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Più spesso di quanto si pensi è la mamma (o più raramente il papà o altri adulti) a «far ammalare» il proprio bambino. Si chiama sindrome di Munchausen per procura, e da uno studio condotto dall’Università Cattolica del Sacro Cuore- Policlinico universitario Gemelli di Roma è emerso che spesso la patologia resta nascosta e non diagnosticata e che i casi che vengono alla luce potrebbero rappresentare solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più diffuso e doloroso di quanto si pensi. La ricerca è stata pubblicata sul Journal of Child Health Care.

Nello studio sono stati considerati 751 bambini ricoverati nel Reparto di Pediatria del Gemelli tra fine 2007 e inizio 2010, e quasi nel 2% dei casi è stato individuato un cosiddetto «disturbo fittizio». «Quasi sempre si trattava di disturbi inventati dal bambino stesso – spiegano gli esperti – Ed è chiaro che, quando una simile situazione conduce il piccolo fino a un ricovero, vuol dire che è necessario intervenire per dare una mano concreta al bambino e alla sua famiglia, considerando l’evento come chiara espressione di un disagio che trova nella sindrome la possibilità di esternarsi. Ma non è tutto: in 4 casi sono stati riscontrati i criteri per effettuare la diagnosi di sindrome di Munchausen per procura, cioè è stato un genitore, o entrambi, ad arrecare un danno fisico o psichico al bambino e indurlo a pensare di essere malato. In 3 casi su 4 si è trattato della madre». 

«La sindrome di Munchausen – spiega Pietro Ferrara, coordinatore della ricerca dell’Istituto di Clinica pediatrica dell’Università Cattolica di Roma – è sempre più considerata nella letteratura scientifica come `malattia fabbricata da chi si occupa del bambino´, ma è una vera e propria forma di abuso nei confronti dei minori che può portare anche a esiti estremi quali la morte del piccolo. A livello scientifico internazionale la sindrome è ben riconosciuta. Ma in Italia, come d’altra parte in molti Paesi del mondo, si tratta ancora oggi di un fenomeno sottostimato e riconosciuto con difficoltà – avverte l’esperto – tanto che possono passare anche anni prima di giungere alla diagnosi corretta, cioè può trascorrere molto tempo tra la comparsa dei primi sintomi e l’identificazione della malattia, con il rischio evidente di sottoporre il bambino a esami e terapie inutili o addirittura dannosi».

«E’ importante che – sottolinea Ferrara – quando il pediatra si trova di fronte a sintomi importanti e che durano da molto tempo senza una conferma laboratoristica e strumentale, pensi alla possibilità di questa patologia. Per accorciare i tempi della diagnosi – conclude il pediatra – sarebbe utile avere accesso in rete a informazioni sulla storia clinica del bambino, per esempio quante volte è stato ricoverato in altri ospedali, perché spesso le madri o chi inventa la malattia peregrinano da una struttura all’altra. E’ importante ovviamente, una volta riconosciuta la sindrome – conclude lo specialista – prestare aiuto oltre che al bambino anche alla madre stessa, garantendo un’assistenza psicologica adeguata».

La sindrome resta per lo più sconosciuta e di difficile diagnosi per quanto sia una realtà dolorosissima, che non di rado trova spazio nelle cronache e che raramente le vittime riescono a raccontare: è il caso di Roos Boum, scrittrice olandese e autrice di dieci romanzi che, in un libro autobiografico appena pubblicato in Italia edito da Franco Angeli (La Sindrome di Munchausen per procura. Malerba: storia di una infanzia lacerata), racconta il suo calvario di vittima della madre che ha inventato per lei una malattia devastandone la vita.

Colle, vernici, antiparassitari,detersivi. Troppo spesso i più piccoli ingeriscono accidentalmente sostanze velenose e non sempre i genitori sono preparati ad assisterli nel primo soccorso. Significativi sono i dati resi noti nel corso del convegno “Bambini sicuri” che si è tenuto nei giorni scorsi all’ospedale dei bambini Vittore Buzzi di Milano. (altro…)

La tosse è uno dei disturbi più frequenti tra i bambini. Nella maggior parte dei casi si tratta di un fastidio passeggero, che si accompagna a una delle numerose infezioni delle prime vie aeree che colpiscono soprattutto durante la stagione autunnale e invernale. Ma può  anche durare a lungo nel tempo, destando non poche preoccupazioni nei genitori.

E’ il caso della cosiddetta tosse cronica – tosse che dura più di quattro settimane – «una patologia che colpisce circa il 10% dei bambini e la cui principale causa è appunto l’infezione delle vie aeree. Senza però dimenticare che la tosse può essere anche sintomo di alcune più serie malattie». Ne ha parlato la Società italiana di pediatria ospedaliera (Sipo) a Bergamo in occasione del VII congresso nazionale che vede riuniti alcuni tra i più importanti esperti italiani e internazionali in ambito pediatrico.

«La tosse- spiega Ahmad Kantar, direttore dell’Unità operativa di Pediatria degli Istituti Ospedalieri Bergamaschi e presidente del Congresso Sipo di quest’anno- può indicare condizioni estremamente diverse, da quelle più banali fino a patologie gravi a carico delle vie aeree o del polmone. A fronte di un bambino con tosse persistente- prosegue l’esperto- il principale interesse del medico è individuare la causa, al fine di impostare un’adeguata terapia. Le preoccupazioni dei genitori sono invece più rivolte a quelli che sono i potenziali effetti della tosse sul loro bambino (disturbi del sonno, pericolo di soffocamento)».

Spesso i bambini con tosse cronica sono sottoposti a numerose visite mediche, dal pediatra di famiglia, in Pronto soccorso e presso specialisti. «A ciò si aggiunge il ricorso a rimedi naturali e farmacologici non sempre adeguati. Le cause di tosse cronica nell’infanzia sono infatti significativamente diverse da quelle in età adulta- afferma la Sipo- ed è perciò necessario un approccio diagnostico e terapeutico differente».

Oltre «all’anamnesi e a un approfondito esame obiettivo- continua Kantar – la radiografia del torace e la spirometria sono generalmente necessari per escludere/individuare alcune cause di tosse. L’età di esordio, il momento di comparsa, la durata, il decorso e i sintomi associati alla tosse sono tutti elementi chiave utili per la diagnosi».

Anche la natura della tosse va indagata. «Alcuni tipi di tosse- aggiunge il presidente del Congresso Sipo- hanno una natura caratteristica e, in ogni caso, la presenza di una tosse umida o produttiva è sempre anormale. Questo è un punto specifico per sospettare una condizione polmonare potenzialmente pù seria». Molti tipi di tosse post infettiva sono associati a tosse prolungata che si risolve nel tempo. «Alcuni soggetti hanno però la tendenza a sviluppare ipersensibilità del reflesso della tosse e conseguentemente ad ogni infezione virale, condizione che può perdurare per molte settimane. Non solo.

«Un recente studio- ricorda Kantar- dimostra che solo il 20% dei bambini con tosse cronica guarisce spontaneamente, e che diversi presentano una causa specifica. Il restante 80% dei bambini richiede ulteriori cure e questo suggerisce di considerare l’esecuzione di indagini diagnostiche piu’ precoci».

La causa e la gestione della tosse nel bambino sono profondamente diversi da quelli dell’adulto: «La tosse nel bambino- precisa Francesco Paravati, presidente nazionale della Sipo- dovrebbe essere trattata in base all’eziologia specifica e nessuna evidenza supporta l’uso di farmaci sintomatici o un approccio empirico basato sulle tre principali cause di tosse nell’adulto – reflusso gastroesofageo (rge), asma e gocciolamento rinofaringeo (post-nasal drip syndrome). E’ quindi importante sottolineare che- conclude Paravati- i bambini con tosse cronica devono essere valutati attentamente dallo specialista utilizzando protocolli specifici per l’eta’ pediatrica e che la conoscenza della fisiopatologia delle diverse condizioni che causano tosse cronica è indispensabile per fare una diagnosi corretta e per prescrivere un trattamento appropriato».

L’occhio ipermetrope è un occhio più corto e le immagini vengono portate a fuoco sul piano retinico con un certo sforzo di accomodazione. Nei difetti lievi il difetto “deve” essere tollerato perché entra in gioco nel processo fisiologico di normalizzazione e crescita regolare del bulbo oculare.  In altri, quando si associa a strabismo o quando è differente nei due occhi, può condizionare la scomparsa di una ambliopia (occhio pigro), è obbligatorio correggerlo.

E’ normale aspettarsi che un bimbo piccolo abbia un occhio più ipermetrope di un altro, così come è ragionevole aspettarsi con la crescita una riduzione del difetto. Attenzione però a non prevedere grandi miglioramenti e una riduzione costante e regolare, dopo i cinque anni le modificazioni sono in genere modeste.

 

 

Il testicolo nasce in sede addominale; in seguito scende sino a raggiungere la regione inguinale e poi lo scroto intorno al settimo mese di gravidanza.

Al momento della nascita i testicoli normalmente sono presenti nello scroto; una arrestata discesa può avvenire a livello addominale o nel canale inguinale in seguito a cause anatomiche (brevità del funicolo, briglie aderenziali peritoneali), infiammatorie (orchite e periorchite fetale), genetiche (criptorchidismo familiare) o inerenti al testicolo stesso (displasia o insufficiente risposta allo stimolo ormonale).

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La deambulazione autonoma viene acquisita generalmente fra i 12 ed i 16 mesi di vita. Inizialmente il bambino cammina con entrambe le braccia alzate e poste in avanti, nel tentativo di incrementare la stabilità della posizione eretta. Per lo stesso motivo le anche e le ginocchia sono leggermente flesse (in questo modo il baricentro del corpo è più basso) e le gambe sono allargate per aumentare la base di appoggio.

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Il piede piatto (tecnicamente “piede pronato vago”) è un abbassamento di entità variabile dell’arcata plantare interna, che può raggiungere anche il limite estremo di un completo appiattimento.

Preoccupazione frequente nei genitori, il piede piatto è la prima causa di visite ortopediche pediatriche. Bisogna però considerare prima di tutto che i bambini nascono naturalmente con il piede piatto ed è nel corso della crescita che si forma la volta plantare; solo quando si raggiunge l’età di 10-12 anni si può considerare maturo il piede. (altro…)

Il termine ambliopia si riferisce ad un’incompleta maturazione del sistema visivo. Ogni organismo vivente nasce con tutte le potenzialità evolutive ma non è detto che sempre e chiunque arrivi a svilupparle in maniera completa ed ottimale. Alla nascita non sappiamo camminare e non sappiamo parlare, allo stesso modo il processo della visione è ancora in fase evolutiva. Se, nel periodo plastico (quando il cervello apprende una attività) qualche problema ostacola la funzione dell’organo, la maturazione si interrompe o procede in maniera meno spedita e valida.

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Il vomito è l’espulsione forzata di gran parte del contenuto gastrico attraverso la bocca. L’episodio di vomito è di solito preceduto da nausea e dolore addominale.

Il vomito va distinto dal rigurgito che è invece è l’emissione dalla bocca, senza sforzo, di piccole quantità di cibo proveniente dallo stomaco (fenomeno frequente nel lattante e nel bambino molto piccolo a prevalente alimentazione lattea e favorito dalla normale incontinenza della valvola del cardias tra esofago e stomaco che fa risalire il cibo verso la bocca). (altro…)