
Ginevra Quadrio Curzio
Mi sono laureata in Filosofia (estetica) e Germanistica alla Freie Universität di Berlino e ho conseguito un Master in interpretazione presso la Civica Scuola Interpreti e Traduttori di Milano / ITIRI – Strasbourg. Dai primi anni ’90 sono attiva come traduttrice, pubblicista e saggista. Tra i miei interessi principali ci sono l’intersezione tra letteratura e arti visive e il tema della traduzione.
Lavoro
2018-2021 Collaborazione con la casa editrice milanese La vita felice per la traduzione e cura di volumi di letteratura tedesca nella collana con testo a fronte “Il piacere di leggere”.
2015-2016 Docente di traduzione dal tedesco all’italiano presso la Fondazione Scuole Civiche Milano - Dipartimento di lingue
2013-2021 Cataloghi e testi per le mostre per Fornasetti Immaginazione srl.
2012-2021 Socia in AMI – Associazione Milano interpreti
2007-2008 Collaborazione con Philippe Daverio per l’organizzazione di mostre e eventi. Assistenza alla curatela della mostra “Via mare. Rotte impossibile” di Giovanni Ragusa, Museo Marini, Firenze, 18 ottobre - 24 novembre 2007.
2000-2004 Collaborazione con l’inserto culturale della domenica del quotidiano il Foglio “Il Foglio dei ritratti” su temi tedeschi e di arte contemporanea.
1999-2005 Traduzione in italiano di volumi di storia dell’arte e dell’architettura per lo studio editoriale Ready-made di Milano.
1999-2007 Traduzioni per la casa editrice milanese Skira.
1998-2007 Collaborazione con la redazione culturale del quotidiano “Il Foglio” come recensore e corrispondente da Berlino e Germania.
Collaborazione con la casa editrice Einaudi di Torino per le traduzioni della nuova edizione integrale delle “Opere” di Walter Benjamin.
Traduzione e cura del volume Th. W. Adorno – Walter Benjamin, Briefwechsel 1928-1940 con il Prof. F. Desideri dell’Università di Firenze.
1998-2000 Collaborazione con la redazione del Feuilleton della nuova “Berliner Zeitung” come corrispondente dall’Italia.
1996-1997 Lettrice di saggistica e correttrice di bozze per gli editori Feltrinelli e A. Mondadori .
1989-91 Tutor presso l’Istituto di filosofia della Freie Universität di Berlino, Habelschwerdter Allee 33, Berlino.
Collaborazione con l’emittente radiofonica milanese “Radio Popolare” come corrispondente da Berlino.
Formazione
2011 Master in Interpretazione di conferenza presso ISIT – Scuole Civiche di Milano
Stage Interpretariato presso Unione europea – Parlamento e Commissione
2006 Grosses deutsches Sprachdiplom presso il Goethe Institut Milano
1996 Laurea in Filosofia/Estetica (per dichiarazione di equipollenza rilasciata dall’Università degli Studi di Milano).
1995 Magister Artium in Filosofia (estetica) e Germanistica presso la Freie Universität di Berlino con il massimo dei voti.
Tesi di laurea: Konstruktion der Trauer. Eine Untersuchung zum Verhältnis von Theorie und Trauer in Walter Benjamins “Ursprung des deutschen Trauerspiels” (relatore M. Theunissen, correlatore W. Menninghaus).
Temi d’esame: la Teoria critica della Scuola di Francoforte – Michel Foucault e l’archeologia del sapere (filosofia); Il ruolo del meraviglioso nelle favole di E. T. A. Hoffmann – I romanzi di Siegfried Kracauer (germanistica).
Lavoro
2018-2021 Collaborazione con la casa editrice milanese La vita felice per la traduzione e cura di volumi di letteratura tedesca nella collana con testo a fronte “Il piacere di leggere”.
2015-2016 Docente di traduzione dal tedesco all’italiano presso la Fondazione Scuole Civiche Milano - Dipartimento di lingue
2013-2021 Cataloghi e testi per le mostre per Fornasetti Immaginazione srl.
2012-2021 Socia in AMI – Associazione Milano interpreti
2007-2008 Collaborazione con Philippe Daverio per l’organizzazione di mostre e eventi. Assistenza alla curatela della mostra “Via mare. Rotte impossibile” di Giovanni Ragusa, Museo Marini, Firenze, 18 ottobre - 24 novembre 2007.
2000-2004 Collaborazione con l’inserto culturale della domenica del quotidiano il Foglio “Il Foglio dei ritratti” su temi tedeschi e di arte contemporanea.
1999-2005 Traduzione in italiano di volumi di storia dell’arte e dell’architettura per lo studio editoriale Ready-made di Milano.
1999-2007 Traduzioni per la casa editrice milanese Skira.
1998-2007 Collaborazione con la redazione culturale del quotidiano “Il Foglio” come recensore e corrispondente da Berlino e Germania.
Collaborazione con la casa editrice Einaudi di Torino per le traduzioni della nuova edizione integrale delle “Opere” di Walter Benjamin.
Traduzione e cura del volume Th. W. Adorno – Walter Benjamin, Briefwechsel 1928-1940 con il Prof. F. Desideri dell’Università di Firenze.
1998-2000 Collaborazione con la redazione del Feuilleton della nuova “Berliner Zeitung” come corrispondente dall’Italia.
1996-1997 Lettrice di saggistica e correttrice di bozze per gli editori Feltrinelli e A. Mondadori .
1989-91 Tutor presso l’Istituto di filosofia della Freie Universität di Berlino, Habelschwerdter Allee 33, Berlino.
Collaborazione con l’emittente radiofonica milanese “Radio Popolare” come corrispondente da Berlino.
Formazione
2011 Master in Interpretazione di conferenza presso ISIT – Scuole Civiche di Milano
Stage Interpretariato presso Unione europea – Parlamento e Commissione
2006 Grosses deutsches Sprachdiplom presso il Goethe Institut Milano
1996 Laurea in Filosofia/Estetica (per dichiarazione di equipollenza rilasciata dall’Università degli Studi di Milano).
1995 Magister Artium in Filosofia (estetica) e Germanistica presso la Freie Universität di Berlino con il massimo dei voti.
Tesi di laurea: Konstruktion der Trauer. Eine Untersuchung zum Verhältnis von Theorie und Trauer in Walter Benjamins “Ursprung des deutschen Trauerspiels” (relatore M. Theunissen, correlatore W. Menninghaus).
Temi d’esame: la Teoria critica della Scuola di Francoforte – Michel Foucault e l’archeologia del sapere (filosofia); Il ruolo del meraviglioso nelle favole di E. T. A. Hoffmann – I romanzi di Siegfried Kracauer (germanistica).
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Books by Ginevra Quadrio Curzio
Kafka nel 1912 - "Betrachtung" (“Osservazione”, e
non tanto “Meditazione”, come perlopiù
appare nelle edizioni italiane a oggi esistenti) -
offre lo spunto per sviluppare riflessioni sul ruolo fondamentale del corpo, della realtà fisica del mondo, del ritmo e della lettura a voce alta per la scrittura dell'autore praghese. Andare oltre la proliferazione incontrollata delle interpretazioni di Kafka è possibile prendendo alla lettera il compito di leggerlo: ad alta voce.
Described by what is considered perhaps the greatest living German poet, Durs Grünbein, as the 'Black Square of German Prose' and unjustly forgotten, Paul Adler's "Nämlich" (1915) recounts the process that slowly but inexorably leads the protagonist Paul Sauler to insanity exclusively from his own point of view. The result is a constellation of fragmentary notes of great poetic intensity along which the narrative unfolds, and is among the most interesting and successful outcomes of the linguistic and literary experimentation of the Expressionist era in Germany.
This new translation of "Nämlich" and the reflections in the introduction try to account for the author's intention to operate a shift from the mimetic model of literatur, which builds on realistic references and verisimilitude, to the logic of an "absolute prose", based on the juxtaposition of fragments, on symbols and on a cabalistic system of relations between letters, syllables and sounds.
In Adler's prose there is no longer a "meaning" in the sense of an objective reference to be found.
In this, Adler, whom Annette Teufel not coincidentally calls <der 'un-verständliche' Prophet> (<the 'in-comprehensible' prophet>), is one of the forefathers of the twentieth-century reappraisal of obscurity against the delusion that rationality may clarify and illuminate everything without residue and against the worn-out language of industrial society.
"Nämlich"'s linguistic experimentation lies in the trajectory that links Heraclitus, the dark thinker par excellence, to the modernist literary experimentation that culminates in James Joyce's Finnegans Wake. It is an obscurity that George Steiner defines as <ontological> and which implies a vision whereby <it is not so much the poet speaking, but language itself: die Sprache spricht."
Rispetto alla lettura classica di Hoffmann come autore di novelle fantastiche e testi di genere, tendenzialmente stereotipati nella scelta lessicale e nell’espressione, o come romantico legato al repertorio popolare e fantastico del romanticismo, o anche come precursore dei temi dell’inconscio, può valere la pena, ritraducendo i suoi testi, di cercare di portare alla luce un Hoffmann “metafisico”, che propone una lettura originale del rapporto tra finitezza e trascendenza, tema del romanticismo Jenense più teorico. E vale sicuramente anche la pena di mettere in risalto la composizione intimamente musicale dei suoi pezzi (non per niente la raccolta in cui si trova il Sandmann è intitolata “Nachtstuecke”, “Notturni”).
Ma il motivo principale di questa nuova traduzione non ha a che vedere soltanto con la necessità di rileggere Hoffmann in una chiave diversa, ma è anche di un ordine più sottile.
Tradurre un testo è il modo migliore per entrare nelle sue pieghe, prendere lo stesso suo respiro, seguire fino in fondo le strade della sua intenzione. Questo, probabilmente, è ciò ho cercato di fare. Per mezzo della traduzione, entrare nel cuore di una costruzione e dell’idea che la sorregge. E giustapporre a questo tentativo di avvicinamento anche altre forme di frequentazione del testo. Il libro, nel complesso, gioca su ben quattro tavoli: la rappresentazione artistica, quella letteraria, la traduzione e l’interpretazione filosofica. Quattro tavoli tra loro anche piuttosto dispari, se si pensa che la rappresentazione artistica e quella letteraria possono essere considerate creazioni originarie, mentre la traduzione e l’interpretazione sono vie mediate di accesso al senso. Ma proprio questa disparità e questo meticciato ha un suo fascino e un suo potenziale tutti particolari.
Il libro, a ben vedere, ripropone nella sua composizione l’idea attorno alla quale sorge e si organizza: la necessità di accerchiare l’oggetto della conoscenza, illuminarlo da punti di vista e con metodologie diverse, rimanendo consapevoli dell’impossibilità di possederlo, accettando ad ogni punto fermo di prendere fiato, profondamente, per ricominciare il percorso da un altro punto di partenza.
Costruendo un percorso attraverso la “premessa” e la teoria della rappresentazione allegorica e che toccherà le sponde anche di alcuni saggi e frammenti antecedenti al “Dramma barocco”, cerco di delineare chiaramente quella che mi pare sia l’intenzione di fondo della filosofia di Benjamin in questi anni e di contribuire a consolidare primi elementi di una proficua discussione su uno degli aspetti più interessanti proprio di questa filosofia: il rapporto che essa stabilisce tra la forma dell’opera d’arte e l’“ideale del problema” filosofico.
«La vostra natura di scimmie, signori miei, sempre che abbiate qualcosa di simile alle vostre spalle, non può esservi più distante di quanto non sia la mia per me. Il tallone però prude a chiunque calchi questa terra: al piccolo scimpanzé come al grande Achille.»
[...]
«Ma per quanto mi riguarda, non desideravo la libertà allora come non la desidero oggi. Per inciso: con la libertà tra uomini ci si inganna fin troppo spesso. E così come la libertà è tra i sentimenti più sublimi, così è tra le più sublimi l’illusione corrispondente.»
Pietro il Rosso, il protagonista del racconto Una relazione per un’Accademia (Ein Bericht für eine Akademie), è una delle tante figure di animali (quasi animali, non più/non ancora animali) che affollano le opere di Franz Kafka. Ma il fatto che si tratti di uno scimpanzé, ovvero della figura di transizione per eccellenza tra l’uomo e l’animale, lo rende particolarmente significativo. [...]
L’apprendimento del linguaggio, e con esso della “via umana”, è l’unica soluzione che si profila agli occhi di Pietro il Rosso, quando, in seguito alla cattura, viene rinchiuso in gabbia nel ventre di una nave (uno Zwischenraum, un “luogo di mezzo”, quasi un non-luogo) e deportato dalla Costa d’Oro verso l’Europa. [...] E allora, autoimponendosi come un imperativo categorico l’apprendimento di una rudimentale forma di linguaggio, Pietro il Rosso compie lo strappo che gli permette di sopravvivere.
Pubblicato nel 1803 dopo una lezione tenuta l'anno precedente davanti all'Askesian Society di Londra, Essay on the Modifications of Clouds è l'opera cui il farmacista e dilettante meteorologo inglese Luke Howard deve la sua fama. In questo breve saggio, ispirandosi ai sistemi di classificazione di Jean Baptiste Lamarck e Carl von Linné, l'autore classifica le nubi in tre diversi gruppi (cumulus, stratus e cirrus) e in una serie di categorie intermedie.
Con i suoi studi, Howard trovò una soluzione al problema della denominazione delle forme transitorie nella natura. Alle descrizioni delle diverse tipologie di nubi, Howard unisce dettagliati disegni delle stesse realizzati dal pittore Edward Kennion.
A queste si sono volute affiancare le fotografie di nuvole della serie Equivalents con cui un secolo più tardi Alfred Stieglitz cercherà di affrancare la fotografia dalla semplice riproduzione del reale.
Franz Kafka, scrittore scandagliato e commentato in lungo e in largo dalla critica di ogni orientamento e calibro, non sono quasi mai stati presi in
considerazione nel loro complesso e fatti segno di un’attenzione dedicata. Complici la loro storia rocambolesca, il loro carattere estemporaneo e il trattamento che lo scrittore riservava loro, sono entrati a far parte del nostro immaginario perlopiù di soppiatto, dalle copertine dei suoi romanzi e racconti.
Max Brod, l’amico di Kafka che aveva per lui una sorta di venerazione e ne salvò gli scritti che lo scrittore personalmente avrebbe voluto bruciati
«senza eccezioni, preferibilmente senza essere letti” in una stufa, aveva raccolto ovviamente anche tutti i disegni e gli scarabocchi tracciati con lo spirito tra distratto e annoiato nel corso di lezioni, o durante il lavoro, o come appunto visivo riferito a un sogno o a un’idea, e avrebbe voluto pubblicarli in un album a sé stante. Questo progetto non solo non fu mai realizzato, ma gran parte dei disegni e degli schizzi di Kafka che Brod aveva collezionato raccogliendoli dai cestini della carta straccia finirono, assieme al suo lascito, ostaggi dell’infedele esecutrice testamentaria di quest’ultimo, Esther Hoffe. Invece di consegnarli secondo il desiderio di Brod alla Biblioteca nazionale di Israele, Hoffe li tenne prigionieri parte nel suo appartamento a Tel Aviv, parte in cassette di sicurezza svizzere, vendendone ogni tanto una parte sottobanco e lasciandoli poi in eredità alle sue due figlie. Solo da qualche anno, i disegni di Kafka hanno trovato la strada della Biblioteca Nazionale di Israele, che ha intenzione di
organizzarne un’esposizione finalmente esaustiva per il centenario della morte di Kafka, che ricorrerà nel 2024. (...)
La storia dei disegni di Kafka in realtà ha un senso che va oltre il folklore picaresco delle peripezie sopra descritte. Il cestino della carta straccia è un destino che li accomuna con i tentativi letterari del loro autore. Gli scritti di Kafka, pubblicati per la maggior parte senza il consenso dello scrittore, che non li giudicava “opera” a sufficienza, rappresentano
un’entità particolare, e assieme alle lettere e ai diari costituiscono una sorta di macchina di cui in letteratura non si trovano molti altri esempi. Più
che opere o abbozzi o rovine di opere incompiute si tratta di una fucina di costante sperimentazione in cui la scrittura si misura con il reale, lo scandaglia e lo fruga, e contemporaneamente sonda se stessa, alla ricerca di un procedimento o di un funzionamento, più che di un risultato.
I disegni di Franz Kafka in Italia prima d'ora non sono stati mai pubblicati in una raccolta a loro dedicata. Con la loro grazia onirica, leggera, assieme a testi scelti principalmente dai diari e dalle lettere di Kafka, aiutano a comprendere meglio il nodo del peculiare rapporto tra parola e immagine alla base della scrittura del loro autore, ancora misteriosa anche se ormai passata al setaccio di un numero mirabolante di interpretazioni.
Papers by Ginevra Quadrio Curzio
Kafka nel 1912 - "Betrachtung" (“Osservazione”, e
non tanto “Meditazione”, come perlopiù
appare nelle edizioni italiane a oggi esistenti) -
offre lo spunto per sviluppare riflessioni sul ruolo fondamentale del corpo, della realtà fisica del mondo, del ritmo e della lettura a voce alta per la scrittura dell'autore praghese. Andare oltre la proliferazione incontrollata delle interpretazioni di Kafka è possibile prendendo alla lettera il compito di leggerlo: ad alta voce.
Described by what is considered perhaps the greatest living German poet, Durs Grünbein, as the 'Black Square of German Prose' and unjustly forgotten, Paul Adler's "Nämlich" (1915) recounts the process that slowly but inexorably leads the protagonist Paul Sauler to insanity exclusively from his own point of view. The result is a constellation of fragmentary notes of great poetic intensity along which the narrative unfolds, and is among the most interesting and successful outcomes of the linguistic and literary experimentation of the Expressionist era in Germany.
This new translation of "Nämlich" and the reflections in the introduction try to account for the author's intention to operate a shift from the mimetic model of literatur, which builds on realistic references and verisimilitude, to the logic of an "absolute prose", based on the juxtaposition of fragments, on symbols and on a cabalistic system of relations between letters, syllables and sounds.
In Adler's prose there is no longer a "meaning" in the sense of an objective reference to be found.
In this, Adler, whom Annette Teufel not coincidentally calls <der 'un-verständliche' Prophet> (<the 'in-comprehensible' prophet>), is one of the forefathers of the twentieth-century reappraisal of obscurity against the delusion that rationality may clarify and illuminate everything without residue and against the worn-out language of industrial society.
"Nämlich"'s linguistic experimentation lies in the trajectory that links Heraclitus, the dark thinker par excellence, to the modernist literary experimentation that culminates in James Joyce's Finnegans Wake. It is an obscurity that George Steiner defines as <ontological> and which implies a vision whereby <it is not so much the poet speaking, but language itself: die Sprache spricht."
Rispetto alla lettura classica di Hoffmann come autore di novelle fantastiche e testi di genere, tendenzialmente stereotipati nella scelta lessicale e nell’espressione, o come romantico legato al repertorio popolare e fantastico del romanticismo, o anche come precursore dei temi dell’inconscio, può valere la pena, ritraducendo i suoi testi, di cercare di portare alla luce un Hoffmann “metafisico”, che propone una lettura originale del rapporto tra finitezza e trascendenza, tema del romanticismo Jenense più teorico. E vale sicuramente anche la pena di mettere in risalto la composizione intimamente musicale dei suoi pezzi (non per niente la raccolta in cui si trova il Sandmann è intitolata “Nachtstuecke”, “Notturni”).
Ma il motivo principale di questa nuova traduzione non ha a che vedere soltanto con la necessità di rileggere Hoffmann in una chiave diversa, ma è anche di un ordine più sottile.
Tradurre un testo è il modo migliore per entrare nelle sue pieghe, prendere lo stesso suo respiro, seguire fino in fondo le strade della sua intenzione. Questo, probabilmente, è ciò ho cercato di fare. Per mezzo della traduzione, entrare nel cuore di una costruzione e dell’idea che la sorregge. E giustapporre a questo tentativo di avvicinamento anche altre forme di frequentazione del testo. Il libro, nel complesso, gioca su ben quattro tavoli: la rappresentazione artistica, quella letteraria, la traduzione e l’interpretazione filosofica. Quattro tavoli tra loro anche piuttosto dispari, se si pensa che la rappresentazione artistica e quella letteraria possono essere considerate creazioni originarie, mentre la traduzione e l’interpretazione sono vie mediate di accesso al senso. Ma proprio questa disparità e questo meticciato ha un suo fascino e un suo potenziale tutti particolari.
Il libro, a ben vedere, ripropone nella sua composizione l’idea attorno alla quale sorge e si organizza: la necessità di accerchiare l’oggetto della conoscenza, illuminarlo da punti di vista e con metodologie diverse, rimanendo consapevoli dell’impossibilità di possederlo, accettando ad ogni punto fermo di prendere fiato, profondamente, per ricominciare il percorso da un altro punto di partenza.
Costruendo un percorso attraverso la “premessa” e la teoria della rappresentazione allegorica e che toccherà le sponde anche di alcuni saggi e frammenti antecedenti al “Dramma barocco”, cerco di delineare chiaramente quella che mi pare sia l’intenzione di fondo della filosofia di Benjamin in questi anni e di contribuire a consolidare primi elementi di una proficua discussione su uno degli aspetti più interessanti proprio di questa filosofia: il rapporto che essa stabilisce tra la forma dell’opera d’arte e l’“ideale del problema” filosofico.
«La vostra natura di scimmie, signori miei, sempre che abbiate qualcosa di simile alle vostre spalle, non può esservi più distante di quanto non sia la mia per me. Il tallone però prude a chiunque calchi questa terra: al piccolo scimpanzé come al grande Achille.»
[...]
«Ma per quanto mi riguarda, non desideravo la libertà allora come non la desidero oggi. Per inciso: con la libertà tra uomini ci si inganna fin troppo spesso. E così come la libertà è tra i sentimenti più sublimi, così è tra le più sublimi l’illusione corrispondente.»
Pietro il Rosso, il protagonista del racconto Una relazione per un’Accademia (Ein Bericht für eine Akademie), è una delle tante figure di animali (quasi animali, non più/non ancora animali) che affollano le opere di Franz Kafka. Ma il fatto che si tratti di uno scimpanzé, ovvero della figura di transizione per eccellenza tra l’uomo e l’animale, lo rende particolarmente significativo. [...]
L’apprendimento del linguaggio, e con esso della “via umana”, è l’unica soluzione che si profila agli occhi di Pietro il Rosso, quando, in seguito alla cattura, viene rinchiuso in gabbia nel ventre di una nave (uno Zwischenraum, un “luogo di mezzo”, quasi un non-luogo) e deportato dalla Costa d’Oro verso l’Europa. [...] E allora, autoimponendosi come un imperativo categorico l’apprendimento di una rudimentale forma di linguaggio, Pietro il Rosso compie lo strappo che gli permette di sopravvivere.
Pubblicato nel 1803 dopo una lezione tenuta l'anno precedente davanti all'Askesian Society di Londra, Essay on the Modifications of Clouds è l'opera cui il farmacista e dilettante meteorologo inglese Luke Howard deve la sua fama. In questo breve saggio, ispirandosi ai sistemi di classificazione di Jean Baptiste Lamarck e Carl von Linné, l'autore classifica le nubi in tre diversi gruppi (cumulus, stratus e cirrus) e in una serie di categorie intermedie.
Con i suoi studi, Howard trovò una soluzione al problema della denominazione delle forme transitorie nella natura. Alle descrizioni delle diverse tipologie di nubi, Howard unisce dettagliati disegni delle stesse realizzati dal pittore Edward Kennion.
A queste si sono volute affiancare le fotografie di nuvole della serie Equivalents con cui un secolo più tardi Alfred Stieglitz cercherà di affrancare la fotografia dalla semplice riproduzione del reale.
Franz Kafka, scrittore scandagliato e commentato in lungo e in largo dalla critica di ogni orientamento e calibro, non sono quasi mai stati presi in
considerazione nel loro complesso e fatti segno di un’attenzione dedicata. Complici la loro storia rocambolesca, il loro carattere estemporaneo e il trattamento che lo scrittore riservava loro, sono entrati a far parte del nostro immaginario perlopiù di soppiatto, dalle copertine dei suoi romanzi e racconti.
Max Brod, l’amico di Kafka che aveva per lui una sorta di venerazione e ne salvò gli scritti che lo scrittore personalmente avrebbe voluto bruciati
«senza eccezioni, preferibilmente senza essere letti” in una stufa, aveva raccolto ovviamente anche tutti i disegni e gli scarabocchi tracciati con lo spirito tra distratto e annoiato nel corso di lezioni, o durante il lavoro, o come appunto visivo riferito a un sogno o a un’idea, e avrebbe voluto pubblicarli in un album a sé stante. Questo progetto non solo non fu mai realizzato, ma gran parte dei disegni e degli schizzi di Kafka che Brod aveva collezionato raccogliendoli dai cestini della carta straccia finirono, assieme al suo lascito, ostaggi dell’infedele esecutrice testamentaria di quest’ultimo, Esther Hoffe. Invece di consegnarli secondo il desiderio di Brod alla Biblioteca nazionale di Israele, Hoffe li tenne prigionieri parte nel suo appartamento a Tel Aviv, parte in cassette di sicurezza svizzere, vendendone ogni tanto una parte sottobanco e lasciandoli poi in eredità alle sue due figlie. Solo da qualche anno, i disegni di Kafka hanno trovato la strada della Biblioteca Nazionale di Israele, che ha intenzione di
organizzarne un’esposizione finalmente esaustiva per il centenario della morte di Kafka, che ricorrerà nel 2024. (...)
La storia dei disegni di Kafka in realtà ha un senso che va oltre il folklore picaresco delle peripezie sopra descritte. Il cestino della carta straccia è un destino che li accomuna con i tentativi letterari del loro autore. Gli scritti di Kafka, pubblicati per la maggior parte senza il consenso dello scrittore, che non li giudicava “opera” a sufficienza, rappresentano
un’entità particolare, e assieme alle lettere e ai diari costituiscono una sorta di macchina di cui in letteratura non si trovano molti altri esempi. Più
che opere o abbozzi o rovine di opere incompiute si tratta di una fucina di costante sperimentazione in cui la scrittura si misura con il reale, lo scandaglia e lo fruga, e contemporaneamente sonda se stessa, alla ricerca di un procedimento o di un funzionamento, più che di un risultato.
I disegni di Franz Kafka in Italia prima d'ora non sono stati mai pubblicati in una raccolta a loro dedicata. Con la loro grazia onirica, leggera, assieme a testi scelti principalmente dai diari e dalle lettere di Kafka, aiutano a comprendere meglio il nodo del peculiare rapporto tra parola e immagine alla base della scrittura del loro autore, ancora misteriosa anche se ormai passata al setaccio di un numero mirabolante di interpretazioni.