in Luigi Meneghello: Teaching, Scholarship and Passione Civile, ed. D. La Penna, The Italianist, Special Supplement (2012) pp.79-101, 2012
By looking at the titles of the works by Luigi Meneghello, this article proposes a narratological... more By looking at the titles of the works by Luigi Meneghello, this article proposes a narratological analysis of his oeuvre, informed especially by Genette’s theories of the paratext. Titles are here considered as textual spaces crucial for the interpretative process, since in them one aspect or detail of the text is invested with a metaphorical value. The heterolingual and/or polysemic titles of Meneghello’s novels and essays establish a relation with the text that is programmatically ambiguous and open to interpretation. More precisely: 1. They are often intertextual, inspired by references to both Italian and foreign literature (ancient and modern, written and oral); even the author’s personal memory is a fundamental intertext, together with stories told by friends and relatives; 2. They function as ‘hooks’ between the text and both the extratextual world and the intratextual reality (in the second case they contribute to reinforcing the internal consistency of the corpus); 3. They signal to the reader the author’s poetics of multilingualism, either implicitly or explicitly, which uses in fact the Venetan dialect of Malo (the author’s home village), courtly/literary Italian, Latin, and English, including authorial neologisms; 4. They reveal a major feature of Meneghello’s writing, namely that desacralisation of officialdom, not only on a linguistic level, which Cesare Segre has interpreted using Bakhtin’s category of ‘carnivalization’. In their connotative stratification and interpretative ambiguity, Meneghello’s titles therefore reflect the articulated textual constructions and the elaborate linguistic weaving that characterise his work. In short, they act as signals of the exegetic industriousness expected from the reader who decides to go beyond the cover and delve into the author’s fictional universe.
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Papers by Gigliola Sulis
After mapping out the presence of women in the Sardinian literary canon, the article focuses on three case studies: an exploration of the year 2000s, and in particular of the contribution of some women’s voices towards poetics of Sardinianness as an identity that is nomadic and in movement (Milena Agus, Michela Murgia, Antonella Anedda); the ongoing reconsideration of women writers of the past, first and foremost Grazia Deledda, propitiated by contemporary sensitivities and new interpretative lenses; and, finally, a focus on female narrators whose work present Sardinia after the Second World War, rebalancing the male canon with women’s points of view and presenting an image of the island as a plural and transnational space, and as a key but not exclusive stage in personal trajectories that are dynamic and in continuous development (Maria Giacobbe, Mariangela Satta, Joyce Lussu, and Nadia Gallico Spano).
Prendendo spunto dalle janas, minuscole fate-streghe della demologia sarda, l’articolo propone un approccio alla narrativa femminile che vada oltre l’idea di eccezionalità del lavoro culturale delle donne (una categoria critica cui si fa spesso ricorso, ma che rischia di porre tra parentesi l’agentività di scrittrici e artiste). Il focus sul contesto sardo, scelto in quanto caso di ‘letteratura minore’ solo in parte allineata con gli snodi nazionali ed egemonici, consente una riflessione sia sulla doppia marginalizzazione (di minoranza e di genere) delle scrittrici, sia sulla loro accettazione poetica della doppia marginalità come sito di posizionamento privilegiato.
Dopo una prima mappatura della presenza femminile nel canone letterario in Sardegna, l’articolo si concentra su tre case studies: un’esplorazione degli anni Duemila, e in particolare del contributo di alcune voci di donne verso poetiche di sardità nomadica e in movimento (Milena Agus, Michela Murgia, Antonella Anedda); la riconsiderazione in corso delle scrittrici del passato, in primis Grazia Deledda, propiziata dalle sensibilità e lenti interpretative del contemporaneo; e infine una focalizzazione su narratrici che hanno raccontato la Sardegna del secondo dopoguerra, integrando il canone maschile con punti di vista femminili e restituendo l’immagine dell’isola come spazio plurale e transnazionale, elemento centrale ma non esclusivo di articolazioni identitarie dinamiche e sempre in fieri (Maria Giacobbe, Mariangela Satta, Joyce Lussu e Nadia Gallico Spano).
SOMMARIO: Questa conversazione verte su questioni di lingua e genere e sui dibattiti che esse hanno generato in Italia negli ultimi quarant’anni: dal sessismo linguistico al ruolo e alla visibilità delle donne, fino alla rappresentazione delle identità non binarie. Dopo un’introduzione sulle differenze nell’esprimere il genere in italiano e in altre lingue europee, vengono discusse le proposte avanzate in materia a partire dagli anni ottanta, le reazioni che hanno incontrato, e il loro lascito di lungo periodo, soprattutto nell’uso degli agentivi femminili. Le interazioni tra esperti e ‘linguisti ingenui’ sono presentate come caso di studio sulla popolarizzazione del dibattito, per il quale viene anche messo in luce il ruolo centrale della sfera digitale. Nell’ultima parte sono analizzati i pareri più recenti per un superamento del maschile sovraesteso in riferimento a gruppi di genere misto e persone non binarie (dall’asterisco allo schwa), in parallelo con tentativi simili fatti in altre lingue.
After mapping out the presence of women in the Sardinian literary canon, the article focuses on three case studies: an exploration of the year 2000s, and in particular of the contribution of some women’s voices towards poetics of Sardinianness as an identity that is nomadic and in movement (Milena Agus, Michela Murgia, Antonella Anedda); the ongoing reconsideration of women writers of the past, first and foremost Grazia Deledda, propitiated by contemporary sensitivities and new interpretative lenses; and, finally, a focus on female narrators whose work present Sardinia after the Second World War, rebalancing the male canon with women’s points of view and presenting an image of the island as a plural and transnational space, and as a key but not exclusive stage in personal trajectories that are dynamic and in continuous development (Maria Giacobbe, Mariangela Satta, Joyce Lussu, and Nadia Gallico Spano).
Prendendo spunto dalle janas, minuscole fate-streghe della demologia sarda, l’articolo propone un approccio alla narrativa femminile che vada oltre l’idea di eccezionalità del lavoro culturale delle donne (una categoria critica cui si fa spesso ricorso, ma che rischia di porre tra parentesi l’agentività di scrittrici e artiste). Il focus sul contesto sardo, scelto in quanto caso di ‘letteratura minore’ solo in parte allineata con gli snodi nazionali ed egemonici, consente una riflessione sia sulla doppia marginalizzazione (di minoranza e di genere) delle scrittrici, sia sulla loro accettazione poetica della doppia marginalità come sito di posizionamento privilegiato.
Dopo una prima mappatura della presenza femminile nel canone letterario in Sardegna, l’articolo si concentra su tre case studies: un’esplorazione degli anni Duemila, e in particolare del contributo di alcune voci di donne verso poetiche di sardità nomadica e in movimento (Milena Agus, Michela Murgia, Antonella Anedda); la riconsiderazione in corso delle scrittrici del passato, in primis Grazia Deledda, propiziata dalle sensibilità e lenti interpretative del contemporaneo; e infine una focalizzazione su narratrici che hanno raccontato la Sardegna del secondo dopoguerra, integrando il canone maschile con punti di vista femminili e restituendo l’immagine dell’isola come spazio plurale e transnazionale, elemento centrale ma non esclusivo di articolazioni identitarie dinamiche e sempre in fieri (Maria Giacobbe, Mariangela Satta, Joyce Lussu e Nadia Gallico Spano).
SOMMARIO: Questa conversazione verte su questioni di lingua e genere e sui dibattiti che esse hanno generato in Italia negli ultimi quarant’anni: dal sessismo linguistico al ruolo e alla visibilità delle donne, fino alla rappresentazione delle identità non binarie. Dopo un’introduzione sulle differenze nell’esprimere il genere in italiano e in altre lingue europee, vengono discusse le proposte avanzate in materia a partire dagli anni ottanta, le reazioni che hanno incontrato, e il loro lascito di lungo periodo, soprattutto nell’uso degli agentivi femminili. Le interazioni tra esperti e ‘linguisti ingenui’ sono presentate come caso di studio sulla popolarizzazione del dibattito, per il quale viene anche messo in luce il ruolo centrale della sfera digitale. Nell’ultima parte sono analizzati i pareri più recenti per un superamento del maschile sovraesteso in riferimento a gruppi di genere misto e persone non binarie (dall’asterisco allo schwa), in parallelo con tentativi simili fatti in altre lingue.