Most Recent Papers by Franco Fabbri

I worked as a composer of game music in the late 1980s, as part of a broader interest in electron... more I worked as a composer of game music in the late 1980s, as part of a broader interest in electronic music and computer music, in the age of 8-bit home computers. Some of my pieces can still be found in archives of ‘classic’ games for the Commodore 64. I also wrote two books on the usage of Commodore 64 as a music instrument and started the first course on this subject in an Italian music school. At the Ludomusicology conference in Mataró I presented this work, framing it into the context of my other activities during that period: as a composer and member of a rock band, as a performer of electronic music and author of computer-assisted audio-visual projects, and also as a musicologist (my early articles on genre theory and my participation in the establishment of popular music studies belong to the same years).
The topics covered in my presentation are: 1) a brief, general overview of the sound capabilities offered by 8-bit computers in the early 1980s; 2) an aesthetic and technical coverage of my works with the DAI and the Commodore 64; 3) a comment on the integration of home computing into my other musical works based on more traditional electronic instruments (synthesizers, sequencers, etc); 4) a brief presentation of the resources used for game music composing, and of the requests by game programmers. Music examples will be included.

Jazz Under State Socialism, Vol. 11, Ubuntu Fusion Music, ed Yvetta Kajanová, 2024
Macchina Maccheronica is the seventh studio album by the Italian group Stormy Six, recorded in 19... more Macchina Maccheronica is the seventh studio album by the Italian group Stormy Six, recorded in 1979 and released in 1980; Macchina Maccheronica was also an alternative name for the band: an effort to switch to Italian from the rather obsolete name created when the band was formed in 1965. ‘Latino maccheronico’ (macaronic Latin) was a way, in the late Middle Ages and early Renaissance, to mix Latin and vernacular Italian, and it became a literary genre. ‘High’ and ‘low’ were also the basic ingredients of Stormy Six’s music and lyrics at the end of the 1970s. As a matter of fact, Stormy Six travelled across genres along their whole career: from r&b to psychedelic pop, to country rock, to folk and protest songs, to progressive folk and progressive rock, and to alternative rock. When the material for Macchina Maccheronica was composed, Stormy Six were one of ‘the five rock groups the record companies don’t want you to hear’, as a poster went in 1978, announcing the first Rock In Opposition Festival in London. Ironically, Macchina Maccheronica has become one of the canonic examples of RIO, a sub- genre of progressive rock which emerged after the demise of the league of independent bands (Henry Cow/ Art Bears, Univers Zero, Samla Mammas Manna, Etron Fou Leloublan, Art Zoyd, and Stormy Six) that gave birth to that acronym. Both the album and the genre are a good field to investigate musical and lyrical creative processes based on the interaction of different materials and models: folk and vernacular, structured (written) composition, improvisation, rock, jazz, cabaret. In 1980 Macchina Maccheronica was awarded the Preis der deutschen Schallplattenkritik for best rock record of the year. The Police scored second.
Music Borrowing And Copyright Law. A Genre-by-Genre Analysis, edited by Enrico Bonadio and Chen Wei Zhu , 2023
My Kind of Sound: Popular Music and Audiovisual Culture, edited by Enrique Encabo, 2021
Note tricolori. La storia dell'Italia contemporanea nella popular music, a cura di Paolo Carusi e Manfredi Merluzzi, 2021
La rivista il Mulino, 2021
Il bardo di Duluth compie 80 anni. Franco Fabbri sottolinea il ruolo di Dylan non solo come autor... more Il bardo di Duluth compie 80 anni. Franco Fabbri sottolinea il ruolo di Dylan non solo come autore di canzoni, ma anche come musicista. Una caratteristica troppo spesso dimenticata dalla critica di Franco Fabbri

Il tempo di una canzone è una raccolta di saggi sulla popular music, ai quali Franco Fabbri ha la... more Il tempo di una canzone è una raccolta di saggi sulla popular music, ai quali Franco Fabbri ha lavorato negli ultimi dieci anni e fino a tempi recentissimi. Soprattutto, più della metà sono stati scritti e pubblicati in altre lingue ed erano finora inediti in italiano: fra questi, alcuni sono in assoluto i più letti – nella lingua originale – da un vasto pubblico internazionale. La popular music è studiata dal punto di vista storico (dalla canzone napoletana e statunitense nella prima metà dell’Ottocento, fino al rebetico, e poi al rock, al beat, e alla canzone d’autore, dagli anni Cinquanta del Novecento ai giorni nostri), analitico (il sound delle surf bands, del progressive rock, di Peter Gabriel, di De André, della musica ascoltata in cuffia e in streaming), teorico (le classificazioni per generi, le diverse tendenze degli studi musicali, il plagio). C’è spazio anche per saggi sulla musica da film, per l’impatto delle tecnologie sulla produzione e sul consumo di musica, per riflessioni sull’industria editoriale e discografica e sul diritto d’autore.
Introduzione
Cos’è la popular music? E cosa non è? Un resoconto,
dopo trent’anni di popular music studies
Cosa intendiamo per «empirico»?
La popular music a Napoli e negli USA prima della «popular music»: da Donizetti a Stephen Foster,
da Piedigrotta a Tin Pan Alley
Un triangolo mediterraneo: Napoli, Smirne, Atene
Culture del suono nei panighiria di Tilos (Dodecaneso):
spazi, riti, tecnologie e stili del confronto popolare/popular
Come nascono, cambiano, muoiono i generi?
Convenzioni, comunità e processi diacronici
Quale musicologia per la canzone?
Suoni e segni. Un resoconto. Alla memoria di Luca Marconi
«Le canzoni che avrei scritto io avrebbero dovuto essere così». Influenze transnazionali tra poeti, compositori, cantautori
Sound studies e popular music studies: a proposito
di nuovi spazi disciplinari e clamorosi silenzi (con Marta García Quiñones)
Ascoltando gli Shadows, quarant’anni dopo e per la prima volta (con Marta García Quiñones)
And the Bitt Went On
Il progressive rock in Italia negli anni Sessanta e Settanta: comunità, stili, rapporti con altri generi e scene
«Orchestral manoeuvres» negli anni Settanta: la Cooperativa l’Orchestra, 1974-1983
L’epoca dell’ascolto binaurale
«Vorrei che il mio disco avesse questo suono qui…».
Peter Gabriel e le tecnologie audio
«Questo silenzio non mi convince!» Il silenzio nel suono
cinematografico
Quando il cinema incoronava la musica. Due casi esemplari: Anatomia di un Omicidio ed Exodus
Un pianeta proibito: il cinema di fantascienza
e la musica elettronica
Il plagio. È la prova del budino della musicologia?
Il tempo di una canzone
Bibliografia
Fonti
Indice dei nomi
L'Indice dei libri del mese, 2020
N ella sua troppo breve vita Bruno Maderna (Venezia 1920-Darmstadt 1973 non sentì il bisogno di d... more N ella sua troppo breve vita Bruno Maderna (Venezia 1920-Darmstadt 1973 non sentì il bisogno di dare forma scritta alla ricchezza di conoscenze e riflessioni, al pensiero che faceva vivere nella duplice, intensissima attività di compositore e direttore. Centinaia di pagine di "scritti, frammenti e interviste" possono sembrare un paradosso per un protagonista che non scrisse quasi nulla; ma ciò si deve alla mole e alla natura (disuguale, non sistematica e non sintetica) del materiale su cui con rigore e acribia hanno compiuto un enorme lavoro i curatori di questo libro per farci ritrovare la voce di Maderna. Le tracce verbali del suo pensiero sono state cercate e raccolte soprattutto in interviste stampate o registrate, in conversazioni o dibattiti: era necessaria una selezione, che è stata compiuta con intelligenza larghezza.
Załącznik Kulturoznawczy 7, 2020
Courses on popular music were sparsely introduced in Italian universities in the late 1900s – ear... more Courses on popular music were sparsely introduced in Italian universities in the late 1900s – early 2000s, and are still included under the umbrellas of other disciplines (ethnomusicology, media and communication studies, sociology). An official disciplinary sector including popular music does not exist. However, research on popular music has existed in Italy at least since the 1960s, two important international conferences took place in Italy (as early as in 1983, and in 2005), and Italian popular music scholars are known internationally and have been members of associations, editorial boards, scientific committees. To explain this contradiction, a long historical period has to be overviewed. It’s a very specific Italian story. Or maybe not.
L'Indice dei libri del mese, 2020
Recensione di:
Alan Lomax,
MISTER JELLY ROLL
Vita, fortune e disavventure di Jelly Roll Morton, ... more Recensione di:
Alan Lomax,
MISTER JELLY ROLL
Vita, fortune e disavventure di Jelly Roll Morton, creolo di New Orleans, “Inventore del Jazz”
a cura di Claudio Sessa, ed. orig. 1950, trad. dall’inglese di Giuseppe Lucchesini, pp. 368, € 25, Quodlibet, Macerata 2019

INDICE
Non è musica leggera p. 9
Das Lied von der Erde: il messaggio di un addio p. 19
Il roma... more INDICE
Non è musica leggera p. 9
Das Lied von der Erde: il messaggio di un addio p. 19
Il romanzo della Nona p. 25
Geografie della passione p. 33
Quale opera? E quali soldi? p. 43
Avere naso e non far finta di niente p. 55
Richard Strauss. Metamorphosen, Studio (versione per 50 archi) p. 67
Arnold Schönberg. Trio per violino, viola e violoncello, Op. 45 p. 71
«Atmosfere» o paesaggi sonori? p. 77
Da un Einstein all’altro, fino a Wall Street p. 83
L’America, la morte, il bisogno di comunicare, qualcosa
da costruire. A Quiet Place and Trouble in Tahiti
di Leonard Bernstein p. 103
Il Requiem polacco: religione e spettacolarità nella musica
di Krysztof Penderecki p. 113
«... au théâtre à faire le reste»: genesi o spiegazione dell’Orfeo p. 119
L’esattezza, e altre ossessioni p. 131
Witold Lutosławski: necessità del caso p. 137
Un granello di sax p. 145
Musiche da The Yellow Shark p. 151
Zappa e l’elettroacustica p. 157
C’è un’altra Grecia p. 169
I nomi delle musiche p. 175
La musica come forma dell’interrelazione sociale p. 181
Sonde: la direzione del nuovo p. 205
La linea, il corpo, la politica p. 223
Il corpo nella mente musicale p. 239
La musica: un falso molto autentico, veramente fasullo p. 253
Folle in marcia: i Carmina Burana e la musica pop p. 269
La musica di strada, il senso comune, le buone intenzioni p. 279
L’inganno della «ricerca»: l’Art Research e la sopravvivenza
delle Humanities nella crisi finanziaria e politica
degli anni 2010 p. 287
Bibliografia p. 299
Fonti p. 309
Indice dei nomi p. 313
L’Autore p. 323
Cartographier la chanson contemporaine, ed. Perle Abbrugiati et al., pp. 347-356, 2019

Controculture italiane, a cura di Silvia Contarini e Claudio Milanesi, Franco Cesati Editore, Firenze, 2019
La memoria del lungo Sessantotto è immancabilmente legata alla musica. Il senso comune vuole che ... more La memoria del lungo Sessantotto è immancabilmente legata alla musica. Il senso comune vuole che le “rivoluzioni” musicali degli anni Sessanta abbiano preparato la strada ai movimenti politici giovanili della fine di quel decennio, ed è difficile pensare al Sessantotto senza evocare le immagini visive e sonore di singole canzoni, cori di piazza, raduni e festival. Ma la storia è più complessa, e sarebbe altrettanto facile sostenere che – almeno per un certo periodo – musica e politica siano scivolate su binari paralleli, quasi ignorandosi. Ciò che accadde nei primi anni Settanta a Milano – città di grande rilevanza per l’editoria musicale, la discografia, lo spettacolo, oltre che punto focale dell’autunno caldo, della strategia della tensione, del movimento studentesco e dei gruppi extraparlamentari, e anche dei beatnik italiani e di Re Nudo – è oggetto in questo intervento di una riflessione-testimonianza.
Lingue e Culture dei Media, 2019
I casi di plagio musicale, di tanto in tanto, emergono all’attenzione pubblica. È meno noto, tutt... more I casi di plagio musicale, di tanto in tanto, emergono all’attenzione pubblica. È meno noto, tuttavia, che a occuparsene (oltre a giudici e avvocati esperti di diritto d’autore) siano docenti di musica e musicologi, in qualità di periti di parte o di ufficio. Ciò che viene messo a confronto, oltre a frammenti di canzoni, melodie, sequenze armoniche, ritmi, sonorità, sono le teorie in base alle quali è possibile sostenere la somiglianza o l’estraneità delle musiche coinvolte nel giudizio. In sostanza, ogni causa di plagio implica un confronto fra diverse interpretazioni dei concetti fondativi dello studio della musica. Non è un’esagerazione, dunque, affermare che il plagio sia la prova del budino della musicologia: un terreno di confronto consistente e articolato, spesso più sostanzioso di secolari controversie teoriche.

Music History and Cosmopolitanism, edited by Anastasia Belina, Kaarina Kilpiö and Derek B. Scott, Routledge, Jul 4, 2019
What we now call ‘popular music’ isn’t simply the Anglo-American mainstream from the Tin Pan Alle... more What we now call ‘popular music’ isn’t simply the Anglo-American mainstream from the Tin Pan Alley era (or even the 1950s) onward, with the optional addition of a handful of local genres, styles, and scenes: it’s an extremely varied set of music events that became visible and audible almost simultaneously in many places around the world since the early decades of the Nineteenth century. If we accept this idea, then a popular music historian has to face a number of challenging questions.
Which sources are available? How reliable are they? In which languages were they conceived, written or recorded? Within which theoretical framework can they be studied? It’s a huge work, but it must also produce a manageable output, in the form of handbooks, audiovisual products, web pages, and other material suitable for teaching and dissemination.
Musica/Realtà, 2019
Il titolo si riferisce sia alla brevità caratteristica delle canzoni, rispetto ad altre forme mus... more Il titolo si riferisce sia alla brevità caratteristica delle canzoni, rispetto ad altre forme musicali e artistiche (in letteratura, teatro, cinema, danza, eccetera), sia alle diverse temporalità che possono essere istituite – con mezzi musicali e verbali – all’interno di una canzone.

L'Indice dei libri del mese, 2019
Q ualcuno potrebbe domandarsi se la canzone politica esista ancora. Sarebbe legittimo: i generi m... more Q ualcuno potrebbe domandarsi se la canzone politica esista ancora. Sarebbe legittimo: i generi musicali nascono, vivono, scompaiono, a volte del tutto, a volte provvisoriamente. Per esempio, c'era qualche esponente della canzone politica al concerto del primo maggio a Roma, promosso dai sindacati confederali? Quanti ce ne sono stati, da quando il "concertone" è stato istituito nel 1990? E non intendiamo l'occasionale cantautore, gruppo rock, rapper, noto per le sue posizioni politiche e autore di qualche canzone "di parte" (uno o due ci sono sempre): no, qualche cantante, musicista, che il pubblico, sulla base delle convenzioni del genere, riconosca come uno/una che fa "canzone politica", quel contesto di "canzoni politico-popolari" al quale già si riferivano Gianni Bosio e Roberto Leydi in un articolo del 1965 pubblicato sul "Nuovo Canzoniere Italiano". Il genere al quale ascriveremmo, per fare qualche esempio nazionale e internazionale in ordine cronologico sparso, Ivan al "concertone" è stata invitata una volta, perché aveva appena partecipato a un album con Francesco De Gregori. Alcuni non ci sono più, da tempo, altri sono in piena attività ancora oggi, ma dal 1990 in poi ci sarebbe stata più di un'occasione per invitarne anche solo un paio, no?

L'indice dei libri del mese, 2018
Come mai interessa così tanto la musica del Sessantotto? Immagino che una delle ragioni sia la no... more Come mai interessa così tanto la musica del Sessantotto? Immagino che una delle ragioni sia la normalissima frenesia per gli anniversari, così radicata nelle pratiche dei media e delle istituzioni, ma anche in quelle personali. Ci si emoziona tanto per il cinquantesimo compleanno, ma non per il quarantanovesimo o qualunque altro nella decina precedente o successiva. C'è un'attenzione spasmodica per le cifre tonde: vi ricordate il Duemila (c'era anche l'incubo fasullo del "millennium bug")? Tutto questo nonostante che gli avvenimenti importanti abbiano il vizio di presentarsi in anni qualsiasi: il 1492, il 1789, il 1861, il 1917, il 2001. Perfino Gesù è nato fra il 7 e il 4 avanti Cristo. Ma poi, quando è che si ricordano quegli avvenimenti con maggiore fervore? Un numero intero di decine di anni dopo: nel decennale, nel cinquantennale, nel centenario, e multipli relativi. Abbiamo dieci dita nelle due mani. Gli ottopodi del film Arrival quando commemorano? E dire che uno dei sistemi di numerazione ormai più diffusi è quello esadecimale: forse gli informatici celebreranno gli anniversari basandosi sul numero FF? Quest'anno è l'FF-nario del 1763, anno in cui Joseph Haydn compose tre sinfonie: perché non fare una bella settimana haydniana alla radio? Ma basta così: anni fa (sedici, ovvero 00001000 in binario, o 10 in esadecimale: bei numeri) per la mia antipatia verso le ricorrenze mi bruciai una carriera di conduttore radiofonico. Scrissi su un quotidiano che una certa settimana mozartiana mi aveva dato la nausea, come una torta al limone, e il direttore della radio chiese a un collaboratore: "Ma questo qui lavora per noi?" Col '68 però è diverso. Perché allora avevo diciott'anni, e non si ha quell'età più di una volta nella vita. Il '68, però, non il Sessantotto. Questo è durato una decina di anni, non si sa bene quando sia finito (qualcuno a volte mi dice: "Ma non ti sei accorto che il Sessantotto è finito?"), e nemmeno quando sia cominciato. Per di più, quando in Italia si parla della musica del Sessantotto, i ricordi vanno in gran parte a musiche degli anni Settanta già inoltrati. Lasciamo, quindi, che si celebri il cinquantenario de "La locomotiva" nel 2022, di "Stalingrado" nel 2023, di "Gioia e rivoluzione" nel 2025. Tre altre canzoni, secondo me, primeggiano nel ricordo del 1968. La prima, quasi inevitabilmente, è "Contessa", di Paolo Pietrangeli, che fu composta due anni prima, ma che secondo tutte le testimonianze (anche quelle dell'autore, e quelle che ho trovato o raccolto) era cantata nel '68 in tutte le manifestazioni. Lo stesso autore ha curato nel 2005 un dvd, Ignazio, al quale partecipano fra gli altri Ettore Scola, Giovanna Marini, Daniele Silvestri; contiene un bel montaggio con riprese di Pietrangeli che la canta, e altro materiale. È visibile anche su YouTube, e rende più giustizia alla
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Most Recent Papers by Franco Fabbri
The topics covered in my presentation are: 1) a brief, general overview of the sound capabilities offered by 8-bit computers in the early 1980s; 2) an aesthetic and technical coverage of my works with the DAI and the Commodore 64; 3) a comment on the integration of home computing into my other musical works based on more traditional electronic instruments (synthesizers, sequencers, etc); 4) a brief presentation of the resources used for game music composing, and of the requests by game programmers. Music examples will be included.
Introduzione
Cos’è la popular music? E cosa non è? Un resoconto,
dopo trent’anni di popular music studies
Cosa intendiamo per «empirico»?
La popular music a Napoli e negli USA prima della «popular music»: da Donizetti a Stephen Foster,
da Piedigrotta a Tin Pan Alley
Un triangolo mediterraneo: Napoli, Smirne, Atene
Culture del suono nei panighiria di Tilos (Dodecaneso):
spazi, riti, tecnologie e stili del confronto popolare/popular
Come nascono, cambiano, muoiono i generi?
Convenzioni, comunità e processi diacronici
Quale musicologia per la canzone?
Suoni e segni. Un resoconto. Alla memoria di Luca Marconi
«Le canzoni che avrei scritto io avrebbero dovuto essere così». Influenze transnazionali tra poeti, compositori, cantautori
Sound studies e popular music studies: a proposito
di nuovi spazi disciplinari e clamorosi silenzi (con Marta García Quiñones)
Ascoltando gli Shadows, quarant’anni dopo e per la prima volta (con Marta García Quiñones)
And the Bitt Went On
Il progressive rock in Italia negli anni Sessanta e Settanta: comunità, stili, rapporti con altri generi e scene
«Orchestral manoeuvres» negli anni Settanta: la Cooperativa l’Orchestra, 1974-1983
L’epoca dell’ascolto binaurale
«Vorrei che il mio disco avesse questo suono qui…».
Peter Gabriel e le tecnologie audio
«Questo silenzio non mi convince!» Il silenzio nel suono
cinematografico
Quando il cinema incoronava la musica. Due casi esemplari: Anatomia di un Omicidio ed Exodus
Un pianeta proibito: il cinema di fantascienza
e la musica elettronica
Il plagio. È la prova del budino della musicologia?
Il tempo di una canzone
Bibliografia
Fonti
Indice dei nomi
Alan Lomax,
MISTER JELLY ROLL
Vita, fortune e disavventure di Jelly Roll Morton, creolo di New Orleans, “Inventore del Jazz”
a cura di Claudio Sessa, ed. orig. 1950, trad. dall’inglese di Giuseppe Lucchesini, pp. 368, € 25, Quodlibet, Macerata 2019
Non è musica leggera p. 9
Das Lied von der Erde: il messaggio di un addio p. 19
Il romanzo della Nona p. 25
Geografie della passione p. 33
Quale opera? E quali soldi? p. 43
Avere naso e non far finta di niente p. 55
Richard Strauss. Metamorphosen, Studio (versione per 50 archi) p. 67
Arnold Schönberg. Trio per violino, viola e violoncello, Op. 45 p. 71
«Atmosfere» o paesaggi sonori? p. 77
Da un Einstein all’altro, fino a Wall Street p. 83
L’America, la morte, il bisogno di comunicare, qualcosa
da costruire. A Quiet Place and Trouble in Tahiti
di Leonard Bernstein p. 103
Il Requiem polacco: religione e spettacolarità nella musica
di Krysztof Penderecki p. 113
«... au théâtre à faire le reste»: genesi o spiegazione dell’Orfeo p. 119
L’esattezza, e altre ossessioni p. 131
Witold Lutosławski: necessità del caso p. 137
Un granello di sax p. 145
Musiche da The Yellow Shark p. 151
Zappa e l’elettroacustica p. 157
C’è un’altra Grecia p. 169
I nomi delle musiche p. 175
La musica come forma dell’interrelazione sociale p. 181
Sonde: la direzione del nuovo p. 205
La linea, il corpo, la politica p. 223
Il corpo nella mente musicale p. 239
La musica: un falso molto autentico, veramente fasullo p. 253
Folle in marcia: i Carmina Burana e la musica pop p. 269
La musica di strada, il senso comune, le buone intenzioni p. 279
L’inganno della «ricerca»: l’Art Research e la sopravvivenza
delle Humanities nella crisi finanziaria e politica
degli anni 2010 p. 287
Bibliografia p. 299
Fonti p. 309
Indice dei nomi p. 313
L’Autore p. 323
Which sources are available? How reliable are they? In which languages were they conceived, written or recorded? Within which theoretical framework can they be studied? It’s a huge work, but it must also produce a manageable output, in the form of handbooks, audiovisual products, web pages, and other material suitable for teaching and dissemination.
The topics covered in my presentation are: 1) a brief, general overview of the sound capabilities offered by 8-bit computers in the early 1980s; 2) an aesthetic and technical coverage of my works with the DAI and the Commodore 64; 3) a comment on the integration of home computing into my other musical works based on more traditional electronic instruments (synthesizers, sequencers, etc); 4) a brief presentation of the resources used for game music composing, and of the requests by game programmers. Music examples will be included.
Introduzione
Cos’è la popular music? E cosa non è? Un resoconto,
dopo trent’anni di popular music studies
Cosa intendiamo per «empirico»?
La popular music a Napoli e negli USA prima della «popular music»: da Donizetti a Stephen Foster,
da Piedigrotta a Tin Pan Alley
Un triangolo mediterraneo: Napoli, Smirne, Atene
Culture del suono nei panighiria di Tilos (Dodecaneso):
spazi, riti, tecnologie e stili del confronto popolare/popular
Come nascono, cambiano, muoiono i generi?
Convenzioni, comunità e processi diacronici
Quale musicologia per la canzone?
Suoni e segni. Un resoconto. Alla memoria di Luca Marconi
«Le canzoni che avrei scritto io avrebbero dovuto essere così». Influenze transnazionali tra poeti, compositori, cantautori
Sound studies e popular music studies: a proposito
di nuovi spazi disciplinari e clamorosi silenzi (con Marta García Quiñones)
Ascoltando gli Shadows, quarant’anni dopo e per la prima volta (con Marta García Quiñones)
And the Bitt Went On
Il progressive rock in Italia negli anni Sessanta e Settanta: comunità, stili, rapporti con altri generi e scene
«Orchestral manoeuvres» negli anni Settanta: la Cooperativa l’Orchestra, 1974-1983
L’epoca dell’ascolto binaurale
«Vorrei che il mio disco avesse questo suono qui…».
Peter Gabriel e le tecnologie audio
«Questo silenzio non mi convince!» Il silenzio nel suono
cinematografico
Quando il cinema incoronava la musica. Due casi esemplari: Anatomia di un Omicidio ed Exodus
Un pianeta proibito: il cinema di fantascienza
e la musica elettronica
Il plagio. È la prova del budino della musicologia?
Il tempo di una canzone
Bibliografia
Fonti
Indice dei nomi
Alan Lomax,
MISTER JELLY ROLL
Vita, fortune e disavventure di Jelly Roll Morton, creolo di New Orleans, “Inventore del Jazz”
a cura di Claudio Sessa, ed. orig. 1950, trad. dall’inglese di Giuseppe Lucchesini, pp. 368, € 25, Quodlibet, Macerata 2019
Non è musica leggera p. 9
Das Lied von der Erde: il messaggio di un addio p. 19
Il romanzo della Nona p. 25
Geografie della passione p. 33
Quale opera? E quali soldi? p. 43
Avere naso e non far finta di niente p. 55
Richard Strauss. Metamorphosen, Studio (versione per 50 archi) p. 67
Arnold Schönberg. Trio per violino, viola e violoncello, Op. 45 p. 71
«Atmosfere» o paesaggi sonori? p. 77
Da un Einstein all’altro, fino a Wall Street p. 83
L’America, la morte, il bisogno di comunicare, qualcosa
da costruire. A Quiet Place and Trouble in Tahiti
di Leonard Bernstein p. 103
Il Requiem polacco: religione e spettacolarità nella musica
di Krysztof Penderecki p. 113
«... au théâtre à faire le reste»: genesi o spiegazione dell’Orfeo p. 119
L’esattezza, e altre ossessioni p. 131
Witold Lutosławski: necessità del caso p. 137
Un granello di sax p. 145
Musiche da The Yellow Shark p. 151
Zappa e l’elettroacustica p. 157
C’è un’altra Grecia p. 169
I nomi delle musiche p. 175
La musica come forma dell’interrelazione sociale p. 181
Sonde: la direzione del nuovo p. 205
La linea, il corpo, la politica p. 223
Il corpo nella mente musicale p. 239
La musica: un falso molto autentico, veramente fasullo p. 253
Folle in marcia: i Carmina Burana e la musica pop p. 269
La musica di strada, il senso comune, le buone intenzioni p. 279
L’inganno della «ricerca»: l’Art Research e la sopravvivenza
delle Humanities nella crisi finanziaria e politica
degli anni 2010 p. 287
Bibliografia p. 299
Fonti p. 309
Indice dei nomi p. 313
L’Autore p. 323
Which sources are available? How reliable are they? In which languages were they conceived, written or recorded? Within which theoretical framework can they be studied? It’s a huge work, but it must also produce a manageable output, in the form of handbooks, audiovisual products, web pages, and other material suitable for teaching and dissemination.
After examining at some length the development of my theory of genre (definitions, ‘rules’ and conventions, inter-genre relations and intra-genre diachronic development), the commentary focuses on a number of studies of specific (mostly popular) genres, music scenes, forms, artists, where genre is an underlying concept. One of the most delicate aspects of any theory about genre, and one that has been at the centre of my investigation for so long, is that of diachronic development; as a consequence, the history of popular music became at some point a favourite subject for my study – my contributions are outlined in the commentary which can be read in conjunction with my writings on the subject. Finally, a section is dedicated to my writings on music technology, music industry, and media. In the conclusions my work on genre is contextualised nationally and internationally, with some considerations on linguistic issues; the commentary ends with a brief outline of my future research plans.
Later on, it appeared that the question had found an answer: not just in the names and titles of institutions and journals, but especially in the common sense of scholars. At some point, PMS (Popular Music Studies) became a familiar acronym, indicating an interdisciplinary practice that didn’t seem to need any further explication. ‘We all know what popular music studies are’, one could hear saying. So, there came to be not only a commonsense recognition of what popular music is, but also of the dominant practices involved in its study.
However, under the thin crust of such an apparently wide agreement, magmatic currents are still moving and clashing, and emerge here and there during scholarly meetings, in blogs and mailing lists, in institutional debates.
This article addresses a number of issues that seem to me to be related both to that surface agreement and to those deep streams of disagreement about the identity of the popular music universe. Here are a few examples:
1. The linguistic issue: how does the expression ‘popular music’ translate into other languages? Although it is clear that many communities of scholars accepted to use the English expression anyway, how do ‘local’ terms (like música popular, musica popolare, populäre Musik, musique populaire, musique de varietés, etc.) affect the perception of this/these ‘kinds of music’?
2. The ethnocentric vs. multicultural issue: is popular music just the Anglo-American pop-rock mainstream? What is ‘world music’, then?
3. The ‘popularity’ issue: is popular music just any kind of mainstream? Does ‘unpopular popular music’ really exist?
4. The ‘modern media’ issue: is popular music just media-related music? What about nineteenth century fado, Stephen Foster’s Ethiopian songs, ‘classic’ Neapolitan song? What makes ‘media music’ popular? And is the concept of ‘media’, accepted when the expression ‘popular music’ was adopted, still valid now?
5. The socio-conceptual issue: what is ‘the people’, and what is ‘popular’?
My approach to these issues will be based mainly on: 1) a cognitive/semiotic critique of musical concepts and categories; 2) a close conceptual examination of the evolution of music dissemination (and/or ‘popularity’) in the past three decades.
I don’t think that it would be easy (or useful) to find a new name for the music that until thirty years ago, and in some countries much more recently, wasn’t studied in academic institutions: ‘popular music’ for me is still probably the best conventional term to indicate such a complex set of musical cultures and practices. However, I suggest that its conventional character shouldn’t be underemphasized, and that quiet assumptions about what popular music is and what popular music studies are should be treated very carefully.
Capitolo 2 - Precursori: Stephen Foster, il minstrel show, la nascita di Tin Pan Alley
Capitolo 3 - I sogni di Edison, l’industria di Berliner
Capitolo 4 - La canzone napoletana
Capitolo 5 - Dal Salone Margherita al Cafè Aman. Aristide Bruant e la canzone francese
Capitolo 6 - Origini del flamenco, del fado, del tango
Capitolo 7 - Ragtime, blues, jazz
Capitolo 8 - Musiche del Mediterraneo orientale
8.1 Il rebetico
8.2 Umm Kulthum e la canzone araba
Capitolo 9 - Il Kabarett
Capitolo 10 - Il cinema sonoro. Canzoni e musica da film
Capitolo 11 - L’età dell’oro del musical e gli «American Classics»
Capitolo 12 - Voci e musiche alla radio
Capitolo 13 - Race, hillbilly, crooners: le voci dell’America al microfono
Capitolo 14 - Musica leggera in Italia nel Ventennio
Capitolo 15 - Il dopoguerra negli USA: dal rhythm & blues al rock ’n’ roll
Capitolo 16 - Il trionfo del rock ’n’ roll
Capitolo 17 - Il dopoguerra in Italia. Il Festival di Sanremo
Capitolo 18 - Nuovi poeti, nuovi disturbi: gli «chansonniers», la bossa nova
Capitolo 19 - Cantacronache, cantautori, il Nuovo Canzoniere Italiano
Capitolo 20 - Dopo il rock ’n’ roll: dalle alternative «perbene» a Dylan
Capitolo 21 - L’era dei gruppi
Capitolo 22 - L’Italia del boom e del bitt
Capitolo 23 - L’«estate dell’amore»
Capitolo 24 - La «Woodstock Nation» e l’altra «altra America»
Capitolo 25 - Canzone politica e canzone d’autore, intorno al ’68
Capitolo 26 - Cantautori in America Latina
Capitolo 27 - Cantautori in Europa
Capitolo 28 - Psichedelici, sperimentatori: da Zappa ai Pink Floyd, al progressive rock
Capitolo 29 - Musiche urbane e post-coloniali dopo la crisi del petrolio
Capitolo 30 - Compact disc, campionatori, videoclip
Capitolo 31 - Il potere di «rappresentare»: rap e rock a confronto
Capitolo 32 - Il mondo entra in scena
Capitolo 33 - Bricolage elettronico: techno, rave, musica sulla rete
Bibliografia
Indice delle canzoni, degli album, delle trasmissioni radiofoniche e televisive, dei film, delle pubblicazioni
Indice dei nomi
As cultural units (and not metaphysical categories), genres are rooted in history: which also means that for each genre that comes to our mind, there must have been a time when it didn’t exist yet. It’s an obvious observation, but one that doesn’t seem to have troubled many of the scholars (not so many anyway) who have dealt with the subject. On the contrary, I believe that no genre theory – be it a ‘strong’ theory or a simple description of how the concept is used in contemporary communities – can be valid if it doesn’t take genre formation and diachronic processes into consideration.
According to different theoretical approaches, which tend to overlap and/or complement (rather than contradict and oppose) each other, the ‘birth’ of a genre can be located in the establishment of conventions and norms within a community, in the ‘semiotic act’ of naming, in the acknowledgement of ‘family resemblances’, in the acceptance of prototypes. All such processes, however, do not take place in a void, but within a system or network of existing genres: which also means that some or all of them are often activated, or catalyzed, or polarized by existing genres, to which the new genre is opposed, or put on their side as a variant.
What does it mean, then, to study the birth of a new genre? It means: 1) to look into any kind of document for the earliest traces of the genre’s name as a label; 2) to investigate the genre’s community or communities (to many respects, communities defining and accepting genres have structural and processual similarities to communities at the base of national formation), and evaluate recurring behaviors, norms, codes, prototypes (within the framework of other existing genres, so evaluating oppositional functions); 3) to look for traces of same or similar behaviors, etc., before the genre’s name was accepted. For many genres in history (and my idea of ‘genre’ includes inevitably sets of genres, like ‘popular music’) it seems that practice anticipated naming, that is, a general acceptance of styles, social practices, functions, etc., under a specific name, followed years, decades, maybe even centuries of similar music activities, like with fado, flamenco, tango, the blues, jazz, rebetiko, up to rock ‘n’ roll.
As it was suggested for other fields (cinema studies, for example) such an investigation can be benefited by an historical approach based on the methods of the École des Annales, or, in other terms, by an interdisciplinary convergence of musicology, sociology, semiotics, historical linguistics, historiography.
Introduzione alla seconda edizione
Istruzioni per l’uso
Perché la chiamiamo popular music?
Musiche nel Novecento
Musiche nel XXI secolo
Che genere di musica?
I generi musicali e i loro metalinguaggi
Generi in trasformazione: l’elettrificazione di alcune musiche
nel Mediterraneo
Musiche, categorie, e cose pericolose
Tipi, categorie, generi musicali. Serve una teoria?
Il re è nudo: il campo musicologico unificato e la sua articolazione
Abbiamo un riff, o due
Forme e modelli delle canzoni dei Beatles
Questo pacchetto ti soddisferà: qualche cenno su From Me To You
(Verse)/Chorus/Bridge Revisited
Don’t Bore Us – Get To The Chorus. Serve la «noia» alle canzoni?
Complessità progressiva nella musica dei gruppi angloamericani, 1960-1967
Acquiring the Taste
De André il progressivo
La musica seria di Keith Jarrett
Vero o falso? Estetica della musica «riprodotta»
Il suono di chi? Popular music e tecnologia
Cucina elettronica e paesaggi immaginari
You’re pushing the needle to the red, ovvero della prospettiva, arte dell’illusione
Diavolo d’un Gabriel?
Come la vuole, la sfumatura?
Mai dire mai
Cuffia o altoparlanti?
Le «bolle musicali»: musica e automobile
Soluzioni criptiche
Traduzioni milionarie
Forza Milan!
Diritto, diritti e dritti: la Siae divide (e impera)
Muzak per le nostre orecchie
La bassa fedeltà è indigesta
Frank Zappa e gli altri ragazzacci
Organizzare il sound
Come il disco
Il Prometeo di Luigi Nono: l’occhio colpisce ancora
Il gesto e la musica automatica
Dalla musica automatica a quale cinema?
Bibliografia
Fonti
Indice dei nomi
L’ascolto tabù
La scena: gente che balla
La musica, l’elettroacustica, i pensieri musicali
Per una critica del fallacismo musicologico
Studiare la popular music, in Italia
Paint It Black, Cat: rock, pop e Mediterraneo
Musiche del mondo
Serve la musica, alle canzoni?
Il cielo in una stanza
Mettere in musica la poesia: una bella storia
Essere cantautore oggi
Il cantautore con due voci (e con molte mani)
Quello che le parole non dicono
Sanremo, il festival
L’industria della musica
Le canzoni, la politica, la guerra
Storie della radio
Bibliografia
Fonti
Indice dei nomi
Mentre riflettevo su quali materiali aggiungere, mi sono anche domandato se ci fosse qualche testo che potesse essere eliminato. In particolare, ci sono alcune sezioni nell’ultima parte del libro che hanno un chiaro carattere giornalistico, e che sono molto legate all’attualità dei primi anni duemila: la guerra in Afghanistan, l’evoluzione dell’industria discografica, il Festival di Sanremo e il Mantova Musica Festival, le polemiche sulla direzione di Radio Tre negli anni successivi alla vittoria elettorale della Casa delle Libertà nel 2001. Alcuni di questi nomi, già da soli, mi procuravano qualche spiazzamento: Casa delle Libertà? Mantova Musica Festival? Industria discografica? Ma rileggendo (e spero che condividerete quest’impressione) mi sono reso conto che alcune di quelle «storie» non sono mai finite, o hanno lasciato tracce profonde nella situazione attuale, o meritano comunque di non passare nell’oblio, perché non si sa mai: potrebbero anche ripetersi. In ogni caso, mi è parso che valesse la pena di leggere con gli occhi di oggi commenti su vicende che distano da noi al massimo quindici anni: in alcuni casi sono stato un buon profeta (non è sempre facilissimo, mi darete atto), in altri ho sbagliato di grosso, in altri ancora è cambiato ben poco. In uno dei testi si parla del «videotelefonino», ma dovete aver pazienza se non l’ho chiamato smartphone: l’articolo era del 2003, e Steve Jobs ha presentato l’iPhone nel 2007.
Alla fine, ho deciso di lasciare quelle parti pressoché intatte, aggiungendo qualche nota, correggendo errori che mi erano sfuggiti, modificando espressioni giornalistiche che non sopporto più. Gli altri testi, quelli di carattere saggistico, mostrano molto meno i segni del tempo. Un po’ per il loro carattere più meditato, un po’ perché assomigliano alle cose che ho scritto in seguito: più o meno dall’epoca della prima edizione de L’ascolto tabù, infatti, ho smesso di fare il giornalista, mentre ho intensificato il lavoro di saggista, dedicandomi sempre più alla ricerca e all’insegnamento. Questo mi ha guidato anche nella scelta del materiale da aggiungere nella nuova edizione: ho voluto inserire testi che ampliassero gli argomenti già elaborati nella prima edizione, tralasciando invece studi più specialistici, che probabilmente meritano di essere raccolti in un volume di carattere diverso.
Ecco, dunque, cosa ho aggiunto: «Comprendere e fare popular music», testo di una relazione presentata nel 2012 a un convegno della Società italiana per l’educazione musicale, nella quale si sviluppano temi – il titolo è esplicativo – in parte trattati nella prima sezione del libro; «non toccare le manopole», altra relazione (mai presentata, in realtà, perché gli altri partecipanti al convegno avevano sforato i tempi…) che affronta il tema a me caro dell’ascolto di musica registrata nell’università, nei conservatori, nelle occasioni accademiche; «Sui nomi delle musiche», un breve saggio preparato su richiesta dell’Accademia della Crusca nel 2015, che idealmente completa la prima parte de L’ascolto tabù, dedicata ad aspetti teorici e politici dello studio della popular music (ringrazio l’Accademia della Crusca e l’editore GoWare per avermi concesso di riprodurlo qui).
Segue un’ampia sezione che potrei definire di «casi di studio», che ho deciso di far iniziare con un testo pubblicato nel 2007 in un libro curato da Riccardo Bertoncelli e Franco Zanetti (che ringrazio, assieme all’editore Giunti): «A chi piaceva “Lovely Rita”?», una riflessione su Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles e sulla sua ricezione in Italia. Più avanti, alla fine di una serie di testi sulle musiche di tradizione orale e sulla world music che si concludeva con un racconto del funerale di Roberto Leydi, ho aggiunto un articolo breve, preparato per L’Indice dei libri del mese, scritto nel 2016 poco dopo la scomparsa di Umberto Eco (che del funerale di Leydi fu uno dei protagonisti). Il nome di Eco ritorna spesso nel libro, anche e soprattutto in relazione al suo saggio sulla «canzone di consumo» del 1964, che di recente ho tradotto in inglese per la rivista Popular Music (era uno dei pochissimi saggi di Eco non ancora tradotti). Più avanti, sempre nei «casi di studio», ho inserito «Il suonatore Faber», il più ampio dei saggi che ho dedicato a suo tempo (nel 2003) a Fabrizio De André, che avrebbe potuto far parte della prima edizione di questo libro se non fosse stato pubblicato poco tempo prima in un volume collettivo, curato da Riccardo Bertoncelli (che ringrazio di nuovo).
In coda a un gruppo di testi dedicati a «Le canzoni, la politica, la guerra» ho aggiunto un’intervista che Jacopo Costa, dottorando all’università di Strasburgo, mi ha fatto nel 2014, nella quale parlo diffusamente di Rock in Opposition e di alcuni aspetti del lavoro degli Stormy Six. Di questi argomenti mi sono occupato nel mio Album bianco, e in modo accademicamente più rigoroso in alcuni saggi pubblicati all’estero: mi è parso che l’intervista di Costa (che ringrazio) potesse completare efficacemente alcuni spunti già presenti nella prima edizione di questo libro, senza sbilanciarne l’equilibrio.
Infine, prima della sezione sulla radio (e soprattutto su Radio Tre negli anni dopo il 2001), ho aggiunto «Il Trentennio: “musica leggera” alla radio italiana, 1928-1958», testo preparato per un convegno del 2009 e successivamente pubblicato in un volume di Bulzoni curato da Angela Ida De Benedictis (che ringrazio), che crea un collegamento secondo me efficace fra la prima parte de L’ascolto tabù (quella sulle questioni politico-accademiche intorno alla nomenclatura dei generi musicali e sul «comprendere e fare» popular music) e l’ultima parte. C’è un filo, purtroppo mai davvero interrotto, che lega il tabù dell’«intrattenimento», le origini del concetto di «musica leggera», la sua stabilizzazione durante il Ventennio fascista, la ripresa di quel concetto negli anni della Rai democristiana, e le trasformazioni introdotte dalla «rivoluzione» tecnologica degli anni novanta e duemila. All’ombra sottile di quel filo si vede anche altro: provate a leggere le polemiche (apparentemente antidiluviane) intorno al Mantova Musica Festival del 2004 e vedrete consolidarsi – in piena era berlusconiana – le prime tracce del renzismo. Anche a questo serve capire la musica.
In this paper, rebetiko will be used as a testing device for genre theories and musical categorizing processes. It will be argued that, rather than pigeonholing fixed identities, genres adapt to change, and translation is a key concept to describe such adaptation, and even genre formation.
Quando ci si pongono queste domande, occorre tener presente lo statuto di realtà delle unità culturali, dei concetti. «In ogni cultura una unità culturale è semplicemente qualcosa che quella cultura ha definito come unità distinta diversa da altre e dunque può essere una persona, una località geografica, una cosa, un sentimento, una speranza, una idea, una allucinazione», come ha scritto David M. Schneider nel 1968, citato da Umberto Eco nel suo Trattato di semiotica generale. E dunque un genere, uno stile, una scena esistono se una cultura (cioè una comunità, che in quella cultura si identifica) ha convenuto che esistano. Un’unità culturale, si potrebbe dire, è il primo passo verso la realizzazione di un desiderio: che in quell’unità culturale esista, appunto. Un modello letterario che si può citare a questo proposito è quello del Cavaliere inesistente di Italo Calvino: un’armatura vuota che sta insieme solo perché la volontà popolare lo richiede.
Mi servirò della nozione di desiderio per sviluppare l’argomento centrale del mio discorso, e cioè l’influenza della chanson francese (o dell’opera di un certo numero di auteurs – compositeurs – interprètes) su altre scene nazionali in Europa degli anni Cinquanta del secolo scorso in poi. Con l’ipotesi che molto di ciò che è nato in altri Paesi corrispondesse almeno inizialmente al desiderio di creare qualcosa di simile alla chanson francese. O anche, se quella chanson era un esempio di canzone di alta qualità letteraria e di rilevanza sociale, al desiderio che una canzone così esistesse anche in altre culture.
It is feasible that Neapolitan songs—either performed by visiting Italian artists or in the form of gramophone records—were part of Smyrna’s lively musical scene at least until 1922, when the “Great Catastrophe” brought the cosmopolitan character of the city to an abrupt end. By 1923, about a million and a half Orthodox Greeks and former Ottoman citizens were forced to leave Asia Minor. Many came to live on the outskirts of Athens, which suddenly became a large city. Rebetiko, a marginal song genre apparently born in Ottoman Turkey and developed in suburban districts
around Athens and Piraeus, became the most popular urban-music style in Greece. From its supposedly original “oriental” (anatolikós, in Greek) character, rebetiko evolved in the 1940s and 1950s into a milder Westernized style, where song forms, harmony, and the singing style were influenced by Italian—mostly Neapolitan—models. Although ethnomusicologists and rebetiko historians seem to agree that
Italian and Neapolitan models were important in the stylistic evolution of the genre from the 1940s onward (Manuel 1989), it can also be argued that they had an influence even from the very beginning of the rebetiko era.
None of Dylan’s critics, before 2004, ever dared to suggest an influence on Dylan by the best known German communist poet in the Twentieth century, or by one of the exponents of the Parisian intellectual scene that had produced engagé songs by the likes of Boris Vian, Georges Brassens, Léo Ferré. Surprise was the reaction by those who had been writing essays and books on how Woody Guthrie, Robert Johnson, Elvis Presley, Johnny Cash, or William Blake and the Bible, had moulded Dylan’s poetry and music.
This chapter is about such unjustified surprises, and begins with some theoretical reflections on how and why models are chosen in artistic work. It goes without saying that in the history of music (and of poetry) individual artists, as well as genres, styles, scenes, schools, became the models for others: in some cases the influence is obvious (Italian opera, Austro-German instrumental music, French operetta, tango, jazz, rock ‘n’ roll, the British Invasion bands, hip-hop) in others less so (like the way French chanson was taken as a model in late Nineteenth-century Austria and Germany, giving birth to Kabarett, or how Greek éntechno laikó traghoudi was based on a similar attempt to make “art” out of an urban popular tradition, that of rebetiko). Focusing especially on Europe, the chapter inevitably takes into consideration examples from other continents, like the influence of Dylan himself (and of the US folk revival scene) on British, French, Spanish, Italian, German, Greek singer-songwriters, as well as influences by Latin American singer-songwriters (from bossa nova artists like Tom Jobim, Chico Buarque and others, to Carlos Puebla, Daniel Viglietti, Victor Jara, Silvio Rodríguez, Atahualpa Yupanqui) on Spanish and Catalan cantautores, and Italian cantautori. Intra-European influences include the widespread adoption of the Rive Gauche A.C.I model from Spain to Russia (and Italy, and Germany), the long-standing influence of Brecht-Weill and Brecht-Eisler songs on Italian, French, British political song and “committed” rock, the way British folk revival (Ewan MacColl) and singer-songwriters (from the Beatles to Cat Stevens, Peter Gabriel, Elvis Costello, Sting, Nick Drake, Richard Thompson and others) were received in other European countries by lyricists, composers and singers who thought: “The songs I’d write would be like that.”
The expression ‘entechno laiko tragoudi’ (‘art-folk song’) was coined in Greece by Mikis Theodorakis in the 1950s, to describe a new music genre combining the urban-folk musical idiom with lyrics coming from high-art poetry. Although the origins of the genre are tied to the work of composers like Theodorakis and Hatzidakis who did not perform as singers, from the 1970s onwards entechno became the privileged field of new generations of Greek singer-songwriters. Dropping ‘laiko’ (folk) from its label, entechno expanded its musical influences outside the urban-folk repertory and transformed into the more all-encompassing contemporary ‘art song’.
Di quel processo il fenomeno che chiamiamo «canzone napoletana» è parte integrante ed essenziale: se ne può estrapolare, dunque, che la nascita della canzone napoletana sia uno dei momenti più importanti della nascita della popular music.
Da una trentina d’anni, come è noto, «popular music» è anche l’espressione convenzionalmente usata per indicare un campo di studi interdisciplinare, che ha per oggetto le musiche che hanno ampia circolazione attraverso i media, in larga parte concepite proprio attraverso e per i media. Musiche che storicamente si collegano a quel «terzo stile» di cui sopra, e delle quali si può dire che costituiscano l’evoluzione (nell’arco di due secoli) della nuova categoria musicale emersa dalla ristrutturazione ottocentesca dell’universo musicale occidentale. Al punto che l’espressione «popular music» può essere usata restrospettivamente, ante litteram, per riferirsi a generi e culture musicali che precedono non solo l’invenzione di media come il fonografo e il grammofono, il cinema, la radio, eccetera, ma anche l’uso della stessa espressione: possiamo vedere la canzone francese, il fado portoghese, il flamenco andaluso, il tango argentino, come forme dalla popular music. E naturalmente anche il minstrel show, le aethiopian songs, il blues.
Tutto questo per dire che la questione se la canzone napoletana sia popular music nemmeno si pone: lo è, fin dal principio, in largo anticipo rispetto alle primissime registrazioni su cilindro o su disco. Le forme del commercio editoriale, l’organizzazione economica dello spettacolo, le funzioni dell’intrattenimento musicale nel contesto urbano, sono tutti fenomeni che concorrono alla definizione della nuova categoria, in varie parti del mondo. Dunque, credo che abbia senso (e una certa utilità) confrontare il processo di sviluppo della canzone napoletana nell’Ottocento con quello di altri generi e tradizioni nazionali, in particolare con la popular music negli Stati Uniti, che offre spunti interessanti e a volte sorprendenti, soprattutto nell’interazione tra mondo popolare/folklorico, musica delle classi colte ed evoluzione dell’economia musicale.
Se la canzone napoletana, anche quella «classica» è popular, si possono trarre anche alcune indicazioni metodologiche, e contribuire a svincolare lo studio della canzone napoletana dal paradigma storico-filologico a lungo dominante.
European scholars adopt the English term for their object of study. On the other hand, there are also many signs that Anglophone scholars, when they use the expression ‘popular music’, tend to refer to Anglo-American popular music, and incline to call other popular musics ‘world music’. Of course, the issue is not just about linguistic usage: in the article examples both from the media and the academia are commented, and their ideological implications are discussed.
approached the Mediterranean as a geographical, cultural, and political concept have shown that the idea of “the Mediterranean” is less straightforward than it seems. Similarly, “popular music” is an obvious category only to those who have never been asked to clarify what they mean by that term. As a result, the idea of a Mediterranean (popular) music, a concept that is peacefully accepted by musicians, audiences, critics, DJs, and radio hosts in many countries, presents a serious challenge for musicologists and ethnomusicologists as well as scholars of jazz and
popular music. However, contemplating the interaction between two rather fuzzy concepts such as “the Mediterranean” and “popular music,” i.e., the idea of Mediterranean music accepted in many communities, may give useful hints regarding the way to approach these and other clouds of meaning in contemporary society. This article is a comparative overview of popular music in various Mediterranean countries, highlighting differences, common traits, and influences.
In fact, the concept of insularity itself needs at least some adjustment, in the age of superfast ferries and Internet: islanders are as mobile as the inhabitants of big metropolitan areas, and experience mobility in a very similar way.
We could think of a kind of “distributed insularity” as a condition shared in today’s life.
It may happen, then, that the preservation of local musical traditions be entrusted to musicians from other islands, while one of the factors promoting change may consist in the occasional inter-ruption of that external contribution, as it happened in Tilos recently.
Such evidence proves that taxonomic concepts like genre are not fixed, and that they develop with time, as sets of conventions accepted by communities. It offers a chance to re-assess crucial aspects of genre theory, as well as to reconsider narrative strategies in music criticism and popular music historiography, like an attitude to create from scratch alleged pre-histories, and to view music from the past from an ex-post perspective. In the final section, some suggestions are offered on how «norms» or «parameters» associated with genre descriptions can be formalized and visualized for critical or didactical purposes.
La vera novità, se così si può dire, è la necessità di prendere atto che il nostro pianeta è un sistema chiuso e interconnesso. Il termine «globalizzazione» ha molte connotazioni infelici (soprattutto nella misura in cui viene concepito come un processo da combattere o da favorire), al punto da essere quasi inutilizzabile, ma di questo si tratta: dal clima all’economia, dalla politica alla cultura, dal diritto di accedere alle risorse a quello di scegliere la propria residenza, la consapevolezza di essere tutti coinvolti nello stesso destino è precisamente ciò che si impone all’attenzione, e che molti cercano di rifiutare. Le musiche non possono sfuggire a questa dinamica, se non rifugiandosi nelle nicchie della conservazione. Le pratiche consolidate, i generi, rischiano di perdere la loro funzione comunicativa e sociale essenziale, per diventare strumenti della separazione e della negazione del nuovo. Non si tratta di invocare nuovamente (come trent’anni fa) l’abbattimento delle barriere, la trasversalità, l’equiparazione dell’incomparabile: si tratta di adeguare il linguaggio alla nuova realtà, di concepire l’universo musicale come (a sua volta) uno spazio interconnesso, dove lo specialismo non sia uno stru-mento di conservazione dello status quo ma una sonda per esplorare il cambiamento. È possibile che ciò che avvenga mantenendo invariata la partizione esistente degli studi, delle istituzioni, delle carriere musicali? È possibile che il nuovo si manifesti nella più conservatrice tra le aree disciplinari accademiche? È tollerabile che il nuovo sia concepito, oggi, come variante prevista di un sistema immobile?
En esta comunicación intentaremos trazar un mapa provisional de la configuración actual de los estudios sobre sonido y examinar las posibles razones e implicaciones de la problemática inscripción en este de las músicas populares urbanas. Empezaremos por preguntarnos hasta qué punto y de qué manera los estudios sobre sonido podrían representar una ampliación o una puesta en crisis del campo de los “popular music studies” (García Quiñones 2016) para analizar después qué es lo que se perdería al ignorar no solo las contribuciones de ese campo, sino su objeto de estudio. Finalmente reflexionaremos sobre las eventuales consecuencias de esta operación.