Papers by Antonietta 2 Puri

La Loggetta, 2024
Come è noto, la curiosità per le scoperte e la collezione di oggetti antichi era già diffusa nel ... more Come è noto, la curiosità per le scoperte e la collezione di oggetti antichi era già diffusa nel mondo classico, anche se è solo nel Rinascimento che, grazie a diverse scoperte occasionali, lo spirito di ricerca veniva alimentato insieme all'ispirazione a ricollegarsi con il mondo classico, determinando il collezionismo su larga scala. Tuttavia l'archeologia come scienza è un prodotto dell'età moderna. E' con la scoperta di Ercolano nel 1709 che inizia l'esplorazione delle città campane, poi proseguita nel 1748 con gli scavi di Pompei e di Stabia; dopodiché altre campagne di scavi vennero promosse a Roma e nella nostra Etruria. Ma è sullo scorcio dell'Ottocento e agli albori del Novecento che si creò il maggiore interesse per questa nuova scienza con la creazione di istituzioni e associazioni come la Società Storica Volsiniese che nacque e si sviluppò a Bolsena incrementando gradualmente un acceso interesse culturale in tutto l'Alto Lazio e, particolarmente, nella vasta regione che circonda il lago di Bolsena. Promotore e artefice di tanto vivace clima culturale fu, per eccellenza e indefesso impegno Giuseppe Cozza-Luzi (1837-1905), abate basiliano della Badia di rito greco di Grotta Ferrata e Vice Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, ideatore, fondatore e presidente della Società Storica Volsiniese, esperto in archeologia, filologo e liturgista del quale si è più volte parlato su questa rivista. Tra le varie scoperte avvenute nel corso degli anni sopra citati, delle quali la più eclatante fu nel 1880 quella della tomba di santa Cristina nella catacomba omonima (V. La Loggetta, Primavera 2016, di A. Puri Una scoperta annunciata), ci fu il ritrovamento di un grande frammento che riportava un'iscrizione su Canuleio: era l'estate del 1888; il ritrovamento avvenne in contrada Melona, nella proprietà del principe Spada. Subito l'abate Cozza-Luzi, in quanto presidente della Società Storica Volsiniese, ne diede notizia al principe D. Federico, il quale pregò lo scrivente di fare nuove ricerche … a render … più compita quella notizia ed anche a trattar più largamente, se non ad esaurire lo storico argomento de' Canulei, … raccogliendo in più lettere non solo quanto ne avevano detto i nostri scrittori patrii, come il Donzellini, l'Adami, il Cozza Valerio, il Cozza Giovanni, ma col ricordare eziandio i più antichi che delle cose canulejane lasciaron memoria, fra cui si veggon notati l'Aldo, il Grutero, il Muratori, il Pennazzi, fino al Garrucci, all'Henzen, al Mommsen, al Gamurrini, al Bormann ed altri. Lo scrivente che ci da queste prime notizie, Ferdinando Battaglini, segretario, della Società Storica Volsiniese, lo fa stilando una premessa ("avvertenza") all'invio di lettere informative del Cozza-Luzi al principe Federico Spada Varalli
Laoggetta n°127 estate , 2021

La Loggetta, 2021
con le catacombe rimaneva chiusa, salvo che per i giorni della festa, la grande pietra basaltica ... more con le catacombe rimaneva chiusa, salvo che per i giorni della festa, la grande pietra basaltica con le presunte impronte di piedi dell'adolescente Cri-stina trasudava umidità: di queste goccioline "miracolose" venivano in-trisi lembi di tessuto che venivano poi usati per lenire dolori o sanare malattie. Nel comune di Parona di Valpolicella, in provincia di Verona, sorge una chie-sa dedicata a Cristina: la costruzione è edificata su uno scoglio dal quale sgorga un'abbondante sorgente d'ac-qua che va a finire, a breve distanza, in un fontanile scavato in un grande blocco ammonitico. In Spagna, lungo il cammino per San-tiago di Compostela, almeno in tre lo-calità Cristina è legata in qualche modo all'acqua. A Santa Cristina de Viso la martire bolsenese è ricordata e venerata per aver fatto scaturire dalla roccia una fonte, salvando mi-C ome abbiamo già visto altre volte su questa rivista, la mar-tire bolsenese Cristina è nota, grazie alla diffusione e alla lettura delle passio, in tutto il mondo cri-stiano non solo per le sue doti di forza e di coraggio nell'affrontare gli orrendi supplizi inflittile prima dal padre, quindi dai suoi successori Dione e Giuliano, per costringerla ad abiurare quella fede in Cristo che in lei era solida come una rocca inespugnabile, ma anche per merito delle sue virtù taumaturgiche, at-tributo che tradotto dal greco suona pressappoco come 'fattrici di mi-racoli'. La piccola Cristina, definita però dalla Chiesa orientale Megalo-màrtyros-Grande Martire-è invo-cata, fin dai primi secoli dalla nascita del suo culto e grazie ai tre grandi pellegrinaggi alla volta di Roma, di Santiago di Compostela e della Terra Santa, contro il morso di serpi ve-lenose, per sanare le malattie dello stomaco, per riacquistare la fecon-dità, scongiurare tempeste e ritro-vare oggetti smarriti; e ancora ne supplicavano gli interventi a loro fa-vore arcieri, balestrieri, mugnai e ma-rinai. Parecchi degli eventi miracolosi attribuiti alla martire sono partico-larmente legati alla presenza dell'ac-qua; infatti molte delle chiese a lei dedicate, in Italia e nel sud dell'Europa, specialmente le più antiche, sorgono in prossimità di torrenti, dove erano presenti e in qualche caso ancora lo sono dei mulini ad acqua. A Bolsena, sulla via Cassia sud, a un paio di chilometri dall'abitato, è visibile un antico rudere, detto La Fornacella, da sempre ravvisato come luogo del martirio della fornace; dal fondo del rudere scaturisce dell'acqua conside-rata taumaturgica; sino a qualche de-cennio fa, i bolsenesi andavano devo-tamente ad attingerne nella notte tra il 23 e il 24 luglio, giorno della festa della santa. Ai tempi in cui la basilichetta ipogea racolosamente gli abitanti della co-munità che si erano asserragliati nel castello, sotto l'assedio dei Mori, ed erano ormai stremati per la man-canza d'acqua. A Santa Cristina de Paradela, nel muro perimetrale della chiesa, c'è una cavità che, secondo i fedeli, si riempie d'acqua il cui li-vello non scema mai, nonostante i devoti ne attingano in continuazione. Ma la tradizione popolare più inte-ressante è quella di Ramallosa; qui sorge un ponte romanico di dieci archi legato a un suggestivo rito di fertilità: la donna che desideri una gravidanza deve posizionarsi sotto il ponte e, al dodicesimo rintocco della campana della chiesa di Santa Cristina, deve chiedere alla prima persona che attraversi il ponte di attingere dell'acqua dal fiume e ver-sargliela sulla testa facendo in modo che questa scivoli sino al ventre: la donna rimarrà incinta nell'arco del-l'anno. Sempre in Spagna, a Lloret de Mar, in Catalogna, una pia leg-genda narra che un pastore, mentre portava gli armenti al pascolo, trovò presso una fonte una statua di santa Cristina: fu l'inizio, nel luogo, del culto alla santa. Questi sono solo alcuni esempi di come la santa bolsenese sia legata al-l'elemento acqua e al suo potere tau-maturgico, residuo di culti e pratiche assai più antiche, correlate molto spesso a un tipo di religiosità conta-dina. Una delle più importanti reliquie legate a santa Cristina e menzionata già a partire dal 1154 è la grossa pietra di basalto che-secondo una pia tradi-zione-messa al collo della giovane per affogarla nelle acque del lago, prodigiosamente galleggiò come fosse una piccola barca sulla quale ella fu salvata dalle acque, lasciandovi im-presse le impronte dei propri piedi che ancor oggi possiamo ammirare, posta come paliotto dell'altare detto del Miracolo, nella basilichetta ipogea 113

La Loggetta Autunno, 2020
L 'antica Via Cassia, la Francigena, ha visto e udito fin dai secoli più remoti dell'alto medioev... more L 'antica Via Cassia, la Francigena, ha visto e udito fin dai secoli più remoti dell'alto medioevo il suo pode-roso basolato risuonare del calpestio di piedi, di zoccoli e di ruote di carri dovuto al transito di variegati campioni di umanità. Erano papi e imperatori con le loro corti, gente di prestigio e di ambizioni; ricchi mercanti, uomini di denaro e di speculazioni; eserciti capeggiati da uomini di conquista e di violenza, e infine cortei di pellegrini, gente di fede e di penitenza. Al seguito di tutti caracollava un codazzo di mendicanti, di giocolieri, di la-druncoli, di donne prezzolate e di ogni sorta di ciarlatani e di gente di malaffare. In seguito, sul finire del medioevo, questa importante via di comunicazione vide passare artisti e letterati umanisti: cultori di studi classici, profondi conoscitori delle lingue antiche, attratti dai resti delle ve-stigia delle antiche civiltà, soprattutto etrusche e romane, e più tardi una serie di intellettuali di cultura anglosassone, appassionati dell'arte e dell'archeologia-da poco assurta a scienza-italiane: i viaggiatori del Grand Tour". Il pellegrinaggio-collegato al concetto di luogo sacro, all'idea cioè che in un particolare sito si manifesti la divinità o una potenza sovrumana-pur non essendo un fenomeno universale, è presente in quasi tutte le religioni del mondo. Ricordiamo come nel mondo classico si andasse a Delfi per i responsi oracolari, ad Eleusi per i riti di iniziazione, a Epidauro per ottenere la guarigione, ad Olimpia per partecipare o assistere a giochi e spettacoli. Nell'antico Israele, in occasione di feste come la Pasqua e i Tabernacoli, grandi folle si recavano a Gerusalemme, mentre nella religione musulmana il pellegrinaggio alla Mecca, istituzione preislamica, è tuttora imposto come dovere da adempiere almeno una volta nella vita. Nel cri-stianesimo il pellegrinaggio-il viaggio devoto e ramingo, spesso legato all'espiazione di un peccato o allo sciogli-mento di un voto, cammino doloroso, pieno di insidie e potenzialmente mortale di coloro che, sentendo la vita sulla terra come un esilio, si accontentavano di un assaggio di paradiso attraverso le tappe in luoghi fortemente con-notati di un'aura mistica rasentante la magia-il pellegri-naggio, dicevamo, si affermò fin dai primi secoli, acquistando particolare impulso dal IV secolo in poi, avendo come mete ultime Roma e la Terra Santa, inframezzate da soste intermedie, come Santiago di Compostela, città sorta nel

La Loggetta Anno XXV, n.2, 2020
Lo storico bolsenese Consalvo Dot-tarelli nel suo Storia di Bolsena del 1928 narra, sulla scorta ... more Lo storico bolsenese Consalvo Dot-tarelli nel suo Storia di Bolsena del 1928 narra, sulla scorta del france-scano irlandese Luke Wadding, re-dattore della poderosa opera An-nales Minorum (1625 ca.1654), come sullo scorcio del XIII secolo fiorì la figura di un certo beato Guido, fran-cescano minorita, bolsenese di na-scita, uomo naturalmente ingenuo e puro d'animo che aveva il dono della visione e della profezia e, cosa T ra gli uomini illustri, le cose egregie e gli eventi rilevanti che fanno di un luogo, di un popolo, di una cultura la Storia con la S maiuscola, questa che vogliamo figurarci come un immenso campo di grano, pullula di spighe più basse, poco elevate dal solco, seminasco-ste tra quelle che svettano altere e che rappresentano a volte umili, altre volte oscuri personaggi, cose piccole, avvenimenti di scarsa ri-sonanza. Anch'esse, però, nel loro insieme contribuiscono a creare la trama e l'ordito di quell'arazzo va-riegato che costituisce la narrazio-ne, non sempre oggettiva, chiara e veritiera dell'evoluzione (a cicli al-terni dell'involuzione) dell'umanità. "Spigolare" indicava un tempo l'azione permessa ai più poveri di raccogliere le spighe di frumento rimaste sui campi dopo la mietitura, ma non per questo meno buone per farne farina. Nel nostro conte-sto, per esteso, il significato del verbo ci rimanda alla raccolta, qui e là, di quei fatti e fatterelli di cui si parlava poc'anzi, che possono suscitare interesse e curiosità. Bol-sena, pur essendo un piccolo cen-tro, ha alle spalle una storia im-portante che non è il caso in questa sede di sintetizzare, ma essa è co-stellata di tante piccole spighe che, sfuggite alla falce del mietitore, e raccolte in un fascetto, ci aiutano a comprendere meglio le dinamiche identitarie che sono diventate par-te del patrimonio culturale e forse anche psico-caratteriale dei suoi abitanti. Naturalmente, mi limiterò a citare queste minuterie solo se in qualche modo documentate, e se qualche aneddoto dovesse ri-velarsi frutto di invenzione, di sug-gestione e di tradizione orale (che pure ha una sua valenza), sarà specificato. più tenera, aveva un gatto cui era molto affezionato e da esso ricam-biato, tanto che la bestiola portava ogni giorno al suo amico un uccello per cibo e quando il frate spirò, pure il gatto morì ai suoi piedi. La storiella è certamente graziosa, ma dobbiamo smentire le origini bol-senesi del simpatico fraticello, in base agli studi compiuti recente-mente da parte di eminenti storici dell'ordine francescano. L'equivoco 105 dalla Tuscia estate 2020 Antonietta Puri Bolsena. Una scena della festa medievale con la rievocazione dell'assedio e dell'assalto di Ludo vico il Bavaro e della strenua difesa dei Bolsenesi, secondo la cronaca di Pietro Corcadi Bolsena Spigolature bolsenesi ovvero piccole notizie d'interesse storico secondario presentate come curiosità

La Loggetta n. 1, 2020
P er la città di Orvieto, la prima processione in onore del Corpo e del Sangue di Cristo si può i... more P er la città di Orvieto, la prima processione in onore del Corpo e del Sangue di Cristo si può identificare con il cammino solenne tramite il quale, secondo la cronaca di Domenico Manente, le reli-quie del miracolo eucaristico furono riposte in Santa Maria Prisca, dopo che il vescovo Giacomo le aveva portate da Bolsena, presente il papa Urbano IV. Ma sarà il 24 maggio 1337 che il governo di Orvieto, nel regola-mentare la festa, stabilirà che siano portati solennemente in processione per le vie della città il Corpo di Cristo e il Santissimo Corporale. E fu nel 1338 che quest'ultimo, racchiuso ed esposto nel suo nuovo reliquiario, fu recato in processione per le vie della città, per l'occasione adornate di festoni di fiori, di stoffe preziose, di arazzi e tavole dipinte. Il reliquiario orvietano era stato commis-sionato e realizzato dal famoso orafo di Siena Ugolino di Vieri negli anni 1335/36: un manufatto di altissimo pregio, capolavoro dell'oreficeria senese del XIV secolo realizzato, nell'elegante slancio delle linee gotiche che ricordano la facciata del duomo, in argento, dorato nelle cuspidi, nelle guglie, nelle nervature dei pilastri, nelle liste della base e nelle squisite statuette che lo accompagnano, mentre nelle altre parti l'argento è cesellato, bulinato e ricoperto di smalti traslucidi-tecnica questa da poco inventata a Siena e della quale il reliquiario orvietano si configura come uno dei più mirabili esempi-i più im-portanti dei quali, riportando le scene del Miracolo di Bolsena, ne rappresentano in qualche modo la prima te-stimonianza iconografica. Tutt'altra è la realtà bolsenese per quel che riguarda la processione e, di conseguenza, la necessità della presenza di un reliquiario degno di custodire una delle reliquie ri-maste sul luogo in cui, secondo la tradizione, era avvenuto il miracolo eucaristico. Infatti, solo molto più tardi rispetto a Orvieto, Bolsena-che usava celebrare la festa del Corpus Domini senza particolare solennità-ebbe a identificare le cosiddette Sacre Pietre, cioè i marmi macchiati del sangue sprizzato prodigiosamente dall'ostia consacrata, con la festa del Corpo e del Sangue di Cristo. In effetti l'uso di recare in processione una primavera 2020 dalla Tuscia Bolsena Antonietta Puri Peripezie di un reliquiario Il lungo e difficoltoso percorso per giungere alla realizzazione di un reliquiario degno di custodire ed esporre la sacra pietra di Bolsena sopra: Progetto, mai realizzato, dello scultore e architetto Antonio Sacco per un reliquiario che custodisse la Sacre Pietra bolsenese (1909) a sinistra: Orvieto, cattedrale, Reliquiario del Corporale, Ugolino di Vieri, 1335/36

La Loggetta, Inverno 2019-2020, 2020
D opo il ritorno straordinario nel duomo di Orvieto delle due statue di Francesco Mochi, l'Angelo... more D opo il ritorno straordinario nel duomo di Orvieto delle due statue di Francesco Mochi, l'Angelo an-nunciante e la Madonna Annunciata, il 25 marzo 2019, sono da poco rientrate nel duomo-la loro "casa" dalla quale mancavano da ben 122 anni-le statue dei dodici apostoli e dei santi protettori della città. Di queste statue, che videro impegnati artisti del calibro di Francesco Mosca, Raffaello da Montelupo, Giovanni Caccini, Pietro Francavilla insieme al Giambologna, Francesco Mochi, Ip-polito Buzio e Bernardo Cametti, ben tre furono eseguite dall'orvietano Ippolito Scalza (1532-1617): il San Tommaso, il San Giovanni e il Sant'Andrea. Siamo a cavallo tra i secoli XVI e XVII e questo gruppo di statue, iniziato prima dell'avvento del barocco, è un ciclo monumentale completo, unico e integralmente conservato. Mi piace e mi sembra doveroso ricordare brevemente l'uomo versatile e geniale che fu lo Scalza, scalpellino, esperto architetto, raffinato scultore: basti pensare, oltre alle succitate statue dei tre apostoli, alla straordinaria Pietà nel duomo di Orvieto, un gruppo marmoreo che egli scolpì in un unico blocco; ricordarlo anche come uomo legato alla sua città così tanto che non se ne allontanò se non per brevi periodi legati a commissioni fuori da essa, relative a opere di architettura civile e religiosa. A Orvieto e nei territori limitrofi-Bolsena compresa-Ippolito Scalza si applicò a ogni tipo di lavoro che gli venisse proposto, come restauri, interventi di progettazione, esecuzione e salvaguardia di opere pubbliche, misurazione di confini, computi, preventivi…, essendo, come lo definisce Ranuccio di Baschi nel 1576 "homo pratico, atto e amorevole, che altri non conoscevo in questo paese potesse fare questo ser-vigio meglio di lui", riferendosi a un lavoro di misure e confini per la comunità di Todi. Di Ippolito Scalza sappiamo che nacque a Orvieto nel 1532: lo deduciamo dalla notizia secondo la quale alla sua morte, occorsa il 20 dicembre 1617, l'artista avrebbe avuto 85 anni di età, mentre ne conosciamo come dato certo il giorno di nascita, il 6 di febbraio, come si evince dalla lettura del primo testamento da lui redatto nel 1609. La sua famiglia d'origine era già attiva in Orvieto in campo artistico, e doveva essere una delle più influenti-seppure non delle più importanti, in quanto al ceto-della città, proprio per le vestigia artistiche e soprattutto architetto-niche lasciate. Nonostante l'essere orvietano abbia favorito lo Scalza e la sua perizia gli abbia fatto guadagnare la stima e la be-nevolenza dei concittadini, la sua cerchia parentale sem-brava subire una sorta di atteggiamento discriminatorio da parte di famiglie più prestigiose e altolocate, tanto che, come già visto, troviamo spesso Ippolito adattarsi ad ogni sorta di attività propostagli, che mai egli disdegnò e che si distanziavano in molti casi dall'arte vera e propria: oltre all'incarico di gestire i lavori per la fabbrica di Santa Maria e per il Comune che durarono praticamente fino alla sua morte, si occupò a vario titolo di opere di restauro, di contenimento della rupe su cui sorge la città, dei problemi legati al suolo sottostante e di progettazione e restauro di ponti, anche presso i Comuni e i territori del comprensorio orvietano. Di queste scelte, che scaturivano spesso da un bisogno materiale e quindi dalla sua volontà, lo Scalza era pienamente consapevole e non si peritava di ammetterlo con modesta sincerità: "…Non vi meravigliate se io cercho stare in luoco: ché tutto lo fo per stare in casa mia con la mia fameglia e nella patria mia"; oppure "… l'essere povero et carico di figliole femmine mi fa ora pronto di supplicarle che le piaccia honorarmi di quelle provisioni…". Insomma, l'artista cercava di raggranellare quanti più incarichi gli venissero offerti sul suo territorio per il sostentamento della propria famiglia, dimostrandosi peraltro espertissimo (il Comune lo definiva "nostro ar-chitetto") in computi di spesa, esecuzione e supervisioni di progetti, ricerca dei materiali da costruzione, misurazioni, preventivi, analisi e perizie… Inoltre, si dedicò per una quarantina di anni alla cura dell'archivio comunale di Or

La Loggetta n. 2 anno XXIV, 2019
celebrano i Trionfi del Petrarca, ce n'è un'altra grande, come la prima si-curamente da attribuir... more celebrano i Trionfi del Petrarca, ce n'è un'altra grande, come la prima si-curamente da attribuirsi alla perizia dei maestri vetrai della vicina scuola di Troyes, che occupa la parte retro-stante dell'altar maggiore della cap-pella, un tempo dedicata a san Crépin e oggi detta del Sacro Cuore, che è completamente dedicata a Santa Cri-stina e considerata, oltre che uno dei B ella scoperta, direbbe qualcuno, Cristina di Bolsena, "Santa dei Misteri" lo è per antonomasia! I Misteri sono l'attributo più noto che, per traslato, lega questa figura alla celebrazione della sua festa (per la quale rimando al mio precedente ar-ticolo "Misteri & affini" ne la Loggetta n. 73-74 di marzo-giugno 2008, pp. 68-70). Non assistiamo forse ogni anno, all'ingresso della canicola, nella sera del 23 e nella mattina del 24 luglio, lungo un percorso variegato che si snoda lungo il centro storico del paese, alle scene dei suoi martiri, rappre-sentate su palchi? Durante questa ker-messe folcloristica e paganeggiante-processione sui generis, bagno di folla e di sudore-una fiumana di persone, seguendo alla spicciolata il simulacro della santa, vi si accalca attorno con stupore nel momento in cui questo si sofferma ad assistere, di volta in volta, di palco in palco, a uno dei supplizi da lei subiti secondo la leggenda, fino alla morte gloriosa nel suo dies nata-lis… Sì sì, tutto vero, ma qui quel qualcuno sbaglia, perché nel sottoti-tolo di questo articolo si annuncia re-almente un piccolo mistero, un enigma iconografico che la riguarda. Siamo nel nord-est della Francia, nel dipartimento dell'Aube, che prende il nome dal fiume, affluente di destra della Senna, che irriga e rende fertile una delle più rinomate regioni vinicole, quella della Champaghe-Ardenne, e per la precisione ci troviamo ad Ervy-le-Châtel, un piccolo comune di poco più di 1200 abitanti, a circa 36 chilo-metri dal capoluogo, Troyes, celebre per le raffinatissime vetrate e città natale di Jacques Pantaléon, futuro papa Urbano IV, che ben conosciamo perché connesso alla proclamazione della festa del Corpus Domini e alle ben note vicende del miracolo euca-ristico che coinvolsero Bolsena e Or-vieto nella seconda metà del secolo XIII. In questa cittadina, nella chiesa par-rocchiale di Saint-Pierre-ès-Liens, oltre alle famose, magnifiche vetrate che monumenti iconografici più ricchi e più completi della leggendaria vicenda terrena della martire bolsenese, l'opera più bella della vasta produzione ve-traria della suddetta scuola, negli anni che vanno dalla fine del secolo XV alla metà del XVI. (fig. 1) La scheda dell'Inventario generale del patrimonio francese la descrive come opera realizzata in vetro colorato, con 99 estate 2019 Ervy-le-Châtel: l'"enigma" della vetrata 1. Ervy-le-Chatel (Francia), chiesa parrocchiale di Saint-Pierre-ès-Liens, vetrata del 1515 dedicata a S. Cristina di Bolsena
Un fiorentino a Bolsena. Lo scultore Benedetto Buglioni (1493-1497)

Cristina dei serpenti, 2019
C redo che sia a tutti noto come l'uso cultuale dei serpenti e di altri animali legati alla campa... more C redo che sia a tutti noto come l'uso cultuale dei serpenti e di altri animali legati alla campagna sia uno degli esempi del patrimonio religioso-magico delle popolazioni rurali italiane, circoscritto specialmente all'ambito socio-culturale delle comunità contadine dell'Italia centro-meridionale. Ne è rimasta viva testimonianza nei culti che, dall'antichità, si sono protratti o sono stati recuperati in epoche più recenti e in modo spontaneo nelle feste patronali, forse nel desiderio di ricerca e di ritrovamento di una identità umana di matrice rurale che il progresso industriale e tecnologico rischiava di far estinguere. Nell'introduzione al suo interessantissimo libro "Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna", (Boringhieri 1976), Alfonso Maria di Nola cita una frase di Antonio Gramsci che spiega come in Italia la presenza di una cultura contadina, necessariamente dipendente dalle condizioni naturali legate alla produzione, si rifletta nell'ideologia religiosa. Gramsci afferma: "Ogni religione, anche la cattolica (anzi specialmente la cattolica, appunto per i suoi sforzi di rimanere unitaria 'superficialmente', per non frantumarsi in chiese nazionali e in stratificazioni sociali) è in realtà una molteplicità di religioni distinte e spesso contradditto-rie…"; insomma, c'è un cattolicesimo "variegato e sconnesso" sul quale "hanno influito e sono componenti dell'attuale senso comune le religioni precedenti, e le forme precedenti dell'attuale cristianesimo, i movimenti ereticali popolari, le superstizioni scientifiche legate alle religioni precedenti ecc." (A. Gramsci, Il Materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, 1971). Di quanto annotato da Gramsci abbiamo un esempio illuminato e calzante a Bolsena, nella devozione alla martire Cristina di cui parecchio si è già scritto e parlato, il cui culto con-tribuì a soppiantare quello idolatrico nei confronti di divinità pagane, portandosi appresso tuttavia, di queste, un bagaglio di figure e simboli, soprattutto se il culto sostituito si riferisce a Norzia, la cui venerazione, originatasi in epoche remote nella Tuscia, vi si protrasse, insieme ai riti ad essa legati, fino al IV secolo e all'età costantiniana.
Una storia di culto, di splendore e di degrado.

Antonie a Puri detto il Vecchietta, Matteo di Giovanni e Giovanni di Paolo. Siamo in pieno rinasc... more Antonie a Puri detto il Vecchietta, Matteo di Giovanni e Giovanni di Paolo. Siamo in pieno rinascimento e a Firenze era già da tempo iniziata quella rivoluzione artistica che faceva seguito alle nuove scoperte scientifiche, specialmente nello studio della prospettiva e delle tecniche pittoriche, e i mecenati cominciavano a considerare la pittura come specchio di un frammento della realtà. In questo clima di rinnovamento che si respirava a Firenze, la scuola senese rimaneva ancorata ai canoni dell'arte gotica; in più, Sano che doveva la sua fortuna a questo tipo di concezione artistica, più che mai rimaneva legato ai principi del Trecento che affondavano le radici nell'arte medievale. Così, mentre il Vecchietta e Matteo di Giovanni partecipavano alle novità rinascimentali introdotte a Siena da Donatello e dalla pittura di luce diffusa a Firenze da Domenico Veneziano, Sano di Pietro, insieme a Giovanni di Paolo rimase avvinto alla vecchia generazione di artisti nati all'inizio del secolo e quindi ancora fedeli alla tradizione gotica e non volle aderire, ma forse non ne fu capace, dal punto di vista compositivo e stilistico alle moderne aperture introdotte dal rinascimento, espresse anche nella nuova struttura delle tavole d'altare e alle cornici che le delimitavano. Queste nuove tavole, pur contemplando per volontà di Pio II l'uso Q uando, nelle occasioni speciali, il portale centrale della basilica di Santa Cristina di Bolsena si spalanca e la luce esterna si diffonde a diradare le ombre delle austere navate romaniche, ecco che compare alla vista, sull'altare maggiore, fulgido nei suoi fondi d'oro e nella vivacità delle tempere quattrocentesche, dove i toni dei colori si fronteggiano e si esaltano nella loro complementarietà, il trittico di Sano di Pietro, raffigurante La Vergine col Bambino e i santi Giorgio, Pietro, Paolo e Cristina.
N el descrivere la statua lignea che per Bolsena è l'icona della devozione alla sua martire, Sple... more N el descrivere la statua lignea che per Bolsena è l'icona della devozione alla sua martire, Splendiano Andrea Pennazzi (Vita di Santa Cristina Vergine e Martire…, 1725) così ne parla:

Marianna era nata il 3 dicembre 1875 a L'Aquila, dove il padre, Arcangelo Giuliani, impiegato com... more Marianna era nata il 3 dicembre 1875 a L'Aquila, dove il padre, Arcangelo Giuliani, impiegato comunale di Bolsena, sposato con Maria Elena Fioravanti, era stato trasferito temporaneamente. Qui la bambina fu battezzata, e poco dopo la famiglia fece ritorno a Bolsena dove risiedevano tutti i parenti; e proprio Bolsena è il luogo in cui Marianna visse la propria infanzia e l'adolescenza. Secondogenita di tre figli, un fratello e una sorella, la bambina si trovò a vivere in un clima famigliare che non era dei più tranquilli né dei più edificanti: il padre era un uomo impulsivo e propenso agli scatti d'ira; pare inoltre che l'unione dei genitori cominciasse proprio a quel tempo a vacillare. Possiamo immaginare come Marianna si sentisse in un ambiente carico di tensioni e di carenze affettive: un'infanzia infelice dove non c'era spazio né per il sorriso, né per il gioco, e che fece da base al formarsi della sua personalità solitaria e malinconica. Nel 1884, a seguito di un nuovo trasferimento, Arcangelo e Maria Elena, insieme a Cèncio, il figlio maggiore, si trasferirono a Roma lasciando Marianna e la sorella Ida a Bolsena, affidati agli zii materni Nazzareno Fioravanti e Costantina Menichetti che le accolsero come proprie figlie. Qualche tempo dopo Maria Elena lasciò Roma -molto probabilmente fu una separazione dal marito, forse a causa dei suoi tradimenti e delle sue intemperanze -per fare ritorno a Bolsena accolta in casa del fratello Alessandro Fioravanti, dove morirà nel 1888 a soli 34 anni, colpita da un male incurabile. La morte della mamma lasciò nell'animo di Marianna una profonda ferita che le cure, seppure affettuose e sollecite della zia Costantina riuscivano a malapena a lenire. Le due sorelle rimasero presso gli zii e Marianna non dimenticherà le attenzioni amorevoli della zia nei loro confronti. S e la santità può essere definita un'esperienza religiosa che tende all'avvicinamento o all'unione con il Divino, nel superamento dei limiti della condizione umana; se il Cristo è colui che, avendo vinto la morte fisica, è garante dell'immortalità dell'anima e del corpo di ogni uomo e riassume i caratteri dell'eccezionalità, intesa come mediazione vittoriosa tra natura e sopranatura, tra materiale e spirituale, tra bene e male, tra dolore e gioia, tra morte e vita; se la testimonianza dei suoi seguaci poteva comportare la morte, così che il termine martyr dal significato etimologico di testimone passa a quello di morto per la fede, a Bolsena abbiamo due testimoni degne di essere venerate in quanto, con l'effusione del loro sangue, sono diventate icone di eroismo, di forza, di sprezzo della paura, che nella morte violenta hanno ricevuto il sigillo della loro grandezza. La prima, nata e morta in età prepubere, secondo la tradizione, nel IV secolo, regnante Diocleziano, è Cristina; l'altra è Maria della Pace, al secolo Marianna Giuliani, morta decapitata in Cina, per essere cristiana, nel 1900. Tra l'una e l'altra sono trascorsi circa 1600 anni. Eppure, mentre il culto per Cristina non si è mai spento nel corso dei secoli, Maria della Pace è a malapena ricordata dalla liturgia nel suo dies natalis, il 9 luglio, nel giorno della sua nascita alla vera vita, quando morendo da martire testimoniò la propria fede. Marianna Giuliani (1875-1900), ormai Maria della Pace, in una foto ufficiale, con l'abito candido delle Francescane Missionarie di Maria Monumento ai Martiri del 9 luglio 1900, innalzato da padre Barbara Nanetti, fratello di una delle martiri, nei pressi della porta sud di Tai-Yuan-Fu. Nel cippo di sinistra erano incisi i nomi dei testimoni di Cristo dei quali, nel 1901, padre Barnaba recuperò i resti mortali dalla fossa comune per dargli degna sepoltura. Il monumento e le tombe resistettero per decenni, fin quando non vennero distrutti e cancellati per sempre dai comunisti di Mao Bolsena Antonietta Puri

Poiché sono stato alle dipendenze per tre anni, con il grado di ufficiale superiore, del colonnel... more Poiché sono stato alle dipendenze per tre anni, con il grado di ufficiale superiore, del colonnello Chiti, con il quale rimasi legato sempre da profonda e rispettosa amicizia, e oggi partecipo, insieme alla mia consorte, all'associazione amici di padre Gianfranco, di cui Padre Ubodi è presidente, ho ritenuto opportuno di inviare una mia lettera personale di ringraziamento al sindaco per il successo di questa significativa, importante cerimonia. Molto gentilmente il primo cittadino mi ha risposto comunicandomi che tutto il paese di Gignese è onorato di aver dato i natali al SERVO DI DIO padre Gianfranco Maria Chiti. I parrocchiani della chiesa di s. Maurizio hanno intenzione di programmare e partecipare a un pellegrinaggio a Pesaro, per una riverente e riconoscente preghiera sulla tomba di padre Gianfranco, e anche di visitare il convento in Orvieto, una sede dei padri cappuccini, così curata nei particolari e divenuta, per i numerosi ricordi di s. Crispino e di padre Chiti, un affascinante, santo luogo di ispirazione religiosa e di preghiera.

Era la prima trasgressione, la prima concessione, un premio… Attraversare la Cassia per andare al... more Era la prima trasgressione, la prima concessione, un premio… Attraversare la Cassia per andare al prato a giocare era come approdare su un nuovo continente. Se fatto clandestinamente, poteva costare un'aspra reprimenda; se sotto concessione, era una gratificazione, una speciale iniziazione, un rito di passaggio dalla prima alla seconda infanzia. In ogni caso, era il gusto inebriante ed esclusivo della libertà. Era tremendamente eccitante, varcato il limite di una trafficata Cassia dei primi anni '60, poter scorrazzare senza limiti né pericoli su quell'immenso prato, nei lunghissimi pomeriggi di estati che non finivano mai. Che felicità, dopo aver copiosamente sudato per aver rincorso una palla o saltato alla corda, sdraiarsi sull'erba fresca e stare lì, immobili, a mordicchiare lo stelo acidulo di un trifoglio leggendo le nuvole, o a premere sulla fronte madida o sul dorso della mano un po' sporca i piccoli cuori dell'erba raperina…E che gusto (pure un po' melenso) avevano le more del grosso gelso che si ergeva sulle prode del fosso ombroso, luogo di fortini e di nascondino! Oggi quel luogo non c'è più; al suo posto è stata realizzata una grossa area di parcheggio scoperto, parte della quale ricopre un certo numero di garage. Tutto è ordine. Tutto è nettezza ed efficienza: niente più lenzuola sciorinate al sole, dopo il lavaggio a mano nel vicino rigo; niente partite di calcio improvvisate o di campionato, niente più guerre civili tra gli opposti fortini del Borgo e del Castello; niente più ginocchia sbucciate, né macchie verdi indelebili sui calzoncini corti. Più niente di niente. Si sacrifica al progresso. Quello che comunemente era chiamato Prato e che per decenni è stato utilizzato come campo sportivo della nostra cittadina, aveva la denominazione di Prato Rigo e per secoli è stato oggetto di grande interesse da parte della comunità bolsenese perché ritenuto di fondamentale importanza per il tessuto urbanistico, ma fu solo nel 1931 che fu acquisito al patrimonio pubblico. A questo proposito, ritengo opportuno che si sfati il mito locale – nato dalla fiabesca credenza che principi buoni (e preferibilmente azzurri) giungano infine a salvare la fanciulla – per il quale detta acquisizione risulterebbe dalla donazione disinteressata di un principe alla nostra Comunità. Prova ne sia che anche il nostro bravo e simpatico concittadino Rodolfo Cerica, nel suo interessante opuscolo dal titolo Le Botteghe di Bolsena, nel quale elenca e descrive con colore e precisione le attività artigianali e commerciali locali del tempo che fu, così scrive a pagina 5: " Proseguendo ancora per la Cassia, a destra, si trova Prato Rigo, un appezzamento di terra donato al Comune di Bolsena dal Principe Rodolfo Del Drago perché fosse destinato alla creazione di impianti sportivi ". Le cose non stanno esattamente così e forse vale la pena raccontare la storia di Prato Rigo, almeno nelle sue ultime battute che si snodano con alterne vicende e senza soluzioni accettabili per oltre trent'anni. Per avere un'idea di come si presentava l'area di cui parliamo-ma quasi tutti i Bolsenesi che abbiano superato i quindici anni ne hanno memoria-possiamo avvalerci di questa descrizione tratta dal verbale di deliberazione del suo acquisto nel 1931, che la dice lunga su quanto la nostra Comunità tenesse all'area stessa, riconoscendone la valenza urbanistica e ambientale e individuandone l'importanza e la strategicità nel contesto urbano. Ecco quanto scrive l'allora segretario comunale nella deliberazione: " Quasi nel cuore dell'abitato, attiguo alle due principali piazze della Città, si estende il vasto Prato Rigo, di proprietà del principe Rodolfo Del Drago. Di figura quasi triangolare, i due lati principali confinano con il magnifico Viale del lago e con la strada Nazionale Cassia. E' pianeggiante, circondato da alberi, vicinissimo all'abitato e pure naturalmente isolato. Apporta alla Città un vasto respiro ed interrompendo la zone delle costruzioni, unisce Bolsena

Nel periodo compreso tra gli ultimi anni del 1800 e i primi del secolo scorso, va sviluppandosi a... more Nel periodo compreso tra gli ultimi anni del 1800 e i primi del secolo scorso, va sviluppandosi a Bolsena un movimento culturale di istituzione laica, ma di impronta prevalentemente ecclesiastica, che ha origine nel 1886 con l' istituzione di una Commissione di Storia Patria che si trasformerà ben presto in un organismo più ampio e qualificato, denominato Società Storica Volsiniese, orientato al recupero e alla valorizzazione del passato, mediante le ricerche svolte sia attraverso gli scavi archeologici, sia fra i documenti d'archivio. Questa esigenza di ricerca e di affermazione di una identità culturale locale attraverso una componente cattolica che si dedica con fervore alle memorie del passato, avviene necessariamente in un contesto storico e socio culturale particolarmente delicato, in un periodo in cui va attuandosi l'unificazione nazionale italiana e il nostro territorio, con la fine dello Stato della Chiesa, va inserendosi nel Regno d'Italia, in un clima di progressivo rinnovamento della cultura italiana e di entusiastica tensione verso un' ottica laica e liberale. Come già accennato, la Società Storica Volsiniese, che nasce come ampliamento culturale della Società Municipale di Storia Patria, si costituisce nel mese di settembre del 1886, essendone fautore il monaco basiliano Giuseppe Cozza Luzi, abate dell'abbazia di Grottaferrata, Vice bibliotecario di Santa Romana Chiesa e Presidente della Pontificia Accademia Romana di Archeologia; sarà grazie a lui che la Società avrà contatti con numerosi studiosi di calibro nazionale ed europeo e si emanciperà da una angusta visione municipalistica.
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