
Paolo Quazzolo
Related Authors
Zoe Ververopoulou
Aristotle University of Thessaloniki
seyit ateş
Gazi University
Doç. Dr. Sedat KARAGÜL
Istanbul 29 Mayis University
James Fisher
University of North Carolina at Greensboro
Joselia Neves
Imperial College London
Elena Di Giovanni
University of Macerata
Giovanni Pizza
University of Perugia, Italy
Behrooz Mahmoodi-Bakhtiari
University of Tehran
Monica Randaccio
Università degli Studi di Trieste
Uploads
Papers by Paolo Quazzolo
Che lingua parla una «Donna di dolori»? O forse sarebbe più esatto chiedersi: in che lingua è parlata? Se a rispondere è Patrizia Valduga (Castelfranco Veneto, 1953), il responso sembra addirittura paradossale: si tratterà di una comicità cattiva, quasi spietata, che passa attraverso l’identificazione del poeta in mollusco («una lumaca che si squaglia…io?»), indecenti modi di dire («eccomi qua di nuovo nella merda»), il trattamento auto caricaturale («Patrizia, / era il tuo itinerario di mestizia / andare a sbronzarti tutte le sere?»), il gioco etimologico («vedendomi vecchia, peggio, invecchiante»), correzioni in fieri («…quod prius! non pria… / Il mio latino che se ne va via») e un insistito abbassamento lessicale, portato avanti con ironica nonchalance: trippa e filetto, vermi e foruncoli, carriole e cani, aringhe e tangheri hanno in questa poesia carta di cittadinanza.
Ma la questione si arricchisce, se ad attivare queste componenti è la finzione teatrale: il dolore prende infatti la forma del monologo in versi, come dichiarato fin dall’incipit, che simula il tono di una didascalia: «Monologo. La donna è una morta sotterrata allo stato colliquativo […]». Impossibile non pensare a un grande antecedente come Il dolore di Ungaretti (Milano, Mondadori, 1947), protratto in una lenta trenodia per le diciassette stanze di Giorno per giorno: come se parlare del proprio dolore fosse possibile soltanto deformandolo, mettendolo in scena.