
Romano Manescalchi
Laurea in Lettere italiane e Latine all'università di Perugia. Tesi di laurea con Carlo Grabher, 1966. Grabher mi diede utili indicazioni sulla linea da seguire negli studi sulla Divina Commedia.
Professore di Lettere italiane e Latine al Liceo Classico "Plinio il Giovane", Città di Castello (PG) 1972-2002, ho curato gli studi quanto potuto e non quanto avrei voluto. Ora sono in pensione, "Retired professor".
Questi i problemi principali da me affrontati nella critica dantesca:
1) il problema della "lonza", di cui ho negato la possibilità di significare la "lussuria", ovvero ho eliminato l'interpretazione più seguita con il saggio:
Cinque ragioni per cui la lonza del prologo non può significar lussuria, già in «Il Rinnovamento», Napoli, 1979, n. 75, poi in Il prologo della Divina Commedia, Torino, Tirrenia Stampatori, 1998 (in una collana diretta da G. Barberi Squarotti), pp. 13-36.
R. Hollander ha citato questo saggio nel suo monumentale Commento, concludendo la lunga nota di If. I 32-54 con due nomi:
a) Mazzoni (Francesco Mazzoni, presidente della Società Dantesca Italiana) come massimo sostenitore dell'interpretazione tradizionale (lonza/lussuria) b) Romano Manescalchi (umile professore di liceo, allora pochissimo conosciuto, che sostiene non esserci nessun elemento filologico a sostegno dell’interpretazione lonza/lussuria: nessun elemento filologico!
2) Ho negato poi anche l'interpretazione tradizionale di Catone, sostenendo che Catone non ha meritato di governare il Purgatorio per aver dato la vita per la libertà politica, come ben evidente già nel titolo del secondo saggio dedicato a questo problema (di una serie di 7): "Purgatorio I 71-74: perché non si può parlare di libertà politica, «Studi danteschi», LXXVIII, 2013, pp. 359-377. Secondo questa mia ricostruzione non c'è nessun elemento filologico a sostegno di questa interpretazione: nessuno elemento filologico! Nell'ultimo saggio, infine - Il ruolo da Dante assegnato a Catone nella sua “commedia”, Letteratura e Pensiero, Luglio - Settembre 2020, n. 5, pp. 46 - 63 - si fa una sintesi dei lavori precedenti e si tira una conclusione inattesa: nell'Inferno dantesco non ci sono "eroi", ma solo "falliti". E ci si libera del dolciastro romantico che li ha inventati.
Critico e filosofo, ho pubblicato su: "Studi danteschi", "Electronic Bulletin of Dante Society of America", "Dante Notes", "Campi Immaginabili", "Critica Letteraria", "Letteratura Italiana Antica", "La Parola del Testo", "Testo".
Mi occupo prevalentemente di "Critica dantesca", di "Studi Francescani" e di "Filosofia estetica" (E. Auerbach e U. Eco).
Ultimamente la mia attenzione si va spostando sugli "Studi francescani". Qui sono partito dal "Cristo lieto" di Purg. XXIII 74 ed ho trovato un legame con la "perfecta laetitia" francescana, che lega il terziario francescano Dante al francescanesimo, con ciò dando una spiegazione al sintagma "Cristo lieto" mai prima trovata. A Greccio, nella chiesetta dedicata al santo, si trova la scultura in legno di un Cristo sorridente: è del XIII.mo sec. e Dante può aver avuto 4 occasioni per vederla, se i suoi viaggi a Roma sono stati due. Il Crocifisso sorridente di Greccio è il padre di numerosi Crocifissi sorridenti, tra cui quello, bellissimo, che si trova nel Castello della famiglia Xavier, la famiglia di un altro s. Francesco, cioè s. Francesco Saverio Xavier, patrono delle missioni: questo rafforza i legami tra francescanesimo e Compagnia di Gesù, ce ne fosse bisogno. Il Castello si trova in Navarra, nella Sierra di Leyra, a 52 km da Pamplona. Questo Crocifisso sorridente risale al XVI secolo e si trova nella Torre homenaje del Castello.
Professore di Lettere italiane e Latine al Liceo Classico "Plinio il Giovane", Città di Castello (PG) 1972-2002, ho curato gli studi quanto potuto e non quanto avrei voluto. Ora sono in pensione, "Retired professor".
Questi i problemi principali da me affrontati nella critica dantesca:
1) il problema della "lonza", di cui ho negato la possibilità di significare la "lussuria", ovvero ho eliminato l'interpretazione più seguita con il saggio:
Cinque ragioni per cui la lonza del prologo non può significar lussuria, già in «Il Rinnovamento», Napoli, 1979, n. 75, poi in Il prologo della Divina Commedia, Torino, Tirrenia Stampatori, 1998 (in una collana diretta da G. Barberi Squarotti), pp. 13-36.
R. Hollander ha citato questo saggio nel suo monumentale Commento, concludendo la lunga nota di If. I 32-54 con due nomi:
a) Mazzoni (Francesco Mazzoni, presidente della Società Dantesca Italiana) come massimo sostenitore dell'interpretazione tradizionale (lonza/lussuria) b) Romano Manescalchi (umile professore di liceo, allora pochissimo conosciuto, che sostiene non esserci nessun elemento filologico a sostegno dell’interpretazione lonza/lussuria: nessun elemento filologico!
2) Ho negato poi anche l'interpretazione tradizionale di Catone, sostenendo che Catone non ha meritato di governare il Purgatorio per aver dato la vita per la libertà politica, come ben evidente già nel titolo del secondo saggio dedicato a questo problema (di una serie di 7): "Purgatorio I 71-74: perché non si può parlare di libertà politica, «Studi danteschi», LXXVIII, 2013, pp. 359-377. Secondo questa mia ricostruzione non c'è nessun elemento filologico a sostegno di questa interpretazione: nessuno elemento filologico! Nell'ultimo saggio, infine - Il ruolo da Dante assegnato a Catone nella sua “commedia”, Letteratura e Pensiero, Luglio - Settembre 2020, n. 5, pp. 46 - 63 - si fa una sintesi dei lavori precedenti e si tira una conclusione inattesa: nell'Inferno dantesco non ci sono "eroi", ma solo "falliti". E ci si libera del dolciastro romantico che li ha inventati.
Critico e filosofo, ho pubblicato su: "Studi danteschi", "Electronic Bulletin of Dante Society of America", "Dante Notes", "Campi Immaginabili", "Critica Letteraria", "Letteratura Italiana Antica", "La Parola del Testo", "Testo".
Mi occupo prevalentemente di "Critica dantesca", di "Studi Francescani" e di "Filosofia estetica" (E. Auerbach e U. Eco).
Ultimamente la mia attenzione si va spostando sugli "Studi francescani". Qui sono partito dal "Cristo lieto" di Purg. XXIII 74 ed ho trovato un legame con la "perfecta laetitia" francescana, che lega il terziario francescano Dante al francescanesimo, con ciò dando una spiegazione al sintagma "Cristo lieto" mai prima trovata. A Greccio, nella chiesetta dedicata al santo, si trova la scultura in legno di un Cristo sorridente: è del XIII.mo sec. e Dante può aver avuto 4 occasioni per vederla, se i suoi viaggi a Roma sono stati due. Il Crocifisso sorridente di Greccio è il padre di numerosi Crocifissi sorridenti, tra cui quello, bellissimo, che si trova nel Castello della famiglia Xavier, la famiglia di un altro s. Francesco, cioè s. Francesco Saverio Xavier, patrono delle missioni: questo rafforza i legami tra francescanesimo e Compagnia di Gesù, ce ne fosse bisogno. Il Castello si trova in Navarra, nella Sierra di Leyra, a 52 km da Pamplona. Questo Crocifisso sorridente risale al XVI secolo e si trova nella Torre homenaje del Castello.
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In Vetrina by Romano Manescalchi
- gliene chiesi una copia, che l'amico Bob mi inviò tempestivamente, onde poter a mia volta controbattere ls sua visione del "Figurale"., uno studio da me difeso tutta la vita (anche se con scarso successo). Stavamo discutendo sul valore della critica figurale, che io considero "nullità" assoluta. Hollander fece una barricata contro di me - Eravamo abituati a questi duri confronti senza che la nostra amicizia fosse minimamente intaccata. La barricata fattami da Hollander ribatteva un mio saggio, anch'esso pubblicato su "Studi danteschi", saggio che rafforzava la mia idea del "figurale".
Erano tempi in cui Auerbach era considerato una divinità. Questa discussione dovrebbe esser ripresa ora che l'entusiasmo per questa sciocchezza filosofica sembra andare raffreddandosi. Mi ripropongo di tornare su questo argomento
L'apparizione della Comedìa If. XVI 128 (aut Poema Pd. XXV 1) affascinò da subito tutti coloro che ebbero la possibilità di leggere anche soltanto i primi canti. Tanto era diversa dalla narrazione di tutte le altre catabasi di illustri eroi narrate nei poemi greci e latini.
1) Il mio primo Obiettivo sono: Le tre fiere del prologo. Tutti abbagliati dalla luce che emanava dalla bellezza della composizione, ci si affannò per comprendere l'insieme, il Progetto. Dante si era però premunito e quale fosse il suo Progetto lo disse, ma in forma velata, in modo da poter dire, solo a lavoro ultimato, che lui lo aveva detto quale fosse questo suo Progetto: però a cose fatte, quando più non avrebbe rischiato le due cose che temeva; e che rischiose più non sarebbero state, quando il suo Progetto fosse stato realizzato: cioè «removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis Ep. XIII 39 [15], dove praticamente diceva di essere un nuovo 'Messia'! Con il che avrebbe suscitato le risate ed i ghigni dei fiorentini e non solo di loro.
2) Così facendo, poi, presentava il suo lavoro in modo da aver vie di fuga, fosse venuto in mente a qualcuno di riscaldarsi nelle gelide notti invernali bruciando la sua carne (nello stile innovativo di Nerone).
Non mi sembra dia il massimo di affidabilità costruire qualcosa sulla base di un criterio che è «nicht ganz deutlich / non del tutto chiaro» nemmeno a colui che lo propone. E la discussione, a questo punto, potrebbe essere aperta e chiusa semplicemente chiedendo dove a lui (Auerbach) o ad altri quel punto che era «nicht ganz deutlich / non del tutto chiaro», «ganz deutlich / del tutto chiaro» - o anche semplicemente «deutlich / chiaro» - a lui o ad altri è diventato.
Quanto ammette Auerbach potrebbe bastare per chiudere la partita. Ma non così la pensa la maggioranza degli studiosi.
Siccome il problema mi sembra semplice, - é semplice! - riassumo il mio pensiero in una nota di 5 pagine. Le acque si stanno calmando e forse riusciremo a capirci.
Filologia e Critica dantesca by Romano Manescalchi
Crediamo di aver rintracciato una dichiarazione da lui fatta all'amico Giovanni Villani e successivamente ad altri dell'area veneto-romagnola. Sarebbe stata una dichiarazione volutamente sibillina, secondo una modalità spesso usata da Dante, così espressa: "[a] chi ha nobile ingegno [...] è bello un poco di fatica lasciare", (Conv. III v 20).
Il saggio fu pubblicato su "Il Rinnovamento", Napoli, gennaio-giugno, 1982. Il tema sarà poi ripreso ed approfondito in:
1) "Altre annotazioni riguardo l'interpretazione delle tre fiere dantesche", LIA, 2009.Di questo saggio vedi il paragrafo 3:. La straordinaria intuizione di Guglielmo Rovillio, p.17ss, che indica nelle tre fiere questi vizi: superbia, lussuria, libidine. Andando a specificare la superbia va con il leone, la lussuria con la lonza, la libidine con la lupa, p. 17. La lonza, lussuria, in mezzo tra il leone e la lupa/libidine! Era stata presa la via giusta, ma la lonza veniva posta nel mezzo. Dovettero rinunciare.
2) Sul primo canto dell’ Inferno: nuove prospettive di interpretazione, in Dante, Atti del Convegno di Albenga (13-14 aprile 2012), Albenga, Edizioni del Delfino Moro. 2013, pp. 45 – 76, di cui vd. p. 54ss. Vd. anche per la classificazione dei peccati: "Appendice
Il “peccato”, il “vizio”, la “virtù” nella Commedìa di Dante, p.71ss. A p. 71 vd. n.55 per il rapporto tra "peccato" e "vizio"
3) Corrispondenza nell’organizzazione di Inferno e Purgatorio (e, forse, di Paradiso), «Campi Immaginabili», 2016, XXVI, 54-55, pp. 67-96, di cui vd,
1. "Vizi" e "Peccati" p. 67-72; .
2) Sette“Vizî” di cui ci si libera con sette “Penitenze”!, pp. 72-75. da p.75ss. vd. come Dante distribuisce "Pene" nell'Inferno e "Penitenze".nel Purgatorio.
1) Sul primo canto dell’ Inferno: nuove prospettive di interpretazione, in Dante, Atti del Convegno di Albenga (13-14 aprile 2012), Albenga, Edizioni del Delfino Moro. 2013, pp. 45 – 76, di cui vd. p. 54ss. Vd. anche per la classificazione dei peccati: "Appendice
Il “peccato”, il “vizio”, la “virtù” nella Commedìa di Dante, p.71ss. A p. 71 vd. n.55 per il rapporto tra "peccato" e "vizio"
2) Corrispondenza nell’organizzazione di Inferno e Purgatorio (e, forse, di Paradiso), «Campi Immaginabili», 2016, XXVI, 54-55, pp. 67-96, di cui vd:
1. "Vizi" e "Peccati" p. 67-72; .
2) Sette“Vizî” di cui ci si libera con sette “Penitenze”!, pp. 72-75. da p.75ss. vd. come Dante distribuisce "Pene" nell'Inferno e "Penitenze".nel Purgatorio.
Questo saggio è citato da R. Hollander nel primo canto del suo monumentale commento, a difesa della mia tesi:
The formulation of the early commentators ([1] lust, pride, and avarice) has had a resurgence in our time. It would certainly be pleasing to have reason to assent to their nearly unanimous understanding. Mazzoni (Saggio di un nuovo commento alla “Divina Commedia”: “Inferno” –Canti I-III [Florence: Sansoni, 1967], pp. 99-102) has given, basing his argument on texts found in the Bible and in the writings of the Fathers and Doctors of the Church, good reason for returning to this view. (For an opposing argument, advancing five reasons for which the lonza cannot represent lust, see Romano Manescalchi [Il prologo della “Divina Commedia” (Turin: Tirrenia, 1998)], pp. 13-36.) If it were not for the passage in Inf. XVI.106-108, it would be easy to be convinced by his argument. However, the passage is there, and seems unalterably to associate Geryon and the lonza. And then the field of reference seems far more likely to be that established within the poem for the three major sins punished in Inferno than anything else (dai Comentaries del Darthmouth Dante Project, Inf.I nota 32-54)
La sintesi della lunga nota di R. Hollander si riassume in due nomi: Francesco Mazzoni, rappresentante della tradizione e Romano Manescalchi, giudicato degno di rappresentare le tesi moderne.
Vedi anche la traduzione italiana di S. Marchesi, Olschki, 2011, p. 6.
Estetica e semiologia by Romano Manescalchi
Questo saggio si distingue dagli altri, perché, invitato a scriverne sugli "Annali" del mio liceo, ho tentato, - con scarso successo in verità - di portare la discussione tra i miei colleghi e tra gli studenti.
Erano anni lontani. Lo ripropongo ora che i tempi richiedono di riflettere sulle nuove teorie: "innovative" o soltanto "confusionarie?"
Per la mia riflessione mi sono servito - professore di lettere italiane e latine nei licei - soprattutto dei testi di Erich Auerbach ed Umberto Eco.
D'altra parte però, questo mio "bestemmiare" una delle divinità più alla moda, mi crea anche inspiegabili ostacoli, che se fossero obiezioni manifeste, sarebbero accettabili, perché potrebbero essere confutate. Questo l'intervento., il primo dei miei studi.
Sul figurale di Auerbach, «nostro tempo», XXVII, 313/315, 1978, pp. 5-7.
Questa pubblicazione mi fu favorita da G. Petrocchi, cui ne mandai una copia: Lui la schedò, assieme ad altre cinque mie pubblicazioni, per la sua biblioteca. La Biblioteca di Petrocchi fu incorporata nell’URBS (Unione Romana Biblioteche Scientifiche). Poi fu sistemata diversamente e divenne Biblioteca di Area Umanistica “Giorgio Petrocchi”, Università di Roma tre, dove la mia pubblicazione potrebbe essere consultata.
Sono tornato a consultare l'URBS (UNIONE ROMANA BIBLIOTECHE SCIENTIFICHE), dove, con altre mie pubblicazioni, c’era anche Sul figurale di Auerbach, «nostro tempo», XXVII, 313/315, 1978, pp. 5-7. C'è stata una riorganizzazione bibliotecaria e non ho trovato il percorso per ritrovare le mie pubblicazioni, che spero non siano andate perdute. Per fortuna sono vanitoso e ripresi la pagina col copia-incolla per tenermela come ricordo in caso di incidenti. Pubblico qui quella pagina per non apparire menzognero.
Per fronteggiare, credo, la situazione imbarazzante che si era creata con il mio saggio e trovar una qualche risposta, su iniziativa, forse come io credo, dello stesso G. Petrocchi, fu organizzato, dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’università di Genova, il Convegno Prosimetro e spoudogelòion, (23-25 febbraio 1982). Fu invitato anche Umberto Eco, il più titolato a rispondere alla posizione da me presa con quel mio saggio che aveva evidentemente imbarazzato. Ed Eco partecipò con un saggio che poi, iniziata la dura discussione epistolare con lui, mi inviò in estratto: “Il segno della poesia e il segno della prosa”, da Eco poi pubblicato in Sugli Specchi, 1985, pp. 242-260. Mi contestò, senza però citarmi, con il saggio che precede: L’ Epistula XIII, L’allegorismo medievale, il simbolismo moderno, pp. 215 - 241. Questo dono inatteso significava che, non ufficialmente, si era parlato di me? Per me, che ho – “avrei”, perché non posso certo esibire lettere private – sì.
Ho consultato di nuovo la "Biblioteca di Area Umanistica “Giorgio Petrocchi”, Università di Roma tre". Il saggio non vi si trova, né si trova più nell'URBS.
Il mio lavoro - semplice professore di liceo - non fu molto notato.
Penso che sia venuto il momento di riproporlo, perché il vento sta cambiando e sempre meno si sopporta la vacuità di tanti bei discorsi inconcludenti: inconcludenti perché "certa" semiosi illimitata, per dirla con le parole dello stesso Eco, consente di utilizzare quella «tendenza generale [che fa] equivalere la semiosi illimitata a una lettura libera in cui la volontà degli interpreti, per usare una metafora di Rorty, batte i tasti fino a dar loro la forma che servirà ai loro fini» (U. ECO, I limiti dell’interpretazione, Milano, Bompiani, 1990, p. 337; quella «tendenza» per cui chiunque «posset exponere […] quod ipse vellet, ad confirmationem opinionis suae // potrebbe esporre […] qualunque cosa volesse a conferma del suo pensiero» [68291] Quodlibet VII, q. 6 a. 1 arg. 3).
"Disconoscere" il diritto alla rappresentazione polisema? Io sostenevo che era "impossibile" e non "disconoscevo" o vietavo il diritto a questo tipo di rappresentazione. Ed è questo un concetto ribadito di continuo in tutta la trattazione da me fatta su questo problema.
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Cultura e Arte in Alta Valle del Tevere by Romano Manescalchi
Ho messo tanto impegno nella creazione del PDF perché volevo far vedere con quanto garbo e sobria eleganza il direttore della medesima, SALVATORE BRUNO e LUCIO MINEI (stretto collaboratore), si sono impegnati per rendere il testo limpido sulla carta, in modo che il lettore fosse a suo agio. Salvatore Bruno è scomparso nei primi anni novanta del secolo scorso e mi piace ricordarlo per la gioiosità - napoletana - con cui affrontava tutti i problemi ed aiutava tutti i suoi collaboratori, instancabile.
- gliene chiesi una copia, che l'amico Bob mi inviò tempestivamente, onde poter a mia volta controbattere ls sua visione del "Figurale"., uno studio da me difeso tutta la vita (anche se con scarso successo). Stavamo discutendo sul valore della critica figurale, che io considero "nullità" assoluta. Hollander fece una barricata contro di me - Eravamo abituati a questi duri confronti senza che la nostra amicizia fosse minimamente intaccata. La barricata fattami da Hollander ribatteva un mio saggio, anch'esso pubblicato su "Studi danteschi", saggio che rafforzava la mia idea del "figurale".
Erano tempi in cui Auerbach era considerato una divinità. Questa discussione dovrebbe esser ripresa ora che l'entusiasmo per questa sciocchezza filosofica sembra andare raffreddandosi. Mi ripropongo di tornare su questo argomento
L'apparizione della Comedìa If. XVI 128 (aut Poema Pd. XXV 1) affascinò da subito tutti coloro che ebbero la possibilità di leggere anche soltanto i primi canti. Tanto era diversa dalla narrazione di tutte le altre catabasi di illustri eroi narrate nei poemi greci e latini.
1) Il mio primo Obiettivo sono: Le tre fiere del prologo. Tutti abbagliati dalla luce che emanava dalla bellezza della composizione, ci si affannò per comprendere l'insieme, il Progetto. Dante si era però premunito e quale fosse il suo Progetto lo disse, ma in forma velata, in modo da poter dire, solo a lavoro ultimato, che lui lo aveva detto quale fosse questo suo Progetto: però a cose fatte, quando più non avrebbe rischiato le due cose che temeva; e che rischiose più non sarebbero state, quando il suo Progetto fosse stato realizzato: cioè «removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis Ep. XIII 39 [15], dove praticamente diceva di essere un nuovo 'Messia'! Con il che avrebbe suscitato le risate ed i ghigni dei fiorentini e non solo di loro.
2) Così facendo, poi, presentava il suo lavoro in modo da aver vie di fuga, fosse venuto in mente a qualcuno di riscaldarsi nelle gelide notti invernali bruciando la sua carne (nello stile innovativo di Nerone).
Non mi sembra dia il massimo di affidabilità costruire qualcosa sulla base di un criterio che è «nicht ganz deutlich / non del tutto chiaro» nemmeno a colui che lo propone. E la discussione, a questo punto, potrebbe essere aperta e chiusa semplicemente chiedendo dove a lui (Auerbach) o ad altri quel punto che era «nicht ganz deutlich / non del tutto chiaro», «ganz deutlich / del tutto chiaro» - o anche semplicemente «deutlich / chiaro» - a lui o ad altri è diventato.
Quanto ammette Auerbach potrebbe bastare per chiudere la partita. Ma non così la pensa la maggioranza degli studiosi.
Siccome il problema mi sembra semplice, - é semplice! - riassumo il mio pensiero in una nota di 5 pagine. Le acque si stanno calmando e forse riusciremo a capirci.
Crediamo di aver rintracciato una dichiarazione da lui fatta all'amico Giovanni Villani e successivamente ad altri dell'area veneto-romagnola. Sarebbe stata una dichiarazione volutamente sibillina, secondo una modalità spesso usata da Dante, così espressa: "[a] chi ha nobile ingegno [...] è bello un poco di fatica lasciare", (Conv. III v 20).
Il saggio fu pubblicato su "Il Rinnovamento", Napoli, gennaio-giugno, 1982. Il tema sarà poi ripreso ed approfondito in:
1) "Altre annotazioni riguardo l'interpretazione delle tre fiere dantesche", LIA, 2009.Di questo saggio vedi il paragrafo 3:. La straordinaria intuizione di Guglielmo Rovillio, p.17ss, che indica nelle tre fiere questi vizi: superbia, lussuria, libidine. Andando a specificare la superbia va con il leone, la lussuria con la lonza, la libidine con la lupa, p. 17. La lonza, lussuria, in mezzo tra il leone e la lupa/libidine! Era stata presa la via giusta, ma la lonza veniva posta nel mezzo. Dovettero rinunciare.
2) Sul primo canto dell’ Inferno: nuove prospettive di interpretazione, in Dante, Atti del Convegno di Albenga (13-14 aprile 2012), Albenga, Edizioni del Delfino Moro. 2013, pp. 45 – 76, di cui vd. p. 54ss. Vd. anche per la classificazione dei peccati: "Appendice
Il “peccato”, il “vizio”, la “virtù” nella Commedìa di Dante, p.71ss. A p. 71 vd. n.55 per il rapporto tra "peccato" e "vizio"
3) Corrispondenza nell’organizzazione di Inferno e Purgatorio (e, forse, di Paradiso), «Campi Immaginabili», 2016, XXVI, 54-55, pp. 67-96, di cui vd,
1. "Vizi" e "Peccati" p. 67-72; .
2) Sette“Vizî” di cui ci si libera con sette “Penitenze”!, pp. 72-75. da p.75ss. vd. come Dante distribuisce "Pene" nell'Inferno e "Penitenze".nel Purgatorio.
1) Sul primo canto dell’ Inferno: nuove prospettive di interpretazione, in Dante, Atti del Convegno di Albenga (13-14 aprile 2012), Albenga, Edizioni del Delfino Moro. 2013, pp. 45 – 76, di cui vd. p. 54ss. Vd. anche per la classificazione dei peccati: "Appendice
Il “peccato”, il “vizio”, la “virtù” nella Commedìa di Dante, p.71ss. A p. 71 vd. n.55 per il rapporto tra "peccato" e "vizio"
2) Corrispondenza nell’organizzazione di Inferno e Purgatorio (e, forse, di Paradiso), «Campi Immaginabili», 2016, XXVI, 54-55, pp. 67-96, di cui vd:
1. "Vizi" e "Peccati" p. 67-72; .
2) Sette“Vizî” di cui ci si libera con sette “Penitenze”!, pp. 72-75. da p.75ss. vd. come Dante distribuisce "Pene" nell'Inferno e "Penitenze".nel Purgatorio.
Questo saggio è citato da R. Hollander nel primo canto del suo monumentale commento, a difesa della mia tesi:
The formulation of the early commentators ([1] lust, pride, and avarice) has had a resurgence in our time. It would certainly be pleasing to have reason to assent to their nearly unanimous understanding. Mazzoni (Saggio di un nuovo commento alla “Divina Commedia”: “Inferno” –Canti I-III [Florence: Sansoni, 1967], pp. 99-102) has given, basing his argument on texts found in the Bible and in the writings of the Fathers and Doctors of the Church, good reason for returning to this view. (For an opposing argument, advancing five reasons for which the lonza cannot represent lust, see Romano Manescalchi [Il prologo della “Divina Commedia” (Turin: Tirrenia, 1998)], pp. 13-36.) If it were not for the passage in Inf. XVI.106-108, it would be easy to be convinced by his argument. However, the passage is there, and seems unalterably to associate Geryon and the lonza. And then the field of reference seems far more likely to be that established within the poem for the three major sins punished in Inferno than anything else (dai Comentaries del Darthmouth Dante Project, Inf.I nota 32-54)
La sintesi della lunga nota di R. Hollander si riassume in due nomi: Francesco Mazzoni, rappresentante della tradizione e Romano Manescalchi, giudicato degno di rappresentare le tesi moderne.
Vedi anche la traduzione italiana di S. Marchesi, Olschki, 2011, p. 6.
Questo saggio si distingue dagli altri, perché, invitato a scriverne sugli "Annali" del mio liceo, ho tentato, - con scarso successo in verità - di portare la discussione tra i miei colleghi e tra gli studenti.
Erano anni lontani. Lo ripropongo ora che i tempi richiedono di riflettere sulle nuove teorie: "innovative" o soltanto "confusionarie?"
Per la mia riflessione mi sono servito - professore di lettere italiane e latine nei licei - soprattutto dei testi di Erich Auerbach ed Umberto Eco.
D'altra parte però, questo mio "bestemmiare" una delle divinità più alla moda, mi crea anche inspiegabili ostacoli, che se fossero obiezioni manifeste, sarebbero accettabili, perché potrebbero essere confutate. Questo l'intervento., il primo dei miei studi.
Sul figurale di Auerbach, «nostro tempo», XXVII, 313/315, 1978, pp. 5-7.
Questa pubblicazione mi fu favorita da G. Petrocchi, cui ne mandai una copia: Lui la schedò, assieme ad altre cinque mie pubblicazioni, per la sua biblioteca. La Biblioteca di Petrocchi fu incorporata nell’URBS (Unione Romana Biblioteche Scientifiche). Poi fu sistemata diversamente e divenne Biblioteca di Area Umanistica “Giorgio Petrocchi”, Università di Roma tre, dove la mia pubblicazione potrebbe essere consultata.
Sono tornato a consultare l'URBS (UNIONE ROMANA BIBLIOTECHE SCIENTIFICHE), dove, con altre mie pubblicazioni, c’era anche Sul figurale di Auerbach, «nostro tempo», XXVII, 313/315, 1978, pp. 5-7. C'è stata una riorganizzazione bibliotecaria e non ho trovato il percorso per ritrovare le mie pubblicazioni, che spero non siano andate perdute. Per fortuna sono vanitoso e ripresi la pagina col copia-incolla per tenermela come ricordo in caso di incidenti. Pubblico qui quella pagina per non apparire menzognero.
Per fronteggiare, credo, la situazione imbarazzante che si era creata con il mio saggio e trovar una qualche risposta, su iniziativa, forse come io credo, dello stesso G. Petrocchi, fu organizzato, dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’università di Genova, il Convegno Prosimetro e spoudogelòion, (23-25 febbraio 1982). Fu invitato anche Umberto Eco, il più titolato a rispondere alla posizione da me presa con quel mio saggio che aveva evidentemente imbarazzato. Ed Eco partecipò con un saggio che poi, iniziata la dura discussione epistolare con lui, mi inviò in estratto: “Il segno della poesia e il segno della prosa”, da Eco poi pubblicato in Sugli Specchi, 1985, pp. 242-260. Mi contestò, senza però citarmi, con il saggio che precede: L’ Epistula XIII, L’allegorismo medievale, il simbolismo moderno, pp. 215 - 241. Questo dono inatteso significava che, non ufficialmente, si era parlato di me? Per me, che ho – “avrei”, perché non posso certo esibire lettere private – sì.
Ho consultato di nuovo la "Biblioteca di Area Umanistica “Giorgio Petrocchi”, Università di Roma tre". Il saggio non vi si trova, né si trova più nell'URBS.
Il mio lavoro - semplice professore di liceo - non fu molto notato.
Penso che sia venuto il momento di riproporlo, perché il vento sta cambiando e sempre meno si sopporta la vacuità di tanti bei discorsi inconcludenti: inconcludenti perché "certa" semiosi illimitata, per dirla con le parole dello stesso Eco, consente di utilizzare quella «tendenza generale [che fa] equivalere la semiosi illimitata a una lettura libera in cui la volontà degli interpreti, per usare una metafora di Rorty, batte i tasti fino a dar loro la forma che servirà ai loro fini» (U. ECO, I limiti dell’interpretazione, Milano, Bompiani, 1990, p. 337; quella «tendenza» per cui chiunque «posset exponere […] quod ipse vellet, ad confirmationem opinionis suae // potrebbe esporre […] qualunque cosa volesse a conferma del suo pensiero» [68291] Quodlibet VII, q. 6 a. 1 arg. 3).
"Disconoscere" il diritto alla rappresentazione polisema? Io sostenevo che era "impossibile" e non "disconoscevo" o vietavo il diritto a questo tipo di rappresentazione. Ed è questo un concetto ribadito di continuo in tutta la trattazione da me fatta su questo problema.
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Ho messo tanto impegno nella creazione del PDF perché volevo far vedere con quanto garbo e sobria eleganza il direttore della medesima, SALVATORE BRUNO e LUCIO MINEI (stretto collaboratore), si sono impegnati per rendere il testo limpido sulla carta, in modo che il lettore fosse a suo agio. Salvatore Bruno è scomparso nei primi anni novanta del secolo scorso e mi piace ricordarlo per la gioiosità - napoletana - con cui affrontava tutti i problemi ed aiutava tutti i suoi collaboratori, instancabile.
Cerco ora di riprendermi, ma per ora vedo di collocare in ACADEMIA certi miei lavori giovanili, che vorrebbero contribuire a far conoscere dove sono nato e vissuto, ambiente ricco di Arte e Cultura che merita di essere fatto conoscere: è l'Alta Valle del Tevere, attraversata da tanti artisti e religiosi che da Firenze (e da altre regioni del nord si recavano a Roma. Gli artisti hanno lasciato tracce del loro passaggio, stimolando gli abitanti del luogo; Giotto, Donatello, Raffaello e tanti altri che a loro volta hanno assorbito la lezione degli artisti del luogo: lezione del Perugino , del Signorelli. di Piero della Francesca ecc. E con altre novità, come la Repubblica di Cospaia e San Francesco, frequentatore assiduo di questi luoghi.
Vedrò così di rientrare in partita allenando la penna al momento restia.
E darò anch'io un piccolo contributo nel far conoscere la ricchezza del luogo.
Con Burri ebbi una profonda amicizia, da me raccontata in "Conati di liberazione dal Decadentismo in Alta Valle del Tevere", testo che si trova qui in ACADEMIA.
Non potei rifiutare l'invito che mi fu fatto di interessarmi di lui e lo feci con vari interventi, felice di poter rendermi utile contribuendo a far conoscere questo maestro della pittura moderna.
Pongo in ACADEMIA i vari interventi da me fatti in questo campo.
Visto che ho scritto non poco della cultura e dell'arte dell'Alta Valle del Tevere, intendo caricare su ACADEMIA EDU gli scritti più importanti da me pubblicati in questo campo, in modo di contribuire anch''io a far conoscere i tesori di cui questa valle è ricca.
"Conati di liberazione dal Decadentismo in Alta Valla del Tevere"
Annali del Liceo Classico "Plinio il Giovane" di Città di Castello, 2011.(E' in ACADEMIA)
ROMA _ LUGLIO'AGOSTO 1981-ANNO 77" STUDIUM Rivista bimestrale
Ma in alcuni individui la resa non avviene e, pur impegnandosi in un lavoro che permette loro di sopravvivere - insegnante, avvocato, medico ecc. - trovano il tempo per tornare al giovanile amore e scrivono poesie. Andandogli bene gli affari tornano a comporre poesie, o si danno alla pittura o entrambe le due cose e, magari, anche più di due. E poi, senza togliere nulla a coloro che del suo lavoro si sostentano, attenti alla famiglia ormai formata, cercano chi loro pubblichi con giusta ricompensa al lavoro editoriale e sperando di rifare almeno le spese dell'edizione.
Felici di ritrovare la loro vita più intima, arricchita dalla vita vissuta con le sue gioie e i suoi dolori (e doveri!) : vita scavata a fondo per farsi un'idea di sé e del mondo.
E tali individui, in silenzio, si formano una coscienza profonda e sono d'aiuto agli altri. Sono i "distratti" che vedono più a fondo nella realtà (un pensiero, citato da me a memoria, di Edgar Allan Poe).
A questa razza appartengono i due poeti da me recensiti: l'amico Pietro, insegnante di scuola media superiore, teso ad uscire dalla noia del quotidiano con una inventiva sempre sorprendente, quanto inappagata: "uscire dal quotidiano", stupire se stesso e gli altri, è l'elemento principale della sua poetica . E similmente fa Siviero Sensini, medico dentista, che nella pause silenziose della sua vita, la sua vita fa riemergere nella rappresentazione poetica, scoprendo tante cose che gli erano sfuggite al momento in cui le viveva.
"Stenditi in una poltrona, chiudi gli occhi e non pensare a niente. Sarà il mondo a presentarsi a te. Non ne può fare a meno e si distenderà ai tuoi piedi, abbracciandoti le ginocchia: vinto! Prima non capivi ed il mondo ti dominava. Adesso è il mondo che, sorpreso di aver perso il suo dominio su di te, diviene a te succube (Citato a memoria da Kafka).
E' un concetto antico, già in Aristotile; e ripreso con qualche lieve variante da molti scrittori. Vedi in Virgilio: "Deus nobis hæc otia fecit "(Egloga I, v. 6); in Dante abbiamo l'Anonimo fiorentino e Benvenuto che attribuiscono a Belacqua la frase vdi Aristotile : "Sedendo et quiescendo anima efficitur sapiens. E poi, saltando i secoli, pensa al Leopardi delle Ricordanze, carme con cui si liberò di tutte le illusioni. e divenne uomo maturo. E tanti altri.
La poesia (o l'arte in genere in tutte le sue forme) arricchisce il mondo: crea la saggezza!
Si considera sfasato anche il titolo "I promessi sposi", che sembra alludere ad una situazione comunque di normalità. Ma il fatto che i protagonisti siano tutti orfani - Renzo, Lucia, Don Rodrigo il conte Attilio ecc. - ci fa credere che il primo titolo - Fermo e Lucia - fosse più appropriato.
Nato e vissuto a Torino (14 settembre 1929 – Torino, 9 aprile 2017) perché posto nella sezione "Cultura e Arte nell'Alta valle del Tevere"? Perché ha lavorato anche sulla cultura tifernate, con la stupenda "Prefazione" al libro di Nino Boriosi, "Una Poesia oltre il male di vivere", Città di Castello, Edimond, 2001.
E per aver scoperto me, Romano Manescalchi come studioso di Dante, ed avermi lanciato ai più alti livelli della critica dantesca. A Città di Castello e Perugia è venuto a presentare il volume di Boriosi, poeta della seconda guerra mondiale (tra l'altro Prix Europe 1971) e suo collaboratore al Grande Dizionario della Lingua Italiana (GDLI), nonché Premio internazionale "La Madonnina", 1979, per la glottologia e la pubblicazione de "La lingua Etrusca senza più mistero", 1977)..
A Città di Castello la biblioteca Comunale è intitolata a Giosuè Carducci, perché ha lavorato qui per l'Edizione delle Cronache di Giovanni Villani ed altre iniziative..
A noi piace ricordare Giorgio Barberi Squarotti che ha dato un contributo importante allo sviluppo della cultura letteraria in questa zona, l'Alta valle del Tevere, "Valle Museo", per gli scavi archeologici e la ricca produzione artistica di oggi, con, tra l'altro, un maestro del calibro di Alberto Burri.
1) «Critica Letteraria» Una nuova interpretazione del Catone dantesco. Si sostiene che Dante in Catone vede ed indica il suicidio morale dell'asceta: il «mori morti et vitae vivere» di Agostino. E non il suicidio fisico.
2). «Studi danteschi» Purgatorio I 71-74: perché non si può parlare di libertà politica, «Studi danteschi», lxxviii, 2013, pp. 359-377. Il titolo dice molto chiaramente che di libertà politica nell'episodio di Catone Pg. I 71-75-non si parla.
(Non avrei mai pensato che un titolo così 'esplicito' mi sarebbe passato! Apprezzo molto la larghezza di vedute dimostrata in questa circostanza).
Su entrambi questi problemi ci sono delle "novità", che potrebbero anche essere "soluzioni".
E si cerca di valutare l'impatto che se ne può avere per l'interpretazione globale della Divina Commedia
Grazie a quanti saranno interessati.
romano manescalchi
Questa la notizia:
1. Cominciando dalla sua [di Bosone] istituzione, si è creduto, che ne' giovanili suoi anni avess'egli avuto a maestro l'immortale Dante Alighieri. Il c. Abate Mehus assume l'impegno di provarlo, poggiandosi alle seguenti parole tratte da un'opera inedita di Seb. Eugubino, intitolata Teleutologio, che si conserva MS nella Biblioteca Medicea di Firenze (1) "Dantem Alighieri vestri temporis poetam, florentinum civem, tuae a teneris annis adolescentiae praeceptorem, inter humana ingenia naturae dotibus coruscantem, et omnium morum habitibus rutilantem". Queste parole crede il detto sommo letterato essere state da Sebastiano da Gubbio indiritte al nostro Bosone; e la suprema autorità di un soggetto sì rispettabile, e tanto benemerito della Storia Letteraria d'Italia, che avea presente, ed a sua disposizione il Codice Mediceo predetto, dee certamente considerarsi del più grave peso.
2 Quanto detto viene specificato nella nota (1) del testo:
«Non ebbe notizia il Raffaelli di questo codice. Il bibliotecario Bandini fu il primo a pubblicarne degli squarci nel suo Catalogo de' codici MSS. della Laurenziana (t. I. cod. latin. plut. xiii n. 16. pag. 65.-66). L'ab. Mehus nella Vita di Ambrogio Traversari (camaldolese) ne fa eccellenti applicazioni, tra le quali piaceranno certamente quelle, che cadono qui opportunamente in acconcio ad illustrare la letteraria istituzione di Bosone. Questi brevi, ma importanti saggi, ci fanno desiderare l'opera intera, da cui molti e preziosi schiarimenti trar potrebbe la storia letteraria di que' tempi; e forse più copiose notizie potremmo avere di Bosone, di cui era contemporaneo, e compaesano lo scrittore di detta opera, che il Bandini vorrebbe caratterizzare suo discendente».3 2.
Per seconda cosa riportiamo i vv. 58-66 del Capitolo -è in terzine dantesche! - che Bosone Novello (o Bosonello), primo commentatore di Dante, Dante ancor vivo, ha dedicato al poema dantesco.
Poi la seconda parte del quaterno,
Tuttochè la ragione ancor lo mena,
Siccome fece per lo foco eterno; 60
Caton lo 'nvia per la gloriosa pena
Che purga quegli spirti che pentuti
Diventan pria che sia l'ultima cena; 63
E, perchè i lor voler sien bene acuti
E liberi di far ciò che lor piace,
vuol ch'om per libertà vita rifiuti.
1 Quanto qui riferito è tratto da Ornatissimo signor Marchese, lettera dedicatoria, premessa al Capitolo di M. Bosone da Gubbio, in Capitoli di M. Bosone da Gubbio e di Jacopo Alighieri sulla Divina Commedia di Dante Alighieri. Col Credo di questo poeta e un altro d'incerto autore. E con alcune notizie biografiche su Bosone, con varianti e annotazioni, Napoli, Stamperia Francese,1829, pp.15-59. 2 Ivi, p. 59. È firmata «Divotis. Obbedientis. Servo Vero Giovanni Rossi». 3 Ibidem.
Per indicazioni bibliografiche precise si vedano le note del saggio.
1) Il «Cristo lieto» (Purg. XXIII 74) a confronto con analoghe rappresentazioni, «La Parola del Testo», XX . 1-2 . 2016, pp. 23-40
2) Il Crocifisso sorridente di Greccio e Dante, «La Parola del Testo» XXIII · 1-2 · 2019, pp. 39-50.
Si stanno aggiungendo ora - a rafforzamento delle nostre tesi, i saggi su Pica, madre di s. Francesco
1) Il «Cristo lieto» (Purg. XXIII 74) a confronto con analoghe rappresentazioni, «La Parola del Testo», XX . 1-2. 2016, pp. 23-40.
2) Il Crocisso sorridente di Greccio e Dante, «La Parola del Testo» XXIII · 1-2 · 2019, pp.39-50.
Avevo già pubblicato ques due saggi, quando sono venuto a sapere della "scoperta", che potrebbe essere stata fatta - forse - dell'identità di Pica, madre del santo. Questa Pica biturgense, di nobile lignaggio, con parenti a Roma nella zona del Septizonium, allora la zona più importante di Roma, avrebbe permesso - ma questa è una ipotesi di cui mi prendo tua la responsabilità - avrebbe permesso al giovane Francesco di perfezionarei suoi studi a Roma, dove, sempre su mia ipotesi, avrebbe letto Virgilio e Lucano, derivando da questi due poeti il suo "imperialismo". Ho detto e ripeto "imperialismo"
Nei miei studi danteschi mi sono trovato a dover affrontare anche il «Cristo lieto» di Pg. XXIII 74, un'affermazione che nei secoli ha avuto spiegazioni incerte e poco persuasive, vista la netta opposizione dei Vangeli, nei quali Cristo sulla Crocifissione non appare mai «lieto». E così non anche nella vita normale? Dov'è che Cristo appare 'lieto', Lui sempre così distaccato, estraneo, sacerdotale, metafisico e sempre come un po' imbronciato: «nel mondo, ma non del mondo»?
Ho sostanzialmente riscritto il saggio "Ancora su Pica, madre di s. Francesco: conclusione tuttora provvisoria". Sono stati apportati solo lievi modifiche ed alcune integrazioni che si sono imposte nell'approfondimento della ricerca. Il lungo saggio è stato diviso in due parti. La seconda parte, a partire dalla " Nota sulla possibile influenza ebraica riguardo la costruzione dell'impero romano", è stata riscritta per intero-ed è già caricata in ACADEMIA, dove ha un nuovo titolo: "L'impero romano in Virgilio e Lucano; e, parallelo, in s. Francesco e Dante".
Questa divisione è dovuta al fatto che così la lettura è più agevole; ed è dovuta anche alle novità presentatesi nella ricerca, novità che crediamo, forse illudendoci, essere importanti. Per questo abbiamo creduto utile anche inserire entrambi i saggi nella prima sezione -"In Vetrina"- onde siano evidenziatii.
Per risolvere il problema ho fatto vari tentativi finché ho trovato il "Crocifisso sorridente di Greccio", che mi ha dato una sicura direzione di ricerca. Si è aggiunta poi la scoperta, che "forse" abbiamo fatto della vera identità di Pica, madre del santo: non io, ma uno studioso del mio gruppo. I due fatti sommati permettono di spaziare in nuovi ambiti e di scoprire cose, "forse" mai prima pensate, che presentiamo come ipotesi di lavoro.
Infine dico che questo saggio ne sostituisce uno precedente, che ho tolto da ACADEMIA, nonostante un discreto successo, poiché dava problemi.
Con questo nuovo lavoro metto senz'altro dei punti fermi, ma il lavoro non è concluso. Forse ci troviamo di frote a nuovi, mai pensati spazi di ricerca.
Dopo la scoperta, che potremmo aver fatto della vera identità di Pica madre del santo, -per cui vd. "Scoperta l’identità di Pica, madre di s. Francesco? ", pubblicata come Draft in ACADAMIA EDU - il lavoro appare immenso, per cui si accetterebbero truppe ausiliarie.
Ho fondata speranza che gli studiosi interessati non rimarrebbero delusi, pronto io a dar loro tutte le informazioni di cui sono in possesso.
Obiettivi
L'apparizione della Comedìa If. xvi 128 (aut Poema Pd. xxv 1) affascinò (ammaliò) da subito tutti coloro che ebbero la possibilità di leggere anche soltanto i primi canti. Tanto era diversa dalla narrazione di tutte le altre catabasi di illustri eroi narrate nei poemi greci e latini (ed anche nelle commedie: vedi, per fare un esempio, Le rane di Aristofane).
Primo obiettivo: Lee tre fiere del prologo.
Tutti abbagliati dalla luce che emanava dalla bellezza della composizione, ci si affannò per comprendere l'insieme, il Progetto.
Dante si era però premunito e quale fosse il suo Progetto lo disse, ma in forma velata, in modo da poter dire, solo a lavoro ultimato, che lui lo aveva detto quale fosse questo suo Progetto, ma a cose fatte, quando più non avrebbe rischiato le due cose che temeva; e che rischiose più non sarebbero state, quando il suo Progetto fosse stato realizzato: cioè «removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis» Ep. xiii 39 [15], dove praticamente diceva di essere un nuovo 'Messia'! 1 Poteva Dante dir questo quando era a Firenze? Al solo pensarlo gli fischiavano le orecchie, considerando le risate, gli scherni, gli sberleffi ecc. che lo avrebbero sommerso: «Hi, vedi hello che vuol mandacci tutti in paradiso! Te ringraziamo, amico, ma noi stiamo bene qui» E vedi il sonetto di Cecco Angiolieri: «Dante Alighier, Cecco 'l tu servo e amico / si raccomanda a tte». Cosa vuol sapere Cecco? Il significato di quel che Dante scrive, che non comprende (mentre sente esserci qualcosa che Dante vuole nascondere). Il buon Cecco sembra aver già piazzato la sua artiglieria per spingere oltre la sua «operazione speciale» e demolire così le forze dell'amico, come si usa fra gentiluomini.2 Senza contare che così ravvivava la comedìa (poi poema) 3 ed il relativo «play of musement».
1) Ho avanzato una nuova interpretazione del Catone dantesco, che smentisce e ribalta quella tradizionale.
2) questa nuova interpretazione ha trovato decisi ed autorevoli consensi.
3) Non è stata, invece, ancora fatta, a mia conoscenza, alcuna obiezione. Ma si fa resistenza richiamandosi alla "critica figurale".
4) I miei tentativi di ribattere queste argomentazioni non hanno meritato di essere pubblicati. Dico quindi qui le mie ragioni.
Per una visione completa della situazione rimando a:
Scheda sulla Ricezione della nuova interpretazione da noi data di Catone [7]
E' qui in Academia.
Non è così. Nell'inferno ci sono soltanto falliti. Avessero qualche merito non se ne sarebbe accorto il Padre Eterno, di Cui non conosco nessuno altrettanto comprensivo?
Di fatto i dannati recitano con l'intento di presentarsi nel modo migliore possibile, onde lasciare un buon ricordo di sé nel mondo. Ingannano il pellegrino (Dante che fa il viaggio). Non ingannano Dante che il viaggio racconta, il quale ha veduto la verità, per cui la sua valutazione coincide con quella fatta da Dio. E se Dio lì li ha messi, lì devono stare. Oppure si ammette che Dio può sbagliare?
LA Divina Commedia è un'opera seria.
Si offre un esempio di come la Divina Commedia sia stata strumentalizzata per risolvere i problemi del proprio tempo: scopo senz'altro nobile, ma che altera il senso originario del poema-commedia.
E di esempi se ne potrebbe fare molti.
Questo saggio è stato poi rielaborato in "Sul primo canto dell’ Inferno: nuove prospettive di interpretazione, in Dante, Atti del Convegno di Albenga (13-14 aprile 2012), Albenga, Edizioni del Delfino Moro. 2013, pp. 45 – 76" (qui in Academia) ed utilizzato soprattutto in "Corrispondenza nell’organizzazione di Inferno e Purgatorio (e, forse, di Paradiso), «Campi Immaginabili», 2016, XXVI, 54-55, pp. 67-96 (qui in Academia).
La prima pubblicazione al riguardo avvenne addirittura nella rivista "Il Rinnovamento, Napoli, a puntate, dal numero 104/105 del dicembre 1982 al n. 108, marzo 1983 (la rivista era mensile). Fu poi ripubblicato in "Il prologo della Divina Commedia", Torino, Tirrenia Stampatori, 1998, pp. 89-111,
Nobile gesto, ma che in tanti fanno e non vengono ricompensati alla stessa maniera!
Catone è stato collocato a far la guida ai "penitenti" per la sua "competenza".