cuore) e da canonizzazioni recenti (Teresa di Lisieux). Il caso rivela come queste figure di “mistiche” suscitassero interesse e ammirazione anche in settori non marginali del clero che cercavano nei segni e nelle parole di queste donne manifestazioni autentiche della grazia. Al contempo, conferma e verifica il perdurare, nel lungo periodo, dell’attenzione da parte della gerarchia cattolica per lo spiritualismo, da sempre guardato con sospetto perché potenzialmente destabilizzante l’autorità e il ruolo di mediatore del sacerdozio fondato sull’ordine e non sul carisma.
Ma la vicenda permette anche di osservare, oltre la mistica, la volontà più generale della gerarchia ecclesiastica di controllare, guidare o governare ogni iniziativa autonoma femminile in ambito religioso e ecclesiastico (siamo nell’epoca dell’organizzazione del laicato femminile sotto la guida del clero). Lotta alle idee moderne, alla secolarizzazione delle società di tradizione cattolica e difesa dell’onore della Chiesa (e del clero) si esprimevano anche nei procedimenti disciplinari che miravano a riprendere e arginare (o interrompere e cancellare) i percorsi autonomi che le esperienze religiose femminili potevano imboccare rispetto a quelli approvati. Maria Lilia Mastacchini fu protagonista di questa duplice esperienza: giovane monaca di clausura visse una travagliata esperienza mistica o misticheggiante, uscita dal convento fondò un istituto religioso femminile che agiva tra il popolo e soprattutto per le donne di una società rurale soggetta a una repentina industrializzazione proponendo iniziative di formazione (e formazione al lavoro) e cura.
Le nuove forme di apostolato e i metodi di lavoro delle donne raccolte nell’istituto fondato dalla Mastacchini (l’attenzione per le donne, la necessità di confondersi con la classe lavoratrice, fino a farne parte per poter condividerne la vita), costituiscono un altro aspetto rilevante della vicenda.
Il lavoro e la formazione al lavoro delle donne sono centrali nella vicenda, l’opposizione ai tentativi di ingerenze da parte del clero locale sulla vita dell’istituto esprime una profonda consapevolezza della necessità di autonomia dell’iniziativa femminile.
La centralità del corpo delle donne è forse un altro aspetto non irrilevante: il corpo luogo dell’esperienza mistica – un’esperienza fisica – e delle sofferenze e della malattia che incarnano la penitenza della vittima sacrificale/strumento di salvezza/strumento della grazia.
Ma il corpo è anche quello scrutato dagli inquisitori – e esaminato dai medici – per leggere nella malattia (del corpo e della mente – accettando strumentalmente la lettura materialista e organicista prevalente nella psichiatria) le cause degli eccessi e per spiegare con essa tanto le “diavolerie” quanto l’insubordinazione e i conflitti col clero (col potere maschile).
Infine il saggio si sofferma sugli esiti della condanna all’oblio che il Sant’Ufficio pronunciò sulla Mastacchini: cosa ne sarebbe stato dell’opera da lei fondata? Come risolvere il conflitto tra l’esigenza di mantenere in vita un istituto utile e la necessità di cancellare le tracce della fondatrice il cui solo nome minacciava l’onore della Chiesa? E soprattutto, come uscirne senza coprire di ridicolo i decreti, il nome e l’autorità della Suprema congregazione?
Il lavoro delle “sorelle” della Mastacchini – ancora una volta – creò le condizioni per il raggiungimento di una mediazione. All’ombra di questa mediazione l’istituto e le comunità in cui questo era insediato, conservarono anche la memoria della fondatrice, una memoria confusa in decenni di clandestinità, sopravvissuta attraverso narrazioni che ripercorrono anche stilemi consueti e immaginari in parte codificati dalla religiosità popolare. A tutto ciò contribuì senz’altro la forma in cui venne pronunciata la condanna all’oblio – a sua volta quasi clandestina, non detta ma appena evocata dalle disposizioni comunicate alla suora – a cui corrispose il silenzio carico di ricordi e speranze – la «congiura del silenzio» – di chi custodì e tramandò la memoria.
L'intervista è parte del numero monografico 29/2019 del Giornale di Storia: "Prima e dopo Basaglia. Il trattamento del disagio psichico in Italia dalla seconda metà dell’Ottocento all’indomani della Legge 180"
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Losavio poté dichiarare chiuso l’ospedale psichiatrico romano. Il superamento del manicomio per come era stato fino ad allora conosciuto, però, non comportava — e non comporta tutt’ora — il superamento della "manicomialità” ossia del rischio latente — e immanente alla relazione malato-curante — dell’abuso di potere e del riproporsi, in forme diverse, dei "meccanismi tipici della violenza istituzionale”.
L'intervista è parte del numero monografico 29/2019 del Giornale di Storia: Prima e dopo Basaglia. Il trattamento del disagio psichico in Italia dalla seconda metà dell’Ottocento all’indomani della Legge 180.
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Le due vicende permettono di soffermare lo sguardo su altrettanti temi capaci di attrarre l’attenzione della Suprema autorità ecclesiastica deputata al controllo dell’ortodossia: la possibilità di discutere una filosofia cristiana diversa dal neotomismo, e la liceità e l’opportunità di promuovere un’educazione alla sessualità che fosse capace di tenere insieme questioni morali e spiegazioni scientifiche. L’appartenenza degli autori (e degli editori) al campo cattolico influì in maniera diretta sulla scelta delle strategie e soluzioni censorie ritenute più opportune e appropriate.
In the Thirties of 20th century, after the suppression of the Congrega- tion of the Index, the Congregation of the Holy Office planned some projects aimed at reforming the Censura Librorum division instituted in 1917. Between 1934 and 1939 the Holy Office considered the advisability to provide itself with a surveillance apparatus on the publishing (inspired, at least in part, by censorship systems of totalitarian states). These projects failed, but the documentation shows the aspiration of the Supreme to renovate the means of a mission that remained centrally important in its own role perception.
L'articolo propone una riflessione sulla presenza zingara, tra XV e XVII secolo, nei territori compresi tra l'Adriatico e il Bosforo. Quest'area costituì una tappa fondamentale della dispersione zingara; una tappa transitoria, che assume però un valore fondativo nell'ambito di movimenti di più lunga durata. Nel caso delle popolazioni rom, questo valore fondativo non può basarsi sulla relazione esclusiva con la terra (il radicamento attraverso l'occupazione di spazi più o meno disabitati), ma poggia sulla relazione con le popolazioni che la abitano. Attraverso il confronto con fonti edite e inedite, e con gli esiti dei cosiddetti "Romaní Studies", si intende dunque osservare alcune forme di convivenza e di integrazione, e riflettere sul clima ostile in cui questi equilibri vennero raggiunti nell'ambito del Mediterraneo orientale, in particolare nello "Stato da Mar" veneziano e nella Rumelia ottomana.L'articolo propone una riflessione sulla presenza zingara, tra XV e XVII secolo, nei territori compresi tra l'Adriatico e il Bosforo. Quest'area costituì una tappa fondamentale della dispersione zingara; una tappa transitoria, che assume però un valore fondativo nell'ambito di movimenti di più lunga durata. Nel caso delle popolazioni rom, questo valore fondativo non può basarsi sulla relazione esclusiva con la terra (il radicamento attraverso l'occupazione di spazi più o meno disabitati), ma poggia sulla relazione con le popolazioni che la abitano. Attraverso il confronto con fonti edite e inedite, e con gli esiti dei cosiddetti "Romaní Studies", si intende dunque osservare alcune forme di convivenza e di integrazione, e riflettere sul clima ostile in cui questi equilibri vennero raggiunti nell'ambito del Mediterraneo orientale, in particolare nello "Stato da Mar" veneziano e nella Rumelia ottomana.
Il saggio intende riflettere, attraverso alcune considerazioni sulla storia dei gruppi zingari in età moderna, sull’opportunità di introdurre il concetto di "ostilità" come categoria interpretativa con cui leggere i rapporti tra società maggioritarie e minoranze culturali. In particolare, si sofferma sulle forme del bando che colpiva, pressoché ovunque, gli zingari, assumendo come esemplificazioni la legislazione veneta del XVI secolo e il disegno di "riduzione" degli zingari intentato nel 1641 nello Stato pontificio. La persistenza della minoranza (nonostante i toni risolutivi del discorso repressivo e delle retoriche criminali) può essere studiata alla luce dell’idea di ostilità che rimanda ad una dimensione relazionale possibile, alla forma di integrazione di cui furono capaci le società dell’epoca. Una relazione che si regge su un equilibrio instabile, ostile appunto, ma che non potrebbe essere compresa pienamente riferendosi al più rigido binomio "tolleranza/intolleranza".
Marina Caffiero e Alessia Lirosi: "Introduzione"
Michaela Valente: "Tra i silenzi della storia. Primi appunti su donne e Inquisizione romana nella prima età moderna"
Susanna Peyronel Rambaldi: "Inquisizione e donne accusate di ‘luteranesimo’ "
Massimo Moretti: "«Non è mia professione come donna intendermi delle pitture». Un’indagine sulla vita religiosa e sulla facoltà di giudizio delle donne negli atti di un processo del 1601"
Isabel Harvey: "Braccio di ferro tra una terziaria domenicana e un convento maschile visto attraverso l’Inquisizione napoletana. Il processo per affettata santità contro suor Giovanna Cesarea di Napoli (1672-1682)"
Giuseppina Minchella: "Cambiare nome, abito e religione:
un caso seicentesco di mobilità femminile"
Francesco Vitali: "Donne ebree sotto processo a Pisa tra gli Otto di Guardia e Balìa e l’Inquisizione: un caso del 1606"
Benedetto Fassanelli: "La condanna all’oblio di Maria Lilia Mastacchini e la «congiura del silenzio» di una comunità religiosa femminile di primo Novecento"
L'intervista fa parte del numero 38/2021 del Giornale di Storia: "Dialoghi sul carcere: sguardi, modelli, esperienze dal Settecento ad oggi", a cura di Chiara Lucrezio Monticelli
Questa tendenza al controllo e al governo si manifesta anche nei confronti di un’insorgenza di esperienze mistiche (falso misticismo agli occhi del sacro tribunale) di cui un numero non trascurabile di donne (soprattutto) si diceva protagonista. Una tendenza in certa misura sospinta anche dalle devozioni con cui la Chiesa si opponeva al processo di secolarizzazione (p.e. sacro Cuore) e da canonizzazioni recenti (Teresa di Lisieux). Il caso rivela come queste figure di “mistiche” suscitassero interesse e ammirazione anche in settori non marginali del clero che cercavano nei segni e nelle parole di queste donne manifestazioni autentiche della grazia. Al contempo, conferma e verifica il perdurare, nel lungo periodo, dell’attenzione da parte della gerarchia cattolica per lo spiritualismo, da sempre guardato con sospetto perché potenzialmente destabilizzante l’autorità e il ruolo di mediatore del sacerdozio fondato sull’ordine e non sul carisma.
Ma la vicenda permette anche di osservare, oltre la mistica, la volontà più generale della gerarchia ecclesiastica di controllare, guidare o governare ogni iniziativa autonoma femminile in ambito religioso e ecclesiastico (siamo nell’epoca dell’organizzazione del laicato femminile sotto la guida del clero). Lotta alle idee moderne, alla secolarizzazione delle società di tradizione cattolica e difesa dell’onore della Chiesa (e del clero) si esprimevano anche nei procedimenti disciplinari che miravano a riprendere e arginare (o interrompere e cancellare) i percorsi autonomi che le esperienze religiose femminili potevano imboccare rispetto a quelli approvati. Maria Lilia Mastacchini fu protagonista di questa duplice esperienza: giovane monaca di clausura visse una travagliata esperienza mistica o misticheggiante, uscita dal convento fondò un istituto religioso femminile che agiva tra il popolo e soprattutto per le donne di una società rurale soggetta a una repentina industrializzazione proponendo iniziative di formazione (e formazione al lavoro) e cura.
Le nuove forme di apostolato e i metodi di lavoro delle donne raccolte nell’istituto fondato dalla Mastacchini (l’attenzione per le donne, la necessità di confondersi con la classe lavoratrice, fino a farne parte per poter condividerne la vita), costituiscono un altro aspetto rilevante della vicenda.
Il lavoro e la formazione al lavoro delle donne sono centrali nella vicenda, l’opposizione ai tentativi di ingerenze da parte del clero locale sulla vita dell’istituto esprime una profonda consapevolezza della necessità di autonomia dell’iniziativa femminile.
La centralità del corpo delle donne è forse un altro aspetto non irrilevante: il corpo luogo dell’esperienza mistica – un’esperienza fisica – e delle sofferenze e della malattia che incarnano la penitenza della vittima sacrificale/strumento di salvezza/strumento della grazia.
Ma il corpo è anche quello scrutato dagli inquisitori – e esaminato dai medici – per leggere nella malattia (del corpo e della mente – accettando strumentalmente la lettura materialista e organicista prevalente nella psichiatria) le cause degli eccessi e per spiegare con essa tanto le “diavolerie” quanto l’insubordinazione e i conflitti col clero (col potere maschile).
Infine il saggio si sofferma sugli esiti della condanna all’oblio che il Sant’Ufficio pronunciò sulla Mastacchini: cosa ne sarebbe stato dell’opera da lei fondata? Come risolvere il conflitto tra l’esigenza di mantenere in vita un istituto utile e la necessità di cancellare le tracce della fondatrice il cui solo nome minacciava l’onore della Chiesa? E soprattutto, come uscirne senza coprire di ridicolo i decreti, il nome e l’autorità della Suprema congregazione?
Il lavoro delle “sorelle” della Mastacchini – ancora una volta – creò le condizioni per il raggiungimento di una mediazione. All’ombra di questa mediazione l’istituto e le comunità in cui questo era insediato, conservarono anche la memoria della fondatrice, una memoria confusa in decenni di clandestinità, sopravvissuta attraverso narrazioni che ripercorrono anche stilemi consueti e immaginari in parte codificati dalla religiosità popolare. A tutto ciò contribuì senz’altro la forma in cui venne pronunciata la condanna all’oblio – a sua volta quasi clandestina, non detta ma appena evocata dalle disposizioni comunicate alla suora – a cui corrispose il silenzio carico di ricordi e speranze – la «congiura del silenzio» – di chi custodì e tramandò la memoria.
L'intervista è parte del numero monografico 29/2019 del Giornale di Storia: "Prima e dopo Basaglia. Il trattamento del disagio psichico in Italia dalla seconda metà dell’Ottocento all’indomani della Legge 180"
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Losavio poté dichiarare chiuso l’ospedale psichiatrico romano. Il superamento del manicomio per come era stato fino ad allora conosciuto, però, non comportava — e non comporta tutt’ora — il superamento della "manicomialità” ossia del rischio latente — e immanente alla relazione malato-curante — dell’abuso di potere e del riproporsi, in forme diverse, dei "meccanismi tipici della violenza istituzionale”.
L'intervista è parte del numero monografico 29/2019 del Giornale di Storia: Prima e dopo Basaglia. Il trattamento del disagio psichico in Italia dalla seconda metà dell’Ottocento all’indomani della Legge 180.
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Le due vicende permettono di soffermare lo sguardo su altrettanti temi capaci di attrarre l’attenzione della Suprema autorità ecclesiastica deputata al controllo dell’ortodossia: la possibilità di discutere una filosofia cristiana diversa dal neotomismo, e la liceità e l’opportunità di promuovere un’educazione alla sessualità che fosse capace di tenere insieme questioni morali e spiegazioni scientifiche. L’appartenenza degli autori (e degli editori) al campo cattolico influì in maniera diretta sulla scelta delle strategie e soluzioni censorie ritenute più opportune e appropriate.
In the Thirties of 20th century, after the suppression of the Congrega- tion of the Index, the Congregation of the Holy Office planned some projects aimed at reforming the Censura Librorum division instituted in 1917. Between 1934 and 1939 the Holy Office considered the advisability to provide itself with a surveillance apparatus on the publishing (inspired, at least in part, by censorship systems of totalitarian states). These projects failed, but the documentation shows the aspiration of the Supreme to renovate the means of a mission that remained centrally important in its own role perception.
L'articolo propone una riflessione sulla presenza zingara, tra XV e XVII secolo, nei territori compresi tra l'Adriatico e il Bosforo. Quest'area costituì una tappa fondamentale della dispersione zingara; una tappa transitoria, che assume però un valore fondativo nell'ambito di movimenti di più lunga durata. Nel caso delle popolazioni rom, questo valore fondativo non può basarsi sulla relazione esclusiva con la terra (il radicamento attraverso l'occupazione di spazi più o meno disabitati), ma poggia sulla relazione con le popolazioni che la abitano. Attraverso il confronto con fonti edite e inedite, e con gli esiti dei cosiddetti "Romaní Studies", si intende dunque osservare alcune forme di convivenza e di integrazione, e riflettere sul clima ostile in cui questi equilibri vennero raggiunti nell'ambito del Mediterraneo orientale, in particolare nello "Stato da Mar" veneziano e nella Rumelia ottomana.L'articolo propone una riflessione sulla presenza zingara, tra XV e XVII secolo, nei territori compresi tra l'Adriatico e il Bosforo. Quest'area costituì una tappa fondamentale della dispersione zingara; una tappa transitoria, che assume però un valore fondativo nell'ambito di movimenti di più lunga durata. Nel caso delle popolazioni rom, questo valore fondativo non può basarsi sulla relazione esclusiva con la terra (il radicamento attraverso l'occupazione di spazi più o meno disabitati), ma poggia sulla relazione con le popolazioni che la abitano. Attraverso il confronto con fonti edite e inedite, e con gli esiti dei cosiddetti "Romaní Studies", si intende dunque osservare alcune forme di convivenza e di integrazione, e riflettere sul clima ostile in cui questi equilibri vennero raggiunti nell'ambito del Mediterraneo orientale, in particolare nello "Stato da Mar" veneziano e nella Rumelia ottomana.
Il saggio intende riflettere, attraverso alcune considerazioni sulla storia dei gruppi zingari in età moderna, sull’opportunità di introdurre il concetto di "ostilità" come categoria interpretativa con cui leggere i rapporti tra società maggioritarie e minoranze culturali. In particolare, si sofferma sulle forme del bando che colpiva, pressoché ovunque, gli zingari, assumendo come esemplificazioni la legislazione veneta del XVI secolo e il disegno di "riduzione" degli zingari intentato nel 1641 nello Stato pontificio. La persistenza della minoranza (nonostante i toni risolutivi del discorso repressivo e delle retoriche criminali) può essere studiata alla luce dell’idea di ostilità che rimanda ad una dimensione relazionale possibile, alla forma di integrazione di cui furono capaci le società dell’epoca. Una relazione che si regge su un equilibrio instabile, ostile appunto, ma che non potrebbe essere compresa pienamente riferendosi al più rigido binomio "tolleranza/intolleranza".
justice from 16th century legislation concerning the 'Cingani'. The examined legis- lation is characterized by severe potential legal sanctions, which are, though, only accompanied by negligible judicial activity. To a large extent, in fact, repressive actions were assigned to private parties and encouraged by awards and impunity.
The ban that ex lege affected all Roma became, at least within the crime rhetoric of the Venetian magistracy, the "place for Gypsies". For the Roma, banned from nearly all states of the ancient regime, life in exile could not be lived elsewhere than within the defined borders or transiting along them.
L'intervento cerca di leggere il rapporto tra rom e giustizia a partire dalla legi-
slazione cinquecentesca in materia di cingani. Essa è caratterizzata dalla previsione di severe misure penali, cui però sembra corrispondere un'irrilevante attività giudiziaria. Gran parte dell'attività repressiva, infatti, era "delegata" ai privati ed adeguatamente incentivata da misure premiali e impunità.
Il bando cui sono ex lege sottoposti tutti i rom, diventa, quantomeno nelle retorice criminali delle magistrature veneziane, il "luogo per gli zingari". La vita al bando, per i rom, banditi pressoché da tutti gli stati di antico regime, non può che svolgersi all'interno di confini preclusi o in transito su di essi.