Book Reviews by Clelia Cucco
Les passions sont les seuls orateurs qui persuadent toujours: elles sont comme un art dans la nat... more Les passions sont les seuls orateurs qui persuadent toujours: elles sont comme un art dans la nature, dont les règles sont infaillibles. Par elles l'homme le plus simpe persuade mieux, que ne fait le plus habile avec toutes les fleurs de l'éloquence. 1 La Rochefoucauld, Maxime, 45
Thesis Chapters by Clelia Cucco

Vittorio Alfieri e il teatro tragico francese
Oggetto del presente studio sarà il poeta italiano ... more Vittorio Alfieri e il teatro tragico francese
Oggetto del presente studio sarà il poeta italiano Vittorio Alfieri e il suo rapporto con il teatro tragico francese secentesco. In particolare, è mia intenzione mettere a confronto la produzione tragica alfieriana, della quale prenderò in esame, come esempio di massima espressione drammatica, la Mirra, con l’esperienza drammaturgica di uno dei più importanti esponenti del classicismo francese, Jean Racine, con la tragedia Fedra, ritenuta la sua opera più alta. In particolare esaminerò, attraverso un confronto critico-testuale delle due opere, il mondo delle passioni vissuto e analizzato da questi due grandi artisti, che hanno così profondamente segnato e formato il panorama teatrale della letteratura occidentale.
Il lavoro si articola in quattro capitoli. Il I capitolo si propone di indagare la complessa personalità di Vittorio Alfieri. Tale indagine è condotta sul piano esistenziale, grazie a cenni biografici che permettono di comprendere il suo individualismo eroico e la sua religione della libertà, ispirata al rifiuto del mecenatismo e dell’ossequio servile all’autorità; sul piano politico, attraverso l’analisi della realtà storica, politica e sociale del Settecento, dei suoi rapporti con l’Illuminismo e del suo caratterizzarsi come poeta preromantico; sul piano artistico, tramite la sua ideologia di “letterato-eroe”, che rivendica la propria indipendenza etica e creativa nei confronti di qualunque forma di tirannide, e la sua poetica tragica, espressione del tragico conflitto tra volontà del singolo e il potere inesorabile del Fato. Il II capitolo guarda al Grand Siècle, il Seicento. Attraverso un breve excursus sull’evoluzione del teatro tragico francese, si sviluppa un viaggio all’interno del secolo d’oro che contempla le forme e i generi teatrali dal principio del Grand Siècle, la formazione e la crescita delle compagnie teatrali, dei teatri, con uno sguardo alla maturazione del gusto estetico del pubblico parigino, fino ad arrivare ai grandi autori, come Pierre Corneille, poeta della volontà, e Jean Racine, poeta della passione. Nel III capitolo viene proposta un’analisi critico-testuale delle tragedie Mirra di Vittorio Alfieri e Fedra di Jean Racine, che consentirà, nel IV capitolo, attraverso il confronto sistematico tra le due opere, condotto per analogie e differenze, di fornire una ricognizione ragionata e il più possibile aggiornata delle posizioni critiche sullo stretto rapporto esistente tra due dei massimi rappresentati del genere tragico tra Seicento e Settecento.
Nel corso della storia letteraria il tema dell’incesto è stato trattato in diverse forme che sempre ne hanno evidenziato l’intima natura violenta. Negli schemi classici l’irrazionalità delle passioni, e tanto più una passione ritenuta contro natura come quella dell’incesto, era attribuita al volere di forze soprannaturali, contro le quali poco o nulla poteva l’uomo. L’individuo diventava un soggetto eminentemente passivo e poteva combattere una sola battaglia, cioè quella di salvaguardare il proprio equilibrio, non aggiungendo colpa a colpa. Nel 1677, nella Fedra, Racine rappresenta l’incesto come l’insano frutto di un volere fatale. Alfieri, invece, poco più di un secolo dopo, non esita a riconoscere la radice delle passioni, anche quelle più sconvolgenti e inesprimibili come le pulsioni incestuose, nel lato buio dell’animo umano. Infatti, Alfieri compone Mirra intorno alla fine del Settecento, quando ha ormai fatto proprie esperienze, quali quelle del sensismo e dell’empirismo. Tutto ciò determina un approccio diverso al tema dell’incesto, che indubbiamente l’autore giudica negativamente, come motivo di turbamento dell’equilibrio sociale. Ma ritiene che la passione sia tutta nell’uomo, perché non esistono forze esterne all’individuo capaci di provocare le passioni.
Mirra e Fedra sono due tragedie del silenzio. La drammaticità della tragedia è incentrata sull’ostinato silenzio di Mirra. Mirra è un dramma interiore che nella mente di Mirra produce una insostenibile vergogna, e la progressiva caduta nella follia. Mirra, a differenza di Fedra, non romperà mai il suo silenzio, dal momento che non c’è mai una vera confessione, ma solo il grido di un nome che sostituisce quello di padre, un gesto di avvicinamento e una spada, che in Racine diviene elemento di successive mistificazioni mentre in Alfieri sarà strumento immediato di morte. A differenza di Fedra, Mirra non perde mai la consapevolezza delle leggi che regolano il bene e il male e racchiude questa lotta nell'intimo del suo cuore subendone le terribili conseguenze. Certo la sua colpa è diversa e ben più grave di quella di Fedra poiché è contro natura, mentre quella di Fedra va solo contro le leggi sociali del matrimonio e della famiglia: Ippolito non è suo figlio e per giunta è un suo coetaneo. Mentre Fedra muore travolta dalla passione, Mirra muore di consunzione, muore d'amore colpevole e nascosto. La differenza sostanziale tra la Fedra e la Mirra consiste nella cancellazione in Alfieri della dimensione mitologica della tragedia e dunque della complessità che il mostruoso assume in Racine.
È possibile individuare una sorta di parallelismo tra la passione secondo Racine e la passione secondo Alfieri: anche per il drammaturgo italiano la passione non è frutto di un lucido raziocinio come in Cartesio, ma espressione di un’anima lacerata, che lotta per riuscire a dominare le proprie illecite pulsioni. Con finezza introspettiva Racine e Alfieri analizzano le complesse e insondabili pieghe dell’animo umano, interrogando le lacerazioni di un’anima sospesa tra acuta percezione del peccato e angoscia di espiazione. Mirra e Fedra sono due eroine tragiche. Entrambe sono in balia di un sentimento del quale non hanno alcuna colpa e che non possono non provare pur avendone orrore, pur tentando di reprimerlo.
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Oggetto del presente studio sarà il poeta italiano Vittorio Alfieri e il suo rapporto con il teatro tragico francese secentesco. In particolare, è mia intenzione mettere a confronto la produzione tragica alfieriana, della quale prenderò in esame, come esempio di massima espressione drammatica, la Mirra, con l’esperienza drammaturgica di uno dei più importanti esponenti del classicismo francese, Jean Racine, con la tragedia Fedra, ritenuta la sua opera più alta. In particolare esaminerò, attraverso un confronto critico-testuale delle due opere, il mondo delle passioni vissuto e analizzato da questi due grandi artisti, che hanno così profondamente segnato e formato il panorama teatrale della letteratura occidentale.
Il lavoro si articola in quattro capitoli. Il I capitolo si propone di indagare la complessa personalità di Vittorio Alfieri. Tale indagine è condotta sul piano esistenziale, grazie a cenni biografici che permettono di comprendere il suo individualismo eroico e la sua religione della libertà, ispirata al rifiuto del mecenatismo e dell’ossequio servile all’autorità; sul piano politico, attraverso l’analisi della realtà storica, politica e sociale del Settecento, dei suoi rapporti con l’Illuminismo e del suo caratterizzarsi come poeta preromantico; sul piano artistico, tramite la sua ideologia di “letterato-eroe”, che rivendica la propria indipendenza etica e creativa nei confronti di qualunque forma di tirannide, e la sua poetica tragica, espressione del tragico conflitto tra volontà del singolo e il potere inesorabile del Fato. Il II capitolo guarda al Grand Siècle, il Seicento. Attraverso un breve excursus sull’evoluzione del teatro tragico francese, si sviluppa un viaggio all’interno del secolo d’oro che contempla le forme e i generi teatrali dal principio del Grand Siècle, la formazione e la crescita delle compagnie teatrali, dei teatri, con uno sguardo alla maturazione del gusto estetico del pubblico parigino, fino ad arrivare ai grandi autori, come Pierre Corneille, poeta della volontà, e Jean Racine, poeta della passione. Nel III capitolo viene proposta un’analisi critico-testuale delle tragedie Mirra di Vittorio Alfieri e Fedra di Jean Racine, che consentirà, nel IV capitolo, attraverso il confronto sistematico tra le due opere, condotto per analogie e differenze, di fornire una ricognizione ragionata e il più possibile aggiornata delle posizioni critiche sullo stretto rapporto esistente tra due dei massimi rappresentati del genere tragico tra Seicento e Settecento.
Nel corso della storia letteraria il tema dell’incesto è stato trattato in diverse forme che sempre ne hanno evidenziato l’intima natura violenta. Negli schemi classici l’irrazionalità delle passioni, e tanto più una passione ritenuta contro natura come quella dell’incesto, era attribuita al volere di forze soprannaturali, contro le quali poco o nulla poteva l’uomo. L’individuo diventava un soggetto eminentemente passivo e poteva combattere una sola battaglia, cioè quella di salvaguardare il proprio equilibrio, non aggiungendo colpa a colpa. Nel 1677, nella Fedra, Racine rappresenta l’incesto come l’insano frutto di un volere fatale. Alfieri, invece, poco più di un secolo dopo, non esita a riconoscere la radice delle passioni, anche quelle più sconvolgenti e inesprimibili come le pulsioni incestuose, nel lato buio dell’animo umano. Infatti, Alfieri compone Mirra intorno alla fine del Settecento, quando ha ormai fatto proprie esperienze, quali quelle del sensismo e dell’empirismo. Tutto ciò determina un approccio diverso al tema dell’incesto, che indubbiamente l’autore giudica negativamente, come motivo di turbamento dell’equilibrio sociale. Ma ritiene che la passione sia tutta nell’uomo, perché non esistono forze esterne all’individuo capaci di provocare le passioni.
Mirra e Fedra sono due tragedie del silenzio. La drammaticità della tragedia è incentrata sull’ostinato silenzio di Mirra. Mirra è un dramma interiore che nella mente di Mirra produce una insostenibile vergogna, e la progressiva caduta nella follia. Mirra, a differenza di Fedra, non romperà mai il suo silenzio, dal momento che non c’è mai una vera confessione, ma solo il grido di un nome che sostituisce quello di padre, un gesto di avvicinamento e una spada, che in Racine diviene elemento di successive mistificazioni mentre in Alfieri sarà strumento immediato di morte. A differenza di Fedra, Mirra non perde mai la consapevolezza delle leggi che regolano il bene e il male e racchiude questa lotta nell'intimo del suo cuore subendone le terribili conseguenze. Certo la sua colpa è diversa e ben più grave di quella di Fedra poiché è contro natura, mentre quella di Fedra va solo contro le leggi sociali del matrimonio e della famiglia: Ippolito non è suo figlio e per giunta è un suo coetaneo. Mentre Fedra muore travolta dalla passione, Mirra muore di consunzione, muore d'amore colpevole e nascosto. La differenza sostanziale tra la Fedra e la Mirra consiste nella cancellazione in Alfieri della dimensione mitologica della tragedia e dunque della complessità che il mostruoso assume in Racine.
È possibile individuare una sorta di parallelismo tra la passione secondo Racine e la passione secondo Alfieri: anche per il drammaturgo italiano la passione non è frutto di un lucido raziocinio come in Cartesio, ma espressione di un’anima lacerata, che lotta per riuscire a dominare le proprie illecite pulsioni. Con finezza introspettiva Racine e Alfieri analizzano le complesse e insondabili pieghe dell’animo umano, interrogando le lacerazioni di un’anima sospesa tra acuta percezione del peccato e angoscia di espiazione. Mirra e Fedra sono due eroine tragiche. Entrambe sono in balia di un sentimento del quale non hanno alcuna colpa e che non possono non provare pur avendone orrore, pur tentando di reprimerlo.
Oggetto del presente studio sarà il poeta italiano Vittorio Alfieri e il suo rapporto con il teatro tragico francese secentesco. In particolare, è mia intenzione mettere a confronto la produzione tragica alfieriana, della quale prenderò in esame, come esempio di massima espressione drammatica, la Mirra, con l’esperienza drammaturgica di uno dei più importanti esponenti del classicismo francese, Jean Racine, con la tragedia Fedra, ritenuta la sua opera più alta. In particolare esaminerò, attraverso un confronto critico-testuale delle due opere, il mondo delle passioni vissuto e analizzato da questi due grandi artisti, che hanno così profondamente segnato e formato il panorama teatrale della letteratura occidentale.
Il lavoro si articola in quattro capitoli. Il I capitolo si propone di indagare la complessa personalità di Vittorio Alfieri. Tale indagine è condotta sul piano esistenziale, grazie a cenni biografici che permettono di comprendere il suo individualismo eroico e la sua religione della libertà, ispirata al rifiuto del mecenatismo e dell’ossequio servile all’autorità; sul piano politico, attraverso l’analisi della realtà storica, politica e sociale del Settecento, dei suoi rapporti con l’Illuminismo e del suo caratterizzarsi come poeta preromantico; sul piano artistico, tramite la sua ideologia di “letterato-eroe”, che rivendica la propria indipendenza etica e creativa nei confronti di qualunque forma di tirannide, e la sua poetica tragica, espressione del tragico conflitto tra volontà del singolo e il potere inesorabile del Fato. Il II capitolo guarda al Grand Siècle, il Seicento. Attraverso un breve excursus sull’evoluzione del teatro tragico francese, si sviluppa un viaggio all’interno del secolo d’oro che contempla le forme e i generi teatrali dal principio del Grand Siècle, la formazione e la crescita delle compagnie teatrali, dei teatri, con uno sguardo alla maturazione del gusto estetico del pubblico parigino, fino ad arrivare ai grandi autori, come Pierre Corneille, poeta della volontà, e Jean Racine, poeta della passione. Nel III capitolo viene proposta un’analisi critico-testuale delle tragedie Mirra di Vittorio Alfieri e Fedra di Jean Racine, che consentirà, nel IV capitolo, attraverso il confronto sistematico tra le due opere, condotto per analogie e differenze, di fornire una ricognizione ragionata e il più possibile aggiornata delle posizioni critiche sullo stretto rapporto esistente tra due dei massimi rappresentati del genere tragico tra Seicento e Settecento.
Nel corso della storia letteraria il tema dell’incesto è stato trattato in diverse forme che sempre ne hanno evidenziato l’intima natura violenta. Negli schemi classici l’irrazionalità delle passioni, e tanto più una passione ritenuta contro natura come quella dell’incesto, era attribuita al volere di forze soprannaturali, contro le quali poco o nulla poteva l’uomo. L’individuo diventava un soggetto eminentemente passivo e poteva combattere una sola battaglia, cioè quella di salvaguardare il proprio equilibrio, non aggiungendo colpa a colpa. Nel 1677, nella Fedra, Racine rappresenta l’incesto come l’insano frutto di un volere fatale. Alfieri, invece, poco più di un secolo dopo, non esita a riconoscere la radice delle passioni, anche quelle più sconvolgenti e inesprimibili come le pulsioni incestuose, nel lato buio dell’animo umano. Infatti, Alfieri compone Mirra intorno alla fine del Settecento, quando ha ormai fatto proprie esperienze, quali quelle del sensismo e dell’empirismo. Tutto ciò determina un approccio diverso al tema dell’incesto, che indubbiamente l’autore giudica negativamente, come motivo di turbamento dell’equilibrio sociale. Ma ritiene che la passione sia tutta nell’uomo, perché non esistono forze esterne all’individuo capaci di provocare le passioni.
Mirra e Fedra sono due tragedie del silenzio. La drammaticità della tragedia è incentrata sull’ostinato silenzio di Mirra. Mirra è un dramma interiore che nella mente di Mirra produce una insostenibile vergogna, e la progressiva caduta nella follia. Mirra, a differenza di Fedra, non romperà mai il suo silenzio, dal momento che non c’è mai una vera confessione, ma solo il grido di un nome che sostituisce quello di padre, un gesto di avvicinamento e una spada, che in Racine diviene elemento di successive mistificazioni mentre in Alfieri sarà strumento immediato di morte. A differenza di Fedra, Mirra non perde mai la consapevolezza delle leggi che regolano il bene e il male e racchiude questa lotta nell'intimo del suo cuore subendone le terribili conseguenze. Certo la sua colpa è diversa e ben più grave di quella di Fedra poiché è contro natura, mentre quella di Fedra va solo contro le leggi sociali del matrimonio e della famiglia: Ippolito non è suo figlio e per giunta è un suo coetaneo. Mentre Fedra muore travolta dalla passione, Mirra muore di consunzione, muore d'amore colpevole e nascosto. La differenza sostanziale tra la Fedra e la Mirra consiste nella cancellazione in Alfieri della dimensione mitologica della tragedia e dunque della complessità che il mostruoso assume in Racine.
È possibile individuare una sorta di parallelismo tra la passione secondo Racine e la passione secondo Alfieri: anche per il drammaturgo italiano la passione non è frutto di un lucido raziocinio come in Cartesio, ma espressione di un’anima lacerata, che lotta per riuscire a dominare le proprie illecite pulsioni. Con finezza introspettiva Racine e Alfieri analizzano le complesse e insondabili pieghe dell’animo umano, interrogando le lacerazioni di un’anima sospesa tra acuta percezione del peccato e angoscia di espiazione. Mirra e Fedra sono due eroine tragiche. Entrambe sono in balia di un sentimento del quale non hanno alcuna colpa e che non possono non provare pur avendone orrore, pur tentando di reprimerlo.