Papers by Loredana Garlati
Le bonheur du plus grand nombre. Beccaria et les Lumières, 2017
Identifier les inspirateurs culturels des Délits et des peines exige de la part du chercheur une ... more Identifier les inspirateurs culturels des Délits et des peines exige de la part du chercheur une sorte de strabisme salutaire : le regard doit embrasser un vaste horizon, afin de déterminer ce qui existait ex ante (c’est-à-dire en amont de la rédaction de l’œuvre) et ce qui est advenu en aval, du côté des conséquences produites par sa publication. Le célèbre pamphlet fut à la fois le produit d’un héritage préexistant et la force motrice de réformes à venir, du fait de la capacité de l’auteur ..
In 1806 Luosi submitted its draft penal code to Romagnosi, which wrote a new draft code, the Prog... more In 1806 Luosi submitted its draft penal code to Romagnosi, which wrote a new draft code, the Progetto sostituito, and wrote the Motivi. In this essay I'll examine an instrument ingenious and terrible, the flogging machine, and the philosophy of punishment that prevailed in the first decade of the nineteenth century in Italy. In that period the achievements of the Enlightenment mingled with emerging repressive maneuvers.
I criminalisti di diritto comune «formano un capitale tecnico, escogitano soluzioni, affinano ide... more I criminalisti di diritto comune «formano un capitale tecnico, escogitano soluzioni, affinano idee, creano linguaggi, sintassi ragionative e categorie mentali, mettendo insieme un patrimonio del quale vivranno i loro affossatori» 1 .
Il gioco delle coppie -Il 16 luglio 1764 giungeva a Milano da Livorno la prima copia a stampa di ... more Il gioco delle coppie -Il 16 luglio 1764 giungeva a Milano da Livorno la prima copia a stampa di un volume anonimo dalla veste tipografica modesta 1 : apparenza ingannevole per un'opera che avrebbe incendiato l'Europa. Esile nella forma, corposo nella sostanza, quel 'libriccino' 2 condensava in poche pagine un programma riformistico del penale. Nulla da quel momento sarebbe più stato come prima.

La ricostruzione della storia del processo penale non può prescindere dallo studio delle Pratiche... more La ricostruzione della storia del processo penale non può prescindere dallo studio delle Pratiche criminali, che, nell’età d’oro della criminalistica italiana (e non solo), conobbero una fioritura e un successo editoriale senza pari, tanto da costituire un vero e proprio genere letterario a sé.
Le Pratiche si presentato come mirabile impasto tra soluzioni dottrinali, orientamenti giurisprudenziali, riferimenti normativi (dai frammenti romanistici agli statuti), racconto vivo di esperienze concrete, sapientemente dosato e filtrato dall’interpretazione dell’autore, che, attraverso canoni di umanità, di razionalità, di equità e di effettiva attuazione nel quotidiano giuridico di precetti teorici, consentiva al complesso sistema di fonti del diritto comune di sopravvivere e di trovare attuazione.
Il mondo complesso e solo in parte esplorato delle Pratiche si eleva nel seguente saggio ad oggetto esclusivo di analisi, in un lettura sia metodologica che contenutistica che intende favorire progettualità future, tese a delineare una storia del processo inquisitorio capace di superare il particolarismo e il ‘regionalismo’ che in apparenza sembrano rappresentare il tratto tipico di queste opere.
Gli esempi proposti mirano a dare solidità a una simile prospettiva di ricerca, mostrando altresì come le Pratiche siano miniera preziosa di conoscenza non solo di profili sostanziali del penale, ma anche, e forse ancor più, di quelli processuali.
Le Pratiche sanno stupire e sovvertire luoghi comuni o vuote formule tralatizie (che a volte accompagnano la descrizione del sistema inquisitorio), riservando allo studioso del ‘penale’ itinerari vergini, ancora da percorrere.

Lo spunto di questo saggio è offerto da un lavoro di Maurice Duverger, risalente agli anni Cinqua... more Lo spunto di questo saggio è offerto da un lavoro di Maurice Duverger, risalente agli anni Cinquanta, in cui l’autore, su invito dell’Unesco, esaminava l’influenza del voto politico delle donne in quattro paesi europei, al fine di verificare, come recita il titolo stesso dell’opera, La partecipation des femmes a la vie politique.
Negli anni in cui Dugerger dava alle stampe la sua analisi, le donne italiane avevano da poco meno di un decennio visti riconosciuti i loro diritti politici e, per la prima volta dall’Unità, avevano partecipato alle elezioni indette dopo la seconda guerra mondiale.
Il percorso per giungere a tale conquista fu lungo e tormentato, sebbene il tema del suffragio femminile si era posto come una delle priorità del neonato Stato italiano.
Attraverso il dibattito che dal 1861 si trascinò stancamente in Parlamento fino agli anni Venti del Novecento, è possibile ricostruire il clima non solo politico, ma anche culturale dell’Italia del tempo. Le aule parlamentari, al cui interno giungeva l’eco del mutato quadro socio-economico che vedeva le donne accompagnare al tradizionale ruolo di moglie e di madre quello di lavoratrici, rimasero tuttavia sorde ad ogni istanza di cambiamento, sia con riferimento alla concessione del voto amministrativo che di quello politico. Le lunghe sessioni di discussioni, che spesso videro esponenti di aree politiche diverse condividere le medesime posizioni sulla questione dell’elettorato femminile, sono qui analizzate attraverso i documenti dell’epoca. Ne esce uno spaccato degli anni compresi tra il 1861al 1920 in cui personaggi di spicco della politica italiana, pur se mossi in altri ambiti da slanci riformistici, mostravano chiusure di fronte a questo tema, offrendo della donna un’immagine intrisa di luoghi comuni e vecchi cliché, mentre altri si rivelavano precoci sostenitori di tesi egualitarie.
Occorsero due guerre perché le donne vedessero dapprima abolito l’istituto dell’autorizzazione maritale, contemplato nel codice del 1865, e poi permesso l’ingresso nella vita politica da elettrici ed eleggibili: in entrambi i casi si trattò di una sorta di ricompensa per il valore dimostrato nei difficili momenti bellici che sconvolsero gli assetti mondiali

«L'infanticidio è reato gravissimo e, se le cause prossime possono apparire degne di pietà, le ca... more «L'infanticidio è reato gravissimo e, se le cause prossime possono apparire degne di pietà, le cause prime sono delle più immorali e riprovevoli individualmente e socialmente» 1 . Pietà ed orrore, dunque: forse nessun delitto riesce a suscitare al contempo sentimenti così contrastanti e opposti. L'azione omicida delle "mamme cattive" 2 , anch'essa prodotto di «quel grande enigma che è la maternità» 3 , è da sempre al centro dell'attenzione socio-giuridica, e da sempre variamente giudicata. Scorrendo le pagine della storia, a ragione si può sostenere che «l'infanticidio è delitto intorno al quale le legislazioni oscillarono assai, così per stabilirne la nozione, come per misurarne la pena» 4 . La fattispecie di riferimento è stata costantemente rappresentata dall'omicidio: sui suoi elementi costitutivi e sulla sua pena base se ne è plasmata la configurazione. L'asticella punitiva è tuttavia stata innalzata o abbassata a seconda delle istanze e degli interessi volta per volta reputati prevalenti: inasprire la pena in ragione dell'impossibilità della vittima a difendersi, della facilità ad oc-1 A. Calabresi, L'infanticidio (commento teorico-pratico all'art. 369 c.p.), Ferrara, 1899, 7. 2 C. Carloni e D. Nobili, La mamma cattiva. Fenomenologia e antropologia del figlicidio, Firenze, 1975. 3 G. Di Bello e P. Meringolo, Il rifiuto della maternità. L'infanticidio in Italia dall'Ottocento ai giorni nostri, Pisa, 1997, 9. 4 F. Ambrosoli, Studi sul codice penale toscano confrontato specialmente coll'austriaco,
È un'alba piovosa quella di venerdì 21 giugno 1630 a Milano 1 . Un uomo, vestito con una cappa ne... more È un'alba piovosa quella di venerdì 21 giugno 1630 a Milano 1 . Un uomo, vestito con una cappa nera e con un cappello calato sugli occhi, stringe a sé un pezzo di carta, mentre cammina rasente un muro, sfiorandolo di tanto in tanto con le mani.

La separazione coniugale, istituto nato per attenuare il rigore dell'indissolubilità di un matrim... more La separazione coniugale, istituto nato per attenuare il rigore dell'indissolubilità di un matrimonio elevato a sacramento dalla Chiesa, era concessa dal codice civile italiano del 1865, oltre che per accordo consensuale dei coniugi, per una serie di cause tassative, indicate agli artt. 150-152. Tra queste acquista un particolare rilievo la previsione di "eccessi, sevizie, minacce e ingiurie gravi", quattro ipotesi distinte ma al tempo stesso strettamente congiunte tra loro, la cui disamina consente di cogliere, attraverso lo studio del dettato normativo, dell'interpretazione dottrinale e dell' applicazione giurisprudenziale, la cifra culturale di un'epoca. L'ampio arco cronologico di vigenza del primo codice unitario (dalla seconda metà dell'Ottocento fino agli anni della seconda guerra mondiale) permette di verificare se il mutamento del panorama politico abbia in qualche modo inciso sugli orientamenti delle corti o se la concezione della famiglia, intesa quasi come una sorta di bene-rifugio su cui costruire l'identità di un popolo e la solidità di uno Stato, abbia attraversato indenne sia l'età liberale che fascista. Sul tema, la dottrina e la giurisprudenza presentano, accanto a inevitabili quanto prevedibili legami con la tradizione, inaspettate aperture verso la tutela dei dritti individuali dei coniugi, grazie all'adozione di canoni ermeneutici flessibili, favoriti da un'enunciazione legislativa vaga ed indeterminata, che necessariamente richiedeva l'intervento del prudente apprezzamento del giudice per assumere un preciso contenuto.
Le pratiche d'età moderna (secoli XVI-XVIII) costituiscono una pagina per molti aspetti ancora po... more Le pratiche d'età moderna (secoli XVI-XVIII) costituiscono una pagina per molti aspetti ancora poco esplorata della letteratura del tardo ius commune. Sebbene la storiografia giuridica se ne sia occupata più volte incidentalmente (specie per effetto della recente 'rivalutazione' della produzione editoriale forense rispetto a quella accademica), mancano tuttora studi sistematici e di sintesi.

Gli orientamenti della giurisprudenza penale nell'Italia preunitaria costituiscono un tema che an... more Gli orientamenti della giurisprudenza penale nell'Italia preunitaria costituiscono un tema che ancora attende una approfondita analisi. L'omissione ha riguardato in particolare il Regno Lombardo-Veneto, in ragione della maggior considerazione riservata al circuito codificatorio franco-sabaudo a discapito della cultura giuridica di matrice asburgica, penalizzata anche da pregiudizi, di natura politica, generati dal fervore risorgimentale. Il ruolo del magistrato quale interprete e mediatore tra l'astrattismo normativo e la concretezza del quotidiano giuridico è qui ricostruito con riferimento al tribunale penale di primo grado di Brescia: lo studio di fonti archivistiche ha permesso di tracciare, in tema di reati contro la persona, l'attività svolta dal Giudizio criminale in vent'anni (1831Giudizio criminale in vent'anni ( -1851 di applicazione del Codice penale austriaco del 1803. La disamina delle sentenze pronunciate dal consesso giudiziale bresciano rivela la sorprendente capacità dei magistrati locali di ritagliare margini di discrezionalità nella fitta rete inquisitoria intessuta dal codice asburgico: essa mostra nitidamente da un lato il doppio volto (assolutistico e garantistico) del sistema di prove legali, dall'altro una mitezza sanzionatoria generata dall'attenzione alle specifiche varianti soggettive dei rei e all'ambiente socio-economico di riferimento. Parole chiave: Brescia, processo penale, omicidio, uccisione, ferimento, Codice penale universale austriaco (1803) WHEN THE LAW TAKES JUSTICE INTO ITS OWN HANDS: THE ROLE OF THE CRIMINAL JUDGE IN THE KINGDOM OF LOMBARDY-VENETIA ABSTRACT The trends in criminal law in pre-unification Italy is a topic still awaiting indepth analysis. The omission concerns particularly the Kingdom of Lombardy-ACTA HISTRIAE • 17 • 2009 • 3 Loredana GARLATI: QUANDO IL DIRITTO SI FA GIUSTIZIA: ..., 491-504 492
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Le Pratiche si presentato come mirabile impasto tra soluzioni dottrinali, orientamenti giurisprudenziali, riferimenti normativi (dai frammenti romanistici agli statuti), racconto vivo di esperienze concrete, sapientemente dosato e filtrato dall’interpretazione dell’autore, che, attraverso canoni di umanità, di razionalità, di equità e di effettiva attuazione nel quotidiano giuridico di precetti teorici, consentiva al complesso sistema di fonti del diritto comune di sopravvivere e di trovare attuazione.
Il mondo complesso e solo in parte esplorato delle Pratiche si eleva nel seguente saggio ad oggetto esclusivo di analisi, in un lettura sia metodologica che contenutistica che intende favorire progettualità future, tese a delineare una storia del processo inquisitorio capace di superare il particolarismo e il ‘regionalismo’ che in apparenza sembrano rappresentare il tratto tipico di queste opere.
Gli esempi proposti mirano a dare solidità a una simile prospettiva di ricerca, mostrando altresì come le Pratiche siano miniera preziosa di conoscenza non solo di profili sostanziali del penale, ma anche, e forse ancor più, di quelli processuali.
Le Pratiche sanno stupire e sovvertire luoghi comuni o vuote formule tralatizie (che a volte accompagnano la descrizione del sistema inquisitorio), riservando allo studioso del ‘penale’ itinerari vergini, ancora da percorrere.
Negli anni in cui Dugerger dava alle stampe la sua analisi, le donne italiane avevano da poco meno di un decennio visti riconosciuti i loro diritti politici e, per la prima volta dall’Unità, avevano partecipato alle elezioni indette dopo la seconda guerra mondiale.
Il percorso per giungere a tale conquista fu lungo e tormentato, sebbene il tema del suffragio femminile si era posto come una delle priorità del neonato Stato italiano.
Attraverso il dibattito che dal 1861 si trascinò stancamente in Parlamento fino agli anni Venti del Novecento, è possibile ricostruire il clima non solo politico, ma anche culturale dell’Italia del tempo. Le aule parlamentari, al cui interno giungeva l’eco del mutato quadro socio-economico che vedeva le donne accompagnare al tradizionale ruolo di moglie e di madre quello di lavoratrici, rimasero tuttavia sorde ad ogni istanza di cambiamento, sia con riferimento alla concessione del voto amministrativo che di quello politico. Le lunghe sessioni di discussioni, che spesso videro esponenti di aree politiche diverse condividere le medesime posizioni sulla questione dell’elettorato femminile, sono qui analizzate attraverso i documenti dell’epoca. Ne esce uno spaccato degli anni compresi tra il 1861al 1920 in cui personaggi di spicco della politica italiana, pur se mossi in altri ambiti da slanci riformistici, mostravano chiusure di fronte a questo tema, offrendo della donna un’immagine intrisa di luoghi comuni e vecchi cliché, mentre altri si rivelavano precoci sostenitori di tesi egualitarie.
Occorsero due guerre perché le donne vedessero dapprima abolito l’istituto dell’autorizzazione maritale, contemplato nel codice del 1865, e poi permesso l’ingresso nella vita politica da elettrici ed eleggibili: in entrambi i casi si trattò di una sorta di ricompensa per il valore dimostrato nei difficili momenti bellici che sconvolsero gli assetti mondiali
Le Pratiche si presentato come mirabile impasto tra soluzioni dottrinali, orientamenti giurisprudenziali, riferimenti normativi (dai frammenti romanistici agli statuti), racconto vivo di esperienze concrete, sapientemente dosato e filtrato dall’interpretazione dell’autore, che, attraverso canoni di umanità, di razionalità, di equità e di effettiva attuazione nel quotidiano giuridico di precetti teorici, consentiva al complesso sistema di fonti del diritto comune di sopravvivere e di trovare attuazione.
Il mondo complesso e solo in parte esplorato delle Pratiche si eleva nel seguente saggio ad oggetto esclusivo di analisi, in un lettura sia metodologica che contenutistica che intende favorire progettualità future, tese a delineare una storia del processo inquisitorio capace di superare il particolarismo e il ‘regionalismo’ che in apparenza sembrano rappresentare il tratto tipico di queste opere.
Gli esempi proposti mirano a dare solidità a una simile prospettiva di ricerca, mostrando altresì come le Pratiche siano miniera preziosa di conoscenza non solo di profili sostanziali del penale, ma anche, e forse ancor più, di quelli processuali.
Le Pratiche sanno stupire e sovvertire luoghi comuni o vuote formule tralatizie (che a volte accompagnano la descrizione del sistema inquisitorio), riservando allo studioso del ‘penale’ itinerari vergini, ancora da percorrere.
Negli anni in cui Dugerger dava alle stampe la sua analisi, le donne italiane avevano da poco meno di un decennio visti riconosciuti i loro diritti politici e, per la prima volta dall’Unità, avevano partecipato alle elezioni indette dopo la seconda guerra mondiale.
Il percorso per giungere a tale conquista fu lungo e tormentato, sebbene il tema del suffragio femminile si era posto come una delle priorità del neonato Stato italiano.
Attraverso il dibattito che dal 1861 si trascinò stancamente in Parlamento fino agli anni Venti del Novecento, è possibile ricostruire il clima non solo politico, ma anche culturale dell’Italia del tempo. Le aule parlamentari, al cui interno giungeva l’eco del mutato quadro socio-economico che vedeva le donne accompagnare al tradizionale ruolo di moglie e di madre quello di lavoratrici, rimasero tuttavia sorde ad ogni istanza di cambiamento, sia con riferimento alla concessione del voto amministrativo che di quello politico. Le lunghe sessioni di discussioni, che spesso videro esponenti di aree politiche diverse condividere le medesime posizioni sulla questione dell’elettorato femminile, sono qui analizzate attraverso i documenti dell’epoca. Ne esce uno spaccato degli anni compresi tra il 1861al 1920 in cui personaggi di spicco della politica italiana, pur se mossi in altri ambiti da slanci riformistici, mostravano chiusure di fronte a questo tema, offrendo della donna un’immagine intrisa di luoghi comuni e vecchi cliché, mentre altri si rivelavano precoci sostenitori di tesi egualitarie.
Occorsero due guerre perché le donne vedessero dapprima abolito l’istituto dell’autorizzazione maritale, contemplato nel codice del 1865, e poi permesso l’ingresso nella vita politica da elettrici ed eleggibili: in entrambi i casi si trattò di una sorta di ricompensa per il valore dimostrato nei difficili momenti bellici che sconvolsero gli assetti mondiali