Papers by Valentina Cabiale
Quaderni lombardo-piemontesi Epigrafia, glottologia e letteratura, n. 1, 2024
Il testo è il prologo - presentato nella Giornata di studi Internazionale "Ricordando Enrica" svo... more Il testo è il prologo - presentato nella Giornata di studi Internazionale "Ricordando Enrica" svolta a Bagnasco di Montafia (AT) il 20 aprile 2024 - della lezione recitata "Spazi Bianchi. Enrica Fiandra: intuizioni, creatività e scoperte di una scienziata dell'archeologia", che ha debuttato al Museo Egizio di Torino il 29 settembre 2024.

"Zapruder" n. 63, Romanes eunt domus Per una storia antica contemporanea, 2024
Tutti i reperti archeologici sono residuali all’interno della società contemporanea. Ciò che rest... more Tutti i reperti archeologici sono residuali all’interno della società contemporanea. Ciò che resta del passato è un documento potenziale che diviene reperto nel momento in cui viene ritrovato e riconosciuto come tale. La costruzione del reperto archeologico deriva da scelte culturali non oggettive. Lo status e l’autorevolezza - dati dai paradigmi dell’antichità, dell’autenticità, dell’originalità e da altre attribuzioni di qualità - feticizzano il reperto archeologico, facendogli assumere in automatico dei diritti, determinando dei divieti (il reperto non si può buttare, non si può toccare, ecc) e innescando delle modalità di sguardo spesso intrise di retorica sentimentalista. Interrogarsi sui modi di costruzione del reperto archeologico e sulla sua ontologia ha l’obiettivo di comprendere i meccanismi di conoscenza e di acquisizione del passato e di aiutare a costruire una relazione più sana, libera e felice con il passato collettivo.
Le modalità di riproduzione materiale e virtuale dei reperti archeologici sono sempre più numeros... more Le modalità di riproduzione materiale e virtuale dei reperti archeologici sono sempre più numerose e influiscono sull’identità dell’originale e sulla considerazione che ne abbiamo ora che siamo immersi in livelli sovrapposti di cultura materiale: il reperto, che è parte della cultura materiale contemporanea come la sua riproduzione in stampa 3d; l’oggetto che quel reperto è stato; le sue versioni virtuali. Da una parte
è immaginabile che la riproducibilità tolga "sacralità” all’oggetto antico, rendendolo più accessibile (in linea con quanto Benjamin ipotizzò nel 1935 per l’opera d’arte in seguito allo sviluppo del cinema e della
fotografia); dall’altra, invece, può contribuire a rafforzarla, se a prevalere è la tendenza a feticizzare il reperto in quanto antico, autentico e originale.
I volumi dei Supplementi sono sottoposti a valutazione del comitato scientifico-editoriale e appr... more I volumi dei Supplementi sono sottoposti a valutazione del comitato scientifico-editoriale e approvati da referees anonimi.

The paper aims to investigate the fate of churches in the North-Western Syria after the Arab conq... more The paper aims to investigate the fate of churches in the North-Western Syria after the Arab conquest (ca. 640 AD): a theme for a long time, for various reasons, little debated in the historical and archaeological research. After a brief summary of the history of the research, the discussion, based on the survey of published bibliography, is divided into sections that analyze different aspects of Christian churches after 640: the continuity in the use of the church, in various ways; the examples of building abandonment, or its conversion to other uses; the relationship between the existing churches and the Umayyad mosques (churches converted into mosques and, on the other hand, the instances of architectural closeness between the two religious buildings). A quick look is also pointed to the phenomenon of the construction ex-novo of mosques (not by adapting and transforming Christian churches or other existing buildings).
The long life of the Byzantine churches, their possible transformations and the articulation of the abandonment phases are crucial issues to understand the cultural transition in the 7th and 8th centuries in the region of Syria and Palestine and try to display in its entirety a historical period that saw the coexistence and confrontation of Christians and Muslims, before Christians were reduced to a small minority.

Q uattro frammenti di croci piatte in bronzo sono stati ritrovati a Iasos, negli anni 1983-86, al... more Q uattro frammenti di croci piatte in bronzo sono stati ritrovati a Iasos, negli anni 1983-86, all'interno della basilica dell'agorà ( ). La chiesa, costruita in periodo giustinianeo al centro dello spazio pubblico antico, rimase in uso, con successive modifiche, almeno sino al XIII secolo. In età medio-bizantina (X-XI secolo), infatti, nella sua navata centrale venne costruita una cappella più piccola (m 4,5 x 9,2), circondata da una necropoli molto fitta utilizzata sino al XVI-XVII secolo. La cappella, ad aula unica e con pareti affrescate, fu adibita al culto almeno sino all'epoca lascaride (1204-1261) 1 . Le croci provengono dagli strati superficiali di abbandono dell'edificio e sono databili, pertanto, soltanto sulla base di confronti tipologici. Nessuna è integra; in tutti e quattro i casi si conserva un frammento di un braccio, di lunghezza compresa tra 7 e 14 cm. Le croci presentano una decorazione incisa aniconica; una reca un'iscrizione in greco. L'esemplare n. 1 (n. inv. 5247; ) è un braccio di croce con terminazione dal profilo concavo molto accentuato ed estremità espanse, con vertici a forma di cerchio (se ne conserva uno). La decorazione incisa è costituita da tre cerchietti, ciascuno posto agli angoli del triangolo formato dal braccio e ripartito internamente da linee concentriche; inoltre, gruppi di corte linee parallele sono incise sopra il cerchietto inferiore e in prossimità del vertice circolare del braccio. Nella parte alta del frammento, sotto i due cerchi, è presente un'iscrizione incisa ( ) che riporta in caratteri corsivi il nome di San Giorgio (γεοργηος) preceduto dall'epiteto ó άγιος ("santo") in forma abbreviata (una omicron con all'interno un sigma lunato) 2 .

A Iasos sono stati ritrovati, nel corso di diverse campagne di scavo, frammenti di coperchi in ce... more A Iasos sono stati ritrovati, nel corso di diverse campagne di scavo, frammenti di coperchi in ceramica priva di rivestimento 1 , con presa (mai conservata per intero) centrale o decentrata, decorati con motivi molto semplici impressi o incisi, dei quali qui si presentano venti esemplari, ritrovati in aree diverse della città 2 . Si tratta di un gruppo piuttosto eterogeneo per dimensioni e tipo di decorazione. Nessuno è conservato per intero. Il coperchio è di forma circolare, con diametro, dove ricostruibile, compreso tra 11,4 e 14 cm; il profilo è piatto o con faccia interna lievemente concava, e bordo rilevato. Alcuni coperchi sono privi di presa (figg. 11-13-14-15-2), altri sono muniti di una presa centrale e verticale, piena (a sezione rettangolare figg. 19 e 5 3 ) oppure vuota (figg. 8, 10), in un caso a forma di pomello circolare internamente cavo (fig. 1); due esemplari (figg. 9-12) presentano una presa centrale ad arco, semicircolare, a sezione ovale. Riguardo alla tecnica di foggiatura, se alcuni dei coperchi mostrano evidenti linee di tornitura (figg. 1, 11), è possibile che altri (fig. 10) siano stati modellati manualmente. Su diversi pezzi, probabilmente realizzati senza l'ausilio del tornio (figg. 20, 10, 3, 6, 13), sono visibili, sempre sul lato interno, delle linee grossomodo parallele e ravvicinate, disposte a gruppi, molto leggere, probabilmente tracce della lisciatura seguita alla foggiatura. Tracce di fumigazione da cottura sono visibili sul lato interno dei pezzi, ma in alcuni casi (figg. 5a, 1) anche su quello esterno, indice forse dell'inserimento in un focolare 'chiuso'. L'impasto è di colore rosato, con micro-inserti micacei; si distingue un frammento ( ) dall'impasto rosso e più depurato, al quale è abbinata una decorazione più regolare rispetto a quella degli altri pezzi. La decorazione è stata impressa con un punzone a foggiatura ultimata, quando l'argilla non era ancora completamente essiccata. Si definisce "diritto" la faccia superiore del coperchio e "rovescio" quella inferiore, che era posta a contatto con il recipiente; la decorazione sembra essere impressa in prevalenza sul diritto dei pezzi, ma il dato non è certo perché della maggior parte si conservano soltanto porzioni di bordi. Una costante per quasi tutti i motivi, eccetto due coperchi (figg. 2, 4), è la forma circolare dell'impressione. Il motivo più frequente è il cerchio semplice, definito dalla sola circonferenza (figg. 1, 5, 7, 8, 9, 10, 14, 18), di diametro abbastanza variabile (medio 0,5 cm). Spesso i cerchi sono disposti su linee concentriche al bordo, a cadenza sempre irregolare (figg. 1, 7, 8, 10, 18). Nel frammento di sono distribuiti su linee concentriche abbastanza regolari che non combaciano con quelle a rilievo della tornitura; la cresta della seconda linea di tornitura dall'esterno presenta impronte sub-circolari (diam. ca 0,5 cm; impresse col mignolo?), più ravvicinate rispetto ai cerchietti incisi della decorazione principale. In un caso ( ) il centro del cerchio inciso (diam. 1 cm) è stato impresso con maggiore pressione; questo frammento è uno dei pochi a presentare una decorazione anche sulla faccia opposta, dove sono incise con stecca, manualmente, delle linee radiali, profonde e irregolari, a cadenza non costante, che vanno dal bordo al limite della presa. Linee sono incise anche sul rovescio di un altro frammento ( ) a disegnarne un'irregolare "V". In uno/due coperchi la circonferenza del cerchio non è una linea continua ma è scomposta in diversi dentelli (figg. 11-13). Altro motivo decorativo è quello delle impressioni circolari campite. Il più frequente è quello Iasos, stoà sud dell'agorà: fornaci di epoca tarda (foto archivio SAIA).

Le strade colonnate interessano un'area geografica molto vasta; gli scavi in ambito urbano, inolt... more Le strade colonnate interessano un'area geografica molto vasta; gli scavi in ambito urbano, inoltre, hanno solitamente riguardato porzioni ridotte delle città e delle stesse strade. La carenza di studi specifici è probabilmente dovuta, oltre a queste difficoltà intrinseche, anche ad altre problematiche di ordine metodologico e interpretativo. Il tema della trasformazione delle strade colonnate riguarda un periodo cronologico a cavallo tra la tarda Antichità e l'età islamica, per trattare il quale, quindi, è necessario considerare due diversi ambiti disciplinari (archeologia bizantina e archeologia islamica) distinti non solo per fasi cronologiche ma anche per oggetti di studio. La cesura accademica tra i due periodi è sorta dalla convinzione, a lungo proposta nella letteratura, di una forte discontinuità tra le due fasi, mentre oggi è ormai assodato che la conquista araba del Vicino Oriente non comportò, a livello materiale e insediativo, una rottura immediata e netta con il periodo precedente (v. la continuità di quasi tutti i centri urbani: WALMSLEY 2007a, pp. 331 ss.; ID. 2000, pp. 272 ss.). Nella storiografia archeologica vicino-orientale, dove i termini 'Medioevo' e 'alto Medioevo' generalmente non sono utilizzati, il periodo post-conquista araba viene definito e suddiviso per fasi dinastiche e questa divisione è stata assunta dall'archeologia ed abbinata alla cultura materiale (per cui si parla di 'ceramica omayyade', 'abbaside', ecc). L'utilizzo di questa terminologia comporta il rischio di considerare la cultura materiale troppo dipendente da eventi politici, di creare dei 'contenitori' artificiali e ristretti cronologicamente, privi di corrispondenza effettiva nel reale, e/o di limitare la ricerca a quei manufatti che sono diretta emanazione di quegli eventi (ad esempio, per quanto concerne l'età omayyade, a tutti quelli derivati effettivamente da una committenza dinastica, come i "castelli del deserto"). La rigida divisione tra età bizantina ed omayyade ha fatto sì che spesso quello che è perdurato da un periodo all'altro non è stato percepito o compreso, o la sua forma materiale è stata studiata solo in relazione al primo periodo, quello di costruzione: argomenti come la continuità delle chiese bizantine in periodo islamico e molte questioni di urbanistica post-classica sono state per lungo tempo invisibili o mal poste.
F. Barello, V. Cabiale, E. Ferrara, M. Girardi, E. Tema, S. Vella - Chieri, via dei Molini 4. Resti di età romana e fornace postmedievale, in “Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte”, 28, 2013, pp. 256-159
prime 24 rocce, si è provveduto al rilievo delle rocce nn. 36, 37, 40, 44, 45 e 48 e sono state s... more prime 24 rocce, si è provveduto al rilievo delle rocce nn. 36, 37, 40, 44, 45 e 48 e sono state schedate le rocce nn. 31, 34-45, 47-48.
Lo scavo archeologico in via Nostra Signora della Scala (febbraio-luglio 2010), svolto come indag... more Lo scavo archeologico in via Nostra Signora della Scala (febbraio-luglio 2010), svolto come indagine preliminare alla costruzione di un condominio nell'area interna a uno dei bastioni del XVI secolo, il cd. "Bastione della Raviola", ha consentito di delineare la storia e l'evoluzione delle fortificazioni, dalla cinta urbica tardomedievale, al bastione rinascimentale, sino al suo disuso e ultimo utilizzo, nel XIX secolo, come cimitero ebraico (figg. 127-128).

Gli stucchi di Samarra: osservazioni sull'origine del c.d. Stile C* valentina cabiale Samarra, un... more Gli stucchi di Samarra: osservazioni sull'origine del c.d. Stile C* valentina cabiale Samarra, un centinaio di km a N di Baghdad, fu scelta nell'836 dal califfo Al-Mu'tasim come nuova capitale dell'impero abbaside, in sostituzione di Baghdad divenuta troppo insicura a causa di continue rivolte religiose e sociali. Samarra rimase capitale solo fino all'883, ma in questi pochi anni fu arricchita dalla costruzione, voluta dai vari califfi, di numerosi immensi palazzi, moschee, quartieri abitativi, più di un ippodromo e vasti giardini. Il sito archeologico, che si estende lungo la sponda orientale del Tigri per una lunghezza di circa 35 km e una larghezza di 5, è stato parzialmente indagato negli anni 1913-14 dagli archeologi tedeschi F. Sarre e E. Herzfeld e, in anni successivi e per piccoli scavi, dal Servizio per le Antichità Iraqene. Gli scavi, che hanno riguardato una minima parte della città antica, hanno permesso il ritrovamento di numerosissimi frammenti di pannelli decorativi in stucco, provenienti sia dai grandi palazzi califfali sia dalle abitazioni private. Lo stucco costituisce il materiale decorativo per eccellenza, e il più noto, di Samarra, per quanto non l'unico impiegato. I pannelli di grandi dimensioni rivestivano, come un tessuto, la parte inferiore delle pareti interne ed esterne, le cornici e inquadrature di porte, nicchie, finestre, le soffittature di porte e archi. Lo stucco era verosimilmente ottenuto con una miscela di gesso, acqua e argilla, secondo una tradizione iranica che rendeva la materia molto dura e compatta una volta essiccata. I pannelli erano policromi, con colorazione in giallo, verde e blu. Gli stucchi samarreni sono stati stilisticamente suddivisi da Herzfeld in tre gruppi (1, 2, 3); in seguito Creswell ha invertito la sequenza, teoricamente anche cronologica, degli stucchi, denominando i tre stili con le lettere A (stile 3 di Herzfeld), B (stile 2), C (stile 1). La suddivisione in tre stili è basata esclusivamente su osservazione macroscopica, su differenze tra la tecnica dell'intaglio e l'ornamentazione riconoscibili a occhio nudo; non sono tuttora state eseguite analisi di tipo archeometrico su questi materiali. Tutti i pannelli in stucco presentano decorazioni di tipo vegetale-geometrico e nessuna decorazione figurata. Lo stile A ( ) prevedeva la lavorazione a intaglio dello stucco già spalmato sul muro, mediante l'utilizzo di spatole e con l'aiuto probabilmente di cartoni o tessuti preparatori per il disegno dei motivi. I solchi sono profondi, verticali e creano un effetto chiaroscurale molto forte. Per quanto riguarda i motivi decorativi, lo stile A è il più naturalistico dei tre: l'elemento principale degli ornati, delimitati da riquadri quadrangolari o lobati, è costituito dalla foglia di vite pentalobata, sulla quale sono incise le nervature, e dal tralcio di vite. Lo stile B ( ) comportava l'intaglio dello stucco probabilmente a mano libera, senza l'aiuto di cartoni. I solchi verticali sono meno profondi, le forme più appiattite e meno in contrasto rispetto al fondo. Gli ornati, molto fitti ma sempre inseriti all'interno di riquadri geometrici, hanno come elemento per eccellenza la semipalmetta, che ha sostituito la foglia di vite dello stile A e che genera un senso di movimento maggiore. La superficie delle forme è spesso decorata con puntini, in senso anti-naturalistico e con un richiamo alla decorazione metallistica. * Desidero ringraziare la prof. Martina Rugiadi per aver riletto queste pagine e avermi suggerito alcune correzioni.
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è immaginabile che la riproducibilità tolga "sacralità” all’oggetto antico, rendendolo più accessibile (in linea con quanto Benjamin ipotizzò nel 1935 per l’opera d’arte in seguito allo sviluppo del cinema e della
fotografia); dall’altra, invece, può contribuire a rafforzarla, se a prevalere è la tendenza a feticizzare il reperto in quanto antico, autentico e originale.
The long life of the Byzantine churches, their possible transformations and the articulation of the abandonment phases are crucial issues to understand the cultural transition in the 7th and 8th centuries in the region of Syria and Palestine and try to display in its entirety a historical period that saw the coexistence and confrontation of Christians and Muslims, before Christians were reduced to a small minority.
è immaginabile che la riproducibilità tolga "sacralità” all’oggetto antico, rendendolo più accessibile (in linea con quanto Benjamin ipotizzò nel 1935 per l’opera d’arte in seguito allo sviluppo del cinema e della
fotografia); dall’altra, invece, può contribuire a rafforzarla, se a prevalere è la tendenza a feticizzare il reperto in quanto antico, autentico e originale.
The long life of the Byzantine churches, their possible transformations and the articulation of the abandonment phases are crucial issues to understand the cultural transition in the 7th and 8th centuries in the region of Syria and Palestine and try to display in its entirety a historical period that saw the coexistence and confrontation of Christians and Muslims, before Christians were reduced to a small minority.
Nelle ricerche sulla Grande Guerra l’archeologia si configura, pertanto, come un metodo specifico di ricostruzione, che partendo dall’analisi di quello che è rimasto - resti materiali e tracce di modificazione sul paesaggio – cerca di comprendere il rapporto tra queste rimanenze e il contemporaneo e il modo in cui vogliamo – o non vogliamo – integrarle e riconoscerle nel presente